9.
Un bosco e una radura
per Vesta

Stando a Ovidio, il 1° marzo del 708 a.C. Numa, il secondo re di Roma, avrebbe ricevuto come segno dal cielo uno scudo, l’ancile caduto nella radura di Vesta1. Se a Numa sostituissimo Romolo – per le ragioni sopra esposte – allora il 1° marzo di un anno non lontano dal 750 a.C. o poco dopo potrebbe essere accaduto quanto segue.

Il primo re di Roma, dopo aver fondato l’urbs sul Palatino, e regnando ormai con Tito Tazio, avrebbe consultato nuovamente gli auspici in vista di una seconda fondazione riguardante il centro sacrale e politico della città-stato. Allora il re avrebbe lasciato l’alto Cermalus, sarebbe sceso a valle, uscendo dal Palatino probabilmente per la porta Romanula, non lontano dal sacellum Larundae, venendo così a trovarsi subito oltre la inviolabilità o sanctitas delle mura palatine (limitate da promoerium e pomerium), ai margini del luogo dove erano cominciati i lavori di interro per creare la piazza del Foro. Qui il re, situato tra una capannetta o tabernaculum e un osservatorio degli uccelli o templum augurale (fig. 14), avrebbe chiesto a Giove l’assenso a reduplicare e riadattare i culti, già impiantati sul Cermalus, in un lucus da realizzare subito fuori le mura e da consacrare al fuoco di Vesta. Tracce delle realtà sopra accennate sono state da noi rinvenute al di sotto della sala da banchetto della prima domus regia (fig. 3): una piccola capanna con tracce antistanti di pali. Si è trattato, probabilmente, di un auspicium stativum, cioè di una cerimonia augurale volta a stabilire e fissare il luogo dove il lucus avrebbe dovuto essere attuato recidendo una parte degli alberi di un nemus, quella esterna al limite della sanctitas segnato dai lapides del promoerium. Pertanto l’aedes Vestae è sorta non in un luogo già centrale dei primordi, riconosciuto nel Septimontium, ma in un’area nuovamente individuata e resa praticabile, tramite il percorso della Nova via, per cui il fuoco della comunità cittadina appariva nuovo e incentrato in un luogo nuovo, più precisamente fra il promoerium e il limite previsto della piazza del Forum. Si è trattato di un insieme artificiale, innovativo e posto fuori da mura e porta (Romanula) dell’urbs, quindi per nulla tradizionale, come era prevedibile in una fondazione epocale, che implicava una originalità tanto rilevante da essere stata mitizzata come assoluta, nel senso di un abitato senza precedenti, inventato dal nulla (contraddetto dalle notizie antiquarie sul Septimontium, che secondo Varrone era esistito prima di Roma), mentre si trattava di una novità assoluta solo dal punto di vista organizzativo, politico e sacrale. Per una intenzione di tanta rilevanza il re avrebbe dovuto consultare Giove in un certo giorno e avrebbe scelto il capodanno fissato al 1° marzo del calendario appena istituito, giorno che coincideva con il natale di Marte, il dio della primavera padre del fondatore, che a quel mese aveva dato il nome, e il capodanno sarebbe diventato anche il natale del lucus Vestae. Si è trattato probabilmente del primo atto volto a istituire l’intero sistema sacrale del Foro, che comprendeva anche il culto di Vulcano al Volcanal. Il re avrebbe ricevuto una risposta affermativa dal sommo dio, prima grazie a tre fulmini e poi grazie allo scudo chiamato ancile, caduto dal cielo e conservato in seguito – insieme a undici sue copie volte a tutelare il talismano – nella domus regia nuovamente istituita nel lucus fuori porta come residenza istituzionale dei re. Immaginiamo gli ancilia custoditi inizialmente, insieme alle lance o hastae di Marte, nella sala da banchetto della casa del re; ma delle hastae Martis ignoriamo purtroppo il mito di origine (fig. 3). Fra i terreni non distribuiti da Romolo alle curiae, perché riservati ai culti e all’uso pubblico, deve essere stato previsto anche quello del lucus Vestae da consacrare a Vesta, da immaginare come successivo al fanum di Giove Statore, istituito in seguito alla ritirata dei Sabini, quindi prima del regno congiunto con Tito Tazio.

Ottenuto l’assenso divino, bisognava tagliare gli alberi e creare la radura da consacrare a Vesta, senza incorrere nell’ira di qualche nume spodestato del luogo. Occorreva pertanto espiare la progettata alterazione della condizione primigenia sacrificando un porco al dio o alla dea del luogo. Conosciamo questo rito grazie alla preghiera che l’agricoltore recitava prima di recidere un bosco e che Catone fedelmente ha trasmesso2. Compiuto il rito, il re avrebbe aperto la Nova via, esterna al Palatino inaugurato come indica il termine via, penetrando così nel nemus, dal momento che era arduo l’accesso dalla Sacra via, a causa del fossato in cui essa da principio scorreva lungo un corso d’acqua, via quest’ultima che evidentemente aveva preceduto la Nova via. Nel triangolo di terra tra le scalae che portavano alla porta Romanula, la Nova via e la Sacra via – strade per nulla parallele fra loro, per il monte che gira e che inclina il percorso della Nova via – si è proceduto a recidere gli alberi del nemus, creando una radura o lucus, di forma lunga e stretta, ampia mq 2138, in cui accogliere le capanne e poi dimore sacrali, regie e sacerdotali del santuario. Tra la Nova via e il murus Romuli il nemus è stato risparmiato, per mq 2690, perché rientrava nella sanctitas che circondava le mura palatine. Ove anche il nemus fosse stato consacrato a Vesta, lucus e nemus avrebbero misurato insieme mq 4790. Uno iugero equivaleva a mq 2519,9, per cui le due parti del santuario avrebbero equivalso ciascuna a circa uno iugerum, formando congiunti bina iugera, pari a mq 5039,8, equivalenti a un heredium (fig. 1), il lotto per eccellenza romuleo, ritenuto dagli storici, more solito, una invenzione del IV secolo a.C. proiettata nell’alto-arcaismo. Quindi per raggiungere i bina iugera mancherebbero al lucus e al nemus solo mq 249,8.

Il re avrebbe eretto sopra il tabernaculum, che più non serviva, la domus regia, con i culti legati ai fuochi dei Lares (Grundiles/Curiales) e di Marte, dio associato a Ops, dea del raccolto abbondante da riporre in terra, nella fossa del penus. Questa prima domus di Roma, seppure ancora in tecnica capannicola, è stata da noi rinvenuta e si data intorno alla metà dell’VIII secolo a.C. (fig. 1). Nella sala della nuova casa regia erano probabilmente conservati le hastae, gli ancilia e anche gli strumenti sacrificali connessi a Ops: un vassoio o praefericulum e un coltello o secespita3. Il re avrebbe eretto contemporaneamente l’aedes Vestae, nella quale sarebbe stato acceso il primo fuoco pubblico dalle nuove sacerdotesse, le prime vestali. La immaginiamo come una capanna di forma rotonda, con focus e penus. Davanti all’ingresso dell’aedes il re avrebbe fatto costruire anche una capanna per le vestali. Anche questa capanna è stata da noi rinvenuta (figg. 11-13), di forma quadrangolare, con focus e penus. Dal Cermalus non è stato trasferito invece il lituus, strumento usato da Romolo per inaugurare il Palatino, perché era strettamente connesso a quell’altura e alla cerimonia della fondazione, rimasto poi custodito nella capanna di Marte/curia dei Salii, probabilmente sepolto in una fossa, come nel caso di Tarquinia4.

Nessuno storico antico ha mai osato sottrarre la creazione del Foro ai re Romolo e Tito Tazio per trasferirla a Numa, ma il Foro non poteva essere istituito senza i culti del lucus Vestae e del Volcanal, che hanno segnato i limiti orientale e occidentale di quella pubblica piazza, per cui la fondazione numana del culto di Vesta appare, anche per questa ragione, una discrasia in un sistema altrimenti perfettamente ordinato e funzionale.

Lo scavo sistematico nel lucus Vestae, attuato nell’ultimo ventennio, a partire dal 1996, ha consentito di scoprire i muri di cinta alto-arcaici del santuario; una prima piccola capanna, forse il tabernaculum di un templum (fig. 14); la successiva prima domus regia in tecnica capannicola, con accanto un’area riservata a un focolare, forse un sacellum all’interno di un fanum, attribuibile ai Lares (Grundiles/Curiales?) e infine la prima capanna o casa delle vestali (figg. 11-13): realtà tutte che si datano a partire dalla metà dell’VIII secolo a.C., quindi in età romulea e non numana. Per l’aedes Vestae, le riedificazioni tardo-repubblicane e imperiali, che hanno distrutto la stratificazione sottostante, non hanno consentito, invece, di risalire più in alto del IV secolo a.C., a causa dell’ampiezza e profondità degli interventi. Siamo pertanto un secolo o un secolo e mezzo prima del tempo assegnato alla formazione di Roma dalla vulgata degli storici contemporanei. Dai contatti che i Romani hanno avuto con i Greci, a partire dal secondo quarto dell’VIII secolo a.C., documentati dai ritrovamenti ceramici, è plausibile ritenere che la fondazione romulea del Foro e dei suoi culti si sia incentrata, oltre che su auspici di rito latino, sul rito greco del fuoco pubblico, adottato per fondare le più antiche colonie greche in Occidente, a partire da Cuma, la più antica, quindi anteriore a Naxos, fondata nel 735 a.C. Siamo nella medesima stagione storica della prima Roma: intorno alla metà o al terzo quarto dell’VIII secolo a.C. Se così fosse, la Vesta del sito di Roma – dea latina già della vita domestica, familiare, rionale e regale – avrebbe acquistato ora e per la prima volta nel Lazio un carattere pubblico, mutuato da Hestia. È anche possibile che la suddivisione di Romani e Quiriti in tribus si sia ispirata, almeno in parte, alle phylai greche, che erano le ripartizioni delle poleis5. Non appare pertanto troppo audace concludere che nelle fondazioni palatina e forense di Roma i primi re della città-stato avrebbero adottato e amalgamato riti latini, etruschi e forse anche greci. Insomma, Roma sembra essere una città di eccezione, aperta fin dal principio al resto del mondo, capace di cogliere, rielaborare e comporre apporti diversi, in una sintesi originale che ne ha determinato lo straordinario sviluppo.

Al momento della creazione della radura, nessuna struttura esisteva nel nemus e quindi nessun edificio è stato distrutto. Sul suolo del lucus appena liberato sono state rilevate tracce di un’aratura incrociata, attuata dopo la recisione degli alberi per nettare la terra, in particolare dallo stercus, cioè da escrementi degli animali. Anche in India il luogo del fuoco tondo del padrone di casa doveva essere ritualmente pulito, per eliminare le tracce degli escrementi animali: veniva purificato grazie a uno strato di terra salata6. All’aratura e alla purificazione della radura dovette accompagnarsi a Roma la costruzione di un muro di recinzione, necessario per delimitare l’area da consacrare a Vesta e per proteggerla. L’aratura ha preceduto immediatamente la consacrazione a Vesta e le edificazioni nel lucus, che l’hanno obliterata (per cui è errata l’interpretazione di Carmine Ampolo, che non ha tenuto conto dei dati di fatto7).

1 Carandini 2006.

2 Coarelli 1993.

3 Torelli 1997.

4 Carandini 2006.

5 Ampolo 1996.

6 Dumézil 2001, p. 283.

7 Carafa 2014.