12.
NON È MAI IL MAGGIORDOMO

«Commissario Berganza?» esclamo. «Cosa ci fa qui?» Davvero. Mi sembra quasi di averlo evocato. Forse non aveva tutti i torti, quando insinuava che avessi qualche specie di potere magico.

«Sarca, prima regola: quando ci si mette a parlare con qualcuno fra un tiro e l’altro, si sposta la testa ma non l’arma, altrimenti si può finire a chiacchierare con un cadavere.» Berganza avanza di quei due passi che gli consentono di raggiungermi e scostare la canna della mia pistola.

«Ops», commento. Dal corridoio, il ranger ci osserva, ma non si avvicina. Probabilmente conosce il commissario e sa che può fidarsi. Nemmeno Riccardo si avvicina, anche se ci sta guardando incuriosito. Inoltre, dal profilo del gabbiotto fa capolino la faccia di Petrini, che mi saluta con un cenno della mano.

«Il ragazzo aveva bisogno di esercizio», dice Berganza in risposta alla mia domanda, indicando Petrini col pollice.

Dolce. Il ruvido veterano accompagna al poligono il più giovane della nidiata per dargli ripetizioni di tiro. Potrei quasi piangere.

«E lei, invece, che diavolo ci fa da queste parti?»

«Sua idea», dico, indicando Riccardo. «Ma, a onor del vero, a me è piaciuta parecchio.»

Berganza si gira e Riccardo gli si fa incontro per stringergli la mano.

«Vani, non sapevo che conoscessi un commissario di polizia», esclama.

«Sarca, non sapevo che conoscesse Riccardo Randi», dice Berganza a sua volta. Basta una lievissima inflessione della sua voce perché dietro la sua frase io percepisca tutto un mondo di congetture e deduzioni. “Se la ghostwriter conosce lo scrittore di punta della sua casa editrice, vuoi vedere che è perché lo scrittore di punta si è servito della ghostwriter?” Ecco cosa sta pensando Berganza, ci scommetto. E infatti, anziché uno sguardo neutro, l’occhiata che rivolge a Riccardo è una di quelle sornione, a palpebre socchiuse, che ho imparato che fa quando ha avuto un’intuizione.

Quest’uomo è davvero uno sbirro pazzesco.

«È la prima volta», sta intanto spiegando Riccardo, quasi per giustificarsi.

«Mi sembra evidente», sospira Berganza. Allo sbirro pazzesco non dev’essere sfuggito che il mio bersaglio è intonso. Uff.

«No, intendo: è la prima volta che usciamo assieme, come coppia insomma, e volevo che fosse per qualcosa di originale», specifica Riccardo. «Se conosce Vani, sa che non è tipo da appuntamenti tradizionali.» Io gli lancio un’occhiataccia da dietro la schiena di Berganza, ma lui sembra non farci caso. Che diavolo è questa moda di sbandierare i miei cazzi sentimentali davanti al commissario? Ieri Enrico, oggi Riccardo. E infatti Berganza si gira appena verso di me e rifà quella sua espressione a occhi stretti. «Quindi era lui il famoso corteggiatore che, secondo il dottor Fuschi…? Be’, pare che le cose si siano evolute in fretta.»

Io sento l’impellente bisogno di morire. Chissà se una pistola ad aria compressa è sufficiente per spararsi a una tempia.

Indico stancamente Riccardo. «Come vede, ha preso molto alla lettera l’intenzione di fare colpo.» E con ciò spunto la voce «dire una battuta stupida» dalla mia lista di cose da fare quando mi sento a disagio.

Berganza sorride. Appena appena, come fa lui, ma io noto che sorride.

«Quel che è certo è che con questi sfiatatoi non ci combinate un bel niente», sospira. Fa un cenno al ranger, come per assicurarsi di avere il suo permesso, e continua: «Seguitemi. Se si fa una cosa, bisogna farla fino in fondo».

«Questa è una Beretta 92FS, ed è l’arma d’ordinanza della Polizia di Stato», mi sta spiegando adesso la voce del commissario, che mi giunge ovattata attraverso le cuffie antirumore. «Si tiene così.» Le sue mani si stringono sopra le mie e le chiudono entrambe sull’impugnatura della pistola. Poi mi assestano due colpi alle spalle per posizionarmi perfettamente di fronte al bersaglio. O almeno credo di essere di fronte al bersaglio, perché ora ci troviamo nello stand dei grossi calibri e il pannello a cui dovrei sparare si trova non più a dieci metri, ma a venticinque. Cioè, per me, praticamente in Cina. Mi stupisco che la curvatura della superficie terrestre non me lo nasconda alla vista, tanto mi sembra lontano.

«Pollice su pollice, calcio ben poggiato sul muscolo, una mano spinge e una tira. Ci siamo? In questo modo evita il gioco dell’arma in orizzontale e incassa la botta. La posizione che aveva prima, con il braccio allungato di lato, è quella da agonismo, ma sfido chiunque a sopportare a braccio teso il rinculo di una pistola da un chilo.»

Effettivamente questo blocco di ferraglia mi sembra pesare quanto un macigno.

«Okay, pronta? Spari.» Berganza, Riccardo e Petrini fanno appena in tempo a pigiarsi le mani sulle orecchie che io tiro il grilletto e poi vengo sbalzata all’indietro.

«Gesù!» esclama Riccardo.

«Be’, meglio, mi sembra», dice Berganza, individuando un qualcosa di simile a una scalfittura sul bordo esterno del bersaglio.

Sono un po’ delusa dalla mia mira, ma gasata come una marmocchia. Se, come mi auguravo ieri durante l’interrogatorio, Enrico mi metterà mai a scrivere un giallo, ora so esattamente che effetto fa sparare con una Beretta 92.

«Posso rifarlo?» chiedo.

Berganza scuote il capo. «Purtroppo no, questa piazzola è prenotata da altri. Il ranger è mio amico, ci ha concesso un minuto per farmi un favore.» Mi prende la pistola dalle mani e la smonta con esperienza.

Tutti insieme, io e Berganza davanti e Riccardo e Petrini dietro, ci riavviamo lungo il corridoio.

Sbircio il commissario di sottecchi.

Immagino che potrei chiedergli come sta andando l’indagine. Cioè, non che me ne freghi qualcosa, intendiamoci. Se Bianca è stata mandata a raggiungere i suoi angeli da qualche nipotino bramoso di eredità, sono solo fatti suoi. Senza contare che Berganza avrà sicuramente dei vincoli di riservatezza che deve rispettare e sarebbe davvero seccante mostrarmi curiosa per poi essere liquidata come un’impicciona. Tuttavia…

«Stamattina abbiamo torchiato la segretaria», esordisce spontaneamente il commissario, mentre mi cammina accanto.

Oh. Oh. «Eleonora? Sul serio?»

Sento Riccardo e Petrini trotterellare dietro di noi. Mi pare che Berganza allunghi il passo e abbassi la voce.

«Per lo stesso motivo per cui abbiamo interrogato lei, Sarca. Possibili rancori, invidie, desideri di rivalsa. Oppure, più banalmente, lasciti di denaro o altre faccende di soldi.»

Aggrotto la fronte.

Berganza si accorge che ho aggrottato la fronte. «Ci pensi. È impossibile che Eleonora Mornaci non si fosse accorta, come ha fatto lei, che in quell’sms la Cantavilla le dava del tu anziché del lei, non le pare? Eppure a noi, quando le abbiamo parlato la prima volta, non ha detto nulla in proposito. Non le suona sospetto?»

Mi mastico il labbro inferiore.

«...Non le suona sospetto. Perché?»

«Non posso dirglielo.»

«Perché non può dirmelo?»

«Perché suonerei saccente e giudicante.»

«Sarca, lei mi ha scandagliato ai raggi X dopo nemmeno tre ore che ci eravamo presentati. È troppo tardi per questo genere di scrupoli.»

Touché. «Okay», sospiro. «Posso contemplare l’ipotesi che Eleonora si sia effettivamente accorta del “tu”. Ma che, anziché riconoscerlo come una stranezza da segnalare agli inquirenti, nel suo cuore il giubilo per essere stata benedetta da cotanta confidenza da parte della sua dea abbia obnubilato qualsiasi considerazione lucida e oggettiva in proposito.»

«Non è un atteggiamento molto intelligente, non trova?»

«Infatti non considero la Mornaci particolarmente intelligente. E non mi guardi così. L’ha detto lei che potevo lasciare da parte questo genere di scrupoli.» Sono solo sincera. Nella mia personale visione del mondo, chiunque è più intelligente di una che ha consacrato la propria vita a fare consapevolmente da schiava a una truffatrice. (A meno che Bianca la paghi alla grande. Se Bianca la paga alla grande, sono disposta a rivedere la mia posizione riguardo a Culo Di Tweed. Ma, a giudicare da come si veste, probabilmente le basta ricevere ogni due mesi un pat pat sulla testa e un buono per il mercatino dell’usato.) «Ma anche ponendo che la Mornaci sia più sveglia di quanto io la ritenga: se fosse stata coinvolta nel rapimento, non crede che avrebbe dovuto fare attenzione a scrivere un sms il più credibile possibile?»

«Giusta considerazione. D’altra parte, se la Mornaci fosse stata coinvolta nel rapimento e si fosse lasciata scappare – o avesse lasciato che scappasse a qualche complice – un errore così grossolano, non crede che poi avrebbe avuto interesse a farlo passare inosservato?»

Pondero.

Poi non resisto. «Be’, quindi l’avete interrogata, e avete scoperto…?» Ah, che diavolo. Non me ne frega mai niente, è vero, ma è lui che ha cominciato, e questa indagine riguarda anche me, e poi Bianca mi sta così sulle palle che se è venuto fuori che è stata torturata potrei quasi volerlo sentire, quindi sì, stavolta eccezionalmente la posso anche fare, la curiosa.

Berganza scuote il capo. «Ancora nulla, ma stiamo scandagliando i suoi conti e la sua vita. Il problema è che il tempo stringe, io ho pochi uomini e, nonostante tutto, ho il timore che queste ricerche condurranno solo in un vicolo cieco.»

«Allora perché non le interrompe e non impiega le sue risorse in qualche altra direzione?» chiedo. Inconsciamente, sto parlando a voce più bassa anch’io.

«Lo farei… se avessi la ragionevole certezza di stare solo perdendo tempo. Ma naturalmente nessuno può entrare nella testa di Eleonora Mornaci, o di chiunque altro. Vero?»

Dopodiché, si gira a fissarmi.

In silenzio.

Cioè. Berganza mi sta lanciando un lungo sguardo insistente, e finalmente capisco perché.

«Commissario. Sono certa che il suo inglese è molto buono e che non sta confondendo il termine ghostwriter con il termine profiler, giusto?»

«Cavilli terminologici. Coraggio, Sarca, aveva già cominciato così bene. Sia gentile, in cambio della lezione di tiro. Faccia quello che sa fare meglio. Entri nella testa altrui. È il suo mestiere. O no?»

Mi sta sfidando?

«Senta. Io non “entro nella testa altrui”, o altre graziose idiozie che si leggono nei gialli che piacciono tanto a entrambi. Io scrivo. Come le ho detto ieri, penso a cosa scriverebbe l’autore e lo scrivo io, punto e basta. Quindi, a meno che Eleonora non debba dare alle stampe un libro intitolato La notte che rapii la mia capa oppure Autobiografia di un’innocente, io non ho nessun tipo di competenza per…»

«Visto? Cavilli, Sarca.»

Pausa.

«Non si senta iper responsabilizzata», aggiunge. «È chiaro che starà solo a noi decidere se sospendere o proseguire queste indagini. Voglio soltanto sapere: se lei fosse Eleonora Mornaci, potrebbe essere la mandante del rapimento della signora Cantavilla, e perché?»

Ormai siamo arrivati al termine del corridoio. In teoria, qui dovremmo dividerci: io e Riccardo dovremmo tornarcene ad ammazzare il tempo (o gli occupanti della piazzola accanto) allo stand per le armi ad aria compressa, Berganza e Petrini rientrare in commissariato. Così ci fermiamo, Riccardo e Petrini ci stanno raggiungendo e, visto che sembra che Berganza ci tenga tanto a mantenere privata la nostra conversazione, se voglio accontentarlo è meglio che mi sbrighi.

Così penso a Culo Di Tweed.

Mi concentro sulle immagini che ho di lei.

I vestiti deprimenti, da negozietto in perenne svendita. I colori neutri di chi si riconosce nell’invisibilità, nella trasparenza. Un vetro pulito che permette all’immagine di Bianca di risplendervi attraverso: ecco che cos’è Eleonora Mornaci, oltre che una pessima indossatrice di sciape gonne di tweed. La voce piatta e asettica di chi lascia ad altri il compito di scaldare i cuori con le proprie parole. La presenza muta e sollecita, anche di domenica. E sorridente. Anche di domenica. L’annullamento della personalità e delle esigenze private in nome dell’impeccabile riuscita delle attività di Bianca. Il lampo di mal dissimulata preoccupazione quando le ho confermato al telefono che Bianca risultava irrintracciabile.

«Okay, ecco cosa penso», spiffero al commissario. «Quando si è devoti come Eleonora, ci sono due possibilità. Una di certo è quella su cui state puntando voi, e cioè che, per qualche ragione, abbia pazientemente celato il proprio odio per Bianca nell’attesa del momento buono per fargliela pagare. Il movente più probabile è che, dopo anni di fedele servizio, Bianca le abbia fatto un torto, rivolto una frase che l’ha ferita, o abbia fatto trapelare una scarsa stima nei suoi confronti… La fidata assistente, che ha dedicato a Bianca tutta la sua vita, potrebbe essersi sentita così tradita da avere iniziato a meditar vendetta. E quel giorno magari è arrivato: Eleonora potrebbe avere commissionato a un qualunque poco di buono il rapimento di Bianca, e forse in questo esatto momento si sta godendo la propria rivincita.»

Nel frattempo Riccardo e Petrini si sono fermati accanto a noi e ci stanno ascoltando perplessi. Addio privacy. Ma non importa. Sia io che Berganza siamo così assorti nella visualizzazione da fregarcene di quel che può pensare il pubblico.

«In questo caso, però, non sarà seguendo il movente dei soldi che riuscirete a incriminarla. A Eleonora non importa nulla del denaro. Non se ne fa niente: qualsiasi donna si rinfrescherebbe quantomeno il guardaroba, non foss’altro con la scusa di essere la collaboratrice di rappresentanza di una signora elegante come Bianca, e dunque di non poter essere da meno. Eleonora invece sembra insensibile a ogni lusinga materiale. Se è sul serio la mandante del rapimento di Bianca, non avrà agito per soldi, ma per rivalsa, per soddisfazione personale. Per il gusto di ridurre Bianca all’impotenza. Quindi pedinatela, registrate le sue telefonate: se è lei la mandante, prima o poi vorrà andare a vedere di persona Bianca che soffre, o quantomeno vorrà sentire dalla voce del custode di Bianca la descrizione delle pene che sta passando.»

Berganza mi fissa e annuisce appena appena. «Ha senso», mormora. «E la seconda possibilità?»

Sospiro. «La seconda possibilità, commissario, è che Eleonora sia esattamente come sembra. Ossia, totalmente, incondizionatamente devota a Bianca. Una creatura insignificante e consapevole di esserlo, ben felice di brillare di luce riflessa accanto alla sua dea, perché sa che è la sua migliore possibilità per sedere vicina al Sole.»

«E lei, Sarca, pensa che sia proprio così, non è vero?»

Annuisco, quasi con rammarico. «Sì, commissario. Mi duole dirlo, perché sarebbe bello se Eleonora fosse la colpevole, non trova? Semplice, lineare, avrebbe la sua logica elegante. Ma… io ho visto come guardava Bianca, ho sentito quella sua vocetta metallica fare una pausa di troppo nel parlare della sua scomparsa…» Scuoto il capo. «Non so argomentarglielo meglio di così, mi dispiace, ma no, non credo davvero che sia Eleonora, tanto quanto lei ieri sera era convinto che non potessi essere io. E poi, commissario… come i suoi gialli insegnano…»

Mentre Riccardo e Petrini continuano a osservarci in silenzio, rassegnati a non capire ciò di cui stiamo parlando, Berganza e io ci lasciamo scappare un sorrisetto sincrono. Ha afferrato dove voglio arrivare.

«…Il colpevole non è mai il maggiordomo», conclude per me.