Il libro
Prima
scena.
Calciobalilla, flipper,
videogioco. Prendetevi mezz’ora e passate dall’uno all’altro, in
quest’ordine. Pensavate di giocare, invece avete attraversato lo
spazio che separa una civiltà, quella analogica, da un’altra,
quella digitale. Siete migrati in un mondo nuovo: leggero, veloce,
immateriale.
Seconda
scena.
Prendete l’icona che
per secoli ha racchiuso in sé il senso della nostra civiltà:
uomo-spada-cavallo. Confrontatela con questa:
uomo-tastiera-schermo. E avrete di fronte agli occhi la mutazione
in atto. Un sisma che ha ridisegnato la postura di noi umani in
modo spettacolare.
Quella che stiamo
vivendo non è solo una rivoluzione tecnologica fatta di nuovi
oggetti, ma il risultato di un’insurrezione mentale. Chi l’ha
innescata – dai pionieri di Internet all’inventore dell’iPhone –
non aveva in mente un progetto preciso se non questo, affascinante
e selvaggio: rendere impossibile la ripetizione di una tragedia
come quella del Novecento. Niente piú confini, niente piú élite,
niente piú caste sacerdotali, politiche, intellettuali. Uno dei
concetti piú cari all’uomo analogico, la verità, diventa
improvvisamente sfocato, mobile, instabile. I problemi sono
tradotti in partite da vincere in un gioco per adulti-bambini.
Perché questo è The
Game.
«Qualsiasi cosa si
pensi del Game, è un pensiero inutile se non parte dalla premessa
che il Game è la nostra assicurazione contro l’incubo del
Novecento. La sua strategia ha funzionato, oggi le condizioni
perché una tragedia come quella si ripeta sono state smantellate.
Ormai ci siamo abituati, ma non va mai dimenticato che c’è stato un
tempo in cui, per un risultato del genere, avremmo dato qualsiasi
cosa. Oggi, se ci chiedono in cambio di lasciare la nostra mail ci
innervosiamo».