7.
Hayy ibn Yaqzan
Avicenna guardò Mahtab col sorriso negli occhi e le domandò perché insistesse a fargli mettere per iscritto i fondamenti di una filosofia che così sarebbe stata resa esplicita e tramandata, nonostante lui le avesse già detto che era adatta soltanto a una ristretta cerchia di menti intelligenti. Quanto al volgo e alla massa dei lettori, avevano bisogno piuttosto della filosofia peripatetica di Aristotele, perché includeva la logica che costituiva l’organo della conoscenza e il metodo della ricerca. Lei lo interruppe dicendo che su quello aveva già scritto molti libri e che una volta finito di mettere in bella il suo grande libro La guarigione avrebbe assolto ai bisogni del pubblico riguardo le dottrine filosofiche essoteriche, quindi gli rimaneva da scrivere della dottrina occulta.
«Hai ragione, ma per questo ci sarà bisogno di usare artifici e mezzi appropriati».
«E perché mai, amore del mio cuore?»
«Che cosa hai detto, Mahtab?… “Amore del mio cuore”?»
«Scusami, la mia lingua precede i miei pensieri, non volevo dire che…»
«Ah, magari avessi voluto dirlo…»
Gli occhi dell’uno si tuffarono negli occhi dell’altra, sprofondando totalmente nella passione più folle. Il mondo intorno a loro si fermò per qualche interminabile e incalcolabile istante. Quell’appassionatissimo sguardo rese liquida qualunque distanza che s’interponesse fra loro due. Lui non era più il Grande Maestro, il dottore, il ministro detenuto senza ragione, e lei non era una discendente delle glorie e degli splendori di Shiraz ereditati dagli antichi Sasanidi. Erano semplicemente un amante desiderato e un appassionato amato. Erano le due facce di uno specchio attraverso il quale risplende il gioiello della passione e del desiderio, la voglia di stare incollati l’uno all’altra.
Lei si alzò e pian piano gli si avvicinò come un leggero scroscio di pioggia, mentre lui era una terra assetata, spaccata dal sole. Poi la pioggerella si fece acquazzone e diluvio che porta il succo della vita nel fondo di un pozzo nel deserto. Lei scorreva fra le sue braccia, mentre lui fra le sue fu inebriato, spazzato via dal contatto, come annientato fu tutto ciò che ostacolava un contatto più completo. Quando si svelarono i soli che erano nascosti dietro le nuvole del vestito, il calore si fece più forte, la tenebra della privazione scomparve, la luce si sciolse nella luce e insieme assaporarono il senso dell’unione sessuale, navigando su oceani dal fascino magico, impossibili da descrivere…
Dopo esser sprofondati nell’orizzonte dell’incoscienza, i due ritornarono al mondo terreno poco prima dell’alba.
Questo incontro fra Avicenna e Mahtab avvenne un certo periodo dopo il primo, ma che differenza fra i due incontri! Una volta scioltasi fra loro la neve, i fiumi strariparono e il fuoco arse per tre giorni di fila, durante i quali non vi fu che totale inerzia di giorno e ancor più totale incendio da dopo il tramonto fin quasi all’alba. Grazie alle arti di Mahtab lui vide cose meravigliose, come se non avesse mai conosciuto una donna. Con lei toccò concetti che stanno più in alto dei pensieri e delle fantasie della maggior parte della gente. Dalla tenerezza del donare alla malizia delle moine da vipera dai molteplici attorcigliamenti, fino ai saluti più civettuoli; dalla rassicurante quiete dell’abbraccio, allo sconquassante fremito del raggiungimento del culmine; dall’amore alla passione, all’invaghimento. I giorni che seguirono furono una totale resa, senza obiezione né appello alle sentenze che il desiderio imponeva loro.
La mattina del primo giorno del quarto mese che Avicenna trascorse nella rocca di Fardaqan da detenuto – ma finalmente liberato per lo meno dall’aridità e l’asperità del destino – si ridestò dal suo breve sonno mattutino quando di buonora al-Muzdawaj bussò alla sua porta, e vi si sedette davanti continuando a bussare. Poi disse che voleva consultarsi con lui su una questione.
«Tutto bene, Mansur?»
«No, caro dottore, non bene». Disse che gli informatori gli avevano mormorato che qualche giorno prima Strillo aveva avuto una corrispondenza segreta con delle spie del Ghaznavide e che recentemente si era incontrato, sempre in segreto, con alcuni soldati ghaznavidi in un luogo abbandonato a oriente dei villaggi del Contado. Due giorni dopo quell’incontro segreto, Strillo aveva dato incarico a tre guide locali di disegnare una mappa dei sentieri montani non battuti a nord di Rayy, per definire i percorsi nascosti sulle alture vicine al Mar Caspio come anche le piste secondarie che portavano ai villaggi del Contado. Avicenna trovò quel discorso alquanto strano, quindi chiese ad al-Muzdawaj cosa avesse spinto Strillo a fare ciò. «Soldi» rispose quello.
Avicenna rifletté a lungo, poi disse ad al-Muzdawaj: «E che vantaggio ne avrebbe il Ghaznavide, secondo te?»
«Non lo so. Forse progetta di invadere la sede del califfato a Baghdad, per uccidere il califfo Abbaside o farlo prigioniero, e assumere lui il califfato dei musulmani».
«E come potrebbe, Mansur? Lui è un turco, e la regola dice che gli imam devono essere Quraish, cioè discendenti della famiglia del Profeta».
«Questo non sarebbe un problema, potrebbe corrompere o terrorizzare i giuristi perché dicano alla gente: “Gli imam devono essere Ghaznavidi discendenti di Sebük Tejin”… Per lui l’importante è prendere il potere con il suo esercito, le regole si cambiano».
«Non penso proprio, Mansur. E poi, al momento la casa del califfato non ha un esercito a sua disposizione, o che risponda in caso di necessità improvvisa».
«C’è l’esercito dei Buwayhidi che si trovano nelle regioni a sud di Baghdad. Forse è per questo che il Ghaznavide vuole piombare sulla sede del califfato di sorpresa da nord».
Avicenna prese un foglio di carta e vi disegnò sopra una mappa che includeva a oriente la Chorasmia e il Khorasan, a occidente il Kurdistan, l’Iraq e la Siria, e fra questi la Persia con le tre più famose metropoli: Rayy, Isfahan e Hamadhan. Fra queste grandi città tracciò delle linee che formavano un triangolo. Al centro disegnò un puntino e disse ad al-Muzdawaj: «Questa è la posizione della rocca di Fardaqan. Come vedi, si trova fra i tre principati Buwayhidi: la provincia della rocca è annessa al principato di Hamadhan, mentre il principato di Rayy è annesso alla regione settentrionale, con Qazvin e la zona delle montagne. Se Mahmud il Ghaznavide volesse arrivare a Baghdad di nascosto passando da nord, dovrebbe per forza attraversare col suo esercito le montagne dell’Elburz, passando molto vicino alla regione di Rayy, per poi addentrarsi nelle aree abitate dagli Armeni, dai Turchi e dai Curdi, e infine scendere verso sud. Questa via è accidentata, farci passare un esercito non è sicuro, come non è facile penetrarvi e attraversarla senza farsi scoprire».
«Non saprei, dottore. Ma quello che mi preoccupa al momento è il tradimento di Strillo. Sto pensando di ucciderlo per punirlo delle sue azioni».
«Non avere fretta, ti prego. Lo hai messo di fronte a queste accuse prima di condannarlo?»
«No, ma ne sono ormai certo. Lo giudicherò in tua presenza, e tu mi indicherai quel che pensi in maniera imparziale. Adesso è ammanettato ai ceppi nella mia stanza sulla corte anteriore. Dopo che l’abbiamo arrestato, all’alba non appena rientrato al castello, fra le pieghe della sua veste abbiamo trovato un sacchetto con molti dinar del Khorasan. Manderò a chiamare chi era presente lì e lo giudicheremo».
«No, Mansur, non sta bene che un fatto come questo sia reso pubblico fra i militari e i servi. È meglio andare noi da lui e metter fine alla faccenda nella maniera più semplice».
I due entrarono nella stanza dove Strillo era ammanettato in un angolo e si chiusero la porta alle spalle. Quello lanciò un’invocazione di aiuto ad Avicenna tremando di paura: «Misericordia, dottore, misericordia…» Il Grande Maestro gli si avvicinò, lo fissò negli occhi con sguardo da falco e disse: «La misericordia è per chi commette un errore e si pente. Dove sono i segni del tuo pentimento?»
Sul volto di Strillo si disegnò la solita volgare stupidità mentre diceva che lui pensava che le spie del Ghaznavide fossero mercanti che volevano sapere la strada più breve e più lontana da occhi indiscreti per far passare le merci senza l’ostacolo dei dazi. Al-Muzdawaj gli scagliò contro una scodella di terracotta che stava sul tavolo e quasi lo assalì per ucciderlo mentre diceva: «Cane! I mercanti non scendono a patti con i militari in luoghi sconosciuti, né chiedono loro mappe o pagano così tanti soldi!»
Terrorizzato, Strillo si mise a piangere dicendo che lui aveva dubitato della cosa, ma era stato tratto in inganno dalla cupidigia per i soldi. Adesso se ne era pentito e sperava nella grazia e nel perdono.
«Perché volevano quelle mappe?» domandò Avicenna. «Diccelo, e forse Mansur sarà indulgente e ti libererà».
«Non lo so, dottore, forse il sultano ha intenzione di razziare le regioni del Caucaso e dell’Armenia, ma non ne sono sicuro».
Uno degli assistenti di Mansur al-Muzdawaj bussò alla porta e gli disse che era desiderato per una questione importante, quindi uscì insieme a lui lasciando Avicenna con Strillo, che lo supplicò: «Ti prego, dottore, stai dalla mia parte e non mi dimenticherò mai della tua benevolenza. Lui ti vuole bene e ti darà ascolto e se tu intercederai per me, lui accoglierà la tua intercessione. Ti prego…»
L’aspetto di Strillo era nauseante come il suo odore. Avicenna lasciò la stanza e uscì all’aria aperta della corte, dove vide al-Muzdawaj seduto che scuoteva la testa, mentre il suo assistente lo informava sulle ultime notizie. Avicenna si avvicinò lentamente ai due, quindi l’assistente si congedò e al-Muzdawaj lo invitò a sedersi con la mente distratta. Fra i due regnò il silenzio per alcuni istanti, mentre il sole del pomeriggio già piegava verso l’orizzonte. A bassa voce al-Muzdawaj disse: «Questa mattina, senza combattere e senza incontrare resistenza, il principe ‘Ala’ al-Daula ibn al-Kakwayh è entrato col suo esercito in Hamadhan, facendola sua. Non ha autorizzato alcun esproprio o saccheggio, e la città è sicura. Ma la popolazione è spaventata e si è rintanata in casa, in attesa. Nessuno sa dove siano andati il principe Sama’ al-Daula e il suo generale Taj al-Mulk».
«Strano. Forse le cose si chiariranno nei prossimi giorni, o forse fra qualche ora».
«Ma nel frattempo io cosa faccio? Resto fermo così, senza muovermi?»
«Ragioniamo sulla cosa ponderatamente, Mansur, e consideriamo cosa bisogna fare. Ma prima dimmi, da chi dipende il tuo incarico al momento?»
«Da chiunque governi Hamadhan, questo castello è alle sue dipendenze».
Avicenna guardò il cielo terso riportandovi più volte uno sguardo in contemplazione. Poi suggerì ad al-Muzdawaj un piano che incontrò la sua approvazione: avrebbe inviato subito due corrieri su destrieri arabi o su cammelle veloci di razza battriana; uno a Hamadhan, per Ibn al-Kakwayh, in quanto nuovo governatore, per informarlo sinteticamente di cos’era accaduto con le spie del Ghaznavide e del loro intento di tracciare delle mappe delle piste montane settentrionali. Un messaggio simile sarebbe stato inviato con l’altro corriere a Taj al-Mulk e Sama’ al-Daula, che si erano nascosti con il loro esercito.
«Ma noi non sappiamo dove si sono nascosti!»
«Gli spostamenti di un esercito non possono sottrarsi a lungo agli sguardi e non penso che con quel numeroso contingente siano andati molto lontano da Hamadhan. O stanno a sud della città, dove ci sono alte montagne, oppure nella piana che si estende a nord, fra Hamadhan e Fardaqan. Il secondo corriere dovrà restare nei dintorni di Hamadhan finché il segreto non sarà svelato e poi si affretterà a consegnare il messaggio».
«E con questo cane traditore che facciamo?»
«Lascialo libero, per ora. Non ti procurerebbe che danni. In questo momento di difficoltà non sta bene ucciderlo o tenerlo prigioniero, susciterebbe sconcerto fra le milizie del castello. Invece i soldi che gli hai scovato addosso distribuiscili fra militari e servitori come prebenda, senza dir nulla sulla loro provenienza. Come se fosse un regalo per sollevare il loro spirito combattivo e tenersi pronti a quel che verrà. Il loro animo si addolcirà e non verranno colti dall’ansia».
Al-Muzdawaj accolse favorevolmente l’idea di Avicenna e gli chiese di scrivere di suo pugno le due lettere per i due principi. Gli fece portare due fogli di carta e gli strumenti per scrivere. Il contenuto delle due lettere era speculare, senza la minima differenza: «Mio signore principe, è giunta al mio orecchio la notizia, di accertata attendibilità, che nelle regioni settentrionali spie del Ghaznavide sorvegliano le piste montane nascoste e le strade in pianura al riparo da sguardi indiscreti. La cosa è portata alla Vostra attenzione perché possiate premunirvi e prendere i provvedimenti che ritenete opportuni». Nell’intestazione alla prima lettera scrisse: «Dal comandante del castello di Fardaqan, Mansur noto come al-Muzdawaj, all’esimio principe ‘Ala’ al-Daula Dushmanziyar ibn al-Kakwayh, che Iddio lo preservi». Nell’intestazione della seconda scrisse: «All’esimio principe Sama’ al-Daula ibn Shams al-Daula e al trionfante generale Taj al-Daula, che Iddio li preservi».
Al-Muzdawaj chiuse le due lettere siglandole con il suo sigillo, quindi le consegnò ai due corrieri che uscirono dal castello e come frecce scomparvero alla vista quando erano rimaste poche ore prima del tramonto del sole. Poi Strillo fu liberato dalla sua prigionia, gli fu sottratto il gruzzolo che aveva, e fu dato a uno degli assistenti perché lo distribuisse equamente fra i militari del castello. Quindi, dopo importune insistenze e con la mediazione di Avicenna presso al-Muzdawaj, a Strillo fu elargito un asino macilento perché se ne andasse senza far più ritorno, dopo l’avvertimento che se fosse stato avvistato di nuovo nei paraggi sarebbe stato ammazzato all’istante.
Avicenna e al-Muzdawaj si sedettero sulla panca fra le due torri del castello a osservare Strillo che se ne andava incattivito sotto il sole al tramonto. Non appena fu lontano e fuori tiro di freccia, lasciò la strada e fece fare al suo asino un ampio giro per nascondere la direzione che avrebbe preso, quindi continuò a girare pigramente in tondo finché l’oscurità non fu completa, e si occultò fra le sue pieghe.
Ci fu un lungo silenzio fra i due durante il quale al-Muzdawaj rifletté su molte cose – fra cui la più lieta era che la sua moglie più giovane aveva recuperato la salute, ma non era ancora pronta per l’unione sessuale – mentre Avicenna pensava a una cosa sola, lieta: cioè che Mahtab stava per arrivare nella sua camera, o forse era già arrivata e lo stava aspettando. Quella notte le avrebbe dettato il testo allegorico che aveva intenzione di scrivere sulla filosofia orientale, per esaudire la promessa che le aveva fatto. Su di loro soffiarono folate serali di quelle che rallegrano l’animo e riposano lo spirito, e in quel momento Avicenna fu sorpreso dall’inattesa domanda che gli pose al-Muzdawaj: «Spiegami, dottore, dove va il sole quando scompare alla nostra vista? E perché all’alba risplende dalla parte opposta a quella dove si era occultato?»
«O Mansur, non è che se ne vada, rimane al suo posto molto lontano da noi. È la terra che gira intorno al suo asse di rotazione, perché è come una palla sospesa nel vuoto del cielo».
«È un discorso difficile da capire. Io vedo il sole che gira nel cielo intorno a noi…»
«Non devi arrovellarti su queste cose, Mansur, non sforzare la tua mente su questioni astronomiche, ci sono altri che si occupano di sfere celesti e movimenti di stelle e pianeti».
«Sì, lo so, sono quelli che stanno fissi a guardare la luna e le stelle fino a esser colpiti da demenza e pazzia. E ringraziando Iddio io non sono fra loro».
I due percepirono che il freddo si faceva più intenso, quindi si levarono e andarono ciascuno per la sua strada, senza sapere che ciò che avevano fatto quel giorno avrebbe avuto grosse conseguenze nei giorni, mesi e anni a venire. Quando Ibn al-Kakwayh ricevette il messaggio, i suoi sospetti sulle intenzioni di Mahmud il Ghaznavide di invadere il regno Buwayhide sia da nord che da sud furono confermati. E completava le informative e le notizie raccolte da spie e informatori e riferitegli dai suoi collaboratori. Quindi all’improvviso si ritirò da Hamadhan lasciandola intatta e si precipitò verso la sua capitale Isfahan per premunirla da un attacco militare o una possibile invasione del Ghaznavide. Questo posticipò l’annessione di Isfahan e i suoi dintorni da parte dei Ghaznavidi, così come portò Ibn al-Kakwayh ad aver maggiore fiducia in Avicenna, col quale infatti si mostrò benevolo e generoso nei dieci anni seguenti della sua vita, installandolo alla sua corte a Isfahan. Lì rimase fra i suoi confidenti fino alla sua morte, avvenuta nell’aprile del 1037 durante un viaggio verso Hamadhan in compagnia di Ibn al-Kakwayh. La sua scomparsa avvenne in quei pressi, e lì fu sepolto. I suoi schiavi ladri avevano messo dell’oppio nelle sue medicine… Quella notte Avicenna aveva capito che si trattava di una dose eccessiva, visto il potere tranquillante di quell’oppio, ma non gliene importò. Forse perché la sua anima, che era discesa in lui da luoghi ben più elevati, agognava la sua patria.
‘Ala’ al-Daula ibn al-Kakwayh si fidò anche di al-Muzdawaj e la sua fiducia crebbe alquanto per quel che sentì da Avicenna, il quale lo ricordava spesso elogiandolo dinnanzi al principe. Così Ibn al-Kakwayh lo ricompensò, e poi si rifugiò da lui, otto anni dopo aver ricevuto quella lettera. Essendo inseguito da Mahmud il Ghaznavide, fuggì per nascondersi nella rocca di Fardaqan, fino a che nel 1029 il Ghaznavide non lo sconfisse definitivamente.
Allo stesso modo la lettera consegnata a Sama’ al-Daula e al suo generale Taj al-Mulk ebbe un buon esito per al-Muzdawaj e Avicenna: qualche giorno dopo aver ricevuto la missiva radunarono il loro esercito, tenuto nascosto nella piana che si estendeva davanti alla rocca in attesa del ritiro di Ibn al-Kakwayh da Hamadhan, quindi ritornarono in città e con loro tornò anche Avicenna, cui Taj al-Mulk concesse il rilascio promettendogli un terzo mandato di ministro. La cosa fu però rimandata di continuo negli anni, finché Avicenna, infastidito da quelle vane promesse, partì per Isfahan camuffato da sufi insieme a suo fratello ‘Ali e al suo compagno al-Juzjani. Insieme a loro risiedette lì, alla corte di Ibn al-Kakwayh, presiedendo l’organizzazione delle sue riunioni scientifiche. Fu lì che terminò di volgere in bella gli appunti della sua celebre enciclopedia filosofica La guarigione e l’altra ancor più famosa enciclopedia medica La regola, che poi consegnò ai copisti insieme ad altre sue opere, per cui le copie si diffusero riempiendo la terra e svettando nei cieli dell’umanità. A Isfahan Avicenna scrisse anche la sua enciclopedia Il giusto trattamento sulla filosofia orientale, opera che però fu perseguitata da una sorte avversa, giacché a Isfahan ne rimase soltanto l’unica copia autografa di Avicenna che i Ghaznavidi saccheggiarono quando razziarono la città, portandosela dietro nella loro capitale Ghazna senza farne ulteriori copie. E lì rimase finché i musulmani sunniti Ghuridi non sterminarono i musulmani sunniti Ghaznavidi, impadronendosi della loro capitale e bruciando tutti i libri. Così l’opera Il giusto trattamento scomparve per sempre.
Quanto a Strillo, dopo essersi allontanato dal castello si arruolò nelle milizie ghaznavidi per le quali disegnò le mappe richieste, che furono tenute ben nascoste finché Mahmud il Ghaznavide non ebbe finito di conquistare le regioni dell’India e distruggerne i templi facendo bottino dell’oro, le gemme e le ricchezze in essi racchiuse. Dopodiché rivolse il suo sguardo e il suo esercito verso i regni dei Buwayhidi. Cominciò col principato di Rayy, verso il quale inviò il suo esercito lungo strade nascoste e piste segrete. Contemporaneamente mandò al principe di Rayy Majd al-Din il Buwayhide una lettera per informarlo che stava arrivando a fargli una visita di cortesia. Il principe uscì per andargli incontro accompagnato dai notabili della sua corte e i comandanti dell’esercito, e lo incontrò dandogli il benvenuto a qualche miglio dalla capitale. Proprio allora il Ghaznavide lo aggredì, lo fece prigioniero e lo spedì a Ghazna, dove lo fece ammazzare, mentre il suo esercito che stava appostato scese ad attaccare Rayy impadronendosene senza combattere, dal momento che il suo principe e i generali dell’esercito erano assenti e la popolazione era confusa per quell’attacco improvviso. Il Ghaznavide saccheggiò Rayy, depredandone le ricchezze e trucidando i suoi scienziati e i pensatori sciiti e mu‘taziliti, e l’annesse al suo sultanato. Poi scese verso sud, si impadronì della fortezza di Fardaqan e vi imprigionò Ibn al-Kakwayh che in quel momento era nascosto lì, quindi a causa della diffamazione di Strillo – che nel frattempo era diventato una sua stimata spia e soldato – uccise al-Muzdawaj per punirlo di esser stato al servizio dei Buwayhidi e di averli messi in guardia dal progetto dei ghaznavidi. Sotto la protezione del sultanato ghaznavide, Strillo divenne il comandante del castello di Fardaqan e il padrone e arbitro del “piccolo regno”. Vendette i figli di al-Muzdawaj come schiavi, mentre le sue due mogli e le sue figlie diventarono sue schiave e lui continuò a godere dei loro corpi trastullandosi nelle nere notti. Ma alla fine la più grande delle figlie di al-Muzdawaj lo trafisse al collo con uno stiletto avvelenato mentre era ubriaco: lui cominciò a tremare sotto i loro occhi, a percuotere il pavimento con le gambe e le braccia fino a venir meno e morire. Così le donne riuscirono a fuggire furtivamente, sottraendosi agli sguardi delle guardie perché faceva molto freddo ed era molto buio, e sfuggendo anche ai cani da guardia perché erano abituati alle mogli e alle figlie di al-Muzdawaj in quanto erano solite portar loro da mangiare nel pieno della notte… I cani, per quanto rabbiosi o feroci, sono più fedeli e più puri di cuore delle persone.
In quello stesso anno, il 1029, il sultano Mahmud figlio di Sebük Tejin il Ghaznavide completò le sue conquiste nei paesi islamici e le sue incursioni nei territori musulmani, impadronendosi di Hamadhan, Isfahan, Shiraz e saccheggiandole tutte quante. Poi il destino si ribaltò contro la sua famiglia, i suoi figli e i suoi eredi: da oriente arrivarono i Ghuridi che si impossessarono della loro capitale, mentre da nord piombarono i musulmani sunniti Selgiuqidi che annientarono i musulmani sunniti Ghaznavidi, conquistando i loro reami.
Prima di entrare nella sua stanza Avicenna notò che la lampada era accesa, e quando vi entrò trovò Mahtab e Mahyar che lo stavano aspettando seduti in silenzio. Mahtab aveva disposto davanti a sé dei fogli di carta, il calamaio e le penne, pronta a scrivere quel che lui le avrebbe dettato, secondo quanto concordato il giorno prima. Quando lo vide, le sue ciglia aggraziate ondeggiarono delicatamente e con gentilezza gli chiese la ragione dell’agitazione che si palesava sul suo volto. Dopo aver salutato suo fratello, lui rispose che la situazione nel paese si stava ovunque surriscaldando e che in quei cieli si stagliavano le avvisaglie della guerra; non era escluso che il Ghaznavide sarebbe presto arrivato con il suo esercito.
«Non credo, mio signore» disse Mahyar. «Lui non ha ancora finito di svuotare i regni delle vaste contrade dell’India, ricche di templi pieni di tesori».
«Anche nelle nostre città ci sono molti tesori, Mahyar».
«Sì, mio signore, ma ci sono anche eserciti che resisteranno. La resistenza che oppongono gli Indiani invece è fatta di preghiere e di suppliche agli dèi!»
Mahtab interruppe il loro dialogo dicendo: «Lasciamo stare ora i discorsi di guerra, la sapienza è più importante e più duratura e io sono ansiosa di sentire cosa ha messo insieme il Signore dei Sapienti e dei Medici, e cosa mi detterà».
Avicenna le disse che sarebbe stato un breve racconto di stampo simbolico, in cui si narrava il viaggio dell’intelletto umano dal mondo sensibile verso gli orizzonti delle realtà superiori.
«Ma l’intelletto non è solo senza la logica, le conoscenze pregresse o la legge divina? Quindi, com’è possibile questo?» le domandò lei.
«Ebbene, Mahtab, fra poco vedrai in che modo».
Non essendo molto interessato a questioni di filosofia, Mahyar si scusò con i due e andò a preparare la sua stanza insieme a un servitore, giacché attendeva la visita di sua moglie che aveva promesso di venire a trovarlo entro un paio di giorni, insieme a suo padre.
Mahtab afferrò la penna mentre Avicenna si alzò verso un angolo della stanza dove si lavò il viso con un po’ di acqua fresca e, dopo essersi tolto dal capo il turbante, si strofinò i capelli. In quell’istante apparve ancor più bello e splendido agli occhi di Mahtab, luccicanti di ammirazione. La passione infatti mette in luce splendore e bellezza. Sorridendo intinse la penna nell’inchiostro del calamaio e si piegò sui fogli restando in silenzio finché Avicenna, dopo aver fissato a lungo il pavimento, cominciò a dettarle quanto segue:
Nel nome di Dio Clemente e Misericordioso, la mia prosperità è in Dio soltanto, e a Lui farò ritorno.
Orduque, o mio fraterno pubblico, la vostra insistenza a farmi raccontare ed esporre la storia di Hayy ibn Yaqzan ha sbaragliato la mia ostinazione a rifiutarmi di farlo, sciogliendo il nodo del mio proposito di rimandare e sottrarmi all’impegno, per cui mi risolvo ad aiutarvi – ma il buon esito sta a Dio!
«“Il tuo fraterno pubblico”… A chi ti riferisci?»
«A te, Mahtab, sei tu il mio fraterno pubblico e la mia migliore compagnia. Tu sei il rifugio del mio cuore e la stazione in cui può riposare il mio spirito, che a lungo ha vagato disorientato prima di trovar ristoro sul tuo seno».
«Le tue parole sono dolci, ma quando la gente leggerà queste cose non si domanderà come ha potuto questo “fraterno pubblico” insistere fino alla molestia sul Grande Maestro, mentre questi era imprigionato in un remoto castello?»
«La cosa non mi interessa. Ho la certezza che quel che scrivo mi sopravviverà per mille anni. E fra mille anni la gente non saprà più che quando ho scritto questo racconto io ero prigioniero in questo castello!»
«E se invece lo venissero a sapere, dottore?»
«Se venissero a sapere questo, saprebbero anche che io l’ho scritto per esaudire l’insistenza della più bella donna del creato, il cui nome è Mahtab… E ora completiamo la frase? Avevi detto che eri ansiosa…»
«Ma sono ancora più ansiosa di avere il tuo abbraccio e ben sette baci».
Avicenna sorrise, e Mahtab si alzò per chiudere la porta; poi gettò via quel che aveva addosso e ricevette sette baci in sette diverse posizioni…
Quando arrivò la mezzanotte, lei, con la fascinosa leziosità tipica di Shiraz, gli disse: «Promettimi che non ti allontanerai mai da me».
Lui rise e rispose: «Dove vuoi che mi allontani! Hai dimenticato che sono recluso qui?»
«Non svicolare, io intendo dire quando uscirai da qui».
«Come ti viene in mente che uscirò da qui o che un giorno possa liberarmi da questa passione? Ma ora vogliamo metterci a terminare la scrittura e lasciar stare al domani quel che sarà?»
Si alzarono dal letto d’ottone verso il grande divano, rimettendosi seduti come stavano prima. Quindi Avicenna cominciò a dettarle questo testo:
Quando risiedevo a Barza, la mia città, non mi era difficile trascinare i miei amici per certe passeggiate tutto intorno a quella valle. Mentre andavamo in giro, ci ritrovammo davanti un vecchio già in età avanzata e provato dagli anni, eppure radioso e fresco nel vigore, senza un solo osso scricchiolante o un’articolazione avariata, e su di lui la canizie aveva un aspetto florido. Mi venne il desiderio, un desiderio scaturito da dentro la mia essenza, di chiacchierare con lui, di intrattenermi con lui e di stargli accanto. E trascinai verso di lui anche i miei compagni…
Avicenna fermò di colpo la dettatura e fissò il viso sorridente di Mahtab, chiedendole se avesse capito il senso di quella allegoria e di quelle espressioni simboliche. Lei posò la penna nel calamaio e disse: «Certamente. Fanno allusione all’anima umana quando scende in questo mondo e viene allo scoperto legandosi al corpo fisico e alle sue facoltà sensitive, che per lei diventano come compagni. E quando l’anima, accompagnata da queste facoltà, va verso le regioni della conoscenza e della comprensione, ossia si impegna nelle scienze, in quelle “scampagnate cognitive” a volte s’imbatte negli effluvi del pensiero o dell’intelletto o della creatività, i quali, per quanto l’età sia avanzata, restano sempre in una forma splendida».
«Meraviglioso… Ma come hai fatto a capirlo così facilmente?»
«Grazie alla tua “poesia in rima ‘ayn sull’anima” che io ho imparato a memoria! Ma perché mi fissi così?»
«La tua intelligenza mi turba almeno quanto la tua bellezza…»
La mattina del giorno seguente il risveglio fu tranquillo e senza novità. C’erano da curare soltanto alcuni prigionieri e militari; Mahyar era contento che lo stato di salute dei prigionieri volgesse al meglio. Nella limpida sera Mahtab tutta esultante arrivò da Avicenna così come i bei sogni arrivano ai dormienti infelici. Per un’ora e più fra loro si accese il fuoco di un’appassionata congiunzione. Poi lei gli declamò dei brevi versi di una poesia che aveva scritto quel giorno stesso…
Dopodiché ripresero la dettatura che avevano iniziato il giorno prima, e lei scrisse le seguenti parole:
Così io e i miei amici ci accostammo a lui e quando gli fummo vicini lui prese a salutarci e omaggiarci mostrando tutta la sua accoglienza. Chiacchierando fra di noi arrivammo a interrogarlo sulla realtà della sua condizione, a chiedergli la sua età e la sua professione, il suo nome, la sua ascendenza e la sua provenienza. «Quanto al mio nome e la mia ascendenza» disse, «io sono Hayy figlio di Yaqzan e il mio paese d’origine è la città del Santo Tempio. Il mio mestiere invece è viaggiare per le contrade del mondo per racchiuderle tutte in una storia. La mia faccia è rivolta a mio padre, che è Hayy, dal quale ho ricevuto le chiavi di tutte le scienze. Lui mi ha guidato sulla via che percorre le regioni del mondo affinché attraverso il mio peregrinare possa acquattarmi negli orizzonti di ogni paese».
«Mi permetti di interromperti brevemente, amore mio?»
«Ti permetterò qualunque cosa tu voglia, Mahtab. Va bene così?»
Gentilmente e con voce suadente disse che l’espressione «Mio padre, che è Hayy» in realtà significava che lui era Hayy figlio di Hayy figlio di Yaqzan! Avicenna si voltò verso di lei e sorridendo disse: «O gioiello di bellezza, questi sono tutti simboli volti a svegliare la mente e spingerla a riflettere e considerare, per rendere tollerabile ciò che non può essere interpretato se non allegoricamente. Il suo nome è Hayy, cioè “Vivo”, mentre suo padre è vivo di fatto, perché la vita qui è una volta nome proprio e attributo l’altra volta. Di conseguenza l’espressione della genealogia va a risalire a Yaqzan, che significa “essere sveglio” o “consapevole”, e non è un problema se il nome e il simbolo sono uguali: Hayy figlio di Hayy figlio di Hayy e così all’infinito…»
«Ho capito, scusami per l’interruzione. Continua, mio preferito fra i dottori».
«Ci sarebbero dunque altri dottori che tu ami? Come mai queste baruffe?»
«Perché a volte mi piace vedere le tue sopracciglia inarcarsi così, come altre volte mi piace vederti sorridere. E in ogni caso mi piace litigare per tenerti impegnato con me».
«Benissimo… Scrivi». E le dettò questo testo:
Continuammo a sottoporgli questioni scientifiche chiedendogli chiarimenti sulle cose più oscure, fino ad arrivare alla questione della conoscenza intuitiva. Ne fu colpito, vidi in lui ciò che giudicai essere meraviglia, perché infatti ricominciò il racconto lì dove avevamo appena finito e disse: «La conoscenza intuitiva è fra quelle conoscenze i cui benefici sono soggetti a critica: per sua qualità rende noto ciò che è coperto a chi ci ha messo sopra una coperta; e grazie a essa potrai estenderti verso quello o ritrartene. La conoscenza intuitiva ti dà la dimostrazione che…»
Avicenna si interruppe a metà della frase quando notò che stava dettando troppo veloce per la capacità di Mahtab di seguirlo nella scrittura. Lei invece pensò che stesse esitando per raccogliere le idee, e gli lanciò uno sguardo interrogativo. Lui le chiese: «Hai scritto l’ultima frase? Fammi vedere il foglio».
Quando vide quel che era scritto, prese la penna e cancellò la parola «coperto» e la cambiò con «segreto», trasformando la frase in «per sua qualità rende noto ciò che è segreto». Poi osservò con approvazione e mormorò: «Sì, così è meglio».
Poco prima dell’alba Avicenna aveva ormai dettato a Mahtab il primo terzo del racconto, nel quale aveva esposto, in densa forma allegorica, i legami dell’anima intellettiva con le facoltà sensitive che l’accompagnano, nonché le difficoltà che incontra nell’innalzarsi nei livelli di conoscenza e comprensione. Poi aveva parlato delle modalità del controllo di queste facoltà, in maniera che l’anima riesca a liberarsi dall’arbitrio della materia e s’innalzi per completare la sua perfezione. Tutto ciò lo mise in forma di consigli che l’anonimo narratore del racconto ascoltò dall’uomo chiamato Hayy figlio di Yaqzan. L’ultima cosa che dettò quella notte fu la frase:
Quando definì i miei amici chiamandoli “sensi”, compresi subito che aveva ragione a provar disgusto per loro. E quando ripresi a esaminarli nel modo da lui esplicitato, l’esperienza che ebbi di loro corresse l’informazione che avevo su di loro. Io li utilizzavo e li sopportavo imponendo su di essi la mia autorità, ma a volte erano loro che mi prendevano la mano. Chiedo aiuto a Dio perché renda buona la compagnia di questi amici fino al distacco, poiché lungo il viaggio sarò guidato da questo maestro…
Nei due giorni seguenti Avicenna non s’incontrò con Mahtab. Dal Contado arrivò infatti il Signore insieme a sua figlia, la moglie di Mahyar, e il suo affettato parente dal collo come una gru. Al-Muzdawaj li accolse con tutti gli onori e i convivi si protrassero dalla mattina alla sera, per cui il sole di Mahtab si eclissò. Due giorni mediocri. La mattina del terzo giorno quelli partirono per tornare al Contado, quindi all’inizio della sera Mahtab gli andò incontro gioiosa come il sogno che aveva visto durante il suo sonno della prima mattina.
«Ho visto la strada che si estende da Shiraz ai villaggi del Contado» raccontò ad Avicenna, «come in una visione d’insieme, come se la vedessi con gli occhi di un uccello che volava alto nel cielo. La strada era verdeggiante e tutta punteggiata di fiori colorati e odorosi dai quali mi giungevano come effluvi le loro profumate fragranze, mentre io guardavo verso l’alto. Poi ho visto te seduto su una collina, circondato da tanti libri, fogli e penne, ed ero serena e sorridente, come se il tuo mondo fosse sgombro da preoccupazioni. Poi mi sono vista andarti incontro a cuor tranquillo su un prato verde pieno di rose, e quando sono arrivata da te hai steso il tuo mantello per terra e mi hai stretta fra le braccia. Ho avuto la sensazione che io fossi te e tu fossi me».
«Un bel sogno…»
«Potresti interpretarlo, cioè dargli una spiegazione?»
Le disse che il suo sogno non aveva bisogno di alcuna interpretazione, i suoi simboli erano tutti chiari. Intanto lei si avvicinò per sedersi davanti a lui, versare un bicchiere dalla bottiglia del vino e porgergliela con una mano, mentre con l’altra gli sfiorava delicatamente il dorso della mano. Nei suoi occhi magici luccicava il brillio della passione, il baleno della femminilità e del desiderio.
«Mahtab, i mondi in cui viviamo» le disse lui «sono tre, non uno solo. Il primo è il mondo sensibile, le cui basi sono materiali e i mezzi per conoscerlo e interagirci sono i cinque sensi più il senso comune. Il secondo è il mondo immaginativo, la cui base è l’immaginazione che governa le sensazioni involontarie. È esattamente il caso della passione, quando colui che ama vede l’oggetto della sua passione come la più bella delle persone. Dopo di quello c’è il mondo dell’intelletto, le cui basi sono nell’induzione e nella logica. Quel sogno, come il resto delle visioni notturne, appartiene al mondo immaginativo, ma va a toccare il mondo sensibile da cui scaturisce. Durante il tuo sonno tu eri serena, il tuo letto era profumato, la tua stanza pregna dell’emanazione di quelle fragranze».
«Sì, questo è giusto. Mi ero strofinata con del profumo prima di addormentarmi».
«Per questo hai visto quel che hai visto e nel tuo sogno hai sentito quel profumo. Poi hai avuto il desiderio che noi restassimo insieme per sempre, non è così?»
«Certamente me lo auguro, o meglio lo spero. Si spera il possibile e ci si augura l’impossibile, così come diceva il mio professore Aharun. Ma ora l’importante è che tu mi dica, in tutta sincerità: è possibile che noi restiamo insieme per sempre? O è impossibile? Vuoi che ci sposiamo per vivere il resto della nostra vita insieme?»
«E dove? Io sono prigioniero…»
«Ben presto uscirai da qui e potrai vivere nel Contado finché la situazione non si calma. Dopodiché torneremo insieme a Shiraz: è l’unica città adatta a te, sarai felice di stare lì».
«Questo sì è un sogno remoto. Il tempo del mio rilascio è ignoto, la situazione si capovolge in fretta e nel circondario le cose non si calmeranno per lungo tempo. Al momento non è opportuno fare questi sogni…»
Sentendo un rumore provenire dal lato della corte, Mahtab si lasciò cadere sulla testa il velo della sua mantella nera stringendone i lembi e preparandosi all’arrivo di quelli che si stavano avvicinando. Era al-Muzdawaj insieme ai suoi assistenti, che si congedarono sulla porta. Lui entrò nella camera di Avicenna e li salutò chiedendo di Mahyar. Mahtab si alzò dicendo: «È con sua moglie, vado subito a chiamarlo».
Suo fratello arrivò alla svelta dopo che al-Muzdawaj aveva già bisbigliato ad Avicenna che le due lettere erano arrivate ai due principi e avevano sortito un rapido effetto. Infatti il principe Ibn al-Kakwayh si apprestava quella notte a tornare a Isfahan col suo esercito entro la mattina dell’indomani o del giorno dopo. Mentre il principe Sama’ al-Daula e il suo generale Taj al-Mulk l’indomani sarebbero arrivati lì con il loro esercito che era rimasto nascosto sulle alture a nord, acquartierato nella valle che si affaccia su Fardaqan, pronti a rientrare a Hamadhan non appena Ibn al-Kakwayh se ne fosse andato. Mentre riferiva queste notizie al-Muzdawaj era affannato e sul suo volto apparivano segni di smarrimento, ansia e sbigottimento. Quando poi Mahyar arrivò da loro gli disse: «Sono successe molte cose e altre ne accadranno domani. Non so quale sarà la situazione, ma questo posto non va più bene per te, figliolo, e per quelli che sono con te. Questa notte dovrete fare fagotto e tornare entro l’alba al Contado, finché la faccenda non si chiarirà. Intanto vediamo cosa accadrà. Invierò cinque militari insieme a voi per garantire la sicurezza del vostro arrivo al Contado».
«Sta scoppiando la guerra, Mansur?»
«No, Mahyar, non scoppierà, col permesso di Dio. Ma l’esercito di Hamadhan è diretto qui e arriverà verso mezzogiorno di domani per acquartierarsi per un po’».
«Quindi dobbiamo partire subito».
«Sì. Poco fa ho mandato un corriere al Signore del Contado per chiedergli alcune cose: agnelli, frutta, verdure. Digli di affrettarsi a mandarli, l’accoglienza per quelli che stanno arrivando dovrà essere rigorosa e generosa, se Dio vuole. Tu invece, dottore, preparati: Taj al-Mulk nel suo messaggio ha detto che vuole vederti domani. E ha aggiunto che avrà bisogno che tu gli stia vicino nel prossimo futuro. Ritengo che ti prenderà con sé».
Al-Muzdawaj si alzò per andare nella corte anteriore a seguire le varie faccende, poi Mahyar andò nel “piccolo regno” per dire alle donne di prepararsi con urgenza a partire subito. Avicenna rimase nella sua stanza in silenzio a riflettere sugli alti e bassi del destino e su cosa sarebbe successo l’indomani.
In meno di un’ora Mahyar tornò seguito dalla sorella e riferì che i servitori avevano approntato tutto per il rientro. Mahtab domandò ad Avicenna se sarebbero riusciti a completare la scrittura del racconto di Hayy ibn Yaqzan… Il volto di lei era freddo, segnato da pallore e profonda tristezza, nei suoi occhi albergava l’afflizione. Dopo aver fatto un doppio cenno con la testa, lui rispose a voce bassa che si poteva fare e che la cosa non avrebbe richiesto molto tempo, giacché il racconto era già pronto nella sua mente. Lei si sedette in silenzio e rattristata davanti ai fogli di carta, e lui le dettò quanto segue:
Così mi feci guidare da quel maestro sulla via del viaggio, in una maniera che fosse desiderabile e allettante. Infatti disse: «Tu e chiunque sia sulla tua strada, da un viaggio come il mio sarai sviato, perché il percorso per te e per lui è bloccato. A meno che non ti rallegri quello star da solo, la cui scadenza è fissata e non ha un dopo. Compiaciti dunque di un viaggio che della quiete è l’accesso, viaggia per un po’ e con loro sii promiscuo. Ma quando ti sarai spogliato per il viaggio nel pieno del tuo vigore, sarò con te in armonia e tu loro li taglierai fuori. Ma se ne avrai nostalgia e ti volgerai indietro verso di loro, da me ti distaccherai, fino a quando non sarai padrone di liberartene».
Mahyar non riuscì a trattenersi, e dopo aver passato lo sguardo stupito fra la sorella e Avicenna domandò: «Ma è arabo o una qualche altra lingua? Non ho capito una parola di questo discorso!»
«Sono frasi simboliche che parlano del viaggio che l’intelletto umano fa verso il mondo intellettivo delle conoscenze superiori, quando si libera parzialmente dal controllo dei sensi e delle facoltà materiali o quando se ne libera totalmente, cioè con la morte».
«Grazie per la spiegazione, mio signore, ma permettimi una domanda: chi è che sta parlando e a chi?»
«L’intelletto individuale che è nell’uomo parla e dialoga con “l’intelletto attivo dell’umanità”, che si trova al di sotto del cielo lunare e delle dieci intelligenze superiori ed è il più vicino al nostro mondo terrestre. È lui che ci permette di capire, quando riceviamo la sua emanazione».
«E come, mio signore?»
«Smettila di interromperci e di farci perdere tempo, Mahyar» disse Mahtab a suo fratello in tono paziente ma deciso. «Se permetti, dobbiamo assolutamente terminare questo trattato in forma di racconto entro stanotte».
Mahyar tacque e Avicenna riprese a dettare fino ad arrivare al punto del racconto in cui Hayy ibn Yaqzan fa riferimento alle intelligenze superiori e al Principio Primo dicendo:
«Di esse la più vicina al Re è una, quella che è il loro padre, e loro sono i suoi figli e nipoti. Da essa scaturisce la parola e il disegno che il Re rivolge a loro. Fra le meraviglie della loro condizione c’è che per natura non vanno incontro alla canizie e la vecchiaia. E il loro genitore, benché sia più avanti nel tempo, ha in verità sette volte più vigore e splendore. Ciascuna di loro è assoggettata ma anche autosufficiente. È così che il Re le ha allontanate mandandole via, per cui chi cerca la Sua origine fallisce; chi Gli tributa lealtà facendone l’elogio sragiona. Le capacità di chi ha voluto descriverLo son state insufficienti, e i paragoni deviano dalla strada che a Lui conduce».
Il racconto di Hayy ibn Yaqzan si chiuse infine con queste parole di Avicenna:
Benché questo Re comunichi la Sua essenza e il Suo splendore, e non impedisca a loro di incontrarLo, esse vi giungono ma non Lo vedono per il basso livello delle loro capacità. Lui è elargitore a profusione, largo di pietà, prodigo donatore, ospite generoso e benefattore universale. Chi ha veduto una traccia della Sua bellezza e vi si è dedicato per un istante non ha potuto distogliere lo sguardo. Laddove singole persone s’avviassero verso di Lui e ricevessero le Sue qualità, non si pentiranno e proveranno disprezzo per i piaceri di questo vostro mondo. Ma se si volteranno indietro da Lui, si capovolgeranno e saranno odiati. Il maestro Hayy ibn Yaqzan ha detto: «Se non ti avessi avvicinato a Lui parlandoti e mettendoti in guardia, mi sarei distratto da te. Ma se vuoi, seguimi verso di Lui. Salute».
Non appena chiuso il racconto e terminata la dettatura, Mahtab raccolse i fogli che aveva scritto, ripose le penne e tappò il calamaio. Poi a bassa voce disse ad Avicenna senza guardarlo: «Bene, anche se l’ultima parte era molto oscura ed enigmatica e il senso del simbolismo del Re è confuso. Non è chiaro se si riferisce al Creatore, l’inventore dell’Universo, come lo chiami tu, o all’intelletto attivo degli esseri umani. Comunque non fa niente, potrai spiegare questo racconto in seguito, o forse dopo di te verrà qualcuno che lo commenterà spiegandone il simbolismo… Su, Mahyar, vediamo come i servitori hanno impacchettato la nostra roba e partiamo subito».
Mahtab era triste, e mentre si separava da lui a testa bassa disse ad Avicenna che l’indomani, non appena fosse arrivata al Contado, avrebbe copiato quel testo in molte copie da mandare a Shiraz e in altre città perché la sua sapienza non andasse sprecata e non si perdesse come accaduto a Bukhara con i suoi primi tre libri. Lo disse così, senza voltarsi verso di lui, che invece le rispose con una compostezza che teneva conto della presenza del fratello: «Questa è un’ottima cosa. Ti ringrazio».
Avicenna non dormì per il resto della notte, rimase vigile fino allo spuntare del rosso sole quando fu preso per qualche momento da intermittenti colpi di sonno. Dopodiché fu portato da pensieri di fantasia e svariate ipotesi verso luoghi lontani: che cosa vorrà da me Taj al-Mulk? Cosa significa che avrà bisogno di me nel prossimo periodo? Vuole forse usarmi per gettare un ponte verso Ibn al-Kakwayh? E perché non ordina il mio rilascio lasciandomi libero di andare a Isfahan o a Rayy, dove potrei trascorrere in pace quel che mi resta da vivere e terminare le opere che ho iniziato? Ma perché? Perché invece non chiedo a Mahtab di restarmi accanto, di sposarmi? Lei è la più intelligente, la più bella e la più delicata donna che esista… Ma io non potrei vivere con lei nel Contado, dove non ci sono cenacoli scientifici, né allievi, né autori… Come potrò procurarmi i soldi per vivere lì? O dovrei accontentarmi che sia lei a sostentarmi? Questo sarebbe un disonore che solo gli uomini più abietti possono accettare… Dopo essere stato alla corte dei re, mi piacerà vivere in un villaggio sperduto? Gli informatori del Ghaznavide arrivano a spiare fin dentro i borghi e lì non sarei al sicuro dalle sue bassezze. Se venisse a sapere che mi trovo in un villaggio non sicuro come quello, mi farebbe raggiungere da qualcuno per assassinarmi e vendicarsi. Non ho paura della morte, ma voglio portare a termine i due libri, La guarigione e La regola… E voglio stare con Mahtab. Perché lei non può venire con me? Che donna irascibile, magica, amabile, gradevole… Domani vedrò come andranno le cose con Taj al-Mulk, poi penserò a cosa sarà opportuno fare con lei. Per Mahtab sarebbe opportuno soltanto il matrimonio, ma questa, in tempi turbolenti come i nostri, è una faccenda seria. E poi lei naturalmente vorrà avere dei figli. E questa è una faccenda ancora più seria. Mahtab è abituata agli agi, non sopporterebbe gli stravolgimenti della mia vita piena di imprevisti, costrizioni e infusi amari. Qual è la giusta decisione, Husain? Devi gettarti all’avventura e sia quel che sia. Devi stabilirti in un luogo sicuro finché non finisci di scrivere le opere che ti premono nel cervello… Dopo aver perso Sundus e dopo che Rawan ti è stata sottratta, non devi perdere Mahtab… Lei ti aspetterà finché le cose non si stabilizzeranno e la situazione non si sarà risistemata. Ma potrebbe non aspettare. È come un cavallo selvaggio, fiera di se stessa – e ne ha pienamente diritto. È davvero un esemplare raro… Ecco la luce dell’alba che si infiltra da sotto la porta e le fessure delle due finestre. Devo assopirmi un poco, davanti a me ho una lunga e decisiva giornata. Povero Abu Sahl al-Masihi… E povero me, e Mahtab, e tutti quanti… Povera l’umanità intera…
Nel faticoso intervallo fra la prima e la seconda mattinata Avicenna si risvegliò dal sonno ed era già seduto. Balzò in piedi e si sistemò sulla testa il turbante che penzolava, poi si strofinò il viso con un po’ d’acqua e uscì.
Le voci che provenivano dal “piccolo regno” indicavano che il momento della partenza si avvicinava. La porticina laterale era aperta. Avicenna si fermò sulla soglia della porta e vide al-Muzdawaj e i suoi assistenti sollecitare i servitori a fare in fretta, giacché la vedetta sulla torre del castello gli aveva riferito di aver scorto il polverone dell’esercito di Hamadhan giungere a una certa distanza e si prevedeva arrivasse entro un’ora. I bagagli di Mahtab, di suo fratello e della moglie erano caricati sul dorso di cinque asini, insieme ai servitori. Tre muli aspettavano di esser cavalcati per partire. Mahyar sollevò la moglie per sistemarla in groppa alla sua mula, quindi venne verso Avicenna per salutarlo, seguito da Mahtab.
«Ti vedo bene, mio signore» gli disse. «Addio» disse lei.
«Buon mattino a te, Mahtab, ci incontreremo presto, col permesso di Dio».
«Me lo auguro, signor filosofo, ma dubito».
Mentre partivano Avicenna rimase fermo al suo posto a guardare le loro schiene, e piano piano il suo animo veniva meno. Quando Mahtab si voltò verso di lui col viso coperto di pallore, lo sguardo di lei gli penetrò il cuore, e fu colto dalla disperazione per tutto ciò che doveva accadere: nel primo pomeriggio avrebbe incontrato Taj al-Mulk e sarebbe partito con lui per Hamadhan. Per gli ultimi e travagliati sedici anni della sua vita avrebbe ingoiato bocconi amari.
Avicenna morì solo, e divenne eterno per sempre, dopo aver perduto sulla via dell’eternità la più preziosa delle sue speranze.