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C'era neve che andava svanendo sulla manica del cappotto di Shreve, la sua nuda rosea mano quadrata era rossa e inasprita dal freddo. Poi sul tavolo davanti a Quentin, posata sul libro aperto sotto la lampada, la bianca busta oblunga, il familiare stinto meccanico Jefferson 10 gennaio 1910 Miss, e poi, una volta aperta, il Mio caro figlio nella fine calligrafia inclinata di suo padre proveniente da quella morta estate polverosa in cui si era preparato per Harvard in modo che la scrittura di suo padre potesse giacere su uno strano tavolo rischiarato da una lampada a Cambridge; quel morto crepuscolo d'estate - il glicine, l'odore di sigaro, le lucciole - affiocato salendo dal Mississippi fino a questa strana stanza, attraverso questa strana neve ferrigna del New England.

 

Mio caro figlio,

Miss Rosa Coldfield è stata seppellita ieri. Rimase in coma per quasi due settimane e due giorni fa morì senza riacquistare conoscenza e senza soffrire, dicono, qualunque possa essere il senso di tali parole poiché a me è sempre parso che l'unica morte indolore debba essere quella che prende l'intelligenza con violenta sorpresa e alle spalle per così dire, perché se la morte è qualcosa di più di un breve e peculiare stato emotivo della persona orbata dev'essere pure un breve e altrettanto peculiare stato del soggetto. E se alcunché per un'intelligenza superiore a quella di un infante o di un idiota può riuscire più penoso di un lento e graduale affrontare ciò che per un lungo periodo di sbalordimento e angoscia le si insegnò a considerare come una definitività irrevocabile e insondabile, io non so. E se ci può essere un sopraggiungere di conforto o cessazione di dolore nella fuga estrema da un risentimento cocciuto e stupefatto che per uno spazio di quarantatré anni ha fatto da compagnia e pane e fuoco e tutto, nemmeno questo io so...

 

- la lettera che portava con sé proprio quella sera di settembre (e lui subito in dovere di spiegare, dietro richiesta: «No, né zia, né cugina, né zio, ma Rosa. Miss Rosa Coldfield, una vecchia signora che morì giovane di offesa nel 1866, un'estate» e poi Shreve disse: «Vuoi dire che non ti era parente, nessuna parentela, che davvero ci fu un Baiardo o una Ginevra del Sud senza parentela con te? e allora perché è morta?» e non era quella la prima volta per Shreve, per nessuno a Cambridge da settembre in poi: Parlami del Sud. Com'è laggiù. Che cosa fanno laggiù. Perché ci vivono. Perché vivono) - quella stessa sera di settembre quando Mr. Compson smise alla fine di parlare, lui (Quentin) uscì finalmente dal discorso di suo padre perché era già ora di andare, e non perché l'avesse sentito tutto in quanto non gli aveva prestato ascolto, essendoci qualcosa di ancora invalicabile per lui: quella porta, quella smunta tragica drammatica autoipnotizzata faccia giovanile come l'attor tragico in una rappresentazione universitaria, un Amleto accademico ridestatosi da qualche ipnotica calata del sipario e annaspante attraverso il palcoscenico polveroso donde il resto della compagnia se n'era andato fin dall'ultima consegna delle lauree, la sorella ritta ad affrontarlo attraverso l'abito nuziale che non doveva usare, nemmeno terminare, e quei due intenti a rasoiarsi con dodici o quattordici parole e per lo più le stesse ripetute due o tre volte in modo che tirando al sodo erano otto o dieci in tutto.

E lei (Miss Coldfield) aveva indosso lo scialle, come lui prevedeva, e il cappello (nero un tempo ma ora scolorito in quel fiero attutito verde metallico delle vecchie penne di pavone) e la borsa a rete nera, grossa quasi come una sacca, contenente tutte le chiavi della casa: dispensa stanzino e porta, alcune delle quali non giravano nemmeno nelle serrature che, infilate con un buon colpo, potevano essere aperte da un bambino con una forcina o una stecca di gomma da masticare, e alcune poi non entravano addirittura più nelle serrature per le quali erano state fatte, come vecchi coniugi che non hanno più nulla in comune, da fare o raccontarsi, tranne lo stesso peso generale di aria da spostare e respirare e la stessa generale obliosa terra paziente per sostenere il loro peso. Quella sera, le dodici miglia al tiro della grassa giumenta nella polvere illune di settembre, gli alberi lungo la strada, non già levantisi in uno slancio vegetale ma acquattati come enormi uccelli, le foglie arruffate e pesantemente separate come le penne di uccelli ansimanti, grevi di sessanta giorni di polvere, la bassa vegetazione dei margini coperta di polvere vulcanizzata dal calore e, vista attraverso la nube di polvere in cui si muovevano cavallo e carrozzino, appariva come una serie di masse tese delicate e rigide e immobilmente ascensionali all'assoluto della perpendicolare in qualche vecchia morta acqua vulcanica ridotta per raffinamento al primo principio scevro d'ossigeno del liquido, e la nuvola di polvere in cui si muoveva il carrozzino non si dissipava perché non era stata sollevata dal vento e non era sostenuta dall'aria ma evocata, materializzata intorno a loro, istantanea ed eterna, metro cubo per metro cubo di polvere in ragione di metro cubo per metro cubo di cavallo e carrozzino, peripatetica sotto gli squarci di piatto cielo nero fieramente e densamente costellato intravisti fra le ramaglie, la nube di polvere avanzante, effusa intorno a loro ad avvolgerli non proprio minacciosa ma forse ammonitrice, blandamente, quasi amichevolmente ammonitrice, come per dire: Venite se volete. Ma io ci arriverò prima di voi; accumulandomi davanti a voi arriverò prima, levandomi, inclinandomi dolcemente verso l'alto di sotto zoccoli e ruote in modo che voi non troverete destinazione alcuna ma sarete solo sbalzati inavvertitamente in un altipiano e un panorama di notte innocua e imperscrutabile e non vi sarà altro da fare per voi che ritornare e così vi consiglierei di non andare, di fare dietrofront adesso e lasciare che ciò che è sia; e lui (Quentin) consenziente, seduto nel carrozzino accanto all'implacabile vecchia piccola come una bambola che stringeva il suo ombrello di cotone, e gli veniva fatto di fiutare la vecchia carne femminile distillata dal caldo, la canfora distillata dal caldo nelle vecchie pieghe dello scialle, sentendosi proprio come una lampada elettrica, sangue e pelle, poiché il carrozzino non agitava abbastanza aria da rinfrescarlo col movimento, non gli creava dentro abbastanza movimento da far sudare la sua pelle, pensando Buon Dio sì, fa ' che non lo troviamo, lui o quella cosa, che non tentiamo di trovarlo, lui o quella cosa, che non rischiamo di disturbarlo, lui o quella cosa: (poi Shreve ancora: «Aspetta. Aspetta. Tu vuoi dire che questa vecchia zitella, questa Zia Rosa...»).

«Miss Rosa» disse Quentin.

«Va bene va bene... che questa vecchia dama, questa Zia Rosa...».

«Miss Rosa, ti dico».

«Va bene va bene va bene... che questa vecchia... questa Zia R... Va bene va bene va bene va bene... che non si era recata laggiù, non aveva addirittura messo piede nella casa in quarantatré anni, eppure non solo disse che c'era qualcuno nascosto là dentro ma trovo qualcuno disposto a crederle, a fare quelle dodici miglia in carrozzino a mezzanotte per vedere se aveva ragione o no?».

«Sì» disse Quentin.

«Che questa vecchia dama cresciuta in una casa simile a un mausoleo sovrappopolato, senza appello o rivendicazione sul suo tempo tranne l'odio per suo padre e sua zia e il marito di sua sorella, covato in tutta pace e tranquillità e in attesa del giorno in cui essi avrebbero dimostrato non solo a se stessi ma a tutti gli altri che lei aveva ragione. Così una bella notte la zia si calò giù per il tubo di scarico della grondaia con un sensale di cavalli, e lei aveva ragione per quanto riguardava la zia così questa partita fu sistemata: poi suo padre si inchiodò in soffitta per evitare la coscrizione nell'esercito ribelle e si lasciò morire d'inedia, così anche questa partita fu sistemata salvo per l'inevitabile possibilità che quando venisse per lui il momento di ammettere a se stesso che lei aveva ragione lui poteva non essere in grado di parlare o non avere nessuno a cui dirlo: così lei ebbe ragione anche circa suo padre, poiché se lui non avesse mandato su tutte le furie il generale Lee e Jeff Davis non avrebbe dovuto inchiodarsi là dentro e morire e se non fosse morto non l'avrebbe lasciata orfana e povera e in una situazione tale da essere esposta a ricevere questo affronto mortale: ebbe ragione circa il cognato perché se lui non fosse stato un demonio i suoi figli non avrebbero avuto bisogno di essere protetti contro di lui e lei non avrebbe dovuto recarsi laggiù per essere tradita dalla vecchia carne e trovare invece di un Agamennone vedovo rispetto a lei Cassandra un vecchio Piramo tutto d'un pezzo rispetto all'avida seppur illibata Tisbe nascosta in lei, e questo Piramo poté avvicinarla nella composita demonicità di questo aprile innominato e proporle di accoppiarsi a lui per prova e se ne nasceva un bambino allora si sarebbero sposati; non avrebbe dovuto tornare in paese sospinta dalla raffica iniziale di quell'orrore e oltraggio a mangiar fiele e assenzio rubati all'alba attraverso le palizzate. Così questa partita non era affatto chiusa e regolata per sempre perché lei non poteva nemmeno dirlo per via di chi le era succeduta, non già perché lui avesse trovato la persona destinata a succederle voltandosi appena, e senza perdere un giorno di tempo, ma per via di chi era questa persona, il fatto che lei avesse potuto subire una situazione in cui le capitasse o toccasse di declinare una mansione che la persona a lei succeduta era stata giudicata degna, seppur da un demonio, di assolvere; questa partita non era affatto conclusa poiché quando venisse per lui il momento di ammettere che aveva avuto torto le sarebbe toccato lo stesso guaio toccatole col padre, ossia anche lui sarebbe stato un muto cadavere poiché lei indubbiamente previde la falce se non altro per il fatto che sarebbe stata l'oltraggio e affronto definitivo come il martello e i chiodi nella faccenda di suo padre - quella falce, simbolico lauro del trionfo di un cesare - quella falce rugginosa prestata dallo stesso demonio a Jones più di due anni addietro per tagliare le erbacce dalla soglia della baracca e spianare la via alla libidine - quella lama rugginosa inghirlandata giorno dopo giorno dal festoso nastro o perlina di poco prezzo perché la (come diceva lei? sgualdrina non era tutto, vero?) entrasse - quella falce con cui, quasi non bastasse la sua forma simbolica, lui, sebbene morto, perfin quando la terra rifiutò di sostenere ancora il suo peso, la scherniva?».

«Sì» disse Quentin.

«Che questo Faust, questo demonio, questo Belzebù fuggì a nascondersi da qualche momentanea occhiata fulminante del volto offeso del suo Creditore esasperato oltre ogni sopportazione, a nascondersi, precipitandosi nella rispettabilità come uno sciacallo in un mucchio di pietre, così lei pensava a tutta prima, fin quando capì che lui non si nascondeva affatto, non voleva nascondersi, era semplicemente impegnato in una frenesia estrema di male e nocumento prima che il Creditore lo sorprendesse alla prima occasione e per sempre - questo Faust che si presentò improvvisamente una domenica con due pistole e venti demoni di scorta e truffò cento miglia di terra a un povero indiano ignorante e vi costruì la più grossa casa che si fosse mai vista e se ne andò via con sei carri e tornò indietro con cristalli arazzi ceramica Wedgwood e poltrone per arredarla e nessuno sapeva se avesse depredato un altro battello o solo dissotterrato un altro po' del vecchio bottino, lui che celava corna e coda sotto un abbigliamento umano e un cappello di castoro e si scelse (la comperò, concluse un baratto vantaggioso col suocero, non è vero?) una moglie dopo tre anni passati a esaminare, soppesare e confrontare, e non in una delle case ducali del posto ma nella piccola nobiltà talmente decaduta da escludere per lui il rischio di una moglie che gli portasse in dote manie di grandezza prima che lui vi fosse preparato, eppure non tanto decaduta da impedire che lei salvasse entrambi dal pericolo di perdersi fra i nuovi coltelli e forchette e cucchiai che lui aveva acquistati - una moglie che non soltanto avrebbe consolidato il suo mascheramento ma avrebbe potuto e voluto, come poi fece in realtà, partorirgli due figli da proteggere e difendere in se stessi e nella loro progenie le ossa fragili e la carne stanca di un vecchio contro il giorno in cui il Creditore lo atterrasse per l'ultima volta e lui non potesse sottrarsi: e così certo la figlia s'innamorò, il figlio fece da intermediario per fornirgli quel bastione vivente fra lui (il demonio) e la mano giusta del Creditore fin quando il figlio non si sposasse e così lo assicurasse in ragione del doppio e a interesse composto - e poi il demonio doveva fare un voltafaccia bello e buono e non solo cacciare il fidanzato dalla casa e non solo il figlio dalla casa ma corrompere, sedurre e ipnotizzare in tal modo il figlio che lui (il figlio) finisse per svolgere l'ufficio del padre offeso e armato di pistola quando si profilò la minaccia della fornicazione: così che il demonio tornò dalla guerra cinque anni dopo e trovò compiuta e perfetta la situazione per la quale aveva lavorato: il figlio fuggito per sempre ora e con un capestro alle calcagna, la figlia condannata allo zitellaggio - e poi quasi prima ancora di levare il piede dall'arcione lui (il demonio) partì e si rifidanzò per rimpiazzare quella progenie le cui speranze aveva egli stesso distrutte?».

«Sì» disse Quentin.

«Tornò a casa e trovò le sue speranze di discendenza sfumate grazie all'interessamento dei suoi figli, e la sua piantagione rovinata, i campi aridi tranne per un bel rigoglio di gramigna, e tasse e gravami e multe disseminati dai funzionari degli Stati Uniti eccetera e tutti i suoi negri spariti grazie all'interessamento degli yankee, e si poteva pensare che ne avesse abbastanza: eppure prima ancora di levare il piede dalla staffa non solo si accinse a tentar di ripristinare la passata efficienza della sua piantagione, come se forse sperasse di giocare il Creditore mediante illusione e offuscazione, nascondendo cioè dietro l'illusione che il tempo non era trascorso e il mutamento non era avvenuto il fatto che lui aveva ora quasi sessantanni, fin quando non gli riuscisse di procacciarsi un'altra nidiata di figlioli per servirgli da baluardo, ma scelse a tale scopo l'ultima donna al mondo sulla quale potesse sperare di prevalere, questa Zia R - va bene va bene va bene - che lo odiava, che lo aveva sempre odiato, eppure scegliendola con una specie di oltraggiosa bravata come se una sorta di convinzione disperata della sua irresistibilità o invulnerabilità facesse parte del prezzo da lui incassato per quanto aveva mai venduto al Creatore, poiché stando alla vecchia dama lui non aveva mai avuto un'anima; la chiese in sposa e fu accettato - poi tre mesi dopo, senza nemmeno una data fissata per lo sposalizio e senza che dopo quella volta si fosse più parlato di matrimonio, e nel giorno stesso in cui egli assodò definitivamente che sarebbe stato in grado di tenersi almeno un po' della sua terra e quanta, lui l'avvicinò e le propose di procreare con lui un paio di cagnolini, inventando con diabolica astuzia quella cosa che da dieci milioni di anni mariti e fidanzati tentano di inventare: quella cosa che senza nuocerle o darle motivo di azione civile o tribale non soltanto avrebbe espulso dalla colombaia la piccola donna di sogno ma l'avrebbe lasciata irrevocabilmente maritata (e lui stesso, marito o fidanzato, già sicuramente cornuto prima che lei potesse tirare il fiato) all'astratta carcassa dell'oltraggio e della vendetta. Lui lo disse e fu libero ora, per sempre libero ormai da minaccia o interferenza alcuna poiché aveva finalmente eliminato l'ultima componente della famiglia della moglie defunta, libero ormai: il figlio fuggito nel Texas o in California o fors'anche in Sud America, la figlia condannata allo zitellaggio a vita fin quando non morisse lui, e dopo non avrebbe avuto più importanza, in quella casa in sfacelo, a curarsi di lui e a nutrirlo, ad allevare pollame e barattare le uova per gli abiti che lei e Clytie non potevano fare: cosicché per lui ora non c'era più bisogno di essere un demonio ma solo un vecchio pazzo impotente accortosi alfine che il suo sogno di ripristinare Sutpen's Hundred non solo era vano ma che quanto gliene rimaneva non sarebbe mai bastato a mantenere lui e la sua famiglia e così eccolo a gestire il suo negozietto di crocevia con una provvista di vomeri e finimenti e pezze di cotonina e petrolio e perline da quattro soldi e nastri e una clientela di negri liberati e (che cos'è? la parola? bianca che cosa - Sì, marmaglia) con Jones come impiegato e chissà forse quali utopie di far denaro col negozio per rimettere in piedi la piantagione; lui sfuggito due volte ora, cacciatosi nei guai e liberatone dal Creditore il quale aveva messo i suoi figlioli a distruggersi a vicenda prima ch'egli avesse discendenza, e lui decise che forse sbagliava a esser libero e così ci si ributtò dentro e poi decise che sbagliava a non esser libero e così ne rivenne fuori - e poi si voltò da una parte e ricomperò l'accesso alla dannazione con perline e cotonina e zucchero filato presi dalla sua vetrina e dai suoi scaffali?».

«Sì» disse Quentin. Pare proprio di sentir mio padre pensò, dando un'occhiata (viso quieto, riposato, curiosamente quasi imbronciato) momentanea a Shreve poggiato in avanti nella luce della lampada, torso nudo dal lucore roseo e liscio come quello di un bimbo, da cherubino, quasi senza un pelo, le lune gemelle degli occhiali luccicanti sul volto rubicondo di luna piena, fiutando (Quentin) il sigaro e il glicine, vedendo le lucciole navigare e ammiccare nel crepuscolo settembrino. Proprio tale e quale papà se papà la sera prima che io mi recassi là ne avesse saputo tanto quanto ne sapeva all'indomani del mio ritorno pensando Vecchio pazzo impotente che si rese conto infine che ci deve essere un limite anche alla capacità di nuocere di un demonio, e dovette vedere la propria situazione simile a quella della ballerina di fila, la quale capisce che la vera aria da lei danzata non viene da corno e violino e tamburo ma da un orologio e un calendario, egli dovette vedersi come il vecchio cannone sfinito che sa di poter sparare ormai solo un fiero colpo per poi crollare in polvere nella furia della propria scarica e rinculo, lui che si guardò attorno sulla scena che era ancora entro il suo raggio d'azione e vide il figlio scomparso, svanito, ora più irraggiungibile per lui che se il figlio fosse morto in quell'istante (se pure il figlio viveva ancora) il suo nome sarebbe diverso e stranieri quelli che lo proferivano per chiamarlo, e qualunque stirpe di drago del sangue Sutpen il figlio poteva seminare nel corpo di qualunque donna straniera avrebbe perciò continuato la tradizione, compiuto il male e danno ereditario sotto altro nome e contro e fra gente assolutamente ignara del vero nome; figlia condannata allo zitellaggio e che aveva già scelto lo zitellaggio prima ancora che esistesse un Charles Bon dato che la zia venuta a soccorrerla nel lutto e nel dolore non trovò niente di tutto questo ma invece quel viso calmo assolutamente impenetrabile fra un abito di tessitura casalinga e un cappello da sole scorto davanti a un uscio chiuso e ancora in un turbinoso nugolo di polli mentre Jones fabbricava la bara e quest'abito lei lo portò per l'anno successivo finché la zia visse lì e le tre donne si tessevano i loro vestiti e si coltivavano il loro cibo e si tagliavano la legna per cucinarlo (salvo l'aiuto occasionale di Jones che viveva con la nipote nel capanno da pesca abbandonato col suo tetto in rovina e il portico in sfacelo contro il quale la falce rugginosa che Sutpen doveva prestargli, indurlo ad accettare in prestito per tagliare le erbacce dalla porta — e da ultimo costringerlo a usare seppur non per tagliare la malerba, o almeno non malerba vegetale - sarebbe poi rimasta appoggiata per due anni) e lo portò ancora dopo che l'indignazione ebbe risospinto di colpo la zia in paese a vivere di ortaggi rubati e cestelli anonimi lasciati di notte sui gradini della porta principale, tutte e tre, le due figlie negra e bianca e la zia a dodici miglia osservando dalla sua distanza come le due figlie osservavano dalla loro, il vecchio demonio, l'annoso varicoso e disperato Faust lanciare il suo canto del cigno con la mano del Creditore ormai già sulla spalla, occupato adesso a gestire il suo negozietto di campagna per trarne pane e companatico, a litigare tediosamente per monete da cinque e dieci centesimi con bianchi e negri rapaci e afflitti dalla miseria, che un tempo avrebbero potuto galoppare per dieci miglia in qualsiasi direzione senza varcare i confini della sua proprietà, a tirar fuori dalla sua scarsa provvista i nastri e le perline da quattro soldi e lo zucchero filato vecchio dai colori violenti con cui anche un vecchio può sedurre una ragazza di campagna quindicenne, per rovinare la nipote del socio, questo Jones - questo dinoccolato bianco pieno di malaria a cui quattordici anni addietro egli aveva dato il permesso di insediarsi nel capanno da pesca abbandonato insieme alla nipotina di un anno - Jones, socio facchino e impiegato che agli ordini del demonio toglieva con le sue mani (e forse consegnava pure) dalla vetrina zucchero filato perline e nastri, misurava quella stessa stoffa da cui Judith (che non era stata orbata e non portava lutto) aiutò la nipotina a confezionarsi un vestito per pavoneggiarsi sfilando davanti agli uomini sfaccendati, le occhiate furtive e le lingue, fin quando poi il ventre sempre più gonfio le insegnò l'imbarazzo - o forse la paura; Jones che fino al '61 non poteva nemmeno avvicinarsi alla facciata della casa e durante i quattro anni seguenti non andò più in là della porta della cucina e ciò solo quando portava la selvaggina e il pesce e la verdura necessari a moglie e figlia del futuro seduttore (e a Clytie pure, l'unica domestica rimasta, negra, colei che gli proibiva di varcare la porta della cucina con quel che portava) per tenersi in vita, ma adesso entrava addirittura in casa nei (ben frequenti ormai) pomeriggi in cui il demonio malediceva d'un tratto il negozio vuoto di clienti e serrava la porta a chiave e riparava nel retrobottega e nello stesso tono con cui usava rivolgersi al suo attendente o financo ai domestici di casa sua quando ne aveva (e con cui indubbiamente ordinava a Jones di prendere dalla vetrina i nastri e le perline e lo zucchero filato) mandava Jones a prendere la brocca, entrambi (e Jones perfino seduto adesso, lui che ai vecchi tempi, i vecchi morti pomeriggi domenicali di pace monotona, da loro passati sotto la vite moscata nel cortile retrostante, il demonio steso nell'amaca mentre Jones si accoccolava contro un palo alzandosi di tanto in tanto a mescere al demonio dalla damigiana e dal secchio di acqua sorgiva attinta da lui stesso alla sorgente lontana più d'un miglio poi riaccoccolandosi, ridacchiando gutturalmente e dicendo «Certo, Sor Tom» ogni qualvolta il demonio si fermava) - entrambi bevendo a turno dalla brocca e il demone non più sdraiato adesso e nemmeno seduto ma raggiungendo alla terza o seconda sorsata quella senile condizione di impotente e furioso rifiuto della sconfitta in preda a cui si alzava, ondeggiando e incespicando innanzi e gridando che gli dessero cavallo e pistole per andare da solo a Washington a freddare Lincoln (un anno di ritardo o giù di lì, in questo) e Sherman assieme, gridando: «Ammazzateli! Abbatteteli da quei cani che sono!» e Jones: «Certo, colonnello; certo, subito» e a prenderlo mentre cadeva e ordinare al primo carro di passaggio di condurlo a casa e portarlo su per i gradini della facciata e dentro la porta d'onore priva ormai di vernice sotto l'invetriata importata dall'Europa pezzo per pezzo mentre Judith la teneva aperta per consentirgli l'ingresso senza alcun cambiamento, alcuna alterazione in quel calmo viso congelato, ormai abituale in lei da quattro anni, e su per le scale e nella camera da letto e metterlo a letto come un bambino e poi sdraiarsi lui stesso per terra accanto al letto ma non per dormire poiché prima dell'alba l'uomo steso sul letto si agitava e gemeva e Jones allora diceva: «Eccomi qua, colonnello. È tutto a posto. Non ci hanno ancora liquidati, vero?» - questo Jones il quale dopo che il demonio fu partito a cavallo alla testa del suo reggimento quando la nipotina aveva solo otto anni, diceva alla gente che lui «teneva d'occhio la terra e i negri del maggiore» prima ancora che agli altri restasse il tempo di domandargli perché non era nell'esercito e forse con l'andar del tempo giunse a credere lui stesso alla bugia, lui primo a salutare il demonio al suo ritorno, a incontrarlo al cancello e dirgli: «Be', colonnello, ci hanno fatto fuori ma non ci hanno liquidati, vero?» e perfino lavorò, faticò, sudò agli ordini del demonio durante quel primo furioso periodo in cui il demonio credeva di poter ripristinare a forza di pura indomabile volontà le Sutpen's Hundred che ricordava e aveva perduto, faticò senza speranza di paga o ricompensa pur avendo certo visto molto prima del demonio (o prima che il demonio lo volesse ammettere) che l'impresa era disperata - cieco Jones che, pare, vedeva ancora in quel furioso rottame libidinoso la vecchia bella figura dell'uomo che un tempo galoppava sul purosangue nero per quel dominio di cui l'occhio non poteva abbracciare contemporaneamente due confini ovunque si trovasse.

«Sì» disse Quentin.

Cosicché venne quella domenica mattina e il demonio in piedi e via prima dell'alba, e Judith convinta di sapere il motivo poiché quella mattina allo stallone nero con cui egli era andato in Virginia e ritornato nacque un figlio dalla moglie Penelope, però non era per quel puledro che il demonio s'era alzato di buon'ora e ci volle quasi una settimana per prendere, trovare, la vecchia negra, la levatrice che stava accoccolata vicino alla trapunta quell'alba mentre Jones sedeva nel portico dove la falce rugginosa era rimasta appoggiata per due anni, di modo che lei poté dire come avesse sentito il cavallo e poi entrò il demonio e si piantò lì, ritto accanto alla trapunta con il frustino in mano e abbassò lo sguardo su madre e figlia e disse: «Be', Milly, peccato che tu non sia una cavalla come Penelope. Ti potrei dare un posto decente nella stalla» e si voltò e uscì e la vecchia negra rimase là seduta e li udì, le voci, lui e Jones: «Indietro. Non toccarmi, Wash». - «Invece vi tocco, colonnello» e udì anche il frustino sebbene non la falce, niente colpo, nulla poiché sempre ciò che consuma un castigo suscita un grido mentre ciò che suscita il silenzio estremo accade in silenzio. E alla fine quella notte lo trovarono e lo riportarono a casa in un carro e lo trasportarono, quieto e insanguinato e coi denti ancora in mostra fra la barba divisa (la quale era appena brizzolata sebbene i capelli fossero ormai quasi bianchi) alla luce delle lanterne e delle torce, su per i gradini dove la figlia senza una lacrima sul volto di pietra teneva la porta aperta per lui che di solito faceva di volata la via della chiesa e che ci andò di volata anche stavolta, solo quando tutto fu finito lui non aveva affatto raggiunto la chiesa, poiché la figlia (la donna di trent'anni ora e più vecchia d'aspetto, non alla maniera in cui invecchiano i deboli, o racchiusi in una statica mongolfiera di carne già esanime o attraverso una serie di fasi di crollo graduale le cui particelle aderiscono, non a qualche intelaiatura di ferro e ancora intoccabile ma l'una all'altra, come in una loro vita comune e obliosa e spensierata al pari d'una colonia di vermi, ma a quel modo che era invecchiato il demonio: con una specie di condensazione, un'angosciata emersione della primaria indomabile ossificazione che la tenera coloritura e tessitura, la lieve aura elettrica della gioventù, avevano solo temporaneamente moderato ma non mai nascosto. La zitella in abiti di fattura casalinga e sformati, con mani che sapevano trasportare uova o tener dritto un aratro nel solco) decise di farlo portare in quella stessa chiesa metodista in paese dov'egli aveva sposato sua madre, prima di tornare alla tomba apprestata nel boschetto di cedri, e prese a prestito due giovani muli semiselvaggi per tirare il carro: così lui fece di volata la via della chiesa per quel tanto che la fece, nella bara fatta in casa, nella divisa del suo reggimento con la sciabola e i guanti ricamati, finché i giovani muli scartarono e rovesciarono il carro e lo buttarono, sciabola piume e tutto, in un fossato da cui la figlia lo tirò su per portarlo al boschetto di cedri e leggere lei stessa le parole rituali. E anche stavolta niente lacrime, niente lutto, fosse o no che non aveva tempo di piangere poiché adesso gestiva lei il negozio, fin quando non trovasse da venderlo, non già tenendolo aperto ma portandosene le chiavi nella tasca del grembiule, stando a una voce dalla cucina o dal giardino o anche dai campi poiché adesso il lavoro di aratura lo facevano tutto lei e Clytie, sparito com'era Jones, avendo seguito il demonio dodici ore dopo quella stessa domenica (e forse nello stesso posto; forse per volontà di Qualcuno loro ci avrebbero avuto perfino una vite moscata e più nessuna stretta di fame o ambizione o fornicazione o vendetta, e forse non avrebbero nemmeno avuto bisogno di bere, solo ne avrebbero sentito la mancanza ogni tanto senza sapere di che cosa sentissero la mancanza ma non tanto spesso; sereni, amabili, immuni dai segni del tempo o del clima, solo ogni tanto qualcosa, un vento, un'ombra, e il demonio smetteva di parlare e Jones smetteva di sghignazzare e si guardavano in faccia, brancolanti, gravi, intenti, e il demonio diceva: «Che cos'è stato, Wash? È successo qualcosa. Che cos'è stato?» e Jones a guardare il demonio, anche lui brancolante, anche lui lucido, dicendo: «Non lo so, colonnello. Che cosa?» ciascuno osservando l'altro. Poi l'ombra svaniva, il vento moriva finché da ultimo Jones diceva, sereno, e nemmeno trionfante: «Ci avranno fatto fuori fin che vogliono, ma liquidati non ci hanno ancora, non è vero?») - la chiamavano donne e bambini con secchie e canestri, al che lei o Clytie si recavano in negozio, lo aprivano, servivano il cliente, chiudevano a chiave il negozio e ritornavano: finché poi lei vendette il negozio e spese il ricavato in una pietra tombale.

(«Come fu?» disse Shreve. «Me l'hai pur detto; come fu? tu e tuo padre a caccia di quaglie, quella giornata grigia dopo che era piovuto tutta la notte e il fossato che i cavalli non potevano traversare così tu e tuo padre scendeste e passaste le redini a - come si chiamava? il negro che montava il mulo? Luster - a Luster perché li conducesse oltre il fossato») e lui e suo padre passarono giusto quando la pioggia ricominciò a cadere grigia e solida e lenta, senza rumore, e Quentin non capiva ancora dove si trovassero perché aveva cavalcato a testa bassa contro la pioggia sottile, finché non alzò lo sguardo sulla salita che si parava dinanzi a loro là dove l'umida saggina gialla smoriva su nella pioggia come oro in fusione e vide il boschetto, il gruppo di cedri sul crinale della collina dissolversi nella pioggia come se gli alberi fossero stati disegnati a inchiostro su una cartasuga bagnata - i cedri oltre i quali, oltre i campi rovinati oltre i quali dovevano trovarsi il querceto e la grigia enorme casa deserta in rovina mezzo miglio più in là. Mr. Compson si era fermato per voltarsi a guardare Luster sul mulo: col sacco di canapa fino allora adoperato a mo' di sella avvolto adesso intorno alla testa, le ginocchia tirate su sotto lo stesso riparo, guidava i cavalli lungo il fossato per trovare un posto dove traversare. «Meglio andare avanti finché non si esce dalla pioggia» disse Compson. «Lui comunque non arriva neanche a cento passi da quei cedri».

Risalirono il pendio. Non riuscivano a vedere i due cani, soltanto l'ininterrotto solcare la saggina dove, invisibili, i cani perlustravano il pendio finché uno levò di botto la testa a guardarsi indietro. Mr. Compson fece un gesto con la mano in direzione degli alberi, lui e Quentin proseguirono. Era scuro fra i cedri, la luce più buia che grigia, la pioggia quieta, i fiochi globuli perlacei, materializzantisi sulle canne dei fucili e le cinque pietre tombali come gocce di cera non ancora ben raggelata, caduta da candele fredde sul marmo: le due lastre piatte molto arcuate, le altre tre lapidi un po' inclinate, con qua e là una lettera incisa o anche una parola intera momentanea e leggibile nella debole luce che le gocce di pioggia portavano, particella per particella nella semioscurità per liberarvela; ora i due cani sopraggiunsero, sospinti come fumo, il pelo tutto impiastrato d'umidità, e si raggomitolarono in una palla indistinguibile e apparentemente inestricabile per scaldarsi. Entrambe le lastre piatte erano crepate nel mezzo a causa del loro peso (e nel buco dove la rivestitura di mattoni aveva ceduto spariva un liscio impercettibile sentiero tracciato da qualche animaletto - un opossum probabilmente - anzi da generazioni di qualche animaletto poiché da lungo tempo non poteva esserci più nulla da mangiare nella tomba) quantunque le lettere della scritta fossero leggibilissime: Ellen Coldfield Sutpen. Nata il 9 ottobre 1817. Morta il 23 gennaio 1863 e l'altra: Thomas Sutpen, Colonnello, 23° Fanteria del Mississippi, Esercito Confederato del Sud. Morto il 12 agosto 1869: quest'ultima parte, la data, aggiunta dopo, rozzamente con un cesello, per colui che anche morto non divulgava luogo e anno di nascita. Quentin guardò le pietre con calma, pensando Non amata moglie di. No. Ellen Coldfield Sutpen. «Non avrei creduto che avessero denaro per comperarci marmo nel 1869» disse.

«Le comperò lui» disse Compson. «Le comperò tutte e due mentre il reggimento si trovava in Virginia, quando Judith gli ebbe fatto sapere che sua madre era morta. Le commissionò in Italia, le migliori, le più belle possibili - quella di sua moglie completa e la sua con la data in bianco: e ciò mentre si trovava in servizio attivo in un esercito che aveva non solo il più alto indice di mortalità mai visto prima o poi, ma l'abitudine di eleggere ogni anno un nuovo quadro di ufficiali reggimentali (sistema grazie al quale egli aveva allora diritto al titolo di colonnello, poiché era stato nominato per votazione, e il colonnello Sartoris deposto, solo l'estate scorsa) cosicché per quanto ne poteva sapere lui, prima che la sua commissione potesse essere eseguita o anche solo ricevuta aveva ogni probabilità di trovarsi già sottoterra e in una tomba segnata (se pure lo fosse) da un moschetto sconquassato conficcato in terra, o in mancanza di ciò poteva scendere al grado di sottotenente o anche soldato semplice - naturalmente purché i suoi uomini avessero il coraggio di retrocederlo - eppure lui non solo ordinò le pietre e riuscì a pagarle ma, più strano ancora, riuscì a farle passare per una zona costiera così strettamente bloccata che i violatori del blocco in arrivo rifiutavano qualsiasi carico tranne le munizioni...». Parve a Quentin di vederli addirittura: i fanti laceri e affamati senza scarpe, le scarne facce annerite dalla polvere rivolte a guardarsi indietro di sulle spalle delle giacche ridotte a brandelli, gli occhi fissi nei quali bruciava qualche indomabile disperazione di rifiuto alla sconfitta, intenti a osservare quell'oscuro oceano interdetto sul quale una cupa nave solitaria senza luci fuggiva con duemila preziose libbre-volume nella stiva utilizzata non per proiettili, nemmeno per qualcosa da mangiare, ma per altrettanta roccia incisa retorica e inerte che l'anno successivo doveva far parte del reggimento, seguirlo in Pennsylvania ed essere presente a Gettysburg, movendosi al seguito del reggimento in un carro guidato dal servo personale del demonio per palude e pianura e valico montano, e il reggimento marciava a una velocità non superiore a quella raggiungibile dal carro, con affamati uomini macilenti e macilenti cavalli esausti che affondavano sino al ginocchio nel fango gelato o nella neve, trainandolo a forza di sudore e imprecazioni attraverso pantani e acquitrini come un pezzo di artiglieria, parlando delle due pietre come «il colonnello» e «la signora del colonnello»; poi attraverso il Cumberland Gap e giù per le montagne del Tennessee, viaggiando di notte per evitare le pattuglie yankee, e nel Mississippi nel tardo autunno 1864, là dove attendeva la figlia a cui egli aveva interdetto il matrimonio e che doveva diventare una vedova l'estate successiva seppur apparentemente non orbata, dove sua moglie era morta e il figlio autoscomunicato e bandito, e collocò una delle pietre sulla tomba di sua moglie e mise l'altra in piedi nell'atrio della casa, dove Miss Coldfield possibilmente (forse indubbiamente) la guardava ogni giorno come se fosse il ritratto di lui possibilmente (fors'anche qui indubbiamente) leggendo fra le lettere della scritta tanta più speranza fanciulla e verginale aspettazione che non avesse mai detto a Quentin, poiché non gli parlò mai della pietra, e (il demonio) bevve il caffè di granturco abbrustolito e mangiò la focaccia di granturco preparatagli da Judith e Clytie e baciò Judith sulla fronte e disse: «Be', Clytie» e ritornò alla guerra, tutto in ventiquattr'ore; Quentin vedeva tutto questo; era come se ci fosse stato di persona. Poi pensò No. Se ci fossi stato non avrei potuto vedere le cose così chiaramente.

«Ma ciò non spiega le altre tre» disse. «Anch'esse dovettero costar qualcosa».

«Chi le avrebbe pagate?» disse Compson. Quentin ne sentiva lo sguardo su di sé. «Pensaci». Quentin guardò le tre pietre tombali identiche con le loro iscrizioni di foggia identica e poco marcata, un po' inclinate nel molle sfacelo argilloso di aghi di cedro accumulati, anche queste decifrabili da vicino, la prima: Charles Bon. Nato a New Orleans. Louisiana. Morto a Sutpen's Hundred, Mississippi, 3 maggio 1865. Età 33 anni e 5 mesi. Sentiva su di sé lo sguardo del padre.

«Lo fece lei» disse. «Col denaro che ricavò dalla vendita del negozio».

«Sì» disse Compson. Quentin dovette chinarsi a spazzar via un po' di aghi di cedro per leggere l'iscrizione seguente. Mentre lo faceva uno dei cani si alzò e gli si avvicinò, sporgendo il muso come un essere umano, per vedere che cosa guardasse Quentin, quasiché a forza di stare con esseri umani avesse acquistato la prerogativa della curiosità propria soltanto agli uomini e alle scimmie.

«Va' via» disse lui, respingendo il cane con una mano mentre con l'altra spazzava via gli aghi di cedro, ripulendo con la mano fino a renderla leggibile l'iscrizione debolmente segnata, le parole incise: Charles Etienne Saint Valéry Bon. 1859-1884 sentendo su di sé lo sguardo del padre, osservando prima di alzarsi che la terza pietra recava la stessa data, 1884, «Non poteva essere il negozio stavolta» disse. «Perché lei vendette il negozio nel '70, e poi il 1884 è la stessa data che c'è sulla tomba di lei» pensando come sarebbe stato terribile per lei, oh sì, se avesse voluto mettere Amato Marito di su quella prima lapide.

«Ah» disse Compson. «Fu quella di cui si occupò tuo nonno. Judith venne in città un giorno e gli portò il denaro, una parte, dove lo avesse preso egli non seppe mai, a meno che non fosse quanto le rimaneva del prezzo del negozio di cui egli aveva curato la vendita per conto di lei; portò il denaro con l'iscrizione (tranne la data di morte naturalmente) tutta stilata come la vedi, durante quelle tre settimane in cui Clytie era a New Orleans in cerca del ragazzo per riportarlo indietro, sebbene tuo nonno certo non sapesse nulla di questo, denaro e iscrizione non per lei ma per lui».

«Oh» disse Quentin.

«Sì. Loro fanno una bella vita - le donne. Una vita non solo divorziata, ma irrevocabilmente scomunicata, da tutta la realtà. Ecco perché la loro morte, l'istante della dissoluzione, non ha importanza per loro poiché hanno davanti al dolore e all'annientamento un coraggio e una forza che farebbe fare all'uomo più spartano la figura di un ragazzetto piagnucoloso, eppure per loro il funerale e la tomba propria, le piccole meschine affermazioni di spuria immortalità poste sopra il loro sonno, sono di importanza incalcolabile. Tu avevi una zia un tempo (non la ricordi perché io stesso non l'ho mai vista ma ho sentito solo la storia) che si trovava a dover affrontare un'operazione seria a cui si convinse di non poter sopravvivere, in un'epoca in cui la sua parente prossima era una donna con la quale esisteva da anni una di quelle inesplicabili (per la mente maschile) inimicizie amichevoli che si verificano tra donne dello stesso sangue, e la sua unica preoccupazione in quanto alla dipartita da questo mondo era di sbarazzarsi d'un certo abito marrone che lei possedeva e sapeva che la parente sapeva non esser mai stato di suo gradimento, che doveva esser bruciato, non dato via ma bruciato nel cortile retrostante sotto la finestra da dove, facendosi aiutare (e soffrendo dolori tormentosi) ella poté vederlo bruciare coi propri occhi, perché era convinta che dopo la sua morte la parente, vale a dire la persona logicamente destinata a incaricarsene, l'avrebbe seppellita con quell'abito indosso».

«E morì davvero?» disse Quentin.

«No. Non appena il vestito fu consumato cominciò a riprendersi. Sostenne l'operazione e guarì e sopravvisse alla parente di parecchi anni. Poi un pomeriggio morì pacificamente di nessun male particolare e fu sepolta con l'abito nuziale».

«Oh» disse Quentin.

«Sì. Ma ci fu un pomeriggio nell'estate del 1870 in cui una di queste tombe (allora ce n'erano solo tre) fu addirittura innaffiata di lacrime. Tuo nonno lo vide; quello fu l'anno in cui Judith vendette il negozio e tuo nonno ci pensò per conto di lei e si era mosso a cavallo per parlare con lei della faccenda e vi presenziò: l'interludio, luminoso drammatico cerimoniale della vedovanza. Allora lui non sapeva come facesse a trovarsi qui la sanguemisto, come avesse fatto Judith a sapere di lei sì da scriverle dove fosse morto Bon. Ma lì era, col ragazzo undicenne che dimostrava piuttosto otto anni. Doveva assomigliare a una scena di giardino di quel poeta irlandese, Wilde: il tardo pomeriggio, gli scuri cedri col sole a bacio, perfino la luce giusta e le tombe, i tre pezzi di marmo (tuo nonno aveva anticipato a Judith il denaro per acquistare la terza pietra sul prezzo del negozio) che parevan puliti e lucidati e sistemati da operai di scena i quali al morire del crepuscolo sarebbero tornati e li avrebbero abbattuti per riportarli, cavi fragili e privi di peso, al magazzino fin quando non ce ne fosse ancora bisogno; la parata, la scena, l'atto, entrando nel palcoscenico - la donna dal viso di magnolia un po' più paffuta ora, una donna creata di tenebra, da e per la tenebra, e che l'artista Beardsley avrebbe potuto vestire in una soffice gonna fluttuante intesa non a significare lutto o vedovanza ma ad abbigliare qualche interludio di sonnacchiosa e fatale insoddisfazione, di appassionata e inesorabile fame della carne, camminando al riparo di un parasole di pizzo e seguita da una vivace negra gigantesca che portava un cuscino di seta e conduceva per mano il ragazzetto che Beardsley avrebbe potuto non solo vestire ma disegnare - un esile bimbo delicato dal liscio volto eburneo senza sesso che, quando sua madre ebbe porto alla negra il parasole e preso il cuscino e si fu inginocchiata accanto alla tomba ed ebbe disposto per bene le gonne e pianto, non lasciò mai il grembiule della negra ma stette lì a sbattere le palpebre in silenzio lui che, nato e vissuto sempre in una specie di prigione serica illuminata da perpetue candele schermate, respirando come aria il fluido lattiginoso e assolutamente fisico emanante dai giorni e dalle ore di sua madre, aveva visto sinora ben poca luce solare, figurarsi poi aria aperta, alberi ed erba e terra; e ultima di tutti, l'altra donna, Judith (la quale, non orbata, non aveva bisogno di piangere, pensò Quentin, pensando Sì, mi è toccato ascoltare troppo) che stava al limitare dei cedri, nel suo abito di cotonina e il cappello da sole, entrambi scoloriti e sformati - il viso calmo, le mani che sapevano arare o tagliar legna e cucinare o tessere stoffa intrecciate davanti a lei, ritta nell'atteggiamento di un cicerone indifferente in un museo, in attesa, probabilmente senza nemmeno guardare. Poi venne la negra e porse alla sanguemisto una bottiglia di cristallo da annusare e l'aiutò ad alzarsi e prese il cuscino di seta e le diede il parasole e ritornarono in casa, il ragazzino sempre attaccato al grembiule della negra, la negra sorreggendo la donna con un braccio e Judith dietro con quella faccia simile a una maschera o a marmo, di nuovo in casa, attraverso l'alto portico che si screpolava e nella casa dove Clytie cucinava le uova e il pane di granturco di cui vivevano lei e Judith.

«Si fermò una settimana. Passò il resto di quella settimana nell'unica stanza della casa dove ci fosse ancora un letto con lenzuola di lino, la passò a letto, nella nuova vestaglia di pizzo e seta e raso temperata al color malva e lilla del lutto - la stanza senz'aria e con le persiane chiuse, impregnata dietro le chiuse gelosie incurvate del greve odore narcotico della sua carne, dei suoi giorni, delle sue ore, dei suoi vestiti, di acqua di colonia emanante dal panno che si teneva sulle tempie, della fiala di cristallo che la negra alternava al ventaglio, seduta accanto al letto fra un viaggetto e l'altro da lì alla porta per ricevere i vassoi che Clytie portava su per le scale - Clytie, che faceva tutto quel prendere e portare su ordini precisi di Judith, e doveva essersi accorta, glielo avesse detto Judith o no, che il servizio così da lei compiuto era per un'altra negra, eppure serviva la negra proprio mentre lasciava la cucina di tanto in tanto a perlustrare le stanze dabbasso fin quando non trovava quello strano ragazzino solitario seduto quietamente in una sedia diritta e dura nella biblioteca semibuia e ombrosa o nel salotto, lui che coi suoi quattro nomi e il suo sedicesimo di sangue negro e il costoso esoterico vestiario alla Fauntleroy lanciava sguardi di esterrefatto terrore fatalistico alla cupa donna color caffè che si faceva sull'uscio a piedi nudi e lo cercava con gli occhi, e gli dava non già pasticcini da tè ma il più rozzo pane di granturco spalmato di melassa altrettanto rozza (e ciò di nascosto, non che la madre o la governante potessero sollevare obiezioni, ma perché la gente di quella casa non riceveva cibo da consumare fra i pasti), glielo dava, glielo gettava con trattenuto impeto di selvaggia, e un pomeriggio lo trovò a giocare con un ragazzo negro suppergiù della sua corporatura nella strada fuori del cancello e fece sparire il bimbo negro a furia di imprecazioni con violenza precisa e mortale e lo rimandò, l'altro, in casa con una voce resa appunto più mortale e fredda dalla stessa assenza di insulto o rabbia.

«Sì, Clytie, che stette impassibile accanto al carro quell'ultimo giorno, l'indomani del secondo cerimoniale alla tomba con tanto di cuscino di seta e parasole e boccetta dei sali, quando madre e bambino e governante ripartirono per New Orleans. E tuo nonno non seppe mai se fosse stata Clytie a stare attenta, tenendosi in contatto in qualche modo, ad aspettare il giorno, il momento, l'ora in cui il ragazzino divenisse orfano, e così fosse andata lei a prenderlo; o se invece fosse stata Judith ad aspettare e tenersi pronta e mandar Clytie a prenderlo quell'inverno, quel dicembre 1871 - Clytie che in tutta la sua vita non si era mai spinta più lontano di Jefferson, eppure fece quel viaggio da sola fino a New Orleans e ritornò col bambino, il ragazzo ormai dodicenne che dimostrava solo dieci anni, in uno dei suoi vestiti alla Fauntleroy ormai troppo stretti ma con un nuovo farsetto di misura abbondante che Clytie gli aveva comperato (e fatto indossare, se contro il freddo o no tuo nonno non sapeva) sopra il vestito e con quanto altro possedeva involtato e legato in un gran fazzoletto multicolore - questo bimbo che non sapeva una parola d'inglese così come non sapeva una parola di francese la donna che l'aveva trovato, scovato, in una città francese e portato via, questo bimbo dal viso non vecchio ma senza età, come se non avesse avuto infanzia, non nel senso che Miss Rosa Coldfield dice di non aver avuto un'infanzia, ma come se lui non fosse nato d'uomo bensì creato senza intervento di uomo o spasimo di donna e lasciato orfano da nessun essere umano. Tuo nonno diceva che non veniva di chiedersi che cosa ne fosse della madre; non ci se ne curava nemmeno: morte o fuga o matrimonio: ella non passava da una metamorfosi - dissoluzione o adulterio - alla successiva portando con sé tutti i vecchi anni accumulati di detriti che chiamiamo memoria, l'Io riconoscibile, ma mutando di fase in fase come muta la farfalla una volta lasciato il bozzolo, non portandosi nulla di quel che era in ciò che è, non lasciandosi indietro nulla di ciò che è ma trapassando completa e intatta e docile nell'incarnazione seguente come la rosa o la magnolia sfiorita trapassa da un ricco giugno al seguente non lasciando fra sole e terra ossa, sostanza, polvere di alcun morto antico inanimato ricco abbandono. Il ragazzo era stato prodotto completo e non soggetto ad alcun microbo in quel sazio e odoroso dedalo di seta chiusa come se fosse il delicato e perverso simbolo-spirito, paggio immortale dell'antica immortale Lilith, entrato nel mondo reale non all'età di un secondo ma di dodici anni, col suo delicato abbigliamento di paggio già mezzo nascosto sotto quel rozzo e informe cotone tagliato su un modello di ferro e venduto a milioni - quella burlesca uniforme e insegna della tragica farsa dei figli di Cam - un esile bimbo taciturno che non sapeva nemmeno parlare inglese, raccolto improvvisamente da quel crollo con cui si era disintegrata la sola vita ch'egli conoscesse, da una creatura che aveva visto una volta e imparato a temere d'un sacro terrore eppure non poteva sfuggire, tenuto inerte e passivo in uno stato che doveva essere qualche incredibile miscuglio di orrore e fiducia, poiché sebbene non potesse nemmeno parlarle (fecero, dovettero fare, il viaggio di quella settimana in battello tra le balle di cotone sul ponte, mangiando e dormendo coi negri, dove lui non poteva neppure dire alla sua compagna di viaggio quando aveva fame o quando aveva qualche bisogno) e così potesse soltanto sospettare, congetturare, dove lei lo portasse, non poteva saper nulla di certo se non che tutto quanto gli era stato familiare gli stava svanendo intorno come fumo. Eppure non oppose alcuna resistenza, ritornando quieto e docile a quella casa in rovina da lui vista una volta, dove la truce donna cogitabonda che era venuta a prenderlo viveva con la calma bianca che non era neppur truce, nulla se non calma, e per lui non aveva neppur nome ancora, ma gli era in qualche modo così strettamente imparentata da essere la proprietaria del solo posto al mondo dove lui avesse visto sua madre piangere. Egli varcò quella strana soglia, quell'irrevocabile demarcazione, non già guidato, non trascinato, ma sospinto e cacciato da quella severa presenza implacabile, in quella casa consunta e sterile dove perfino gli abiti di seta che gli rimanevano, le sue delicate camicie e calze e scarpe che ancora rimanevano a ricordargli quel che lui era stato una volta, svanirono, fuggirono da braccia e corpo e gambe come se fossero stati intessuti di chimere o di fumo. - Sì, dormendo in quel letto a rotelle accanto a quello di Judith, accanto a quello della donna che lo guardava e lo trattava con una fredda inflessibile distaccata gentilezza più scoraggiante della feroce spietata costante custodia della negra la quale, con una sorta d'invincibile spuria umiltà dormiva su un pagliericcio per terra, e il bimbo giaceva lì tra loro insonne in qualche iato di passiva e inerme disperazione consapevole di questo, consapevole della donna stesa sul letto, ogni sguardo e azione della quale nei suoi confronti, ogni tocco delle cui mani capaci, al momento di sfiorare il suo corpo sembravano perdere ogni calore e impregnarsi di fredda implacabile antipatia, e la donna sul pagliericcio ch'egli era già pervenuto a considerare come una delicata bestia selvatica priva d'artigli e zanne accucciata nella sua gabbia in qualche inerme e disperata similitudine di ferocia potrebbe considerare la creatura umana che la nutre (e tuo nonno diceva: "Lasciate che i pargoli vengano a Me": e pensando, che cosa voleva dire Lui con questo? Perché, se Lui intendeva che i pargoli avevano bisogno di essere lasciati andare a Lui, che razza di terra aveva Egli creato?; ché se essi dovevano soffrire per andare a Lui, che razza di cielo aveva Egli mai?) che lo nutriva, gli imponeva cibo che lui stesso vedeva bene essere il meglio di quanto avessero, cibo ch'egli capiva bene esser stato preparato per lui con sacrificio deliberato, con quella curiosa mescolanza di spirito selvaggio e pietà, di anelito e odio; che lo vestiva e lo lavava, lo gettava in vasche d'acqua troppo calda o troppo fredda contro cui egli non osava protestare, e lo strofinava con stracci ruvidi e sapone, strofinandolo a volte con furia repressa come se tentasse di lavargli dalla pelle la liscia, appena percettibile sfumatura olivastra come ti potrebbe capitare di guardare un bimbo intento a raschiare un muro anche molto tempo dopo che l'epiteto, l'insulto scritto col gesso, è stato obliterato - steso lì insonne al buio fra loro, sentendole insonni, sentendole intente a pensare a lui, a far progetti su di lui e a riempire la tonante solitudine della sua disperazione più sonoramente di quanto potesse fare il linguaggio parlato: Tu non sei quassù con me in questo letto, dove non per tua colpa o volontà dovresti essere, e tu non sei quaggiù con me su questo pagliericcio, dove non per tua colpa o volontà devi essere e sarai, non per colpa o volontà nostra, di noi che non vorremmo ciò che non possiamo proprio come vogliamo e aspettiamo ciò che deve essere.

«E tuo nonno non sapeva nemmeno chi di loro due fosse stata a dirgli che lui era, doveva essere, un negro. Lui non poteva ancora avere né udito né riconosciuto il termine "negro", lui che non aveva nemmeno un vocabolo corrispondente nella lingua a lui nota, lui nato e cresciuto in un'imbottita serica cella sotto vuoto che avrebbe potuto essere sospesa a un cavo marino mille braccia sott'acqua, là dove la pigmentazione non aveva più valore morale dei muri di seta e del profumo e dei paralumi rosati, dove le stesse astrazioni ch'egli avrebbe potuto osservare - monogamia e fedeltà e decoro e gentilezza e affetto - erano puramente radicate negli uffici della carne non meno dei processi digestivi. Tuo nonno non sapeva se lui fosse stato mandato via infine dal letto a rotelle o se lo avesse lasciato per sua espressa volontà; se una volta venuto il tempo in cui la sua solitudine e dolore si erano induriti si ritirasse lui stesso dalla camera da letto di Judith o ne fosse mandato via, per andare a dormire nell'atrio (dove anche Clytie aveva portato il suo pagliericcio) quantunque non su un pagliericcio come lei ma su un lettuccio, ancora alzato da terra e forse nemmeno per decreto di Judith ma per la feroce inesorabile umiltà spuria della negra; e poi il lettuccio fu portato in soffitta, e i pochi indumenti appesi dietro un paravento rimediato con un pezzo di tappeto vecchio inchiodato di traverso in un angolo, gli stracci della seta e della mussola che indossava all'arrivo, i rozzi calzoni di cotone grezzo e il panno casalingo che le due donne gli avevano comperato e confezionato, e lui ad accettare senza una parola di ringraziamento, senza commento, accettando allo stesso modo la sua camera in soffitta, senza chiedere o apportare nessuna alterazione al suo spartano arredamento per quanto ne sapessero loro fino a quel secondo anno quando lui compì quattordici anni e una di loro, Clytie o Judith, trovò nascosto sotto il suo materasso il frammento di specchio rotto: e chissà quali ore di pena stupita e illacrimata doveva averci passato davanti, esaminandosi nei brandelli delicati e divenuti troppo piccoli in cui forse non poteva nemmeno ricordare se stesso, con calma e incredula incomprensione. E Clytie a dormire nell'atrio dabbasso, bloccando la scala della soffitta, montando la guardia alla sua fuga o uscita con la stessa inesorabilità di una dueña spagnola, insegnandogli a tagliar legna e lavorare all'orto e poi ad arare man mano che la sua forza aumentava (la sua resistenza piuttosto, poiché lui non sarebbe mai stato altro che leggero d'ossa e quasi delicato) - il fanciullo con quelle sue ossa leggere e le mani femminee a lottare con chissà quale anonima incarnazione di intrattabile Mulo, quel tragico e sterile pagliaccio che era il suo compagno obbligato e complemento sotto la maledizione del primo padre, adattandosi gradualmente a quella piega e poi tutti e due congiunti dal selvaggio simbolo maschio d'acciaio e legno, a squarciar la prona ricca terra femmina per trarne il granturco con cui nutrirsi entrambi. Mentre Clytie sorvegliava, senza mai perderlo d'occhio, con quella meditabonda feroce incrollabile cura gelosa, saltando subito fuori ogni qualvolta un tizio qualsiasi, bianco o negro, sostava per strada quasi ad aspettare che il ragazzo terminasse il solco e si fermasse abbastanza da consentire di rivolgergli la parola, ordinando al ragazzo a continuare con una sola parola quieta o anche un gesto cento volte più feroce del diretto borbottio d'ingiurie con cui cacciava via il passante. Così lui (tuo nonno) credeva che non fosse nessuna delle due. Non certo Clytie, che lo sorvegliava come se fosse una vergine spagnola, e che prima ancora di poter mai sospettare che lui venisse lì per viverci aveva interrotto il suo primo contatto con un negro e l'aveva rimandato in casa; non Judith, che avrebbe potuto benissimo rifiutarsi di lasciarlo dormire in quel letto da bambino bianco nella propria stanza, e pur non potendo eventualmente accettare l'idea che lui dormisse sul pavimento avrebbe potuto costringere Clytie a prenderlo con sé in un altro letto, e di lui avrebbe fatto un monaco, un celibe, forse però non un eunuco, e non gli avrà forse permesso di farsi passare per straniero ma certo non lo avrebbe mai spinto a imbrancarsi coi negri. Tuo nonno non sapeva, quantunque ne sapesse più di quanto ne sapevano il paese, la campagna, vale a dire che laggiù viveva uno strano ragazzino emerso evidentemente dalla casa per la prima volta all'età di circa dodici anni, la cui presenza non era nemmeno inspiegabile per il paese e la contea poiché adesso credevano di sapere perché Henry avesse sparato a Bon. Si domandavano soltanto dove e come Clytie e Judith fossero riuscite a tenerlo nascosto per tutto quel tempo, convinti ormai che fosse stata una vedova a seppellire Bon, quantunque lei non avesse documenti da esibire al riguardo, e solo l'incredulo (e scandalizzato) congetturare di tuo nonno (il quale, sebbene a quell'epoca avesse nella cassaforte quei cento dollari e le istruzioni scritte di suo pugno da Judith per questa quarta tomba, non aveva ancora identificato nel ragazzo il bambino visto due anni addietro quando la sanguemisto era venuta lì a piangere sulla tomba) arrivava a credere che il bimbo potesse essere di Clytie, generato dal padre nel corpo della propria figlia. Un ragazzo visto sempre vicino alla casa con Clytie sempre alle costole, poi un ragazzo che imparava ad arare e Clytie sempre vicina nei paraggi e ognuno ben presto seppe con quale cupa e inflessibile vigilanza ella scoprisse e interrompesse qualunque tentativo di parlargli, e solo tuo nonno che potesse riconnettere infine il ragazzo, il giovane, al bambino venuto lì tre o quattro anni prima a visitare quella tomba.

«Fu all'ufficio di tuo nonno che si recò Judith quel pomeriggio cinque anni dopo, e lui non ricordava quando l'avesse vista a Jefferson prima d'allora - la donna di quarantanni ormai, nella stessa cotonina informe e cappello da sole stinto, che non volle neppure sedersi, che a onta della maschera impenetrabile da lei usata a mo' di faccia emanava una terribile urgenza, che insistette per dirigersi con lui verso il tribunale mentre lei parlava, verso il locale affollato dove sedeva la Corte di giustizia, il locale affollato dove entrarono e dove tuo nonno lo vide, il ragazzo (solo un uomo ormai) ammanettato a un ufficiale, l'altro braccio appeso al collo e la testa fasciata poiché l'avevano portato prima dal dottore, tuo nonno apprendendo a poco a poco che cosa era successo o quanto gli riuscì di saperne poiché la Corte stessa non poté cavar molto dai testimoni, quelli che erano fuggiti e avevano mandato a chiamare lo sceriffo, quelli (tranne colui ch'egli aveva ferito troppo malamente perché potesse trovarsi lì) coi quali egli aveva lottato. Era successo a un ballo di negri tenuto in una capanna a poche miglia da Sutpen's Hundred e lui lì, presente, e tuo nonno senza sapere mai quante volte l'avesse fatto prima, se ci fosse andato per partecipare alle danze o per giocare ai dadi nella cucina dov'era cominciato il tumulto, tumulto che lui e non i negri avevano provocato stando ai testimoni e senza una ragione al mondo, nessuno l'aveva accusato di barare, niente. E lui non smentiva, non diceva nulla, si rifiutava completamente di parlare, seduto lì in aula torvo, pallido, e silenzioso: cosicché a questo punto ogni verità, ogni prova svanì in un nodo tumultuoso di schiene e teste negre e braccia e mani nere afferranti pezzi di legna e arnesi da cucina e rasoi, e l'uomo bianco ne era il punto focale e adoperava un coltello tirato fuori da chissà dove, goffamente, con palese mancanza di perizia e pratica, eppure con mortale serietà e una forza che la sua esile corporatura smentiva, una forza composta di pura disperata volontà e inaccessibilità al castigo, ai colpi e alle rasoiate che riceveva a sua volta e non pareva nemmeno sentire. Nessuna causa, nessun motivo; nessuno doveva mai sapere esattamente che cosa fosse successo, quali imprecazioni ed esclamazioni che avrebbero potuto indicare l'origine della sua furia, e c'era soltanto tuo nonno ad annaspare, frugare, afferrare la presenza di quella furiosa protesta, quell'accusa all'ordine celeste, quel guanto scagliato in faccia a ciò che è con una furiosa e indomabile disperazione che il demonio stesso avrebbe potuto mostrare, come se il bambino e poi il giovane l'avessero acquistata dalle mura in cui era vissuto il demonio, dall'aria in cui aveva un tempo camminato e respirato fino a quel momento in cui il suo proprio destino da lui sfidato a sua volta non si rivoltò a colpirlo; solo tuo nonno ad avvertire quella protesta, perché il giudice e gli altri presenti non lo riconobbero, non riconobbero quest'uomo esile con la testa e il braccio fasciati, la torva impassibile (e ora esangue) faccia olivastra, che si rifiutava di rispondere a qualsiasi domanda, di fare qualsiasi dichiarazione: cosicché il giudice (era Jim Hamblett) stava già facendo il suo discorso di incriminazione quando entrò tuo nonno, stava già utilizzando opportunità e pubblico per tenere un'arringa, gli occhi già velati da quel non guardare proprio delle persone che amano sentirsi parlare in pubblico: "In questo momento in cui il nostro paese lotta per risollevarsi dal tallone di ferro di un oppressore tirannico, in cui lo stesso avvenire del Sud come luogo sopportabile per le nostre donne e i nostri bambini dipende dalla fatica delle nostre mani, in cui gli arnesi che dobbiamo usare, sui quali dobbiamo contare, sono l'orgoglio e l'integrità e la pazienza degli uomini neri e l'orgoglio e l'integrità e la pazienza dei bianchi; che voi, dico, un uomo bianco, un bianco..." e tuo nonno a tentare di raggiungerlo, fermarlo, di farsi largo tra la folla, dicendo: "Jim. Jim. Jim!" ed era già troppo tardi, quasiché la sua propria voce avesse svegliato Hamblett da ultimo o qualcuno gli avesse schioccato le dita sotto il naso e lo avesse svegliato, e lui adesso guardava il prigioniero ma dicendo ancora "bianco" proprio mentre la sua voce si spegneva come se l'ordine di fermare la voce fosse saltato in corto circuito, e ogni faccia nell'aula si rivolse al prigioniero mentre Hamblett gridava: "Che cosa sei tu? Chi sei e da dove sei venuto?".

«Tuo nonno lo tirò fuori, fece revocare l'imputazione e pagò la multa e se lo portò al suo ufficio e gli parlò mentre Judith aspettava nell'anticamera. "Tu sei il figlio di Charles Bon" disse. "Non lo so" rispose l'altro, aspro e torvo. "Non ti ricordi?" disse tuo nonno. L'altro non rispose. Allora tuo nonno gli disse che doveva andarsene, sparire, dandogli denaro per tirare avanti: "Chiunque tu sia, una volta che ti trovi tra forestieri, gente che non ti conosce, potrai essere quello che vuoi. Ci penserò io a mettere le cose a posto; parlerò a - a - Come la chiami tu?". Ed era andato troppo in là ora, ma era troppo tardi per fermarsi; stette lì seduto e guardò quella faccia immota che non aveva più espressione di quella di Judith, niente speranza né pena: solo torva e imperscrutabile e fissa sulle incallite mani femminee con quelle unghie crepate che tenevano il denaro mentre tuo nonno rifletteva che non poteva dire "Miss Judith" poiché questo avrebbe postulato il sangue più che mai. Poi pensò Non so neppure se lui voglia nasconderlo o no. Così disse Miss Sutpen. "Lo dirò a Miss Sutpen, non dove vai certo, perché questo non lo saprò nemmeno io. Ma solo che te ne sei andato e che lo sapevo che te ne andavi e che sarai a posto".

«Così partì, e tuo nonno si recò laggiù a dirlo a Judith, e Clytie venne alla porta e lo guardò in faccia diritto e fisso e non disse niente e andò a chiamare Judith e tuo nonno aspettò in quel semibuio salotto avvolto come in un sudario e capì che non c'era da dir niente a nessuna delle due. Non ebbe bisogno di farlo. Judith venne subito e stette lì ferma e lo guardò e disse: "Immagino che non me lo direte". - "Non è che non voglia, non posso" disse tuo nonno. "Ma non per una promessa che io gli abbia fatta. Ma lui ha denaro; sarà..." e si fermò, con invisibile tra loro quel ragazzino abbandonato che era venuto lì otto anni prima col farsetto su quanto rimaneva della sua seta e del suo panno, che era diventato il giovanetto nella divisa - cappello lacero e tuta - della sua antica maledizione, che era diventato il giovane dalla potenza di giovane, eppure era ancora quel bambino solitario nella sua camicia di tela grezza, e tuo nonno formulava le parole monche e vane, i sofismi speciosi e vuoti che chiamiamo conforto, pensando Meglio che fosse morto, meglio che non fosse mai vissuto: poi pensando quale vana e vuota ricapitolazione sarebbe stata quella per lei se lui l'avesse detto, lui che indubbiamente l'aveva già detto, pensato, cambiando, solo persona e numero. Ritornò in paese. E ora, la volta successiva, non fu mandato a chiamare; lo venne a sapere come lo venne a sapere il paese: da quel serpeggiare di voci in campagna la cui fonte è tra i negri, e lui, Charles Etienne Saint Valéry Bon, già ritornato (non a casa; ritornato) prima che tuo nonno sapesse come era tornato, riapparso, con una donna nera come il carbone e scimmiesca e un'autentica licenza di matrimonio, riportato dalla donna poiché ne aveva prese tante ultimamente ed era così malconcio che non ce la faceva nemmeno a reggersi sul mulo zoppo e senza sella che montava mentre la moglie gli camminava al fianco per impedirgli di cascare; si recò alla casa e a quanto sembra gettò in faccia a Judith la licenza di matrimonio con un po' di quell'invincibile disperazione con cui aveva attaccato i negri durante la partita a dadi. E nessuno doveva mai sapere quale storia incredibile ci fosse sotto quell'assenza di un anno a cui egli non accennava mai e che la donna, la quale, anche un anno più tardi e dopo la nascita del figlio, esisteva tuttora in quello stato attonito di automa in cui era arrivata, non raccontava, e forse non poteva, ma sembrava essudare gradualmente e con un processo di terribile e incredula escrezione come sudore di paura o angoscia: come lui l'avesse trovata, trascinata fuori di quella qualunque acquamorta bidimensionale (il cui stesso nome, città o villaggio, ella non aveva mai saputo, o l'aveva espulso per sempre dalla sua mente e memoria l'urto dell'esodo) a cui la sua mentalità era stata capace di strappare cibo e alloggio, e come l'avesse sposata, tenendole indubbiamente perfino la mano mentre lei tracciava la croce laboriosa sul registro prima ancora di sapere il nome di lui o il fatto che lui non era un bianco (e questo nessuno ancora sapeva se lei lo sapesse con certezza, anche dopo la nascita del figlio in una delle dilapidate capanne da schiavi che lui ricostruì dopo aver preso in affitto da Judith il suo pezzo di terra); come seguisse qualcosa come un anno fatto d'una successione di periodi di estrema immobilità simili a una pellicola cinematografica rotta, che l'uomo di pelle bianca che l'aveva sposata passò supino a riaversi dall'ultima bastonatura ricevuta, in stanze sporche e puzzolenti in luoghi - borgate e città - che parimenti non avevano nome per lei, successione rotta da altri periodi, intervalli, di furioso e incomprensibile e apparentemente irragionevole movimento, progressione - un maelstrom di facce e corpi attraverso il quale l'uomo si lanciava, trascinandosi dietro lei, verso o provenendo da dove, sospinto da quale furia insonne lei non sapeva, e ogni fase doveva terminare, finire, come aveva fatto la precedente, cosicché era quasi un rituale. L'uomo apparentemente a caccia di situazioni per poter ostentare e scagliare il corpo scimmiesco della sua compagna di carbone in faccia a tutti coloro che fossero pronti alla rappresaglia: gli stivatori negri e i marinai negri sui battelli a vapore o nelle bettole di città che lo ritenevano un bianco e ci credevano ancor di più quando lui lo negava; i bianchi che, quando lui diceva di essere negro, credevano che mentisse per salvare la pelle, o peggio: per sola ubriacatura di perversione sessuale; in ogni caso identico risultato: l'uomo con corpo e membra esili e delicati quasi quanto quelli di una fanciulla dava il primo colpo, di solito senz'armi e senza guardare quanti ne aveva di fronte, con quella stessa furia e implacabilità e fisica inaccessibilità al dolore e al castigo, né imprecando né ansimando, ma ridendo.

«Così lui mostrò a Judith la licenza e portò sua moglie, già in avanzata gravidanza, nella capanna in rovina che aveva scelto per riattarla e ve la insediò, ve la spinse a cuccia con un gesto forse, e ritornò alla casa. E nessuno mai poté sapere che cosa trapelasse quella sera fra lui e Judith, in quale stanza priva di tappeto, arredata con chissà quali sedie, quelle che non avevano dovuto spaccare e bruciare per cuocere il cibo o scaldarsi o forse scaldare acqua di tanto in tanto per una malattia - fra la donna resa vedova prima ancora di essere stata sposa, e il figlio dell'uomo che l'aveva lasciata in lutto e di una concubina negra ereditaria, che non aveva tanto odiato il proprio sangue negro quanto piuttosto negato quello bianco, e ciò con una curiosa e oltraggiosa esagerazione a cui era inerente la sua stessa irrevocabilità, proprio quasi come l'avrebbe potuto fare il demonio stesso».

(Perché c'era amore tra Judith e Bon disse Compson. C'era quella lettera che lei portò e diede a tua nonna perché la tenesse. Lui (Quentin) la poteva vedere, con la stessa chiarezza con cui vedeva quella aperta sul libro di testo aperto sulla tavola davanti a lui, bianca nella scura mano di suo padre contro i pantaloni di tela nel crepuscolo settembrino dove alitava l'odore di sigaro, l'odore di glicine, le lucciole, pensando Sì. Ho udito troppo, mi hanno raccontato troppo; ho dovuto ascoltare troppo, pensando Sì, ad ascoltare Shreve par proprio di sentire papà: quella lettera, e chissà quale restaurazione morale ella poté contemplare nella segretezza di quella casa, quella camera, quella notte, quale superamento di vecchie tradizioni ferree poiché quasi tutto quello che aveva appreso a chiamare stabile lei l'aveva visto svanire come paglia al vento - lei seduta lì accanto alla lampada in una sedia diritta, eretta nella stessa cotonina tranne che ora mancava il cappello da sole, il capo scoperto ora, i capelli un tempo neri come il carbone ora striati di grigio, mentre lui le stava di fronte, in piedi. Lui non si voleva sedere; forse lei non l'aveva nemmeno invitato a farlo, e la fredda voce uniforme non superava di molto il suono della fiamma: «Avevo torto. Lo ammetto. Credevo che ci fossero cose che importavano ancora, giusto perché avevano avuto importanza un tempo. Ma avevo torto. Nulla ha importanza se non il respiro, il respirare, conoscere ed essere vivi. E il bambino, la licenza, la carta. Che dirne? Quella carta sta fra te e una che è irrimediabilmente negra; la si può mettere da parte, nessuno oserà tirarla in ballo, né più né meno di qualsiasi altra passata marachella di giovanotto ardente. E in quanto al bambino, va bene. Mio padre forse non ne mise al mondo uno anche lui? e senza per questo avere impicci? Noi terremo anche la donna e il bambino se vuoi; possono stare qui e Clytie penserà...» osservandolo pur non muovendosi, immobile, eretta, le mani intrecciate sul grembo immote, non respirando quasi, come se lui fosse un uccello o animale selvatico pronto a fuggire all'espansione e contrazione delle narici o al movimento del petto di lei: «No: io. Ci penserò io. Ci penserò io ad allevarlo, mi curerò di... Non c'è bisogno di mettergli un nome; tu non avrai da rivederlo o da preoccuparti. Ci rivolgeremo al generale Compson perché s'incarichi di vendere un po' della nostra terra; ci penserà lui, e tu potrai andartene. Al Nord, nelle città, dove non importerà niente anche se... Ma non lo faranno. Non oseranno. Io dirò loro che sei il figlio di Henry e chi potrebbe o oserebbe contestare...» e lui ritto lì, se con lo sguardo rivolto a lei o altrove ella non sa poiché lui teneva il viso abbassato - l'immoto viso inespressivo e sottile, e lei intenta a scrutarlo non osando muoversi, la sua voce mormorante, chiara abbastanza e piena abbastanza eppure incapace di raggiungerlo: «Charles»: e lui: «No, Miss Sutpen»; e lei ancora, sempre senza muoversi, senza muovere un muscolo, come se si trovasse all'esterno della macchia in cui aveva attirato l'animale che sapeva intento a osservarla sebbene lei non potesse vederlo, non proprio acquattato, non in preda a terrore o allarme ma a quell'irrequieta leggera incorreggibilità di chi è libero che non avrebbe lasciato neppure un'impronta sulla terra che leggermente lo sosteneva e lei non osava allungare la mano con cui lo avrebbe potuto ben toccare ma invece gli parlava soltanto, voce dolce e svenevole, piena di quella seduzione, quella promessa celestiale che è l'arma della femmina: «Chiamami Zia Judith, Charles»). Sì, chissà se lui disse qualcosa o nulla, voltandosi, uscendo, e lei sempre seduta lì, senza muoversi, senza un fremito, osservandolo, sempre vedendolo, penetrando mura e tenebre pure per guardarlo ritornare giù per il sentiero invaso d'erbacce fra le deserte capanne in rovina verso quella dove l'aspettava sua moglie, percorrere lo spinoso sentiero pavimentato di selci verso il Getsemani ch'egli si era autodecretato e creato, dove si era crocifisso, ed era sceso un momento dalla sua croce e adesso vi ritornava.

«Non tuo nonno. Egli seppe solo quello che sapevano il paese, la contea: che lo strano ragazzino che Clytie un tempo aveva sorvegliato e addestrato al lavoro dei campi, che da adulto era comparso quel giorno in tribunale con la testa fasciata e un braccio al collo e l'altro ammanettato, che era sparito e poi ritornato con un'autentica moglie simile a un esemplare da giardino zoologico, adesso coltivava a mezzadria una parte della piantagione Sutpen, la coltivava piuttosto bene, con lavoro solitario e costante nell'ambito delle sue limitazioni fisiche, corpo e membra pur sempre troppo esili all'aspetto per il compito che si era posto, lui che viveva da eremita nella capanna che aveva ricostruita dove gli nacque ben presto il figlio, lui che non andava né coi negri né coi bianchi (adesso Clytie non lo sorvegliava; non ce n'era bisogno) e non si fece vedere a Jefferson se non tre volte nei quattro anni successivi per poi comparire, stando almeno alle voci dei negri che parevano temere o lui o Clytie o Judith, in stato o di cecità o di violenta ubriachezza nel quartiere dei negozi negri in Depot Street, dove tuo nonno veniva a portarlo via (o i funzionari di pubblica sicurezza se era troppo ubriaco, se era diventato violento) e lo teneva fin quando la moglie, il gotico mostro nero, non riusciva a riattaccare la pariglia al carro e recarsi sul posto, con nulla di vivo nella persona tranne gli occhi e le mani, e caricarvelo e portarlo a casa. Così in paese non si accorsero nemmeno della sua assenza a tutta prima; fu l'ufficiale medico della contea a dire a tuo nonno che lui aveva la febbre gialla e che Judith lo aveva fatto trasferire nella casa grande e lo curava e adesso anche Judith si era presa la malattia, e tuo nonno gli disse di notificarlo a Miss Coldfield e lui (tuo nonno) si recò laggiù un giorno. Non smontò; rimase a cavallo e chiamò finché Clytie non si affacciò a guardarlo da una delle finestre superiori e gli disse "non hanno bisogno di niente". Nella stessa settimana tuo nonno seppe che Clytie aveva avuto ragione, o aveva ragione adesso comunque, sebbene fosse stata Judith a morire per prima».

«Oh» disse Quentin... pensò Troppo, troppo a lungo ricordando come avesse guardato la quinta tomba e pensato che chiunque avesse seppellito Judith doveva aver temuto che l'altro morto contraesse da lei la malattia, poiché la sua tomba si trovava dal lato opposto del recinto, il più lontano possibile dalle altre quattro per quanto lo consentiva lo spazio del recinto stesso, pensando Papà non dovrà dire «pensa» stavolta perché sapeva chi aveva ordinato e acquistato quella pietra tombale prima di leggervi l'iscrizione, pensando, immaginando quali accurate istruzioni per Clytie doveva essersi alzata (dal delirio probabilmente) a scrivere Judith stessa quando seppe che era prossima a morire; e come doveva aver vissuto Clytie nei dodici anni seguenti mentre allevava il bambino nato nella vecchia capanna di schiavi e racimolava a forza di piccoli risparmi il denaro per finir di pagare la pietra per la quale Judith aveva dato a suo nonno l'acconto di cento dollari ventiquattro anni prima, e quando suo nonno tentò di rifiutarlo, lei (Clytie) posò sullo scrittoio la latta rugginosa piena di nichelini e monete da dieci cent e cartamoneta sgualcita e uscì dall'ufficio senza una parola. Gli toccò di ripulire anche questa dagli aghi di cedro per leggerla, osservando anche queste lettere emergergli sotto la mano, chiedendosi quietamente come avessero potuto rimanervi aderenti, non incenerirsi all'attimo stesso del contatto con la minaccia aspra e inesorabile: Judith Coldfield Sutpen. Figlia di Ellen Coldfield. Nata il 3 ottobre 1841. Soffrì le Indegnità e i Travagli di questo Mondo per 42 anni, 4 mesi, 9 giorni, e trova finalmente Riposo il 12 febbraio 1884. Fermati, Mortale; Ricorda la Vanità e la Follia e Guardati pensando (Quentin) Sì. Non ebbi bisogno di domandare chi l'avesse inventata quella, chi l'avesse messa su pensando Sì, troppo, troppo a lungo. Allora non avevo bisogno di ascoltare ma mi toccò star a sentire e adesso mi tocca risentire tutto daccapo perché lui parla proprio come mio padre. Bella è la vita delle donne - ah sì. Nell'atto stesso di respirare traggono cibo e bevanda da qualche bella attenuazione di irrealtà in cui le ombre e forme dei fatti - nascita e lutto, sofferenza e confusione e disperazione — si muovono con l'insostanziale decoro di sciarade da trattenimento all'aperto, perfette nel gesto e prive di significato o di qualsiasi capacità di nuocere. Miss Rosa ordinò quella pietra. La impose come per decreto al giudice Benbow. Lui era stato l'esecutore testamentario di suo padre, non designato da alcun testamento poiché Mr. Coldfield non lasciò testamento né proprietà salvo la casa e il guscio scassinato del negozio. Così egli si autonominò, si elesse probabilmente da qualche conclave di vicini e cittadini riunitisi a discutere gli affari di lei e il da farsi, dopo essersi resi conto che nulla al mondo, certo nessun uomo o comitato di uomini, l'avrebbe mai persuasa a ritornare dalla nipote e dal cognato — gli stessi cittadini e vicini che le lasciavano di notte canestri di cibo sulla soglia, i piatti (il piatto contenente il cibo, i tovaglioli che lo coprivano) che lei non lavava mai ma rimetteva sporchi nel canestro vuoto e poi poneva il canestro sullo stesso gradino dove l'aveva trovato, come per portare fino in fondo l'illusione che non fosse mai esistito o almeno che lei non l'avesse mai toccato, vuotato, non fosse uscita a prendere il canestro con quell'aria assolutamente scevra di qualsiasi tono furtivo o anche di sfida, mentre indubbiamente assaggiava il cibo, ne criticava qualità o cottura, lo masticava e inghiottiva e ne sentiva la digestione eppure si aggrappava ancora a quell'abbaglio, a quella calma incorreggibile ostinazione per cui tutto quanto un'incontrovertibile evidenza le dice essere così, non esiste, come son capaci le donne - quella stessa autoillusione che si rifiutava di ammettere che la liquidazione del negozio le avesse lasciato qualcosa, che lei fosse rimasta altro che povera in canna, lei non volle accettare dal giudice Benbow il denaro contante ricavato dalla vendita del negozio eppure non disdegnò di accettarne il controvalore (e dopo alcuni anni plusvalore) in tanti modi: si serviva degli occasionali ragazzi negri a cui capitava di transitare nei paraggi della casa, fermandoli e ordinando loro di rastrellare il cortile e loro indubbiamente sapevano benissimo al pari del paese che di paga, lei non avrebbe nemmeno parlato, che non l'avrebbero nemmeno più rivista, pur sapendo che li stava a guardare da dietro le tendine d'una finestra, ma che li avrebbe pagati il giudice Benbow - entrava nei negozi e ordinava oggetti in mostra negli scaffali e nelle vetrine né più né meno come ordinò quella pietra tombale da duecento dollari a spese del giudice Benbow, e usciva dal negozio con quegli oggetti - e con la stessa aberrante astuzia per cui non lavava piatti e tovaglioli presi dai canestri si rifiutava di discutere i suoi affari col giudice Benbow poiché doveva ben sapere che le somme ricevute da lui dovevano aver superato da anni (lui, Benbow, aveva in ufficio una borsa, piuttosto panciuta, con la dicitura Proprietà di Goodhue Coldfield. Riservato scrittavi sopra a inchiostro indelebile. Dopo la morte del giudice suo figlio Percy l'aprì. Era piena di moduli delle corse e scontrini di scommesse annullati relativi a cavalli di cui ora nessuno sapeva neppure dove fossero le ossa, cavalli che avevano vinto e perduto corse all'ippodromo di Memphis quarantanni addietro, e un libro mastro, accuratamente compilato dal giudice di suo pugno, dove ogni voce indicava data e nome del cavallo ed entità della scommessa e se aveva vinto o perduto; e un altro che mostrava come per quarantanni egli avesse riportato ogni vincita, e un ammontare pari a ogni perdita, in quel mitico conto) qualunque provento del negozio.

Ma tu non ascoltavi, perché sapevi già tutto, l'avevi già appreso, assorbito in un certo modo senza bisogno di discorsi per il solo fatto di esserci nato e vissuto vicino, in sua compagnia, come desiderano e fanno i bambini: quanto stava raccontando tuo padre non ti disse molto ma piuttosto colpì, parola per parola, le corde vibranti del ricordo. Tu c'eri stato prima, avevi visto le tombe più d'una volta nelle errabonde spedizioni della fanciullezza il cui scopo era qualcosa di più della semplice caccia alla selvaggina, proprio come avevi visto pure la vecchia casa, e il suo probabile aspetto ti era stato familiare prima ancora che tu la vedessi, diventassi grande abbastanza da recartici un giorno con quattro o cinque altri ragazzi della tua statura ed età sfidandovi l'un l'altro a evocare lo spettro, poiché ne doveva certo essere infestata, non poteva che esserne infestata sebbene fosse lì vuota e innocua da ventisei anni senza nessuno che potesse incontrarvi i fantasmi o riferirne, fin quando il carro pieno di forestieri provenienti dall'Arkansas non si provò a sostarvi e passarvi la notte e qualcosa accadde prima ancora che potessero cominciare a scaricare il carro. Che cosa fosse non dissero, non poterono o non vollero dire, ma li fece rimontare sul carro a tamburo battente, e i muli rifecero il viale d'accesso al galoppo in senso inverso, tutto in circa dieci minuti, per non fermarsi che quand'ebbero raggiunto Jefferson. Tu hai visto il guscio della casa in decomposizione col suo portico incurvato e le pareti screpolantisi, le persiane incurvate e le finestre tappate con assi, posto in mezzo alla proprietà che era ritornata allo Stato ed era stata comperata e venduta e ricomprata e rivenduta più e più volte. No, tu non stavi ascoltando; non ne avevi bisogno: poi i cani si mossero, si alzarono; tu alzasti gli occhi ed ecco, proprio come aveva previsto tuo padre, Luster aveva fermato il mulo e i due cavalli nella pioggia a circa cinquanta passi dai cedri, e stava lì seduto con le ginocchia rannicchiate sotto il sacco, in mezzo alla nuvolosa evaporazione degli animali grondanti, come se stesse guardando te e tuo padre da qualche purgatorio lugubre e indolore. «Vieni qui al riparo dalla pioggia, Luster» disse tuo padre. «Baderò io a che il vecchio colonnello non ti faccia del male». - «Venite voi e andiamocene a casa» disse Luster. «Di caccia oggi non se ne parla più». - «Ma ci bagneremo» disse tuo padre. «Sfammi a sentire: arriviamo tutti a quella vecchia casa. Lì potremo starcene comodi e asciutti». Ma Luster non si mosse, rimanendosene là seduto sotto la pioggia a inventare ragioni per non andare alla casa - che il tetto faceva acqua o che senza fuoco si sarebbero presi tutti e tre il raffreddore o che prima di arrivarci si sarebbero inzuppati a tal punto che era meglio andare addirittura a casa: e tuo padre a ridere alla faccia di Luster ma tu non tanto perché se anche non eri nero come Luster non eri più vecchio, e tu e Luster c'eravate stati tutti e due quel giorno che in cinque, cinque ragazzi della stessa età, cominciaste a sfidarvi l'un l'altro a entrare nella casa ben prima di raggiungerla, arrivandoci dal retro, nella vecchia viottola dei quartieri degli schiavi — una giungla di sommacchi e cachi e rovi e caprifoglio, e i mucchi marcescenti di ciò che era una volta pareti di tronchi e camini di pietra e tetti di assi in mezzo al sottobosco tranne uno, quell'uno; tu ti ci avvicinasti; a tutta prima non vedesti affatto la vecchia perché osservavi il ragazzo, quel Jim Bond, il ragazzo dall'andatura cascante, bocca a ciabatta e color cuoio da sella di pochi anni più vecchio e più grosso di te, con una camicia rattoppata e stinta eppur pulitissima e una tuta troppo piccola per lui, intento a lavorare nell'orticello accanto alla capanna: così non vi accorgeste nemmeno che ci fosse lei fin quando tutti quanti non trasaliste e vi giraste come un sol uomo e la trovaste intenta a osservarvi da una sedia appoggiata al muro della capanna - una donnetta rinsecchita non molto più grossa di una scimmia e che avrebbe potuto avere qualunque età fino a diecimila anni, vestita di stinte gonne voluminose e un cencio immacolato sulla testa, i piedi nudi color caffè attorcigliati attorno alla traversa della sedia al modo delle scimmie, che fumava una pipa di argilla e vi guardava con occhi simili a due bottoni da scarpe sepolti nelle mille rughe della faccia color caffè, non fece che guardarvi e dire senza neppur togliersi la pipa di bocca e con una voce quasi da bianca: «Che cosa volete?» e un momento dopo uno di voi disse «Niente» e poi tutti quanti ve la davate a gambe, senza sapere chi fosse stato il primo a correre e perché dal momento che non avevate paura, indietro per i vecchi campi incolti e sventrati dalla pioggia e soffocati dai rovi finché non arrivaste alla vecchia staccionata a zigzag in rovina e la varcaste, buttandovici oltre di peso, e poi la terra, il paese, il cielo e gli alberi e i boschi, riassunsero un aspetto diverso, ridiventarono normali.

«Sì» disse Quentin.

«E quella era la persona di cui stava parlando adesso Luster» disse Shreve. «E tuo padre a osservarti ancora perché non avevi mai udito quel nome, non avevi nemmen pensato che lui dovesse avere un nome quel giorno che lo scorgesti nell'orticello, e tu dicesti: "Chi? Jim che cosa?" e Luster disse: "Lui. Il ragazzo negro dalla pelle chiara che sta con quella vecchia" e tuo padre ancora a guardarti e tu dicesti: "Come si scrive?" e Luster disse: "È una parola da avvocati. È quello che ti mettono quando ti acciuffa la Legge, il bond, la cauzione. Io so scrivere solo le parole che si leggono". E quello era lui, il nome adesso era Bond, e lui non se ne sarebbe curato, lui che aveva ereditato quel che era dalla madre e dal padre invece solo quello che non avrebbe mai potuto essere. E se tuo padre gli avesse chiesto se era il figlio del figlio di Charles Bon, lui non solo non l'avrebbe saputo, ma non ci avrebbe tenuto: e se tu gli avessi detto che lo era, ciò avrebbe sfiorato, per poi sparirne, quel che tu (non lui) avresti pur dovuto chiamare la sua mente, ben prima di avervi potuto suscitare alcuna reazione, vuoi d'orgoglio o di piacere, di collera o di dolore?».

«Sì» disse Quentin.

«E visse per ventisei anni in quella capanna dietro la casa infestata dagli spettri, lui e la vecchia che doveva avere ormai più di settant'anni eppure non aveva capelli bianchi sotto quel cencio a mo' di copricapo, che non si era afflosciata nella carne ma invece sembrava essere invecchiata sino a un certo punto né più né meno come fanno le persone normali, per poi fermarsi, e anziché diventare grigia e molle aveva preso a contrarsi tanto che la pelle del viso e delle mani si screpolò in un milione di minute rughe a ragnatela e il corpo si andò semplicemente facendo sempre più piccolo come qualcosa che si contragga in un forno, come fanno nel Borneo con le teste delle loro vittime - e poteva ben essere lei lo spettro se mai ce ne fosse stato bisogno, se qualcuno mai non ebbe niente di meglio da fare che aggirarsi intorno a quella casa, come non fu; se ci poté mai essere qualcosa da proteggere dagli indiscreti, come non fu; se della famiglia era rimasto alcuno a celarvisi o ad abbisognare di un nascondiglio, come non era. Eppure quella vecchia zitella, quella Zia Rosa, ti disse che laggiù c'era nascosto qualcuno e tu dicesti che era Clytie o Jim Bond e lei disse No e tu dicesti che doveva pur essere così perché il demonio era morto e Judith era morta e Bon era morto e Henry andato così lontano da non lasciare nemmeno una tomba: e lei disse No e così tu ti recasti laggiù, facesti le dodici miglia di notte in calesse e ci trovasti Clytie e Jim Bond, tutti e due, e dicesti Vedete? e lei (la Zia Rosa) disse ancora No e così tu proseguisti: e c'era?». «Sì».

«Aspetta allora» disse Shreve. «In nome di Dio aspetta».