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Non era ancora abbastanza buio perché Quentin si avviasse, almeno secondo i desideri di Miss Coldfield, anche senza contare le dodici miglia di andata e le dodici miglia di ritorno. Quentin lo sapeva. La vedeva quasi, immersa nell'attesa in una delle buie stanze senz'aria nella solitudine inespugnabile della casa piccola e cupa. Lei non avrebbe tenuto nessuna luce accesa perché ben presto sarebbe uscita, e molto probabilmente perché qualche discendente o parente di colui o colei che un tempo le aveva detto che la luce e l'aria in movimento portavano calore le aveva pure detto che il costo dell'elettricista non stava nella durata dell'accensione in sé, ma nel superamento retroattivo dell'inerzia primaria quando si faceva scattare l'interruttore: questo era ciò che il contatore segnava. Certo portava già il cappellino nero con le guarnizioni di giaietto; lui lo sapeva: e uno scialle, seduta lì nel crepuscolo crescente e funereo; in mano o in grembo doveva avere già la borsa a rete con tutte le chiavi, ingresso ripostiglio e dispensa, della casa che lei stava per abbandonare per circa sei ore; e un parasole, anche un ombrello, pensò, riflettendo a come doveva essere indifferente al clima e alla stagione se, pur non avendole rivolto più di cento parole in tutta la sua vita prima di quel pomeriggio, egli sapeva bene che lei non aveva mai lasciato quella casa dopo il tramonto, tranne la domenica e il mercoledì per le riunioni di preghiera, forse per tutti quei quarantatré anni. Sì, avrebbe avuto l'ombrello. Sarebbe emersa tenendolo in mano quando lui si fosse annunciato e l'avrebbe brandito nell'affranto spirare di una sera priva perfino di rugiada, dove anche adesso l'unico mutamento verso l'oscurità era nel morbido e più intenso vagare delle lucciole - un vagare più pieno e profondo nel crepuscolo dopo sessanta giorni senza pioggia e quarantadue addirittura senza rugiada - sotto la veranda, dov'egli si alzò dalla sedia quando Mr. Compson, portando la lettera, spuntò dalla casa, e accese, passando, la luce del portico. «Probabilmente dovrai entrare per leggerla» disse Mr. Compson.

«Forse riesco a leggerla anche qui» disse Quentin.

«Può darsi» disse Mr. Compson. «Forse anche la luce del giorno, per non parlare di questa...» e additò l'unica lampadina macchiata e sporca di mosche dopo la lunga estate, e che anche se pulita avrebbe fatto una luce ben fioca «che l'uomo ha dovuto inventare a suo uso e consumo poiché, liberato dal peso di guadagnarsi la vita col sudore della fronte, a quanto pare sta regredendo (o evolvendo) in animale notturno, sarebbe troppo per il foglio, per loro. Sì, per loro: di quel giorno e tempo, di un tempo morto; persone anche loro come noi, e vittime anche loro come noi, ma vittime di una circostanza diversa, più semplice e quindi, a conti fatti, più grande, più eroica, e anche le figure più eroiche dunque, non già rimpicciolite e involute ma distinte, scevre di complessità, avevano il dono di amare una volta o morire una volta invece di essere creature diffuse e disperse estratte alla cieca membro a membro da un ricettacolo ignoto e poi composte, autore e vittima insieme di mille omicidi e di mille accoppiamenti e divorzi. Forse hai ragione. Forse anche poca luce in più sarebbe troppa». Ma non diede subito la lettera a Quentin. Si rimise a sedere, imitato da Quentin, e raccolse il sigaro dalla balaustra, e la brace ardeva ancora, il fumo color glicine spirava ancora, senza bisogno di essere soffiato, in viso a Quentin, mentre Compson alzava un'altra volta i piedi e li appoggiava alla balaustra, la lettera in mano e la mano scura quasi come quella di un negro contro la tela dei pantaloni. «Perché Henry amava Bon. Egli ripudiò per lui sangue diritto di nascita e sicurezza materiale, per quest'uomo che era quanto meno un bigamo intenzionale se non un vero mascalzone, e sul cui corpo esanime di lì a quattro anni Judith doveva trovare la fotografia dell'altra donna e del bambino. Tanto è vero che lui (Henry) non esitò a smentire suo padre a proposito di un'affermazione che, egli doveva ben saperlo, suo padre non poteva fare e non avrebbe fatto senza fondamento e prove. Eppure lo fece, Henry in persona vibrò il colpo di sua mano, pur sapendo con ogni probabilità che quanto gli aveva detto suo padre circa la donna e il bambino era vero. Egli dovette dire a se stesso, dovette dire, quando si chiuse alle spalle per l'ultima volta la porta della biblioteca quella vigilia di Natale, e dovette ripetersi mentre cavalcava con Bon, fianco a fianco nell'oscurità ferrigna di quel mattino natalizio, allontanandosi dalla casa dove era nato e che avrebbe rivisto solo un'altra volta, ma con le mani lorde del sangue di quell'uomo che adesso gli cavalcava accanto: Io voglio credere; lo voglio, lo voglio. Anche se è così, anche se quel che mi ha detto mio padre è vero, cosa che mio malgrado non posso impedirmi di sapere che è vera, voglio credere ugualmente. Perché che cos'altro poteva sperare di trovare a New Orleans, se non la verità, se non ciò che gli aveva detto suo padre, ciò che egli stesso aveva negato e rifiutato di accettare anche se ad onta di se stesso doveva già averci creduto? Ma chissà perché un uomo, pur soffrendo, si attacca, fra le altre membra sane che ha, proprio al braccio o alla gamba che sa di dover perdere? Perché lui amava Bon. Me li immagino, lui e Sutpen in biblioteca quella vigilia di Natale, il padre e il fratello, percussione e ripercussione come un tuono e la sua eco, e altrettanto vicini; l'affermazione e la smentita, la decisione istantanea e irrevocabile tra padre e amico, tra (così dovette credere Henry) quella parte dove stavano onore e amore e questa dove correvano sangue e profitto, anche se nel momento stesso di dare la smentita egli sapeva che era la verità. Ecco il motivo dei quattro anni, della prova. Egli doveva ben sapere che sarebbe stato tutto inutile, fin d'allora, sin da quella vigilia di Natale, per non parlare di quanto apprese e vide coi suoi occhi a New Orleans. Forse allora conosceva a fondo Bon, il quale fino a quel momento non era cambiato e così con ogni probabilità non sarebbe cambiato in seguito; e lui (Henry), che non poteva dire all'amico: Io ho fatto questo per amor tuo; fa' questo per amor mio. Non lo poté dire, vedi - quest'uomo, questo giovane non ancora ventenne, che aveva voltato le spalle a tutto quel che conosceva per associare il suo destino, buttandosi allo sbaraglio, a quello del suo unico amico, ben sapendo probabilmente, nel momento stesso in cui quella notte si allontanarono a cavallo, così come sapeva che quanto gli aveva detto suo padre era vero, che proprio lui era condannato e predestinato a ucciderlo. Egli doveva saperlo né più né meno di come sapeva che la sua speranza era vana, quale speranza e a che pro non avrebbe saputo dire; quale speranza e sogno di cambiamento in Bon o nella situazione, quale sogno da cui potersi un giorno risvegliare accorgendosi che appunto un sogno era stato, come nel sogno del ferito il caro braccio o arto inferiore sofferente è forte e sano e solo quelli validi sono malati.

«Fu il periodo di prova di Henry; Henry che li tenne tutti e tre in quella prigionia a cui perfino Judith acconsentì sino a un certo punto. Ella non sapeva che cosa fosse accaduto nella biblioteca quella notte. Non credo nemmeno che lo sospettasse, sino a quel pomeriggio di quattro anni dopo quando li rivide, quando portarono in casa il corpo di Bon e lei gli trovò nella giacca la fotografia che non era il suo volto, non il suo bambino; lei si svegliò la mattina dopo, semplicemente, e loro se n'erano andati e rimaneva soltanto la lettera, il biglietto, il biglietto scritto da Henry poiché indubbiamente lui rifiutò a Bon il permesso di scrivere - questo annuncio dell'armistizio, il periodo di prova, e Judith consenziente fino a quel punto, lei che sarebbe stata altrettanto pronta a rifiutare obbedienza a qualsiasi ingiunzione del padre quanto lo era stato Henry a sfidarlo, eppure obbedì a Henry in questa faccenda - non già al parente maschio, al fratello, bensì per via di quel legame tra loro due - quella singola personalità con due corpi entrambi i quali erano stati sedotti quasi simultaneamente da un uomo che ancora Judith non aveva mai visto - e lei e Henry sapevano entrambi che lei avrebbe rispettato la prova, accordato a lui (Henry) il beneficio di quell'intervallo, solo fino a quel punto reciprocamente riconosciuto seppur sottinteso e non definito, ed entrambi indubbiamente sapevano che una volta arrivati a quel punto, lei con la stessa calma, lo stesso rifiuto di accettare o dare, senza alcuna tradizionale debolezza del suo sesso, avrebbe abrogato l'armistizio per affrontare lui da nemica, senza richiedere e nemmeno desiderare il sostegno della presenza di Bon, anzi indubbiamente pronta a proibirgli di intervenire qualora lui fosse stato presente, e ciò per liquidare la questione con Henry da uomo a uomo prima di acconsentire a ritornar donna, l'amata, la promessa sposa. E Bon: Henry non avrebbe riferito a Bon quanto gli aveva detto suo padre più di quanto sarebbe tornato da suo padre a dirgli che Bon negava l'accusa, poiché per fare una cosa avrebbe dovuto fare l'altra e sapeva che la smentita di Bon sarebbe stata una menzogna, e quantunque disposto a sopportare per suo conto la menzogna di Bon non avrebbe potuto tollerare che la udissero Judith o suo padre. E poi, Henry non avrebbe avuto bisogno di riferire a Bon che cosa era successo.

«Bon doveva aver saputo della visita di Sutpen a New Orleans non appena tornò a casa quella prima estate. Doveva aver saputo che Sutpen adesso sapeva il suo segreto - se Bon, fin quando non vide la reazione di Sutpen, lo considerò mai un motivo di segretezza, certo non una valida obiezione al matrimonio con una bianca - una situazione probabilmente comune a tutti i suoi contemporanei che ne avevano la possibilità e che non gli sarebbe mai passato per la testa di menzionare alla promessa sposa o alla moglie, o alla famiglia di lei così come non avrebbe mai rivelato loro i segreti di una confraternita in cui fosse entrato prima di sposarsi. In effetti, il modo in cui la famiglia della sua promessa sposa reagì alla scoperta della faccenda rappresentò indubbiamente la prima e l'ultima volta che la famiglia Sutpen lo sorprese. Per me lui è quello più curioso. Entrò in quella isolata famiglia puritana di campagna quasi come lo stesso Sutpen arrivò a Jefferson, apparentemente perfetto, senza trascorsi o passato o infanzia - un uomo un po' più anziano della sua età e racchiuso e circondato da una specie di lucentezza scitica, che a quanto pare sedusse i campagnoli fratello e sorella senza alcuno sforzo o particolare desiderio di farlo, che provocò tutto il chiasso e lo scalpore fin dal momento preciso in cui si rese conto che Sutpen avrebbe fatto il possibile per impedire il matrimonio, egli (Bon) a quanto pare si ritirò nella posizione di mero spettatore, passivo, un po' sardonico, e completamente enigmatico. Egli sembra aleggiare, umbratile, quasi immateriale, un po' dietro e al di sopra di tutti gli altri recisi e logici, sebbene (per lui) incomprensibili, ultimatum e affermazioni e provocazioni e sfide e ripudi, con un'aria di sardonico e indolente distacco simile a quello di un giovane console romano intento al Grand Tour del suo tempo fra le orde barbariche soggiogate dal nonno, sorpreso dalla notte in una famiglia rissosa e puerile e insopportabile nel suo castello di fango in mezzo a una foresta piena di miasmi e infestata da spettri. Era come se lui trovasse tutta la faccenda, non certo inesplicabile, ma inutile; lui seppe subito che Sutpen sapeva dell'amante e del figlio, e ora trovava l'azione di Sutpen e la reazione di Henry una feticistica cantonata morale che non meritava il nome di pensiero, e che lui contemplava con la distaccata attenzione di uno scienziato intento a osservare i muscoli di una rana anestetizzata - li osservava, li contemplava da dietro quella barriera di sofisticheria in confronto a cui Henry e Sutpen erano dei trogloditi. Non tanto l'esteriorità, il suo modo di camminare e di parlare e di portare gli abiti e accompagnare Ellen in sala da pranzo o alla carrozza e (forse, probabilmente) baciarle la mano, che Ellen gli invidiava desiderandola per Henry, ma l'uomo in se stesso - quell'imperturbabilità fatalistica e impenetrabile con cui li osservava mentre aspettava quello che avrebbero fatto, come se avesse saputo fin dal principio che sarebbe sorta per lui l'occasione di aspettare e che non avrebbe dovuto fare altro se non aspettare; avesse saputo che aveva sedotto Henry e Judith troppo profondamente per temere di non poter sposare Judith quando volesse. Non già quella stupida perspicacia fatta in parte di istinto e in parte di fede nella fortuna, e in parte di un'abitudine muscolare dei sensi e dei nervi del giocatore proteso a prendere quanto può di ciò che vede, ma un certo riservato e inflessibile pessimismo spogliato molte generazioni addietro di tutta la spazzatura e pretenziosità di gente (sì, Sutpen e Henry e anche i Coldfield) che non è ancora completamente emersa dalla barbarie e di qui a duemila anni sarà ancora intenta a sbarazzarsi trionfalmente del giogo della cultura e intelligenza latina che per essa non costituì mai un pericolo notevole e permanente, tanto per cominciare.

«Perché lui amava Judith. Lui avrebbe indubbiamente soggiunto "alla mia maniera" poiché, come apprese ben presto il suo futuro suocero, non era la prima volta che aveva sostenuto quella parte e promesso ciò che aveva promesso a Judith, né tanto meno la prima volta che l'avrebbe eventualmente sancito con una cerimonia, qualunque fosse la distinzione (era un cattolico all'acqua di rose) che lui faceva tra questa cerimonia nuziale con una donna bianca e quell'altra. Perché tu vedrai la lettera, non certo la prima che lui le avesse mai scritto ma almeno la prima, l'unica che lei abbia mai fatto vedere, di cui venne a sapere allora tua nonna: e, così pensiamo, ora che lei è morta, l'unica che abbia conservato a meno che naturalmente Miss Rosa o Clytie abbiano distrutto le altre dopo la sua morte: e quest'unica lettera conservata non perché Judith la riponesse a tale scopo ma perché lei la portò personalmente a tua nonna e gliela diede dopo la morte di Bon, forse lo stesso giorno in cui distrusse le altre che lui le aveva scritto (sempreché beninteso sia stata lei a distruggerle), cioè presumibilmente quando ella trovò nella giacca di Bon la fotografia dell'amante meticcia e del ragazzino. Perché lui fu il suo primo e ultimo amore. Lei doveva vederlo in effetti con gli stessi occhi con cui lo vedeva Henry. E sarebbe difficile dire a chi dei due egli apparisse più splendido - all'una con la speranza, seppur inconscia, di farne sua l'immagine mediante il possesso; all'altro con la consapevolezza della insormontabile barriera che l'eguaglianza di sesso frapponeva irrimediabilmente - quest'uomo che Henry vide la prima volta forse mentre attraversava il boschetto dell'università in sella a uno dei due cavalli che vi teneva o forse camminava con indosso il suo mantello e cappello un tantino francesizzanti, o forse (mi piace pensarlo) gli fu formalmente presentato mentre l'altro se ne stava, in una veste da camera a fiorami quasi femminile, nell'inquadratura di una finestra soleggiata nelle sue stanze - quest'uomo avvenente, elegante e dai movimenti quasi felini e troppo anziano per trovarsi là dov'era, troppo anziano non d'anni ma d'esperienza, con qualche tangibile effluvio di conoscenza, sovrabbondanza: di azioni compiute e sazietà suggellate e piaceri esauriti e addirittura dimenticati. Cosicché egli dovette apparire, non solo a Henry ma all'intero corpo studentesco di quel nuovo, piccolo college di provincia, una sorgente non già di invidia, perché si invidia solo colui che non riteniamo affatto superiore a noi se non accidentalmente: e ciò che crediamo di dover possedere un giorno, con un po' più di fortuna di quanta ne abbiamo avuta finora - non di invidia ma disperazione: quell'acuta, sconvolgente, terribile, inguaribile disperazione dei giovani che a volte assume la forma di insulto e perfino di aggressione fisica nei riguardi del suo oggetto umano o, in casi estremi come quello di Henry, insulto e aggressione contro tutti quanti i denigratori del suo oggetto, come attesta il violento ripudio del padre e del diritto di nascita che Henry compì quando Sutpen proibì il matrimonio. Sì, egli amava Bon, che lo sedusse né più né meno di quanto fece con Judith - il ragazzo di campagna fatto e finito che, insieme ai cinque o sei altri membri di quel piccolo corpo di studenti composto di altri figli di piantatori a cui Bon concedeva la sua intimità, che scimmiottavano il suo modo di vestire e le sue maniere e, fin dove ci riuscivano, il suo stesso modo di vivere, guardava a Bon come se fosse stato un eroe da Mille e una notte giovanili che si fosse imbattuto in un talismano o pietra di paragone tali da conferirgli non già saggezza o potere o ricchezza, ma l'abilità e l'opportunità di passare dalla scena di una gioia inimmaginabile alla successiva senza intervallo o pausa o sazietà. E il fatto stesso che, oziando in loro presenza nell'abbigliamento esotico e quasi femmineo della sua sibaritica intimità, egli professasse sazietà, non faceva che accrescere lo stupore e l'amaro e impotente risentimento. Henry era il provinciale, il pagliaccio quasi, portato all'azione violenta e istintiva anziché alla riflessione, ed era forse consapevole che il suo fiero orgoglio provinciale per la verginità della sorella era un'entità falsa, verginità che doveva conglobare in se stessa un'incapacità di durare per poter essere preziosa, per esistere, e dipendeva quindi necessariamente dalla sua perdita e assenza per essere in qualche modo esistita. Infatti, è forse questo l'incesto puro e perfetto: il fratello giunto a capire che la verginità della sorella deve essere distrutta per poter essere esistita, che prende quella verginità attraverso la persona del cognato, l'uomo che lui vorrebbe essere se potesse diventare per metamorfosi, l'amante, il marito; dal quale vorrebbe essere deflorato, che sceglierebbe come suo defloratore, se potesse diventare per metamorfosi la sorella, l'amante, la sposa. Forse questo si svolse, non nella mente di Henry ma nella sua anima. Perché lui non pensava mai. Lui sentiva, e agiva immediatamente. Conosceva la lealtà e l'applicò, conosceva orgoglio e gelosia; amò soffrì e uccise, sempre soffrendo e, credo, sempre amando Bon, l'uomo al quale accordò quattro anni di prova, quattro anni in cui dissolvere con la rinunzia l'altro matrimonio, pur sapendo che i quattro anni di speranza e attesa sarebbero stati vani.

«Sì, fu Henry a sedurre Judith: non Bon, come testimonia tutto l'andamento stranamente blando della corte di Bon e Judith - un fidanzamento, se fidanzamento mai fu, durato un anno intero, eppure comprese in tutto due visite durante le vacanze come ospite del fratello di lei, visite che a quanto pare Bon trascorse o a caccia o a cavallo con Henry o a far la parte dell'elegante e indolente fiore esoterico di serra, che per tutta origine storia e passato possedeva semplicemente il nome di una città, per cui incautamente Ellen si parò a festa e sbandierò la sua falsa, effimera estate di San Martino di farfalla; lui, l'uomo vivo, subì un'usurpazione, vedi. In quei giorni affollati non c'era tempo, intervallo, nicchia alcuna in cui egli potesse corteggiare Judith. Lui e Judith soli assieme, non li puoi nemmeno immaginare. Provati a farlo, e la massima approssimazione che tu possa conseguire sarà una proiezione dei due mentre le loro persone reali erano indubbiamente separate e situate altrove - due ombre passeggianti, serene e immuni dai desideri della carne, in un giardino estivo - gli stessi due fantasmi sereni che sembrano osservare, aleggiare, imparziali attenti e quieti, sopra e dietro l'inesplicabile tuono di interdizioni e sfide e ripudi da cui il rupestre Sutpen e l'eccitabile e violento Henry guizzarono lampeggiando e si spensero - Henry che prima d'allora non era mai stato neppure a Memphis, che non si era mai allontanato da casa prima di quel settembre in cui si recò all'università coi suoi vestiti campagnoli e il suo cavallo da sella e il servo negro; quei sei o sette, uguali d'età e di provenienza, che solo nella superficiale questione del vitto e vestiario e occupazione giornaliera differivano dagli schiavi negri i quali li sostentavano - lo stesso sudore, e l'unica differenza stava in ciò, che da una parte esso scorreva dalla fatica nei campi mentre dall'altra scorreva quale prezzo degli spartani e magri piaceri disponibili a loro perché non avevan da sudare nei campi: il duro violento sport della caccia e dell'equitazione; gli stessi piaceri: da una parte, giocarsi coltelli consumati e bigiotterie d'ottone e mazzetti di tabacco e bottoni e indumenti perché erano gli oggetti più facili e rapidi da trovare; dall'altra, giocarsi il denaro e i cavalli, i fucili e gli orologi, e per lo stesso motivo; gli stessi trattenimenti: l'identica musica degli identici strumenti, rozzi violini e chitarre, ora nel grande edificio con candele e abiti di seta e champagne, ora in capanne dal pavimento di terra con torce di pino fumanti e cotoni stampati e acqua dolcificata con melassa - fu Henry, perché a quell'epoca Bon non aveva nemmeno visto Judith. Egli probabilmente non aveva fatto abbastanza attenzione all'inarticolato racconto della breve, convenzionale origine e storia di Henry per ricordare che Henry aveva una sorella - quest'uomo indolente e troppo anziano per trovare se non altro del cameratismo fra i giovani, i ragazzini, coi quali ora viveva; quest'uomo inadatto al suo tempo e di ciò consapevole, anzi volontariamente partecipe per una ragione certo abbastanza buona da indurlo a sopportare tale parentesi e in apparenza troppo seria o almeno troppo intima per essere rivelata alle sue attuali conoscenze - quest'uomo che in seguito mostrò la stessa indolenza, quasi disinteresse, lo stesso distacco quando si levò lo scalpore per quel fidanzamento che, per quanto ne sapeva Jefferson, non esistette mai formalmente, che Bon stesso mai confermò o negò rimanendo intanto sullo sfondo, imparziale e passivo come se non si fosse trattato di lui o lui agisse per conto di qualche amico assente, ma la persona interessata e interdetta fosse qualcuno di cui egli non aveva mai sentito parlare e non s'era mai curato. Pare che non ci fosse mai stata neppure l'ombra di un corteggiamento. A quanto sembra egli fece a Judith il dubbio complimento di non tentare neppure di rovinarla, né tanto meno insistere per il matrimonio prima o dopo la proibizione di Sutpen - e ciò, bada bene, in un uomo che si era già fatto una fama di conquistatore sin dall'università, molto prima che Sutpen ne trovasse le prove tangibili. Niente fidanzamento, e niente corteggiamento per giunta: lui e Judith si videro tre volte in due anni, per un periodo totale di dodici giorni, contando il tempo consumato da Ellen; si separarono senza nemmeno dirsi addio. Eppure, quattro anni dopo Henry dovette uccidere Bon per impedir loro di sposarsi. Quindi dovette essere Henry a sedurre Judith, non Bon: a sedurla insieme a se stesso da quella distanza che intercorreva fra Oxford e Sutpen's Hundred, tra lei e l'uomo che ella non aveva ancora visto, quasi mediante quella telepatia con cui da piccoli essi parevano a volte precorrere l'uno le azioni dell'altra così come due uccelli lasciano un ramo nello stesso istante; quel rapporto non come l'ubbia convenzionale del rapporto fra gemelli ma piuttosto quale potrebbe esistere fra due persone che, indipendentemente da sesso, età, retaggio di razza o lingua, fossero state abbandonate alla nascita su un'isola deserta: l'isola in questo caso era Sutpen's Hundred; la solitudine, l'ombra di quel padre con cui non solo il paese ma perfino la famiglia materna aveva semplicemente ipotizzato un armistizio anziché accettarlo e assimilarlo.

«Vedi? eccoli: questa ragazza, questa giovane ragazza cresciuta in campagna che vede un uomo per una media di un'ora al giorno per dodici giorni in tutta la sua vita, e ciò nello spazio di un anno e mezzo, eppure vuole sposarlo a ogni costo, sino al punto di costringere il fratello all'estrema risorsa dell'omicidio, quand'anche non assassinio, per impedirli lo, e questo dopo un periodo di quattro anni durante i quali lei non sempre poté essere certa che lui fosse ancora vivo; questo padre che aveva visto quell'uomo una volta, eppure ebbe motivo di fare un viaggio di seicento miglia per indagare sul suo conto e scoprire ciò che già, e certo per chiaroveggenza, sospettava, o almeno qualcosa che servisse giusto di ragione per proibire il matrimonio; questo fratello agli occhi del quale l'onore e la felicità di quella sorella e figlia, dato il curioso e insolito legame che esisteva tra loro, avrebbero dovuto essere più gelosi e preziosi che non per lo stesso padre, eppure dovette propugnare il matrimonio sino al punto di ripudiare padre e sangue e casa e diventare seguace e dipendente del corteggiatore respinto per ben quattro anni prima di ucciderlo, a quanto pare per la stessa identica ragione per la quale quattro anni prima aveva abbandonato la casa; e questo innamorato che a quanto sembra senza sua volontà o desiderio si trovò impaniato in un fidanzamento che pare non avesse né cercato né evitato, che prese il rifiuto con lo stesso spirito passivo e sardonico, eppure quattro anni dopo era evidentemente così deciso al matrimonio al quale sino allora era stato completamente indifferente, da costringere il fratello che l'aveva caldeggiato a ucciderlo per impedirglielo. Sì, dato e non concesso che, anche per il poco mondano Henry, per non parlare del padre che, viaggiando, aveva visto un po' più di mondo, l'esistenza dell'amante con un ottavo di sangue negro e del figlio con un sedicesimo, e tenendo presente anche la cerimonia morganatica - situazione che faceva parte del corredo sociale ed elegante di un ricco giovane di New Orleans né più né meno delle sue scarpe da ballo - fosse motivo sufficiente, il che significa sottilizzare alquanto sulla questione dell'onore anche per quei modelli inconsistenti che sono i nostri antenati venuti alla luce nel Sud e giunti a maturità virile e femminile intorno al milleottocentosessanta o sessantuno. È semplicemente incredibile. Non spiega niente, ecco. O forse è così: loro non spiegano e noi non siamo tenuti a sapere. Noi abbiamo vecchi racconti tramandati di bocca in bocca; riesumiamo da vecchi bauli e casse e cassetti lettere senza indirizzo o firma, in cui uomini e donne che un giorno vissero e respirarono sono adesso mere iniziali o soprannomi coniati da qualche affetto ora incomprensibile che a noi suonano come sanscrito o Chock-taw; noi vediamo confusamente delle persone, le persone nel cui sangue e seme vivente noi stessi giacevamo in un sonno d'attesa, in quella umbratile attenuazione del tempo, assurte ora a proporzioni eroiche, tornate a compiere i loro atti di semplice passione e semplice violenza, impervie al tempo e inesplicabili. Sì, Judith, Bon, Henry, Sutpen: tutti quanti. Loro ci sono, eppure manca qualcosa; sono come una formula chimica riesumata insieme alle lettere da quel cassone dimenticato, accuratamente, la carta vecchia e sbiadita che va in pezzi, la scrittura sbiadita, quasi indecifrabile, eppure piena di significato, familiare quanto a forma e senso, nome e presenza di forze volatili, e senzienti; tu le ricomponi nelle proporzioni volute, ma nulla accade; tu rileggi, pedante e attento, riflettendo bene, accertandoti di non aver dimenticato nulla, di non aver commesso errori di calcolo; tu le ricomponi ancora e ancora e nulla accade: semplicemente le parole, i simboli, le forme in se stesse, umbratili inscrutabili e serene, contro quel turgido sfondo di un orribile e sanguinoso groviglio di affari umani.

«Bon e Henry vennero dall'università a passare quel primo Natale, Judith ed Ellen e Sutpen lo videro per la prima volta - Judith, l'uomo che doveva vedere per un breve spazio di dodici giorni eppure ricordare tanto che quattro anni dopo (egli non le scrisse mai in tutto quel tempo. Henry non glielo permetteva; era il periodo di prova, vedi) quando ricevette da lui una lettera che diceva Abbiamo aspettato abbastanza, insieme a Clytie si mise subito a confezionare abito e velo da sposa con avanzi e scampoli; Ellen, l'oggetto d'arte esoterico, quasi barocco, quasi ermafrodito che con voracità infantile ella cercò di includere nel mobilio e arredamento della sua casa; Sutpen, l'uomo in cui, dopo averlo visto una volta e prima che alcun fidanzamento esistesse salvo nella mente di sua moglie, ravvisò una minaccia potenziale al coronamento (ora e finalmente) trionfale dei suoi antichi sacrifici e della sua ambizione, minaccia di cui era evidentemente tanto sicuro da sobbarcarsi a un viaggio di seicento miglia per comprovarla - e ciò in un uomo che avrebbe potuto sfidare e freddare a fucilate una persona da lui aborrita o temuta, ma senza fare nemmeno un viaggio di dieci miglia per indagare in proposito. Vedi? Ti verrebbe quasi fatto di credere che il viaggio di Sutpen a New Orleans fosse soltanto puro caso, soltanto un'altra illogica macchinazione di una fatalità la quale aveva prescelto quella famiglia tra tutte le altre della contea o del paese proprio come un ragazzino sceglie un formicaio fra tutti gli altri per versarci dentro acqua bollente, senza sapere nemmeno lui perché, Bon e Henry si fermarono due settimane e ripresero a cavallo la via del ritorno a scuola, sostando per fare una visita a Miss Rosa, ma lei non era in casa; passarono il lungo semestre precedente alle vacanze estive conversando e cavalcando e leggendo (Bon leggeva libri di giurisprudenza. Ciò era naturale, anzi quasi necessario, perché solo ciò avrebbe potuto rendergli sopportabile la sua permanenza, a parte qualunque ragione egli adducesse a se stesso per rimanere là - questa la cornice perfetta per la sua indolenza dilatoria: questo scavare nei libri ammuffiti di Blackstone e Coke dove, di un insieme di laureandi ancora limitato a un numero di due cifre, la facoltà di Legge probabilmente consisteva in sei persone in tutto oltre Henry e lui - sì, lui corruppe Henry anche in quello, nel farlo passare alla facoltà di Legge; Henry cambiò a metà semestre) mentre Henry scimmiottava il suo modo di vestire, e parlare, piuttosto in caricatura, forse. E Bon, per quanto ora avesse già visto Judith, era molto probabilmente lo stesso individuo pigro e gattesco al quale Henry ora imponeva il ruolo di promesso sposo della sorella, così come durante il semestre autunnale Henry e i suoi compagni gli avevano imposto il ruolo di Lotario; ed Ellen e Judith intanto andavano a far compere in paese due o tre volte la settimana e si fermarono una volta da Miss Rosa sulla strada di Memphis, con un carro che le precedeva per portare a casa il bottino e un negro in più a cassetta col cocchiere per sostare ogni poche miglia ad accendere un fuoco e riscaldare i mattoni su cui riposavano i piedi di Ellen e Judith; andavano per negozi a comperare il corredo per quello sposalizio il cui impegno formale non esisteva se non nella mente di Ellen; e Sutpen che aveva visto Bon una volta e si trovava a New Orleans a indagare sul suo conto quando Bon entrò nella casa la seconda volta: chissà a che cosa pensava, che cosa aspettava, quale momento, giorno, per andare a New Orleans a trovare ciò che sin da principio pareva già sicuro di trovare? Egli non aveva nessuno a cui dirlo, a cui parlare del suo timore e sospetto. Non si fidava di nessuno, uomo o donna, lui che non aveva l'affetto di nessun uomo e di nessuna donna, poiché Ellen era incapace di amore e Judith era troppo simile a lui e lui doveva aver capito a prima vista che Bon, sebbene fosse ancora possibile salvare la figlia da lui, gli aveva già corrotto il figlio. Aveva avuto troppo successo, vedi; gli toccava quella solitudine di disprezzo e sfiducia che il successo porta a chi se l'è guadagnato perché era forte e non semplicemente fortunato.

«Poi venne giugno e la fine dell'anno scolastico e Henry e Bon ritornarono a Sutpen's Hundred, Bon per passarci uno o due giorni prima di proseguire per il fiume e prendere il battello diretto a casa sua, a New Orleans dove si era già recato Sutpen benché nessuno lo sapesse, e men che tutti Ellen. Si fermò solo due giorni, eppure ora più che mai gli si offriva l'opportunità di venire a un'intesa con Judith, forse anche di innamorarsi di lei. Fu la sua unica opportunità, la sua ultima opportunità, sebbene certo né lui né Judith potessero saperlo, dato che Sutpen, pur essendo partito da due settimane soltanto, aveva indubbiamente già scoperto la faccenda dell'amante sanguemisto e del bambino. Così per la prima e ultima volta di Bon e Judith si sarebbe potuto dire che avessero campo libero - si sarebbe potuto, perché in realtà era Ellen che aveva campo libero. Me la immagino senz'altro a combinare quel corteggiamento, a fornire a Bon e Judith occasioni di appuntamenti e promesse con una riservata e indefessa ubiquità che essi dovettero tentare invano di eludere e sfuggire, Judith con preoccupazione infastidita pur se ancora serena, Bon con quel disgusto sardonico e sorpreso che pare fosse la manifestazione tipica del suo carattere impenetrabile e umbratile. Sì, umbratile; un mito, un fantasma, qualcosa che generarono e crearono da sé per intero, qualche effluvio del sangue e carattere di Sutpen, quasi che come uomo egli non esistesse affatto. Eppure c'era il corpo che Miss Rosa vide, che Judith seppellì nella tomba di famiglia accanto a sua madre. E questo: il fatto che perfino un impegno indefinito e mai dichiarato sopravvivesse, prova inconfutabile dell'assunto che essi si amassero davvero, poiché durante quei due giorni il puro romanzetto sentimentale sarebbe perito, morto di semplice zuccherosa opportunità. Poi Bon proseguì a cavallo per il fiume e prese il battello. E ora questo: chissà, forse se Henry fosse andato con lui quell'estate invece di attendere la successiva, Bon non avrebbe dovuto morire come fece; se solo Henry fosse andato allora a New Orleans e avesse scoperto allora la faccenda dell'amante e del figlio; Henry che, prima che fosse troppo tardi, avrebbe potuto reagire alla scoperta allo stesso modo di Sutpen, come ci si poteva aspettare che reagisse un fratello geloso, poiché forse non era il fatto dell'amante e del bambino, della possibile bigamia, l'oggetto della smentita di Henry, ma piuttosto il fatto che fu suo padre a dirglielo, suo padre a prevenirlo, il padre, nemico naturale di qualsiasi figlio e genero di cui la madre sia l'alleata, così come dopo le nozze il padre sarà l'alleato del genero che ha come nemico mortale la madre di sua moglie. Ma Henry non ci andò, stavolta. Accompagnò Bon al fiume e poi ritornò; dopo un certo tempo Sutpen tornò a casa anche lui, da dove e a quale scopo nessuno doveva sapere sino al prossimo Natale, e quell'estate passò, l'ultima estate, la passata estate di pace e contentezza, con Henry, indubbiamente senza espressa intenzione, intento a perorare la causa di Bon molto meglio di Bon stesso, di quanto si fosse mai curato di fare personalmente quel pigro fatalista, e Judith intenta ad ascoltarlo con quella serenità, quella tranquillità impenetrabile che circa un anno prima era stata la vaga e distaccata e sognante abulia della fanciulla ma era adesso della donna matura - una donna matura innamorata - un riposo. Fu allora che giunsero le lettere, e Henry intanto se le leggeva tutte, senza gelosia, con quella completa abnegatoria traslazione, metamorfosi nel corpo che doveva diventare l'amante di sua sorella. E Sutpen non diceva ancora niente di quanto aveva appreso a New Orleans ma solo aspettava, insospettato perfino da Henry e Judith, aspettava chissà che cosa, forse nella speranza che quando Bon fosse venuto a sapere, come era inevitabile, che Sutpen aveva scoperto il suo segreto, lui (Bon) si sarebbe reso conto di aver perduto la partita e l'anno seguente non sarebbe tornato nemmeno a scuola. Ma Bon invece tornò. Lui e Henry s'incontrarono ancora all'università; le lettere - di tutti e due adesso, Henry e Bon - compivano viaggi settimanali per mano del servo di Henry; e Sutpen sempre in attesa, certo nessuno poteva dire di che cosa, incredibile davvero che aspettasse proprio il Natale, la venuta della crisi - quest'uomo di cui si diceva che non soltanto andasse lui ad affrontare i suoi guai, ma a volte andasse a fabbricarseli. Ma stavolta attese e furono i guai a venire da lui: a Natale Henry e Bon si recarono ancora a Sutpen's Hundred e perfino il paese ora era stato convinto da Ellen che il fidanzamento esisteva; quel ventiquattro dicembre 1860, e i bambini negri, con rami di vischio e agrifoglio come scusa, già appostati sul retro della grande casa per gridare "regalo di Natale" ai bianchi, il ricco cittadino venuto a corteggiare Judith, e Sutpen che ancora non diceva niente, insospettato da tutti tranne forse da Henry che portò la questione al punto di crisi quella notte stessa, ed Ellen all'assoluta alta marea della sua vita irreale e senza peso che all'alba successiva doveva mancarle sotto i piedi e depositarla come un relitto, esausta attonita e smarrita, nella camera chiusa dove morì due anni dopo - la vigilia di Natale, l'esplosione, e nessuno mai doveva sapere perché o che cosa succedesse tra Henry e suo padre, e soltanto il bisbiglio dei negri di capanna in capanna doveva diffondere la notizia che Henry e Bon si erano allontanati a cavallo nel buio e che Henry aveva formalmente abiurato casa e diritto di nascita.

«Andarono a New Orleans. Cavalcarono nel freddo luminoso di quel giorno di Natale, sino al fiume, e presero il battello e Henry era ancora quello dei due che conduceva, guidava, come fece sempre sino all'ultimo, quando per la prima volta in tutta la loro relazione fu Bon a condurre e Henry a seguire. Henry non era costretto ad andare con lui. Egli si era volontariamente ridotto in miseria, ma avrebbe potuto andare da suo nonno, poiché pur possedendo probabilmente la miglior cavalcatura di tutta l'università, Bon compreso, aveva probabilmente pochissimo denaro all'infuori di quello che avrebbe potuto realizzare lì per lì impegnando il cavallo e la roba di valore che portava su di sé al momento in cui lui e Bon se ne andarono. No, non era costretto ad andarci. Bon gli cavalcava accanto, cercando di farsi dire da lui quel che era accaduto. Bon certo sapeva che cosa avesse scoperto Sutpen a New Orleans, ma aveva bisogno di sapere giusto che cosa, giusto quanto ne avesse detto Sutpen a Henry, e Henry invece non gli diceva niente. Certo Henry montava la nuova giumenta che sapeva probabilmente di dover poi abbandonare, sacrificare, insieme a tutto il resto della sua vita e retaggio, andava veloce adesso e le spalle rigide e irrevocabilmente voltate alla casa, al luogo nativo e a tutte le scene familiari della sua infanzia e giovinezza che aveva ripudiato per quell'amico con cui, a onta del sacrificio appena fatto per amore e fedeltà, egli ancora non poteva essere perfettamente franco. Perché lui sapeva che quanto gli aveva detto Sutpen era vero. Dovette esserne consapevole nel momento stesso in cui smentiva suo padre. Così non osò chiedere a Bon di negarlo; non osò, vedi. Lui se la sentiva di affrontare la povertà, la condizione del diseredato, ma non avrebbe potuto sopportare quella menzogna da Bon. Eppure andò a New Orleans. Ci andò difilato, all'unico posto, e proprio in quello, dove non avrebbe potuto fare a meno di comprovare in via definitiva quella stessa asserzione che, venendo da suo padre, egli aveva dichiarato menzogna. Ci andò per questo scopo; ci andò per dimostrarlo. E Bon, cavalcandogli al fianco tutto intento a cercar di sapere che cosa gli avesse detto Sutpen - Bon che da un anno e mezzo osservava Henry scimmiottare il suo modo di vestire e parlare, che da un anno e mezzo si vedeva oggetto di quella completa devozione capace di qualsiasi rinuncia che solo un giovane, mai una donna, dà a un altro giovane o uomo; che da un anno preciso ormai vedeva la sorella soccombere allo stesso incanto a cui già aveva ceduto il fratello, e ciò senza volontà da parte del seduttore, senza che questi levasse un dito, come se in realtà fosse stato il fratello a incantare la sorella, a sedurla in favore della propria immagine sostitutiva che camminava e respirava nella persona di Bon. Eppure ecco qui la lettera, inviata quattro anni dopo, scritta su un foglio di carta recuperato da una casa sventrata della Carolina, con lucido da stufe trovato in qualche sussistenza yankee catturata; quattro anni che lei non riceveva sue notizie, salvo gli annunci di Henry a conferma che lui (Bon) era ancora vivo. Così, sapesse Henry o no dell'altra donna, ora doveva per forza venirne a capo. Bon lo capì. Me li immagino mentre cavalcavano, Henry ancora nella fiera vampa ripercossa della lealtà rivendicata, e Bon, il più saggio dei due, il più perspicace se non altro per la sua più vasta esperienza e gli anni in più, intento ad apprendere da Henry a insaputa di quest'ultimo che cosa gli aveva detto Sutpen. Perché adesso Henry doveva pur venirne a capo. E non credo che fosse solo per serbarsi in Henry un alleato, per la crisi di qualche necessità futura. Era perché Bon non solo amava Judith alla sua maniera, ma amava anche Henry e, credo, in un senso più profondo che non semplicemente alla sua maniera. Forse nel suo fatalismo amava di più Henry, vedendo forse nella sorella soltanto l'ombra, il ricettacolo femminile con cui consumare l'amore il cui vero oggetto era il giovane - questo cerebrale dongiovanni che, invertendo l'ordine, aveva imparato ad amare quel che aveva ferito; forse si trattava di qualcosa di più che non Judith o Henry: forse la vita, l'esistenza ch'essi rappresentavano. Perché chissà quale quadro di pace poté vedere in quel monotono stagno provinciale; quale sollievo e rifugio per un viaggiatore riarso che si era spinto troppo lontano in età troppo giovane, in questa semplice sorgente di campagna circondata dal granito.

«E immagino benissimo come Bon lo poté dire a Henry, in una brusca rivelazione. Mi immagino Henry a New Orleans, lui che ancora non era stato nemmeno a Memphis, e la cui esperienza mondana consisteva tutta in soggiorni presso altre case, piantagioni, quasi intercambiabili con la sua, e dove conduceva la stessa vita che a casa sua - la stessa caccia e i combattimenti di galli, le stesse dilettantesche corse di cavalli su rozze piste improvvisate, cavalli abbastanza buoni quanto a sangue e pedigree ma non allevati per la corsa e forse da neppur mezz'ora liberati dalle bardature di un carrozzino o forse anche dalle stanghe di una carrozza; la stessa quadriglia con vergini provinciali identiche e intercambiabili al ritmo di una musica tale e quale la musica di casa sua, lo stesso champagne, il migliore indubbiamente ma rozzamente servito dall'eleganza di pantomima burlesca di maggiordomi negri che (non meno dei bevitori che lo tracannavano come whisky bello e buono fra un goffo brindisi fiorito e l'altro avrebbero trattato la limonata allo stesso modo. Me lo immagino, col suo retaggio puritano - quel retaggio particolarmente anglosassone - di fiero orgoglioso misticismo e quella capacità di vergognarsi dell'ignoranza e dell'inesperienza, in quella città straniera e paradossale, con la sua atmosfera insieme fatale e languida, insieme femminea e dura come acciaio - questo arcigno zotico senza spirito uscito da una tradizione granitica dove perfino le case, figurarsi poi gli abiti e i modi, sono fatte a immagine e somiglianza di un Geova geloso e sadico, depositato all'improvviso in un luogo i cui abitanti si erano creati il loro Onnipotente e il Suo ausiliario coro gerarchico di bei santi e angeli avvenenti a immagine delle loro case e ornamenti personali e vite voluttuose. Sì, immagino benissimo come Bon poté condurre le cose all'urto: la sagacia, il calcolo, che prepararono la mente puritana di Henry così come lui avrebbe preparato un campo accidentato e pietroso per poi seminarlo e coltivarvi la messe che voleva. Era al fatto della cerimonia, non importa di quale specie, che Henry avrebbe reagito: Bon lo sapeva. Non sarebbe stata la questione dell'amante o anche del bambino, e neppure l'amante negra e ancor meno il bimbo negro, poiché anche Henry e Judith erano cresciuti con una sorellastra negra; non l'amante di Henry, certo non l'amante negra di un giovane dell'ambiente di Henry, un giovanotto cresciuto e rimasto in una cerchia dove l'altro sesso è separato in tre sezioni nette, separate (due di esse) da un abisso che si poteva valicare soltanto una volta e in una sola direzione - signore, donne, femmine - le vergini che un giorno i signori sposavano, le cortigiane dalle quali si recavano durante le visite in città, le ragazze e donne schiave sulle quali trovava il suo appoggio quella prima casta e a cui in certi casi doveva indubbiamente lo stesso fatto della sua verginità - non questo per Henry, giovane qual era, di sangue forte, vittima del duro celibato dell'equitazione e della caccia che riscalda e istiga il sangue di un giovanotto, al che lui e quelli della sua specie erano costretti a cercarsi passatempi, dato che le ragazze della sua classe erano interdette e inaccessibili e le donne della seconda classe altrettanto inaccessibili per via del denaro e della distanza, e quindi soltanto le ragazze schiave, le ancelle curate e pulite da padrone bianche o forse addirittura ragazze dal corpo sudato reduci dai campi e il giovanotto ferma il cavallo e chiama con un cenno il sorvegliante e dice: Mandami Juno o Missylena o Chlory e poi si porta nel folto degli alberi e smonta e attende. No: sarebbe stata la cerimonia, una cerimonia celebrata, naturalmente, con una persona di colore, però sempre una cerimonia; ecco che cosa pensò indubbiamente Bon. Così me lo immagino benissimo, in che modo lo fece: il modo in cui prese la lastra innocente e impressionabile dell'anima e intelletto provinciale di Henry e la espose con lenta graduazione a questo ambiente esoterico, costruendo pian piano l'immagine che desiderava farvi rimanere, accettare. Me lo immagino nell'atto di corrompere progressivamente Henry introducendolo nei ritrovi dell'eleganza, senza alcun preambolo né avvertimento, l'assioma dopo il fatto, esponendo Henry lentamente all'aspetto esteriore - l'architettura un po' curiosa, un po' femminilmente fiammeggiante e quindi per Henry opulenta, sensuale, peccaminosa; l'illazione di grande e facile ricchezza misurata a carichi di battello anziché sul tedioso avanzare, passo a passo, di sudate figure umane attraverso campi di cotone; il lampo e il luccichio di mille ruote di carrozze ove donne regalmente assise e immobili e rapide a svanire dalla visuale apparivano come ritratti a olio accanto a uomini abbigliati in camicie un po' più fini e diamanti un po' più fulgidi e stoffa un po' più elegante e cappelli inclinati un po' di più su visi un po' più tenebrosamente superbi di quanto avesse mai visto Henry fino ad allora: e il mentore, l'uomo per il quale egli aveva ripudiato non solo sangue e parentado ma anche vitto e alloggio, il cui modo di vestire e parlare aveva tentato di scimmiottare, insieme poi al suo atteggiamento verso le donne e alle sue idee sull'onore e sull'orgoglio, l'uomo che lo osservava con quel freddo e felino calcolo imperscrutabile, che osservava l'immagine risolversi e fissarsi e poi diceva a Henry: "Ma non è questo. Questa è semplicemente la base, il fondamento. Può essere di tutti"; e Henry: "Vuoi dire che non è questo? Che è più su, più in alto, più selezionato?", e Bon: "Sì. Questo è solo il fondamento. Questo è di tutti"; un dialogo senza parole, linguaggio, che fissava e poi toglieva senza obliterarla una linea del quadro, questo sfondo, lasciando lo sfondo, la lastra preparata ancora innocente: la lastra docile, con quell'umiltà del puritano verso tutto ciò che è questione di senso piuttosto che di logica, di fatto, e intanto dietro tutto questo l'uomo, il cuore in lotta soffocante diceva: Ci voglio credere! Sì! Sì! Sia vero o no, ci voglio credere! e aspettava il prossimo quadro che il mentore, il corruttore, gli destinava: quella prossima immagine, in seguito alla cui fissazione e accettazione il mentore avrebbe forse ripetuto e con parole stavolta, sempre osservando il viso sobrio e pensieroso ma ancora sicuro nella sua conoscenza e fiducia in quel retaggio puritano che deve mostrare disapprovazione anziché sorpresa o anche disperazione e piuttosto nulla di nulla che non lasciare adito a interpretare la disapprovazione come sorpresa o disperazione: "Ma anche questo non è ciò che intendevo", e Henry: "Vuoi dire che è ancora più in alto, ancora più su di questo?". Perché lui (Bon) adesso parlava pigramente, quasi enigmaticamente, applicando lui direttamente sulla lastra l'immagine che vi voleva riprodotta; mi immagino bene come lo faceva - il calcolo, l'attenzione e il freddo distacco del chirurgo, le esposizioni brevi, così brevi da essere enigmatiche, quasi "staccato", la lastra ignara di quel che sarebbe stato il quadro completo, appena intravisto eppure inamovibile - un carrozzino, un cavallo da sella fermo davanti a un portale chiuso e curiosamente monastico in un quartiere un po' decadente, perfino un po' sinistro, e Bon che come per caso citava il nome del proprietario - questa, ancora sottile corruzione, operata inculcando nella mente di Henry l'idea di un uomo di mondo che parlava a un altro uomo di mondo, in modo che Henry sapesse che Bon credeva che Henry avrebbe capito anche da una parola isolata di che cosa stava parlando Bon, e Henry il puritano che a nessun costo doveva mostrare sorpresa o incomprensione, piuttosto nulla - una facciata con le imposte chiuse e vuota, sonnecchiante nel vaporoso sole del mattino, investita dalla voce blanda ed enigmatica di qualcosa che sapeva di piaceri segreti e curiosi e inimmaginabili. Senza che egli sapesse che cosa vedeva era come se per Henry la vuota e scrostantesi barriera dissolvendosi producesse e rivelasse non già comprensione alla mente, all'intelletto che soppesa e scarta, ma sfondasse invece dritto filato puntando su qualche primitivo cieco e alogico fondamento di tutti i sogni e tutte le speranze viventi in ogni giovane maschio - una fila di volti come un bazar di fiori, la suprema apoteosi della proprietà, della carne umana generata dalle due razze per quella vendita - un corridoio di condannati e tragici visi-fiori murati fra l'arcigna fila guardiana delle vecchie e le figure eleganti di giovani agghindati predatori e (in quel momento) fauneschi: tutto ciò visto da Henry in fretta, esposto in fretta e poi tolto, la voce del mentore sempre blanda, piacevole, enigmatica, che presupponeva sempre il fatto di un uomo di mondo che parlava a un altro uomo di mondo di qualcosa che entrambi capivano e contava sempre, faceva assegnamento, sull'orrore provinciale del puritano per qualsiasi manifestazione di sorpresa o ignoranza da parte sua, il mentore che conosceva Henry tanto meglio di quanto Henry non conoscesse lui, e Henry non tradiva neppure, reprimeva sempre quel primo grido di terrore e pena. Voglio crederci! Sì! Sì! Sì, con quella brevità, prima che Henry avesse avuto il tempo di sapere che cosa aveva visto, ma ora rallentava: ora doveva giungere il momento per il quale Bon aveva costruito - un muro, invalicabile, una porta poderosamente serrata, il sobrio e pensieroso giovane di campagna in attesa, intento a guardare, senza ancor domandare perché o che cosa, la porta di solide travi al posto della grata di ferro battuto delicata come pizzo e loro due che passavano oltre, Bon che bussava a una porticina adiacente donde erompe un uomo bruno simile a una creatura tolta da una vecchia xilografia della Rivoluzione francese, preoccupato, anche un po' esterrefatto, guardando prima la luce del giorno e poi Henry e parlando a Bon in francese, incomprensibile a Henry e i denti di Bon luccicano per un istante prima ch'egli risponda in francese: "Con lui? Un americano? Lui è un ospite; io dovrei lasciargli scegliere le armi e non voglio saperne di combattere con le asce. No, no; non questo. Soltanto la chiave". Soltanto la chiave; e ora, i solidi battenti si chiusero alle loro spalle anziché davanti, sopra le mura alte e spesse non un ritaglio né un segno della bassa città e non un suono, la massa labirintica di oleandri e gelsomini, spalliere di lantana e mimosa, eppur sempre la striscia di terra nuda pettinata e condita di conchiglie macinate, ben rastrellata e immacolata e soltanto le più recenti fra le macchie brune ancora visibili, e la voce - il mentore, la guida che ora si teneva in disparte per osservare la grave faccia provinciale - casualmente e piacevolmente aneddotica: "La maniera abituale è di mettersi schiena contro schiena, la pistola nella mano destra e l'angolo dell'altro mantello nella sinistra. Poi al segnale cominci a camminare, e quando senti il mantello tirare ti volti e spari. Sebbene ci sia di tanto in tanto, quando il sangue è molto caldo o quando è ancora sangue paesano, chi preferisce i pugnali e un solo mantello. Si affrontano sotto lo stesso mantello, vedi, tenendosi ciascuno per il polso con la mano sinistra. Ma io non ho mai fatto a quel modo" - casuale, in tono di pura chiacchiera, vedi, aspettando la lenta domanda del campagnolo che ora sapeva già la risposta prima di porre la domanda: "E perché vi battete, tu - loro?".

«Sì, Henry adesso sapeva, o credeva già di sapere; qualunque cosa lui l'avrebbe probabilmente considerata di effetto diminutivo benché si trattasse di ben altro, anzi del colpo, tocco finale, l'attenta manipolazione del chirurgo che i nervi ormai scossi del paziente non avrebbero nemmeno avvertito, ignari che i primi duri colpi erano stati quelli menati a caso e con rudezza. Perché c'era quella cerimonia. Bon sapeva che a quella Henry avrebbe resistito, quella appunto avrebbe trovato dura a inghiottire e digerire. Oh, era ben perspicace quest'uomo che da settimane ormai Henry si accorgeva di conoscere sempre meno, questo straniero immerso e dimentico ormai nei formali, quasi rituali preparativi della visita, sottilizzando quasi come una donna sul taglio del nuovo abito che avrebbe ordinato per Henry, costretto Henry ad accettare per questa occasione, grazie a cui tutta l'impressione che Henry doveva ricevere dalla visita sarebbe definita prima ancora che essi lasciassero la casa, prima ancora che Henry vedesse la donna: e Henry, il campagnolo sbalordito, con la sottile marca già calante sotto di lui verso il punto dove gli toccava o tradire se stesso e tutta la sua educazione e maniera di pensare, o rinnegare l'amico per il quale aveva già ripudiato casa e parentado e tutto quanto; lui, sbalordito, incapace (per allora) di una soluzione e iniziativa, lui che voleva credere eppure non vedeva il modo di riuscirvi, condotto dall'amico, dal mentore, oltre una di quelle porte inscrutabili e curiosamente inanimate come quella davanti a cui aveva visto il cavallo o il carrozzino, e così in un posto che per la sua mentalità provinciale di puritano era il capovolgimento completo della moralità e la morte dell'onore - un posto creato per e dalla voluttà, per i sensi indomiti e indomabili, e il ragazzo di campagna col suo semplice codice indisturbato d'altri tempi in cui le femmine erano dame o prostitute o schiave guardava l'apoteosi di due razze condannate presieduta dalla sua stessa vittima - una donna dal volto di magnolia tragica, l'eterna femmina, l'eterna Colei-che-soffre; il figlio, il ragazzo, dormiente tra seta e pizzo, certo, eppur completa proprietà di colui che, procreandolo, lo possedeva corpo e anima da vendere (se lo voleva), come un vitello o un cucciolo o una pecora; e il mentore di nuovo proteso a osservare, fors'anche il giocatore che ora pensava: Ho vinto o perduto? mentre uscivano di lì per tornare alle stanze di Bon, per quel momento impotente anche in fatto di parole e perspicacia, non più contando ormai su quel carattere puritano che non doveva mostrare né sorpresa né disperazione, costretto a contare adesso, semmai sulla corruzione stessa, l'amore; non poteva dire nemmeno: "Ebbene? Che ne dici?". Poteva soltanto aspettare, e ciò tenendo conto delle azioni assolutamente imprevedibili di un uomo che viveva di istinto e non di ragione, che Henry parlasse: "Ma una donna comperata. Una puttana"; e Bon, perfino gentilmente ora: "No, non una puttana. Non dirlo. Anzi, non chiamarle mai così a New Orleans: altrimenti potrai trovarti costretto ad acquistare quel privilegio con un po' del tuo sangue da un migliaio di uomini"; e forse ancora gentilmente, ora fors'anche, ora, con un po' di pietà: quella pessimistica e sardonica pietà cerebrale dell'intelligente per qualsiasi umana ingiustizia o follia o sofferenza: "No, non puttane. E non puttane per via di noialtri, i mille. Noi - i mille bianchi - le abbiamo fatte, create e prodotte; noi abbiamo persino fatto le leggi le quali dichiarano che un ottavo di una determinata specie di sangue pesa più di sette ottavi di un'altra specie. Lo ammetto. Ma quella stessa razza bianca ne avrebbe fatto anche delle schiave lavoratrici, cuoche, anche braccianti, se non fosse stato per questi mille, questi pochi uomini come me senza princìpi né onore, dirai forse. Noi non possiamo, forse non vogliamo neppure, salvarle tutte; forse le mille che salviamo non sono neppure una su mille. Ma quell'una la salviamo. Iddio può badare a ogni passero, ma noi non pretendiamo di essere Dio, vedi. Forse non vogliamo neppure essere Dio, poiché nessun uomo vorrebbe più d'uno di questi passeri. E forse quando Dio guarda in uno di questi edifici come quello che hai visto stasera, non sceglierebbe nemmeno uno di noi per succedergli al rango di Dio ora che Lui è vecchio. Quantunque Egli debba essere stato giovane una volta, certo Egli fu giovane una volta, e certo uno che esiste da tanto tempo come Lui, e ha guardato tanto crudo e promiscuo peccare privo di grazia o freno o decoro come a Lui è toccato di guardare, per contemplare infine, sebbene gli esempi ne siano sì e no uno su mille volte mille, i princìpi dell'onore, decoro e gentilezza applicati all'istinto umano perfettamente normale che voialtri anglosassoni insistete a chiamare libidine e al cui servizio ritornate nelle vostre vacanze alle caverne primordiali, la caduta da quella che voi chiamate grazia annebbiata e rannuvolata da parole di estenuazione e spiegazione fatte per sfidare il cielo, il ritorno alla grazia celebrato da grida di sazio autoavvilimento e flagellazione fatte per placare il cielo, e in nessuna di queste cose però - sfida o propiziazione - può il cielo trovare interesse o anche, dopo le prime due o tre volte, distrazione. Così forse, ora che Dio è un vecchio, non Gli interessa la maniera in cui noi serviamo ciò che voi chiamate libidine, forse Egli non ci chiede nemmeno di salvare quest'unico passero, così come noi non salviamo certo l'unico passero che salviamo per alcuna Sua raccomandazione. Ma noi senz'altro salviamo quell'uno, che se non fosse stato per noi sarebbe stato venduto a qualsiasi bruto in possesso del denaro necessario, non già venduto per una notte come una prostituta bianca, ma anima e corpo e per la vita a colui che avrebbe potuto usarne con maggiore impunità di quanto oserebbe fare con un animale, giovenca o puledra, per poi scartarla o rivenderla o anche assassinarla non appena sciupata o non appena le spese di mantenimento superassero il prezzo pagato. Sì: un passero che Dio stesso dimenticò di segnare. Perché sebbene siano stati gli uomini, i bianchi, a crearla, Dio non si fermò lì. Egli gettò il seme che la portò a fioritura - il sangue bianco per dare forma e pigmento di ciò che l'uomo bianco chiama bellezza femminile, a un principio femminile che esisteva, regale e completo, nell'ardente inguine equatoriale del mondo prima che quello nostro, bianco, scendesse dagli alberi e perdesse la villosità e sbiancasse

- un principio pronto, docile e pregno di strani e antichi, curiosi piaceri della carne (che è tutto: non c'è nient'altro) da cui le sue sorelle bianche di un ieri avventizio rifuggono con orrore morale e offeso

- un principio che, laddove la sua sorella bianca deve per forza cercare di farne una questione economica come chi insista per installare un banco o una bilancia o una cassaforte in un negozio o ditta per una certa percentuale sui profitti, regna, saggio supino e onnipotente, dal letto serico senza sole che è il suo trono. No: non puttane. Nemmeno cortigiane

- creature prese all'infanzia, prescelte ed elette e allevate con più cura di qualsiasi ragazza bianca, di qualsiasi monaca, perfino di qualsiasi giumenta di razza, da una persona che dedica loro l'insonne attenzione che nessuna madre dà mai. Per un dato prezzo, naturalmente, ma un prezzo offerto e accettato o declinato attraverso un sistema più formale di quanti ne vigano per la vendita delle ragazze bianche, dato che queste han più pregio come creature di lusso che non le ragazze bianche, allevate e addestrate come sono ad assolvere l'unico fine e proposito della donna: amare, essere belle, divertire; destinata, ciascuna di loro, a non vedere mai faccia di uomo sin quando non viene portata al ballo e offerta, e scelta da qualche uomo che in compenso, non già potrà o vorrà ma dovrà fornirle l'ambiente adatto in cui amare ed essere bella e divertire, e che di solito dovrà rischiare la vita o almeno il suo sangue per tale privilegio. No, non puttane. A volte credo che siano le sole donne fedeli e caste, per non dire vergini, in America, ed esse rimangono devote e fedeli a quell'uomo non solo fin quando lui muore o le libera, ma fin quando muoiono. E dove la trovi una puttana o una dama da cui ti puoi aspettare che faccia questo?" e Henry: "Ma tu l'hai sposata. Tu l'hai sposata"; e Bon - ora un po' più in fretta, un po' più aspramente ora, sebbene ancora gentile, ancora paziente, sebbene ancora ferro, acciaio - il giocatore non ancora del tutto ridotto alla sua ultima carta: "Ah già. Quella cerimonia. Vedo. E questo, dunque. Una formula, una parola d'ordine insignificante come un gioco da ragazzi, compiuta da qualcuno creato dalla situazione alla cui esigenza rispondeva: una vecchia che borbotta qualcosa in un antro rischiarato da una manciata di stoppa accesa, qualcosa pronunciato in una lingua che neppure le ragazze stesse comprendono più, forse nemmeno la vecchia stessa, non radicato in alcun interesse per lei o per alcuna possibile progenie poiché lo stesso fatto della nostra acquiescenza, del nostro aver tollerato la farsa, è stato per lei la prova e la sicurezza di ciò che la cerimonia in sé non poteva mai imporre; tale da non conferire a nessuno nuovi diritti e a nessuno negare i vecchi - un rituale insignificante come quello degli studenti nelle loro stanze segrete al college di notte, fin gli stessi simboli arcaici e dimenticati - tu lo chiami un matrimonio, quando una prima notte di nozze e l'incontro casuale con una prostituta pagata consistono nella stessa signoria su una camera (temporaneamente) privata, lo stesso ordine nel levarsi gli stessi indumenti, la stessa congiunzione in un solo letto? Perché non chiamare anche quello un matrimonio?" e Henry: "Oh, lo so. Lo so. Tu mi dai due più due e mi dici che fa cinque e fa davvero cinque. Ma c'è pur sempre il matrimonio. Immaginiamo per esempio che io assuma un obbligo verso un uomo che non sa parlare la mia lingua, quindi l'obbligo gli venga dichiarato nella sua lingua e io aderisca: sono io forse meno obbligato perché non conoscevo la lingua in cui lui accettò la mia dichiarazione in buona fede? No: anzi, tanto più, tanto più" e Bon - l'ultima carta adesso, la voce gentile: "Hai dimenticato che questa donna, questo bambino, sono dei negri e basta? Tu, Henry Sutpen di Sutpen's Hundred nel Mississippi? Tu, parlarmi di matrimonio, di nozze, in questo caso?" e Henry - la disperazione ora, l'ultimo aspro grido di ripulsa irrevocabile: "Sì. Lo so. Questo lo so. Ma la cosa sussiste sempre. Non è giusta. E nemmeno il fatto che sia stato tu a commetterla la rende giusta. Nemmeno tu".

«E tutto finì lì. Avrebbe dovuto finir tutto lì; quel pomeriggio di quattro anni dopo avrebbe dovuto avvenire l'indomani; i quattro anni, l'intervallo, una mera discesa di tono: attenuazione e prolungamento di una conclusione già maturata, per opera della guerra cioè di una stupida e sanguinaria aberrazione nell'alto (e impossibile) destino degli Stati Uniti, forse istigata da quella fatalità di famiglia che possedeva, insieme a ogni circostanza all'uopo, quella curiosa mancanza di economia tra causa ed effetto che è sempre una caratteristica del fato quando si riduce a usare esseri umani come strumenti, materiali. Comunque, Henry attese quattro anni, tenendoli tutti e tre in quella sospensione, quella prigionia, aspettando, sperando, che Bon rinunciasse alla donna e sciogliesse il matrimonio che lui (Henry) ammetteva non essere matrimonio, e a cui doveva aver capito, non appena vista la donna e il bambino, che Bon non avrebbe rinunciato. In effetti, come il tempo passava e Henry si andava assuefacendo all'idea di quella cerimonia che pure non era matrimonio, quello appunto poté essere il cruccio di Henry - non le due cerimonie ma le due donne; non il fatto che l'intenzione di Bon fosse quella di commettere bigamia ma secondo ogni apparenza fare di sua (di Henry) sorella una specie di odalisca più giovane in un harem. Ad ogni buon conto egli aspettò, sperò, per quattro anni. Quella primavera ritornarono a nord, nel Mississippi. C'era stata la battaglia di Bull Run e all'università si organizzava una compagnia tra gli studenti, Henry e Bon vi si arruolarono. Probabilmente Henry scrisse a Judith dove si trovavano e che cosa intendevano fare. Si arruolarono insieme, vedi, Henry sorvegliando Bon e Bon lasciandosi sorvegliare, la prova, la prigionia: l'uno non osava perdere d'occhio l'altro, non per timore che Bon sposasse Judith approfittando dell'assenza di Henry, ma che Bon sposasse Judith e poi lui (Henry) dovesse vivere il resto dei suoi anni sapendo di essere lieto d'aver subito quel tradimento con la gioia del vile di potersi arrendere senza essere stato debellato; l'altro per quella stessa ragione, poiché non avrebbe potuto volere Judith senza Henry dovendo essere stato sempre sicuro di poter sposare Judith quando voleva, a onta del fratello e del padre, perché, come ho detto prima, non era Judith l'oggetto dell'amore di Bon o della sollecitudine di Henry. Lei era semplicemente la forma astratta, il ricettacolo vuoto in cui ciascuno di loro si sforzava di preservare, non già l'illusione di se stesso o la propria illusione nei riguardi dell'altro, ma ciò che ognuno riteneva di essere nel concetto dell'altro - l'uomo e il giovane, seduttore e sedotto, che si erano conosciuti, reciprocamente sedotti, ciascuno a sua volta vittima dell'altro, vincitore debellato dalla sua stessa forza, vinto che in grazia della propria debolezza conquistava la vittoria, prima che Judith entrasse nelle loro vite congiunte anche solo come puro nome di ragazza. E chissà? c'era la guerra adesso; chissà che la fatalità e le vittime della fatalità non pensassero, sperassero entrambi che la guerra sistemasse la faccenda, lasciasse libero uno dei due termini irriconciliabili, poiché non sarebbe stata la prima volta che la gioventù prendeva la catastrofe come un atto diretto della Provvidenza avente il solo scopo di risolvere un problema personale che la gioventù stessa non poteva risolvere.

«E Judith: come spiegarla altrimenti che in questo modo? Certo Bon non avrebbe potuto corromperla convertendola al fatalismo in dodici giorni, lui che non solo non aveva tentato di rubarle la castità, ma nemmeno di indurla a sfidare il padre. No: tutt'altro che una fatalista, lei che dei due figli era la Sutpen con la spietata legge dei Sutpen di prendersi ciò che voleva purché ne avesse la forza, mentre l'altro, Henry, era il Coldfield con l'ingombro, tipico dei Coldfield, di moralità e regole di lecito e illecito; lei che mentre Henry urlava e vomitava, guardava dall'alto del fienile quella sera lo spettacolo di Sutpen che si batteva mezzo nudo con uno dei suoi negri mezzi nudi, con lo stesso interesse freddo e attento con cui Sutpen avrebbe osservato Henry battersi con un ragazzo negro della sua età e peso. Perché lei non avrebbe potuto sapere il motivo per cui suo padre si opponeva al matrimonio. Henry non glielo avrebbe mai detto, e lei non lo avrebbe mai domandato al padre. Perché, se anche lo avesse saputo, per lei sarebbe stato lo stesso. Avrebbe agito alla maniera in cui avrebbe agito Sutpen con chiunque cercasse di intralciarlo: si sarebbe presa Bon in qualunque modo. Me la immagino perfino ad assassinare, se necessario, l'altra donna. Ma lei certo non avrebbe fatto nessuna indagine per poi sostenere un dibattito morale fra ciò che voleva e ciò che riteneva lecito. Eppure aspettò. Aspettò quattro anni, senza ricevere da lui un rigo salvo tramite Henry, cioè l'annuncio che lui (Bon) era vivo. Era la prova, la prigionia; tutti e tre l'accettarono; non credo che ci fosse mai tra Bon e Henry alcuna promessa richiesta o profferta. Salvo Judith, la quale non poteva sapere che cosa fosse successo e perché. - Hai notato come tanto spesso, quando cerchiamo di ricostruire le cause delle azioni umane, come con una sorta di stupore ci si trovi senz'altro ridotti a credere, sola credenza possibile, che esse derivino da qualcuna delle antiche virtù? Il ladro che ruba non per avidità ma per amore, l'assassino che uccide non per torbida passione ma per pietà? Judith, che dava implicita fiducia là dove aveva dato amore, e implicito amore là donde traeva respiro e orgoglio: quel vero orgoglio, non la specie falsa che trasforma ciò che al momento non capisce in sprezzo o offesa e così si sfoga in ripicche e lacerazioni, ma il vero orgoglio che sa dire a se stesso senza abbassarsi Io amo, io non accetterò sostituti; qualcosa è accaduto fra lui e mio padre; se mio padre aveva ragione, non lo vedrò mai più, se aveva torto, verrà lui da me o mi manderà a chiamare; se potrò essere felice lo sarò, se dovrò soffrire, ne sarò capace. Perché lei aspettava; non fece alcuno sforzo in altro senso; i suoi rapporti col padre non erano mutati di un ette; a vederli insieme, si sarebbe detto che Bon non fosse mai esistito - gli stessi due volti calmi e impenetrabili nella carrozza in paese durante i primi mesi dopo che Ellen s'era messa a letto, fra quel Natale e il giorno in cui Sutpen partì col reggimento suo e di Sartoris. Non parlavano, non si dicevano niente, vedi - Sutpen taceva quanto aveva appreso sul conto di Bon; Judith, il fatto di sapere dove si trovavano Bon e Henry. Non avevano bisogno di parlare. Si somigliavano troppo. Erano come diventano due persone quando evidentemente si conoscono tanto bene e sono tanto affini che il potere, il bisogno di comunicare mediante il linguaggio si atrofizza per il disuso e, comprendendo senza dover ricorrere al tramite dell'orecchio o dell'intelletto, non comprendono più le parole reciprocamente formulate. Così lei non gli disse dove si trovavano Henry e Bon e lui non venne a saperlo se non quando fu partita la compagnia dell'università, perché Bon e Henry si arruolarono e poi si nascosero in qualche posto. Dovettero certo farlo; dovettero sostare a Oxford solo il tempo necessario per arruolarsi prima di proseguire il loro viaggio a cavallo, perché nessuno di coloro che li conoscevano a Oxford o a Jefferson sapeva che essi appartenevano già alla compagnia, cosa questa che sarebbe stato quasi impossibile nascondere altrimenti. Perché ora la gente - padri e madri e sorelle e parenti e innamorate di quei giovanotti - affluiva a Oxford da più lontano ancora che da Jefferson - famiglie con tanto di cibarie e lenzuola e servitù, ad accamparsi tra le famiglie, le case, di Oxford stessa, a osservare la balda marcia e contromarcia di figli e fratelli, tutti quanti attratti, ricchi e poveri, aristocratici e bifolchi da quella che è forse la più commovente visione di massa di tutta l'esperienza di massa umana, molto più che non lo spettacolo di tante vergini in procinto di essere sacrificate a qualche principio pagano, qualche Priapo - la visione dei giovani, i leggeri scavezzacolli, la brillante, balda e illusa carne viva di sangue abbigliata in un marziale scintillio di ottone e piume, in partenza per una battaglia. E di notte poi c'era musica - violino e triangolo in mezzo alle candele accese, il rigonfiarsi delle tendine in alte finestre sull'oscurità d'aprile, l'oscillare della crinolina indiscriminato entro il cerchio di semplici risvolti grigi dei soldati o la banda d'oro degli ufficiali, di un esercito anche se non una guerra di gentiluomini, dove fante e colonnello si chiamavano a vicenda per nome non come un contadino chiama un altro contadino di qua da un aratro fermato nel campo o di qua da un banco in un negozio carico di tela e formaggio e olio da corregge, ma come un uomo ne chiama un altro di sopra le dolci spalle incipriate delle donne, di sopra i due calici levati di chiaretto di moscato o champagne comperato - musica, l'ultimo valzer ripetuto nella notte mentre i giorni passavano e la compagnia aspettava il momento della partenza, l'ardito banale luccichio contro una notte nera non catastrofica ma funzionante da puro sfondo, la perenne ultima profumata primavera della giovinezza; e Judith non c'era e Henry il romantico non c'era e Bon il fatalista, nascosto da qualche parte, l'osservatore osservato: e le ricorrenti albe fiorite di quell'aprile e maggio e giugno piene di trombe, irrompenti in cento finestre dove cento vedove non ancora spose sognavano, vergini assenti, sulle ciocche di capelli neri o bruni o biondi, e Judith non era tra loro: e cinque della compagnia, a cavallo, con servi e camerieri personali in un carro da foraggio, nelle loro nuove, immacolate uniformi grigie facevano un giro dello Stato con la bandiera, il vessillo della compagnia, i segmenti di seta tagliati e aggiustati ma non cuciti, di casa in casa finché l'innamorata di ciascun appartenente alla compagnia non vi aveva dato qualche gugliata, e Henry e Bon non erano neppure fra questi, poiché non raggiunsero la compagnia se non dopo la sua partenza. Dovettero sbucare da quel qualsiasi posto dove si erano appiattati, sbucando come inosservati dai cespugli o dalla macchia ai margini della strada, per entrare in fila al passaggio della compagnia in marcia; tutti e due - il giovane e l'uomo, il giovane privato due volte ora del suo diritto di nascita, il giovane che avrebbe dovuto figurare tra le candele e i violini, i baci e le lacrime disperate, che avrebbe dovuto figurare tra la stessa guardia della bandiera che fece il giro dello Stato col vessillo da cucire; e l'uomo che non avrebbe dovuto esserci affatto, che era troppo vecchio per esserci, d'anni e di esperienza: quell'orfano mentale e spirituale il cui destino era in apparenza di esistere in qualche limbo a metà strada fra dove si trovava la sua corporeità e dove desiderava trovarsi la sua mentalità e attrezzatura morale - uno studente all'università, eppure dal mero cumulo d'anni di anzianità sospinto di forza come fuori corso in una classe di sei membri in tutto; nella guerra, da quella stessa forza sospinto nell'isolamento del grado di ufficiale. Fu promosso tenente prima ancora che la compagnia ricevesse il battesimo del fuoco. Non credo che lo volesse; mi immagino perfino che potesse tentare di evitarlo, rifiutando. Ma era lì, lui, vero orfano ancora una volta di quella stessa situazione a cui e da cui era condannato - loro due, ufficiale e uomo di truppa ma pur sempre sorvegliante e sorvegliato, in attesa di qualcosa senza sapere che, quale atto del fato, destino, quale irrevocabile sentenza di quale giudice o arbitro fra loro poiché null'altro poteva servire, nulla che fosse a mezzo o reversibile pareva bastare - l'ufficiale, il tenente che possedeva il lieve vantaggio autorizzato di poter dire Tu va' là, di rimanere almeno talvolta dietro il plotone da lui diretto; il fante che trasportò caricandoselo sul dorso quell'ufficiale, ferito da un proiettile alla spalla, mentre il reggimento arretrava sotto il fuoco dei cannoni yankee a Pittsburg Landing, lo portò in salvo evidentemente al solo scopo di sorvegliarlo altri due anni, scrivendo intanto a Judith che erano vivi entrambi, e non c'era altro da dire.

«E Judith. Lei ora viveva sola. Forse aveva sempre vissuto sola sin da quel Natale dell'anno prima e poi dall'altro anno ancora e tre e quattro anni addietro, poiché sebbene Sutpen se ne fosse andato adesso col reggimento suo e di Sartoris, e i negri - la razza selvaggia con cui aveva creato Sutpen's Hundred - avessero seguito le prime truppe yankee passate per Jefferson, lei viveva in tutt'altro che solitudine, con Ellen confinata a letto nella camera dalle persiane chiuse, bisognosa di attenzione incessante come i bambini mentre con quella stupita e passiva incomprensione aspettava di morire; e lei (Judith) e Clytie a creare e mantenere un orticello per vivere; e Wash Jones, che viveva nell'abbandonato capanno da pesca in rovina lungo il fiume, costruito da Sutpen dopo che la prima donna - Ellen - era entrata nella sua casa e l'ultimo cacciatore di cervi e orsi ne era uscito, e dove permetteva ora di vivere a Wash e a sua figlia e alla nipotina neonata, accudiva al lavoro di giardinaggio pesante e riforniva Ellen e Judith e poi Judith sola di pesce e selvaggina di quando in quando, entrando anche in casa, lui che prima della partenza di Sutpen non si era mai avvicinato più in là della pergola di vite moscata dietro la cucina dove la domenica pomeriggio lui e Sutpen bevevano dalla damigiana e dal secchio di acqua sorgiva che Wash attingeva a quasi un miglio di lì, Sutpen chiacchierando nella sua amaca di doghe e Wash accoccolato contro un palo, a ridacchiare e sghignazzare. Non era solitudine e certo non ozio per Judith: lo stesso viso sereno e impenetrabile, solo un po' più vecchio ora, un po' più affilato, che era comparso in paese nella carrozza accanto a quello di suo padre una settimana dopo che si era risaputo del fidanzato e del fratello che avevano lasciato la casa di notte ed erano spariti. Quando si recava in paese adesso, nell'abito rifatto che tutte le donne del Sud ora portavano, sempre in carrozza ma tirata da un mulo adesso, un mulo da aratro, ben presto il mulo da aratro senza nemmeno un cocchiere per guidarlo, per mettergli i finimenti e levarglieli, a unirsi alle altre donne - allora c'erano dei feriti a Jefferson - nell'ospedale improvvisato dove (lei, la vergine ben curata, la supremamente e tradizionalmente oziosa) pulivano e vestivano i corpi lordati di feriti e morti forestieri e facevano garze con le tendine e lenzuola e biancheria delle case dov'erano nate; nessuna che le domandasse del fratello e dell'innamorato, mentre parlavano tra loro di figli e fratelli e mariti con dolore e lacrime forse, ma almeno con certezza, conoscenza, con Judith in attesa anche lei, come Henry e Bon, senza sapere di che cosa ma, a differenza di Henry e Bon, senza sapere nemmeno perché. Poi Ellen morì, la farfalla di un'estate dimenticata morta ormai da due anni - l'involucro senza sostanza, l'ombra inaccessibile a qualsiasi alterazione dissolutiva per via della sua stessa incorporeità: non corpo da seppellire: solo la forma, il ricordo, trasportato in qualche pomeriggio pacifico senza campane o catafalco in quel bosco di cedri, a giacervi in polvere - lieve paradosso sotto le mille libbre del monumento marmoreo che Sutpen (il colonnello Sutpen adesso, poiché Sartoris era stato deposto l'anno prima all'elezione annuale degli ufficiali del reggimento) aveva portato nel carro reggimentale da foraggio da Charleston, Carolina del Sud, per collocarlo poi sopra la lieve depressione che Judith gli aveva detto essere la tomba di Ellen. E poi morì suo nonno, morto d'inedia inchiodato nella sua soffitta, e Judith indubbiamente invitò Miss Rosa a venirsene a Sutpen's Hundred e Miss Rosa rifiutò, in attesa anche, a quanto pare, di questa lettera, questa prima parola diretta ricevuta da Bon in quattro anni e che, una settimana dopo aver seppellito anche lui, accanto alla tomba della madre, portò in paese lei stessa, nel surrey tirato dal mulo che sia lei sia Clytie avevano imparato a prendere e bardare, e la diede a tua nonna, portando la lettera volontariamente a tua nonna, lei che (Judith) non si recava a visitare nessuno ormai, non aveva più amici, indubbiamente ignara quanto tua nonna del motivo per cui aveva scelto lei per darle la lettera; non esile ora ma emaciata, il cranio Sutpen traspariva davvero adesso di sotto la consunta carne Coldfield, il viso che da tempo aveva dimenticato come essere giovane eppure assolutamente impenetrabile, assolutamente sereno: niente lutto, nemmeno dolore, e tua nonna a domandare: "Io? Vuoi che la tenga io?".

«"Si" disse Judith. "Oppure distruggetela. Come volete, leggetela se volete oppure non leggetela se volete. Perché si fa così poca impressione, vedete. Tu vieni al mondo e tenti e non sai perché solo continui a tentare e vieni al mondo insieme a un mucchio di altre persone, tutta aggrovigliata a loro, come loro tentando, dovendo muovere braccia e gambe con cordicelle, solo che le stesse cordicelle sono legate a tutte le altre braccia e gambe e gli altri tentano tutti quanti e neanche loro sanno perché, tranne che le cordicelle si impicciano tutte a vicenda come sarebbe a dire cinque o sei persone tutte intente a cercar di fare una stuoia sullo stesso telaio solo che ciascuna vuol tessere la stuoia secondo il proprio disegno; e non può avere importanza, lo sapete, sennò Coloro i quali impiantarono il telaio avrebbero predisposto le cose un po' meglio, eppure deve avere importanza purché tu seguiti a tentare o a dover continuare a tentare e poi tutt'a un tratto è finita e tutto quel che ti rimane è un blocco di pietra con qualche scalfittura sopra purché ci sia stato qualcuno a ricordarsi di far scalfire e collocare il marmo, o che ne abbia avuto il tempo, e ci piove sopra e il sole ci splende e dopo un po' non si ricordano neppure il nome e quello che le scalfitture tentavano di dire, e non ha importanza. E così forse se tu potessi andare da qualcuno, quanto più estraneo tanto meglio, e dargli qualcosa - un pezzo di carta - qualcosa, qualunque cosa, non certo perché abbia un significato in sé e gli altri non debbono neppure leggerlo o tenerlo, nemmeno preoccuparsi di buttarlo via o distruggerlo, almeno sarebbe qualcosa giusto perché sarebbe accaduto, sarebbe ricordato quand'anche solo passando da una mano all'altra, da una mente all'altra, e sarebbe almeno una scalfittura, qualcosa, qualcosa da poter lasciare un segno su qualcosa che fu una volta per il motivo che può morire un giorno, mentre il blocco di pietra non può essere è perché non può mai diventare fu perché non può mai morire o perire..." e tua nonna a scrutarla, il viso impenetrabile, calmo, assolutamente sereno, e a gridare:

«"No! No! Non questo! Pensa al tuo..." e il viso che la osservava a sua volta, comprendendo, ancora sereno, nemmeno amaro:

«"Oh. Io? No, non questo. Perché qualcuno dovrà prendersi cura di Clytie, e del papà pure, presto, che vorrà qualcosa da mangiare quando ritornerà perché non durerà più molto dato che adesso han cominciato ad ammazzarsi l'un l'altro. No. Non questo. Le donne non fanno questo per amore. Credo che neanche gli uomini lo facciano. E non adesso, comunque. Perché non ci sarebbe posto adesso, per andarci, dovunque sia, se c'è. Sarebbe già pieno. Zeppo. Come un teatro, un teatro d'opera, se quel che ti aspetti di trovare è dimenticanza, distrazione, divertimento; come un letto già troppo pieno se quel che vuoi trovare è un'opportunità di sdraiarti tranquillamente e dormire e dormire..."».

Mr. Compson si mosse. Alzandosi a metà, Quentin gli prese la lettera e sotto la lampadina fioca e sporca d'insetti l'aprì, con cura, come se il foglio, il rettangolo di carta seccata, non fosse la carta ma l'intatta cenere della sua antica forma e sostanza: e intanto la voce di Mr. Compson che proseguiva mentre Quentin l'udiva senza ascoltare. «Ora puoi vedere perché ho detto che lui l'amava. Perché c'erano altre lettere, molte, galanti fiorite indolenti frequenti e insincere, mandate a mano per quelle quaranta miglia da Oxford a Jefferson dopo quel primo Natale - il gesto ozioso e delicatamente adulatore (e indubbiamente privo di significato per lui) del dongiovanni cittadino verso la fanciulla bucolica - e quella fanciulla bucolica, con quella profonda e assolutamente inesplicabile tranquilla paziente chiaroveggenza delle donne contro cui la vana posa di quel dongiovanni cittadino era semplicemente un grottesco lazzo da ragazzino, quella fanciulla a ricevere le lettere senza capirle, senza nemmeno tenerle, malgrado tutti i loro eleganti e galanti e tediosamente studiati giri di forma e metafora, sin quando non giungeva la successiva. Ma tenendosi però questa che dovette raggiungerla come un fulmine a ciel sereno dopo un intervallo di quattro anni, considerando quest'una degna di essere data a un'estranea perché la tenesse o non la tenesse, perfino la leggesse <? non la leggesse come meglio pareva all'estranea, per fare quella scalfittura, quel segno imperituro sul vuoto volto dell'oblio a cui siamo tutti condannati, di cui essa parlò...». Quentin udendo senza dovere ascoltare, mentre leggeva la tenue ragnatela della calligrafia come qualcosa di impresso sulla carta da una mano altra volta viva ma come un'ombra gettatavi sopra che si fosse risolta nella carta un momento prima che lui la guardasse e che poteva dissolversi, svanire, da un momento all'altro mentre lui leggeva ancora: la lingua morta che parlava dopo i quattro anni e poi dopo quasi altri cinquanta, gentile sardonica capricciosa e incurabilmente pessimistica, senza data o esordio al vocativo o firma:

 

Noterai come io non insulti nessuno di noi due affermando che questa è la voce dello sconfitto, per non dire del morto. Anzi, se fossi un filosofo dedurrei, concluderei un singolare e opportuno commento sui tempi nonché un presagio del futuro da questa lettera che tu ora tieni in mano - un foglio per appunti che reca, come puoi vedere, la migliore marca francese con filigrana di settantanni fa, recuperato (rubato se vuoi) dalla dimora sventrata di un nobile rovinato; e scritto a mano col miglior lucido da stufe confezionato nemmeno dodici mesi fa in una fabbrica del New England. Sì. Lucido da stufe. L'abbiamo catturato: una storia in se stessa. Immaginaci, un assortimento omogeneo di spaventapasseri, non dirò affamati perché per una donna, dama o femmina che sia, sotto la linea Mason e Dixon in quest'anno di grazia 1865, tale parola sarebbe pura ovvietà, come dire che noi respiriamo. E non dirò laceri o anche senza scarpe, perché lo siamo già da tanto tempo che ci siamo abituati ormai, solo, grazie a Dio (e ciò mi ridona fede non nella natura umana forse ma almeno nell'uomo) che lui in realtà non si abitua alle asprezze e alle privazioni: è soltanto la mente, la grossolana onnivora anima greve di carogne che ci si avvezza; il corpo invece, grazie a Dio, non dimentica mai la vecchia soffice carezza del sapone e della biancheria pulita e qualche cosa fra la pianta del piede e la terra per distinguerlo dal piede di una bestia. Così diciamo che avevamo semplicemente bisogno di munizioni. E immaginaci, noi spaventapasseri con uno di quei piani ruminati dalla disperazione degli spaventapasseri che non soltanto debbono riuscire ma riescono in effetti, per il fatto che non c'è assolutamente posto per l'alternativa davanti all'uomo o al cielo, non una nicchia sulla terra o sotto di essa se non trovi posto per sostare o tirare il fiato o essere sepolto e inumato; e noi (gli spaventapasseri) a effettuarlo con molto slancio, per non dire chiasso; immagina, dico, la preda e il premio, i dieci pingui carri senza difesa dei vivandieri gli spaventapasseri a farne rotolar giù cassa su cassa, una bella cassa dopo l'altra, stampigliate con quella U. e quella S. che da quattro anni ormai è per noi il simbolo del bottino appartenente ai vinti, dei pani e dei pesci mentre era una volta la fronte incandescente, l'aureola fulgida della Corona di Spine; e gli spaventapasseri ad artigliare le casse con sassi e baionette e perfino a mani nude, e ad aprirle alla fine per trovare - che cosa? Lucido da stufe. Galloni e galloni e galloni del miglior lucido da stufe, neanche una cassa più vecchia di un anno e che indubbiamente ancora tentava di raggiungere il generale Sherman con qualche ordine operativo in ritardo o corretto che gli diceva di lucidare le stufe prima di dar fuoco alle case. Come ridemmo. Sì, ridemmo, perché io ho imparato questo almeno durante questi quattro anni: che ci vuole proprio lo stomaco vuoto per ridere, che solo quando sei affamato o spaventato estrai qualche ultima essenza dal riso né più né meno come lo stomaco vuoto estrae l'essenza ultima dall'alcol. Ma almeno abbiamo lucido da stufe. Ne abbiamo tantissimo. Ne abbiamo troppo, perché non ci vuol molto a dire quello che ho da dire io, come puoi vedere. E così la conclusione e il vaticinio che traggo, quantunque non sia un filosofo, sono questi.

 

Abbiamo aspettato abbastanza. Noterai come io non ti insulti nemmeno dicendo che ho aspettato abbastanza. E perciò, siccome non ti insulto dicendo che solo io ho aspettato, non aggiungo aspettami. Perché non posso dire quando aspettarmi. Perché ciò che FU è una cosa, e ora non è perché è morta, è morta nel 1861, e perciò quel che È... (Ecco. Hanno ricominciato la sparatoria. Il che - il menzionarlo - è pure ridondanza, come citare il respirare o il bisogno di munizioni. Perché a volte penso che non sia mai cessata. Non è cessata, certo; non voglio dire questo. Voglio dire, che non c'è più stata, che c'è stata quella sparatoria quattro anni fa che risuonò una volta e poi si arrestò, ipnotizzata con tutte le bocche dei fucili in aria, nell'atteggiamento congelato del proprio sbalordito stupore e mai ripetuta e divenuta ora soltanto la sonora eco sbalordita suscitata dal moschetto che una sentinella stanca lascia cadere o dalla caduta dello stesso corpo spossato, dall'aria che giace sulla terra dove risuonò per la prima volta quella sparatoria e dove deve rimanere tuttora perché nessun altro spazio sotto il cielo la vuole ricevere. Così ciò significa che è ancora l'alba e che io devo smettere. Smettere che cosa? dirai. Ebbene, smettere di pensare, ricordare - nota che non dico sperare - farsi ancora una volta per un certo periodo senza confini né collocazione nel tempo, insensato e irrazionale compagno e inquilino di un corpo che, anche dopo quattro anni, con una sorta di tremenda e incorruttibile fedeltà per me incredibilmente ammirevole, è ancora immerso e perduto in ricordi d'una antica pace e contentezza di cui non so nemmeno di ricordare i nomi dei suoi profumi e suoni, un corpo che ignora perfino la presenza e minaccia di un arto troncato quasi in virtù di qualche promessa e convinzione d'immortalità segretamente avuta e infallibile. Ma per concludere). Non posso dirti quando aspettarmi. Perché ciò che È è qualcosa d'altro ancora in quanto non era nemmeno vivo allora. E allora siccome entro questo sottile foglio di carta tu hai ora il meglio del vecchio Sud che è morto, e le parole che leggi sono state scritte col meglio (ogni cassa diceva, il meglio) del nuovo Nord che ha vinto e che perciò, gli piaccia o meno, dovrà sopravvivere, io credo ora che tu e io si sia, strano a dirsi, compresi fra coloro i quali sono condannati a vivere.

 

«E questo è tutto» disse Mr. Compson. «Ella la ricevette e con Clytie confezionò l'abito da sposa e il velo con avanzi di stoffa - forse pezze destinate, che avrebbero dovuto diventare bende e non lo diventarono. Lei non sapeva quando sarebbe venuto perché non lo sapeva nemmeno lui: e forse lui lo disse a Henry, mostrò a Henry la lettera prima di spedirla, e forse no; forse ancora soltanto l'osservazione e l'attesa, l'uno che diceva a Henry Ho aspettato abbastanza e Henry che diceva all'altro Rinunci allora? Rinunci? e l'altro che diceva Io non rinuncio. Per quattro anni ormai ho dato al destino l'opportunità di compiere lui la rinuncia per me, ma sembra che io sia condannato a vivere, che lei e io si sia entrambi condannati a vivere - la sfida e l'ultimatum lanciati accanto a un fuoco di bivacco, l'ultimatum consumato davanti al cancello al quale entrambi dovettero recarsi a cavallo quasi fianco a fianco: l'uno calmo e inflessibile, forse anche privo di resistenza, fatalista fino all'ultimo; l'altro senza rimorso con implacabile e inalterabile dolore e disperazione...». (Parve a Quentin di poterli vedere davvero, l'uno di fronte all'altro sul cancello. Oltre il cancello ciò che una volta era un parco si stendeva, incolto, in ispida desolazione, con un'aria di sogno, remota e attonita come il viso non sbarbato di un uomo che si sta svegliando dopo una narcosi, fino a una grande casa dove una ragazza attendeva in un abito nuziale fatto di pezze rubate, e la casa pure partecipava di quell'aria di sgretolantesi desolazione, non per aver sofferto di un'invasione ma come un guscio, una conchiglia abbandonata e dimenticata in un riflusso di catastrofe - uno scheletro che dava di se stesso lente particole di mobilio e tappeti, biancheria e argento, per aiutare a morire uomini dilaniati e angosciati che sapevano, nel momento stesso della morte, che da mesi ormai il sacrificio e l'angoscia erano vani. Essi si affrontarono sui due magri cavalli, due uomini, giovani, non ancora nel mondo, non ancora abbastanza sfiniti da essere vecchi ma con occhi vecchi, capelli incolti e facce smunte e conciate dalle intemperie, come fuse nel bronzo da qualche mano spartana e perfino avara, in uniformi grigie logore e rappezzate e stinte ormai sino ad avere il colore delle foglie morte, una coi gradi sporchi da ufficiale, l'altra priva di risvolto, la pistola ancora posata sull'arcione e non puntata, le due facce calme, le voci nemmeno alzate: Non oltrepassare l'ombra di questo palo, questo ramo, Charles', e Io lo passerò, Henry) «... e poi Wash Jones su quel mulo senza sella davanti al cancello di Miss Rosa, a gridare il suo nome nell'assolata quiete pacifica della via, dicendo: "Siete voi Rosie Coldfield? Allora è meglio che veniate laggiù. Henry ha sparato a quel dannato tizio francese. L'ha fatto secco come un bue"».