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Era un'estate di glicini. Il crepuscolo ne era pieno e anche dell'odore del sigaro di suo padre mentre sul davanti sedevano nella veranda dopo cena in attesa dell'ora in cui Quentin avrebbe dovuto avviarsi, mentre nell'erba alta e incolta del prato sotto la veranda le lucciole fiorivano e vagavano in tenera casualità - l'odore, il profumo che di lì a cinque mesi la lettera di Mr. Compson avrebbe portato su dal Mississippi, passando per la lunga neve ferrigna del New England, nel salotto di Quentin a Harvard. Era pure una giornata di ascolto - l'ascoltare, l'udire ancora nel 1909 per lo più ciò ch'egli già sapeva, poiché era nato nella stessa aria, e ancora la respirava, in cui avevano squillato le campane della chiesa quella mattina domenicale del 1833 (e, la domenica, udiva perfino una delle tre campane originarie nello stesso campanile dove i discendenti degli stessi piccioni gonfiavano il petto o tubavano o ruotavano in brevi giri simili a tenere pennellate fluide sul tenero cielo estivo); una domenica mattina di giugno, con le campane che suonavano pacifiche, perentorie e un po' cacofoniche - le varie Chiese concordi seppur non intonate - e le signore e i bambini, e i domestici negri per portare parasoli e scacciamosche, e anche alcuni uomini (le signore giravano in crinolina fra gli abitini di panno fino dei bimbi e i mutandoni delle bimbe, nelle gonne dell'epoca in cui le signore non camminavano ma veleggiavano) quando gli altri uomini seduti coi piedi appoggiati al parapetto del portico della Holston House alzarono gli occhi, ed ecco, c'era lì il forestiero. Era già a metà della piazza quando lo avvistarono, in sella a un grosso cavallo roano duramente provato, e uomo e bestia parevan esser stati creati dall'aria stessa e deposti nel luminoso sole della domenica estiva nel bel mezzo di uno stanco trotterellare - faccia e cavallo che nessuno di loro aveva mai visto prima, nome che nessuno di loro aveva mai udito e origine e propositi che alcuni di loro non sarebbero mai giunti a conoscere. Cosicché nelle quattro settimane seguenti (Jefferson allora era un villaggio: la Holston House, il tribunale, sei negozi, una fucina di fabbro ferraio adibita anche a scuderia, un bar frequentato da mandriani e venditori ambulanti, tre chiese e forse trenta case di abitazione) il nome dello straniero corse su e giù fra i luoghi di affari e d'ozio e fra le residenze, in costante movimento di strofe e antistrofe: Sutpen. Sutpen. Sutpen. Sutpen.

Per quasi un mese la gente non seppe altro di lui. A quanto pareva era entrato in paese da sud - venticinque anni circa, come venne a sapere poi, perché a quell'epoca la sua età non si sarebbe potuta indovinare, lui aveva l'aria di un uomo appena uscito da una malattia. Non di chi se ne fosse stato pacificamente a letto malato e, guarito, si muovesse con una specie di stupore diffidente e incerto in un mondo ch'egli aveva già creduto di stare per perdere, ma di chi fosse passato attraverso qualche solitaria scottante esperienza un po' più cospicua della semplice febbre, come un esploratore diciamo, costretto non solo ad affrontare la normale durezza dell'impresa da lui prescelta ma sorpreso anche dallo svantaggio ulteriore e imprevisto della febbre contro cui aveva vittoriosamente combattuto a prezzo enorme, non tanto fisico quanto mentale, solo e senz'altro e non in virtù della cieca volontà istintiva di superare la prova e scampare, ma di conquistarsi e tenere per goderselo il premio materiale per cui aveva gettato la sua posta originaria. Un uomo dalla struttura massiccia ma ormai smagrito, fin quasi emaciato, con una barbetta rossiccia che pareva una mascheratura e sopra la quale gli occhi pallidi avevano un'espressione insieme visionaria e vigile, spietata e calma in un volto dalla carne come di terracotta, che dava l'impressione di esser stata colorata da quella febbre di forno o dell'anima o dell'ambiente, più profonda del sole solitario sotto una morta superficie impervia come di creta vetrificata. Ecco che cosa videro, però ci vollero anni perché il paese sapesse che a quell'epoca lui non possedeva altro - il forte cavallo sfinito e i panni che portava addosso e una piccola bisaccia ampia appena da contenere la biancheria di ricambio e i rasoi, e le due pistole di cui Miss Coldfield parlava a Quentin, coi calci lisci e consumati come manici di badili, armi che lui maneggiava con la precisione di ferri da calza; in seguito il padre di Quentin lo vide cavalcare al piccolo galoppo intorno a un arboscello a una distanza di oltre sei metri e piantare entrambi i proiettili in una carta da gioco fissata al tronco. Aveva una stanza alla Holston House ma si portava la chiave con sé e ogni mattina foraggiava e sellava il cavallo e partiva prima dell'alba, e anche questo il paese non riuscì mai a sapere per dove, probabilmente a causa del fatto che lui diede lo spettacolo della pistola il terzo giorno dopo il suo arrivo. Così dovettero ricorrere alle domande per scoprire quel che potevano di lui, e ciò avveniva necessariamente di sera, ai tavoli da pranzo nel salone della Holston House o nell'atrio, ch'egli doveva pur attraversare per raggiungere la sua camera e chiudersi a chiave la porta alle spalle, cosa che faceva appena finito di mangiare. Il bar dava anche nell'atrio, e quello sarebbe stato, o avrebbe dovuto essere, il posto per accostarlo e anche rivolgergli domande, solo che lui non si serviva del bar. Non beveva affatto, disse loro. Non disse di aver avuto l'abitudine di bere e di aver smesso, né di essere sempre stato astemio. Disse semplicemente che non gli andava di bere; ci vollero anni perché lo stesso nonno di Quentin (anche lui era un giovanotto allora; mancavano ancora anni e anni perché diventasse il generale Compson) sapesse che la ragione per cui Sutpen non beveva era che non aveva il denaro per pagare la sua parte o ricambiare la cortesia; fu il generale Compson a constatare per primo che a quell'epoca Sutpen non solo non aveva denaro da spendere per le bevute e la convivialità, ma nemmeno il tempo e la voglia: che a quell'epoca egli era completamente schiavo della sua impazienza segreta e furiosa, della sua convinzione acquisita da quella sua recente esperienza sconosciuta - da quella febbre mentale o fisica - del bisogno di fretta, del tempo che gli sfuggiva tra le mani, che doveva sospingerlo per i cinque anni successivi - come a occhio e croce calcolò il generale Compson, fino a circa nove mesi prima della nascita di suo figlio.

Così lo acchiappavano, lo mettevano con le spalle al muro, nell'atrio fra il tavolo della cena e la sua porta serrata per dargli modo di dir loro chi fosse e donde venisse e che progetti avesse, al che lui si spostava gradualmente e costantemente sin quando la schiena non veniva a contatto con qualcosa - una colonna o un muro - e poi stava lì e diceva loro cose senza importanza, un bel nulla di nulla, con la stessa piacevolezza e cortesia di un impiegato d'albergo. Fu l'agente indiano Chickasaw con cui, o tramite il quale, lui trattò, e così fu soltanto quando svegliò l'archivista della contea quel sabato notte con l'atto, concessione governativa, riflettente il possesso della terra e la moneta d'oro spagnola, che il paese seppe che lui ora possedeva un cento miglia quadrate della miglior terra vergine alluvionale di tutta la zona, però anche questa notizia giunse troppo tardi perché Sutpen stesso se n'era andato via, e dove, ancora una volta non si sapeva. Ma ora lui apparteneva alla categoria dei proprietari terrieri del luogo, e alcuni cominciarono a sospettare quel che il generale Compson evidentemente sapeva: che la moneta spagnola da lui versata per far registrare la sua concessione era l'ultimo quattrino che gli rimanesse. Così ora ebbero la certezza che fosse partito per procurarsene ancora; parecchi poi precorsero nell'opinione (e anche proclamandolo ad alta voce, ora che lui non c'era) quanto doveva dire a Quentin quasi ottant'anni dopo la futura cognata di Sutpen, in quel tempo ancora non nata: che lui aveva trovato qualche modo pratico di nascondere il bottino fatto e che era ritornato al nascondiglio per riempirsi le tasche, se non era addirittura tornato con le due pistole al fiume e ai battelli pieni di giocatori e mercanti di cotone e di schiavi per rifornire il nascondiglio. O almeno così si dicevano alcuni di loro due mesi dopo quand'egli tornò, sempre senza preavviso e accompagnato stavolta dal carro coperto con un conducente negro e sul sedile accanto al negro un ometto vigilmente rassegnato dall'accigliata e devastata faccia latina, in giacca a coda di rondine e panciotto a fiori e cappello non certo adatto a far furore in un boulevard di Parigi, tutta roba che doveva poi sempre indossare per i due anni successivi - il vestiario cupamente teatrale e l'espressione di fatalistica e stupefatta determinazione - mentre il suo cliente bianco e la squadra negra che lui doveva consigliare nei lavori ma non dirigere andavano nudi come Dio li aveva fatti tranne per un rivestimento di fango secco. Questi era l'architetto francese. Anni dopo il paese apprese che se n'era venuto fin dalla Martinica in base a una semplice promessa di Sutpen e aveva vissuto per due anni a base di selvaggina cotta all'aperto in una tenda senza pavimento ricavata dalla copertura del carro, prima di vedere l'ombra di una paga. E fin quando ripassò dal paese per tornare a New Orleans due anni dopo, non doveva più rivedere Jefferson; non veniva, o Sutpen non lo portava, in paese nemmeno in quelle poche occasioni in cui ci si vedeva Sutpen, e quel primo giorno non ebbe grandi opportunità di vedere Jefferson perché il carro non si fermò. Evidentemente fu per puro caso geografico che Sutpen passò dal paese sostando solo quel tanto che bastò a qualcuno (non il generale Compson) per dare un'occhiata sotto la copertura del carro in una galleria nera piena di occhi fermi e graveolente come una tana di lupi.

Ma la leggenda dei negri selvaggi di Sutpen non doveva cominciare subito, perché il carro proseguì come se anche il legno e il ferro che lo componevano, al pari dei muli che lo tiravano, per pura associazione con lui si fossero imbevuti di quella scarna e instancabile ansia di moto, quella convinzione di fretta e di tempo fuggitivo; in seguito Sutpen raccontò al nonno di Quentin che quel pomeriggio in cui il carro passò per Jefferson erano a stomaco vuoto dalla sera precedente e lui tentava di raggiungere Sutpen's Hundred e il fiume per veder di abbattere un cervo prima di notte, per non dover passare un'altra notte senza cibo, lui e l'architetto e i negri selvaggi. Così la leggenda degli uomini selvaggi ritornò gradualmente in paese, portata dagli uomini che uscivano a cavallo per osservare quel che succedeva, e cominciarono a raccontare come Sutpen se ne stesse lungo una pista di selvaggina con le pistole e mandasse i negri a perlustrare la palude come una muta di cani; furono loro a dire come durante quella prima estate e autunno i negri non avessero neppure (e non usassero) coperte per dormirci, fin da prima che il cacciatore di tassi Akers sostenesse di averne stanato uno dal mare di melma come un alligatore addormentato, gridando appena in tempo. I negri non sapevano ancora una parola di inglese e indubbiamente varie persone oltre ad Akers ignoravano che la lingua in cui comunicavano con Sutpen era una specie di francese e non qualche oscuro e funesto idioma noto soltanto a loro.

Ce n'erano molti oltre ad Akers, sebbene gli altri fossero cittadini rispettabili e proprietari terrieri e quindi non avessero da aggirarsi la notte intorno al bivacco. Infatti, come disse a Quentin Miss Coldfield, formavano comitive con ritrovo alla Holston House e uscivano a cavallo, portandosi spesso anche la colazione. Sutpen si era costituito una fornace e aveva installato la sega e la pialla che si era portato al carro - un argano con una lunga trave di manovra costituita da un albero giovane, con attaccati la pariglia del carro e i negri a turno e lui pure quand'era necessario, quando il macchinario rallentava - quasi che i negri fossero stati davvero dei selvaggi; come disse il generale Compson a suo figlio, il padre di Quentin, mentre i negri lavoravano Sutpen non alzava mai la voce contro di loro, e invece li guidava, li esortava al giusto momento psicologico con l'esempio, con l'ascendente della tolleranza anziché della paura bruta. Senza smontare (di solito Sutpen non li salutava nemmeno con un cenno, evidentemente ignorando la loro presenza come se fossero stati ombre oziose) si sedevano in un crocchio taciturno e curioso come a reciproca protezione e guardavano crescere la sua grande dimora, portata asse per asse e mattone per mattone fuori dalla palude là dove l'argilla e il legname aspettavano - il bianco barbuto e i venti neri tutti nudi come Dio li aveva fatti sotto la melma insinuante e invadente. Essendo uomini, questi spettatori non si rendevano conto che gli abiti indossati da Sutpen la prima volta ch'era entrato in Jefferson erano gli unici che gli avessero visto mai addosso, e ben poche delle donne della contea lo avevano visto. Altrimenti, alcuni di loro avrebbero precorso Miss Coldfield anche in questo: nell'indovinare che lui si stava risparmiando i vestiti, poiché il decoro se non proprio l'eleganza sarebbe stata l'unica arma (o piuttosto, scala) con cui potere sferrare l'estremo assalto a ciò che Miss Coldfield e forse altri ancora ritenevano essere la rispettabilità - quella rispettabilità che, stando al generale Compson, nelle segrete intenzioni di Sutpen consisteva in ben altro che il puro acquisto di una castellana per la sua casa. Così lui e i venti negri lavoravano assieme, tutti imbrattati di fango a difesa dalle zanzare e, come disse a Quentin Miss Coldfield, distinguibili l'uno dagli altri solo per quella sua barba e quei suoi occhi, e soltanto l'architetto pareva una creatura umana grazie agli abiti francesi che portò sempre con una specie di invincibile fatalità sino all'indomani del giorno in cui la casa fu completata tranne per i vetri delle finestre e le ferramenta, che non potevano fabbricarsi con le loro mani, e l'architetto partì - avevano lavorato nel sole e nella calura estiva e nel fango e nel ghiaccio invernale, con furia pacata e incrollabile.

Gli ci vollero due anni, a lui e alla sua squadra di schiavi importati che i suoi concittadini di adozione consideravano ancora come ben più micidiali di qualsiasi bestia egli avesse potuto stanare e abbattere in quella contrada. Lavoravano dall'alba al tramonto mentre gruppi di cavalieri si portavano fin lì e stavano quieti in sella a osservare, e l'architetto vestito di tutto punto col suo cappello parigino e con la sua espressione di cupo ed esacerbato stupore si aggirava nelle vicinanze della scena con quella sua aria tra lo spettatore fortuito e del tutto incurante e lo spettro condannato e coscienzioso - stupore, diceva il generale Compson, non tanto degli altri e di quel che stavano facendo quanto di se stesso, del fatto inesplicabile e incredibile della sua presenza lì. Ma era un buon architetto; Quentin conosceva la casa, a dodici miglia da Jefferson, in mezzo al suo boschetto di cedri e querce, settantacinque anni dopo che era stata terminata. E non soltanto un architetto, come diceva il generale Compson, ma un artista perché solo un artista avrebbe potuto sopportare quei due anni per costruire una casa che lui senza dubbio non solo pensava ma fermamente intendeva di non rivedere mai più. Non già, diceva il generale Compson, le durezze inflitte ai sensi e l'oltraggio inflitto alla sensibilità dal soggiorno di due anni, ma Sutpen: solo un artista poteva sopportare la spietata fretta di Sutpen eppure riuscire a domare il sogno di cupa magnificenza da castello a cui Sutpen evidentemente mirava, poiché il luogo nei progetti di Sutpen sarebbe stato grande quasi come la stessa Jefferson di quell'epoca; e il piccolo straniero accigliato e provato dai disagi da solo aveva dato battaglia, sgominandola, alla fiera e tracotante vanità di Sutpen o desiderio di magnificenza o rivendicazione o che altro fosse (perfino il generale Compson non lo sapeva ancora) e creato così dalla stessa sconfitta di Sutpen quella vittoria che, prevalendo, Sutpen medesimo non sarebbe riuscito a conquistarsi.

Così fu finita, sino all'ultima asse e mattone e caviglia di legno che erano in grado di farsi da sé. Priva d'intonaco e di mobilio, senza un vetro alle finestre o una maniglia o un cardine alle porte, a dodici miglia dal paese e quasi altrettante da qualsiasi vicino, stette per altri tre anni, attorniata dai suoi bei giardini e viali, alloggi degli schiavi stalle e affumicatoi; tacchini selvatici erravano a un miglio dalla casa e cervi venivano lievi e del colore del fumo e lasciavano delicate impronte nelle belle aiuole dove per altri quattro anni non ci sarebbero stati fiori. Poi ebbe inizio un periodo, una fase, durante la quale il paese e la contea lo osservarono con sconcerto ancora maggiore. Era forse perché il successivo passo verso quello scopo segreto che il generale Compson affermava di aver intuito ma che paese e contea comprendevano solo vagamente o per nulla, richiedeva ora pazienza o tempo passivo anziché quella furia incalzante a cui egli li aveva abituati; ora furono le donne a sospettare per prime che cosa volesse, quale sarebbe stato il prossimo passo. Nessuno degli uomini, certo non quelli che lo conoscevano tanto da chiamarlo per nome, sospettò che volesse prendere moglie. Indubbiamente ce n'eran di quelli, ammogliati e scapoli, che non solo avrebbero respinto l'idea a priori ma avrebbero anche protestato contro di essa, perché per i tre anni successivi egli condusse quella che per loro doveva essere una vita perfetta. Lui viveva là fuori, a otto miglia da qualunque vicino, in virile solitudine in quella che si poteva chiamare la circoscritta santabarbara di un fasto baronale. Viveva nel guscio spartano di quello ch'era il più grande edificio della contea, tribunale non eccettuato, la cui soglia nessuna donna aveva neanche mai visto, senza effeminate mollezze di vetri alle finestre o porta o materasso; dove non soltanto non c'era una donna a protestare se faceva dormire i cani con lui sul pagliericcio, non aveva nemmeno bisogno di cani per uccidere la selvaggina che lasciava orme visibili dalla porta di cucina, ma la cacciava invece con l'ausilio di esseri umani che gli appartenevano anima e corpo e di cui si credeva (o diceva) che sapessero scovare un cervo maschio appiattito e tagliargli la gola prima che potesse fare una mossa.

Fu a quell'epoca che cominciò a invitare le comitive maschili di cui Miss Coldfield parlava a Quentin, lì a Sutpen's Hundred ad accamparsi con le coperte nelle nude stanze della sua embrionale opulenza ancor priva di contenuto; andavano a caccia, e di notte giocavano a carte e bevevano, e senza dubbio all'occasione lui metteva i negri in lizza l'uno contro l'altro e forse sin d'allora prendeva parte anche lui ai combattimenti di quando in quando - quel tale spettacolo che, secondo Miss Coldfield, suo figlio non riusciva assolutamente a sopportare mentre sua figlia guardava senza batter ciglio. Sutpen adesso beveva anche lui, quantunque altre persone probabilmente, oltre il nonno di Quentin, notassero che beveva con molta parsimonia salvo quando era riuscito a fornire lui stesso un po' di liquore. I suoi ospiti si portavano con sé il whisky, ma lui ne beveva con una specie di calcolo risparmiatore quasi tenendo mentalmente, a detta del generale Compson, una sorta di bilancio di contropartita spirituale fra la quantità di whisky che lui accettava e la quantità di cacciagione che forniva a sua volta ai fucili degli altri.

Visse così per tre anni. Adesso aveva una piantagione; nello spazio di due anni aveva tirato su casa e giardini dalla palude inviolata, e arato e seminato la sua terra con sementi di cotone prestategli dal generale Compson. Poi parve lasciar tutto in abbandono. Parve giusto mettersi a sedere in mezzo a quel che aveva quasi ultimato, e rimanersene così per tre anni durante i quali non mostrò nemmeno di prefiggersi o desiderare altro. Forse non c'è da meravigliarsi se gli uomini del posto giunsero a credere che la vita che ora conduceva fosse stata sempre il suo scopo; era il generale Compson, che evidentemente, a suo tempo, lo conosceva abbastanza da offrirgli un prestito di sementi di cotone come avviamento, era lui a saperne più degli altri, l'unico al quale Sutpen avesse mai detto qualcosa del suo passato. Fu il generale Compson a apprendere per primo della moneta spagnola che era l'ultima rimastagli, come fu Compson (così apprese poi il paese) a offrire a Sutpen un prestito per terminare e arredare la casa, e ne ebbe un rifiuto. Così indubbiamente il generale Compson fu il primo uomo della contea a dirsi che Sutpen non aveva bisogno di prendere denaro a prestito per completare la casa, fornirla di ciò che ancora le mancava, perché intendeva sposarlo, questo denaro. Non la prima persona a saperlo: piuttosto il primo uomo, poiché, stando a quanto raccontò Miss Coldfield a Quentin settantacinque anni dopo, le donne della contea seguitavano a dirsi l'un l'altra, e ai mariti pure, che Sutpen non intendeva piantare le cose al punto dov'erano, che si era già sobbarcato troppi fastidi, troppe privazioni e asprezze, per smettere il lavoro e condurre una vita identica a quella vissuta durante la costruzione della casa tranne per il fatto di avere adesso un tetto per riparare il suo sonno invece di un tendone di carro sulla nuda terra. Probabilmente le donne si erano già date da fare tra le famiglie degli uomini che ora si potevano chiamare suoi amici, per sapere chi fosse quella sposa designata che con la sua dote poteva completare forma e sostanza di quella rispettabilità che Miss Coldfield riteneva comunque essere la sua mira. Così quando, allo spirare di questa seconda fase, tre anni dopo il completamento della casa e la partenza dell'architetto, e ancora di domenica mattina e ancora senza preavviso, il paese lo vide attraversare la piazza, a piedi ora ma con gli stessi indumenti con cui era entrato a cavallo in paese cinque anni addietro e che nessuno aveva più visto d'allora (lui o uno dei negri avevano stirato la giubba con mattoni riscaldati, come disse al padre di Quentin il generale Compson), ed entrare nella chiesa metodista, solo alcuni degli uomini ne furono sorpresi. Le donne dissero semplicemente che aveva esaurito le possibilità delle famiglie degli uomini coi quali aveva cacciato e giocato e ora veniva in paese a cercare moglie proprio come sarebbe andato al mercato di Memphis a comperare bestiame o schiavi. Ma quando capirono su chi aveva fatto cadere la sua scelta venendo in paese e in chiesa, la sicurezza delle donne divenne una cosa sola con la sorpresa degli uomini, e ancor di più: divenne sbalordimento.

Perché adesso il paese credeva di conoscerlo. Per due anni l'aveva osservato mentre con quell'accanita furia incrollabile erigeva quell'ossatura di casa e dissodava i suoi campi, poi per tre anni lui era rimasto in stasi completa, come se fosse stato azionato dall'elettricità e qualcuno fosse venuto a togliere, smontare i fili o la dinamo. Così quando entrò nella chiesa metodista quella domenica mattina col suo abito stirato, c'erano uomini e donne convinti di dover dare una semplice occhiata in giro alla congregazione per prevedere la direzione che avrebbero preso i suoi piedi, finché si accorsero che evidentemente egli aveva preso di mira il padre di Miss Coldfield con la stessa fredda e spietata decisione con cui aveva probabilmente preso di mira l'architetto francese. Stettero a guardare con turbato stupore mentre lui poneva deliberatamente l'assedio all'unico uomo in paese col quale non poteva aver nulla in comune, e meno che mai il denaro - un uomo che ovviamente non poteva fare altro per lui in questo mondo che accordargli credito a un negozietto d'angolo o dare un voto in suo favore se lui avesse mai aspirato agli ordini di ministro metodista - un cerimoniere metodista, un negoziante non solo di modesta posizione e modeste circostanze ma già provvisto di moglie e famiglia sua, per non parlare di una madre e una sorella a carico, da mantenere coi proventi d'una azienda che si era portato a Jefferson dieci anni prima in un solo carro - un uomo reputato per la sua assoluta, inflessibile e perfino puritana rettitudine in un paese e in un'epoca di opportunismo eslege, un uomo che non beveva né giocava e nemmeno cacciava. Nella loro sorpresa scordarono che Mr. Coldfield aveva una figlia da marito. La figlia non la prendevano affatto in considerazione. Nei riguardi di Sutpen non pensavano all'amore. Pensavano a una spietata rigidezza piuttosto che alla giustizia e alla paura piuttosto che al rispetto, ma non alla pietà o all'amore: tra l'altro poi erano troppo perduti nella meravigliata curiosità di sapere in qual modo Sutpen intendeva o poteva riuscire a servirsi di Mr. Coldfield per quegli scopi segreti che ancora aveva. Non l'avrebbero mai saputo: neanche Miss Coldfield lo seppe mai. Perché a partire da quel giorno non si ebbero più raduni di caccia a Sutpen's Hundred, e lui lo si vedeva ormai solo in paese. Ma non a bighellonare, da sfaccendato. Gli uomini che avevano dormito e toccato i calici con lui sotto il suo tetto (alcuni di loro erano giunti perfino a chiamarlo Sutpen senza il «Mr.» di prammatica) lo guardavano passare per la via prospiciente la Holston House con un solo formale gesto di saluto (si portava la mano al cappello), poi proseguire ed entrare nel negozio di Coldfield, ed era tutto.

«Poi un bel giorno lasciò Jefferson per la seconda volta» disse Mr. Compson a Quentin. «Ormai il paese avrebbe dovuto esserci abituato. Tuttavia la sua posizione era sottilmente mutata, come vedrai da quella che fu la reazione del paese al suo secondo ritorno. Perché questa volta quando ritornò era in un certo modo un nemico pubblico. Forse ciò era dovuto a quel che si portò appresso stavolta: il materiale che si portò stavolta, in confronto al semplice carro di negri selvaggi che si era portato con sé in passato. Ma io non la penso così. Ossia, io penso che ci fosse in ballo qualcosa di più del puro valore dei suoi candelabri e mogano e tappeti. Penso che il risentimento nascesse dal fatto che il paese capiva di venire gradualmente coinvolto con lui; che con qualsiasi crimine egli si fosse procurato mogano e cristallo, stava costringendo il paese a farsene complice. Per l'addietro, fino a quella domenica in cui si recò in chiesa, se aveva maltrattato o danneggiato qualcuno, questi era solo il vecchio Ikkemotubbe, da cui ebbe la sua terra - una questione fra la sua coscienza e lo zio Sam e Dio. Ma adesso la sua posizione era cambiata, perché quando, a circa tre mesi dalla sua partenza, quattro carri lasciarono Jefferson per andargli incontro al fiume, si seppe che noleggiatore e speditore era Coldfield. Erano grossi carri, tirati da buoi, e quando ritornarono il paese li guardò e capì d'acchito, qualunque cosa potessero contenere, che a Mr. Coldfield non sarebbe bastato ipotecare tutti i suoi beni per riempirli; indubbiamente stavolta furono più gli uomini che le donne a immaginarselo durante quell'assenza con un fazzoletto sul viso e le canne delle due pistole luccicanti sotto i candelabri del salone di un battello, se non peggio: se proprio non si trattava di un'azione consumata nel buio sospetto di un pontile fangoso e con un coltello alle spalle. Lo videro passare, sul cavallo roano accanto ai suoi quattro vagoni; pare che anche chi aveva mangiato il suo pane e abbattuto la sua selvaggina chiamandolo persino "Sutpen" senza il "Mr.", evitasse ora di avvicinarlo. Rimasero semplicemente in attesa mentre in paese rifluivano racconti e dicerie di come lui e i suoi negri ora un po' addomesticati avessero installato finestre e porte e gli spiedi e le casseruole in cucina e i candelieri di cristallo nei salotti e il mobilio e i tendaggi e i tappeti; fu quello stesso Akers che era incespicato nel negro disteso nel fango cinque anni prima, a entrare una sera con gli occhi un po' stralunati e la bocca notevolmente aperta, nel bar della Holston House dicendo: "Ragazzi, stavolta ha rubato l'intero maledetto battello!".

«Così un bel momento la virtù civica finì per ribollire. Un giorno, e con lo sceriffo della contea tra loro, un gruppo di otto o dieci uomini prese la via di Sutpen's Hundred. Non fecero tutta la strada perché a circa sei miglia dal paese incontrarono Sutpen in persona. Montava il cavallo roano e indossava la giacca lunga e il cappello di castoro che conoscevano, tenendo le gambe avvolte in una pezza di tela cerata; aveva una valigia sul pomo della sella e portava in braccio un canestrino di vimini. Fermò il roano (era aprile, e la strada era ancora un pantano) e se ne stette lì nella sua tela cerata inzaccherata di fango, girando gli occhi da una faccia all'altra; tuo nonno disse che gli occhi parevano cocci di piatto e che la barba era forte come una striglia. Disse proprio così: forte come una striglia. "Buongiorno, signori" disse. "Cercavate me?".

«Indubbiamente a quel tempo trapelò qualcos'altro, sebbene ch'io sappia nessuno del comitato di vigilanza l'abbia mai detto. Tutto quel che seppi fu come il paese e gli uomini del portico della Holston House videro Sutpen e il comitato entrare insieme a cavallo nella piazza, Sutpen un po' più innanzi e gli altri in gruppo dietro di lui - Sutpen con gambe e piedi ben avvolti nella sua tela cerata e le spalle dritte sotto la logora giubba di lana e quel logoro castoro un po' sulle ventitré, parlando loro da sopra la spalla, e quegli occhi duri e pallidi e irrequieti e probabilmente ironici e forse anche sprezzanti fin d'allora. Si fermò alla porta e lo stalliere negro ne spuntò e prese il roano per la testa, e Sutpen smontò con valigia e canestro e salì i gradini, e ho sentito dire come lì si voltò a guardarli ancora mentre loro se ne stavano assiepati sui propri cavalli senza saper bene che cosa fare. E forse fu bene che lui avesse quella barba e loro non potessero vedergli la bocca. Poi si girò, e guardò gli altri uomini seduti che, i piedi appoggiati alla ringhiera, lo guardavano anch'essi, uomini già avvezzi a venirsene da lui e dormire per terra e andare a caccia con lui, e li salutò con quell'ampio, tronfio gesto della mano al cappello (sì, era maleducato. Ciò traspariva sempre, a detta di tuo nonno, in tutti i suoi contatti formali con la gente. Era, diciamo, come John L. Sullivan che aveva imparato a furia di penosi e noiosi sforzi a ballare la polca, e si era esercitato ed esercitato in segreto finché poi non riteneva più necessario contare le battute della musica. Forse credeva che tuo nonno o il giudice Benbow sapessero farlo con un po' meno sforzo di lui, ma per nessuna ragione al mondo avrebbe creduto mai che ci fosse chi lo superava nello scegliere il momento e il modo opportuno. E poi, era nel suo volto; era lì che stava il suo potere, tuo nonno diceva: che a chiunque bastava uno sguardo per concludere: Dati occasione e bisogno, quest'uomo è capace di tutto). Poi entrò e fissò una camera.

«Così loro rimasero in sella ai cavalli ad aspettarlo. Credo che sapessero che prima o poi lui doveva pur uscire: credo che stessero lì a pensare a quelle due pistole. Perché contro di lui non c'era ancora nessun mandato di cattura, vedi: era solo opinione pubblica in uno stato di indigestione acuta; e adesso altri a cavallo vennero in piazza e capirono a volo la situazione, cosicché c'era un vero e proprio comitato d'ordine pubblico ad aspettarlo quando uscì in veranda. Adesso portava un cappello nuovo, e un abito nuovo di lana, così fu chiaro il contenuto della valigia. E fu chiaro pure che cosa contenesse il canestro, perché adesso non aveva più con sé nemmeno quello. Indubbiamente in quel momento la cosa non fece che accrescere la loro perplessità, perché, vedi, si erano troppo scervellati a domandarsi in qual modo progettasse di servirsi di Mr. Coldfield e, dopo il suo ritorno, erano troppo offesi dalla sicurezza di averne ora sott'occhio i risultati anche se i mezzi erano ancora un enigma, per ricordarsi di Miss Ellen.

«Così lui si trattenne ancora, senza dubbio, e guardò ancora di viso in viso, imprimendosi senza dubbio nella memoria le facce nuove, senza alcuna fretta, e sempre con la barba per nascondere ciò che la sua bocca avrebbe potuto mostrare. Ma stavolta sembra non dicesse nulla. Scese semplicemente i gradini e attraversò la piazza, mentre il comitato (tuo nonno disse che adesso era salito quasi a cinquanta persone) si muoveva anch'esso e lo seguiva attraverso la piazza. Dicono che non si voltasse neanche a guardare. Seguitò semplicemente a camminare, eretto, col cappello nuovo sulle ventitré e portando in mano ora ciò che a loro dovette sembrare l'insulto gratuito definitivo, mentre il comitato percorreva a cavallo la strada al suo fianco, non proprio parallelamente, e altri che al momento non avevano cavalli sottomano si univano al gruppo e si accodavano al comitato, signore e bambini e schiave si affacciavano alle porte e alle finestre delle case al passaggio, a osservare il quadro dell'accigliata processione, e Sutpen, sempre senza voltarsi, entrava dal cancello di Coldfield e percorreva il sentierino di mattoni che conduceva alla porta, recando la sua cornucopia di fiori fatta d'un giornale.

«Lo attesero ancora. Adesso la folla cresceva rapidamente - altri uomini e alcuni ragazzi e anche qualche negro proveniente dalle case adiacenti, assiepandosi dietro gli otto membri originari del comitato che se ne stettero lì fermi a sorvegliare la porta di Coldfield finché lui non ne ricomparve. Passò un bel po' di tempo, e lui non aveva più i fiori, e quando arrivò al cancello era fidanzato ufficialmente. Ma loro non lo sapevano, e non appena raggiunse il cancello lo arrestarono. Lo riportarono in paese, mentre signore e bambini e domestici negri stavano a guardare dietro le tendine e dietro i cespugli dei giardinetti e gli angoli delle case, dalle cucine dove indubbiamente il cibo cominciava già a bruciacchiarsi, e così ecco tornare il corteo alla piazza dove tutti gli altri uomini fisicamente abili lasciarono uffici e negozi per accodarsi, dimodoché quando raggiunse il tribunale Sutpen aveva un seguito maggiore che non se fosse stato addirittura uno schiavo fuggiasco. Lo accusarono davanti a un magistrato, ma ormai erano già sul posto tuo nonno e Coldfield. Essi firmarono l'atto di garanzia in suo favore, e a pomeriggio inoltrato egli tornò a casa con Mr. Coldfield, ripercorrendo la stessa via del mattino, mentre indubbiamente le stesse facce stavano a osservarlo dietro le tendine, per sedersi al pranzo del fidanzamento senza vino in tavola e senza whisky prima o dopo. In nessuno dei tre passaggi che fece quel giorno per quella via mutò portamento - lo stesso passo calmo a cui ondeggiava ritmicamente la giacca nuova a coda di rondine, sopra gli occhi e la barba il cappello nuovo nella stessa posizione. Tuo nonno diceva che un po' di quell'aria di terracotta che aveva la carne del suo volto cinque anni addietro, al suo primo entrare in paese, se n'era andata ora, e che la sua faccia aveva un'abbronzatura normale. E non che fosse più in carne; tuo nonno diceva che non era questo: era solo che la carne sulle ossa gli si era fatta più quieta, come passiva dopo aver preso letteralmente di petto l'atmosfera in corsa, dimodoché ora lui riempiva bene i propri abiti, con quel peculiare atteggiamento sempre tronfio ma non fanfarone o aggressivo, quantunque stando a tuo nonno non si fosse mai trattato di aggressività, ma solo di vigilanza. E adesso tutto questo era sparito, come se dopo quei tre anni lui potesse fidarsi dei soli occhi per la funzione di vigilanza, senza che anche la carne sulle ossa gli dovesse montare di sentinella. Due mesi dopo, lui e Miss Ellen si sposarono.

«Fu nel giugno 1838, quasi cinque anni precisi da quella domenica mattina in cui era entrato in paese a cavallo del roano. La cosa (lo sposalizio) ebbe luogo nella stessa chiesa metodista dove lui aveva visto Ellen per la prima volta, stando a Miss Rosa. La zia aveva persino costretto con la prepotenza o la molestia (non con le lusinghe: non sarebbe servito a nulla) Mr. Coldfield a permettere a Ellen di incipriarsi il viso per l'occasione. La cipria doveva nascondere le tracce delle lacrime. Ma prima che terminasse la cerimonia la cipria era già striata, incrostata e solcata. Pare che quella sera Ellen entrasse in chiesa uscendo dal pianto come da una pioggia, scontasse la cerimonia e poi uscisse nuovamente di chiesa per rientrare nel pianto, nelle lacrime ancora, sempre le stesse lacrime, la stessa pioggia. Ella salì in carrozza e in essa (nella pioggia) partì per Sutpen's Hundred.

«Furono le nozze in sé a provocare le lacrime: non il fatto di sposare Sutpen. Le lacrime che sgorgarono per questo, ammesso che vi fossero delle lacrime, vennero poi. Non doveva essere una cerimonia in grande stile. O almeno pare che Mr. Coldfield non intendesse allestirla così. Noterai che la maggior parte dei divorzi si verifica con donne che furono sposate da giudici che masticano tabacco in tribunali di campagna o da pastori svegliati dopo mezzanotte, con le bretelle in mostra fra le code della giacca e senza colletto e una moglie o sorella zitella coi bigodini per testimone. E dunque azzardato credere che queste donne giungano ad ambire il divorzio per un senso non già di incompletezza ma addirittura di frustrazione e tradimento? che a onta della prova tangibile costituita dai bambini e tutto il resto, abbiano ancora in mente l'immagine di se stesse incamminate a ritmo di musica e di teste che si voltano una dopo l'altra, in tutti i simbolici ammennicoli e circostanze della cerimonia che consiste nel cedere ciò che non possiedono più? e perché no, giacché per la loro cessione o resa autentica ed effettiva può essere solo (ed è stata infatti) una cerimonia come spezzare una banconota per acquistare un biglietto ferroviario. Dei due uomini, era Sutpen a volere le nozze in grande stile, la chiesa piena e tutto il rituale. Lo so da una frase che tuo nonno si lasciò sfuggire un giorno e che indubbiamente raccolse a sua volta da Sutpen nella stessa maniera fortuita, poiché Sutpen non lo disse mai a Ellen, e il fatto che all'ultimo minuto egli rifiutasse di appoggiarla nel suo desiderio insistente spiega in parte le lacrime. Evidentemente Coldfield intendeva usare la chiesa in cui aveva investito una certa quantità di sacrificio e indubbiamente abnegazione e certo anche lavoro bell'e buono e denaro sonante in grazia di ciò che si potrebbe chiamare un debito bilancio di solvenza spirituale, proprio come avrebbe adoperato una sgranatrice di cotone in cui ritenesse di aver investito interesse o responsabilità, per la sgranatura del cotone che lui o un membro qualsiasi della sua famiglia consanguineo o acquisito, avesse coltivato - questo e niente più. Forse il suo desiderare una cerimonia nuziale dimessa era dovuto alla stessa tediosa e inflessibile economia che gli aveva consentito di mantenere madre e sorella e sposarsi e allevare una famiglia coi proventi di quel negozio che dieci anni prima stava tutto quanto in un solo carro; o forse era un senso innato di delicatezza e proprietà (che tra parentesi sua sorella e sua figlia non sembravano avere) circa il futuro genero che solo due mesi prima egli aveva salvato dalla prigione col suo intervento. Ma non era dovuto a mancanza di coraggio per la posizione del genero in paese, che era ancora anomala. A prescindere da quelli che erano stati i loro rapporti prima d'allora e da quelli che potevano essere in futuro, se Coldfield avesse allora ritenuto Sutpen colpevole di qualche delitto, non avrebbe alzato un dito per levarlo d'impicciò. Forse non si sarebbe mosso per tenere Sutpen in prigione, ma indubbiamente la miglior disinfezione morale che a quell'epoca Sutpen potesse ricevere agli occhi dei suoi concittadini era il fatto che Mr. Coldfield aveva firmato il suo atto di garanzia - una cosa che non avrebbe fatto per salvare il proprio buon nome anche se l'arresto fosse stato conseguenza diretta dell'affare tra lui e Sutpen, quell'affare che, quando raggiunse un punto a cui la sua coscienza rifiutò di sancirlo, egli aveva abbandonato ritirandosi per lasciare tutto il ricavo a Sutpen, ricusando perfino a Sutpen il permesso di risarcirlo della perdita che, ritirandosi, egli aveva subito, sebbene in verità permettesse poi alla figlia di sposare quest'uomo le cui azioni la sua coscienza non approvava. Era la seconda volta che faceva una cosa del genere.

«Quando si sposarono, c'erano in chiesa giusto dieci persone, compresi gli interessati, delle cento che erano state invitate; però quando uscirono dalla chiesa (fu di sera: Sutpen aveva fatto venire mezza dozzina dei suoi negri selvaggi ad attenderlo alla porta con torce di pino) c'era il resto dei cento in persona di ragazzi e giovanotti e uomini della taverna dei mandriani al margine del paese - commercianti di bestiame e stallieri eccetera, che non erano stati invitati. Ecco l'altra metà della causa delle lacrime di Ellen. Fu la zia che persuase, magari a forza di moine, Mr. Coldfield all'idea delle nozze in grande stile. Ma Sutpen le voleva. Lui voleva, non l'anonima moglie e i figli anonimi, ma i due nomi, la moglie incensurata e l'irreprensibile suocero, sulla licenza, sulla patente. Sì, patente, con un sigillo d'oro e nastri rossi pure se fosse stato possibile. Ma non per lui. Lei (Miss Rosa) avrebbe chiamato vanità il sigillo d'oro e i nastri. Ma del resto era stata la vanità che aveva concepito e costruito quella casa, e per di più in uno strano luogo e con poco più che le sue nude mani, e per giunta con uno svantaggio di partenza: l'eventualità e probabilità dell'invadente interferenza scaturita dalla disapprovazione di tutte le comunità umane per qualunque situazione che non capiscono. E l'orgoglio: Miss Rosa aveva ammesso in lui il coraggio; forse gli concedeva anche l'orgoglio: lo stesso orgoglio che voleva una casa simile, che non si contentava di meno, e si buttò avanti a testa bassa per averla a qualunque costo. E poi ci abitò, solo, su un pagliericcio per terra per ben tre anni finché non la poté arredare come si doveva - e non piccola parte di tale arredamento era quella licenza di matrimonio. Lei aveva pienamente ragione. Non era soltanto un alloggio, soltanto un'anonima moglie e anonimi figli che lui voleva, come non voleva semplicemente un matrimonio. Ma quando venne la crisi femminile, quando Ellen e la zia tentarono di portarlo dalla loro per convincere Coldfield allo sposalizio in grande stile, lui ricusò di appoggiarle. Egli indubbiamente ricordava anche meglio di Mr. Coldfield di essere stato in carcere due mesi prima; che l'opinione pubblica, che in qualche momento dei cinque anni precedenti lo aveva digerito seppur tenendolo un po' sempre sullo stomaco, aveva compiuto uno dei naturali violenti e inesplicabili voltafaccia dell'umanità rigurgitandolo. E non gli giovava menomamente il fatto che almeno due dei cittadini che avrebbero dovuto essere due denti della mascella risentita fossero serviti invece da puntelli per tenere le mandibole aperte e impotenti sì da lasciarlo uscire incolume.

«Anche Ellen e la zia si ricordavano di questo. La zia senz'altro. Donna qual era, essa apparteneva indubbiamente a quella lega delle donne di Jefferson che il secondo giorno dopo la comparsa di lui in paese, cinque anni addietro, aveva convenuto di non perdonargli mai il fatto di non avere un passato, ed era rimasta coerente. Dato che il matrimonio era ormai un incidente chiuso, ella probabilmente lo considerava come l'unica opportunità non soltanto di assicurare alla nipote un futuro come moglie di lui, ma di giustificare l'azione intrapresa dal fratello tirandolo fuori dalla prigione e la propria posizione personale, in quanto lei evidentemente aveva sanzionato e consentito le nozze che in realtà non avrebbe potuto impedire. Fu forse in grazia di quella grande casa e della posizione e dignità che le donne capirono ben prima degli uomini quale fosse l'oggetto delle sue mire anzi la sua imminente conquista. O forse le donne sono ancor meno complicate di così, e per loro un matrimonio qualsiasi è sempre meglio di nessun matrimonio, e un grande sposalizio con un furfante è preferibile a un povero sposalizio con un santo.

«Così la zia sfruttò perfino le lacrime di Ellen; e intanto Sutpen, che probabilmente sapeva quel che bolliva in pentola, si faceva sempre più grave con l'avvicinarsi del momento. Non già preoccupato: solo vigile, come doveva essere stato dal giorno in cui aveva voltato le spalle a tutto ciò che conosceva - facce e abitudini - e (aveva allora giusto quattordici anni, come disse a tuo nonno) s'era avventurato in un mondo di cui anche in teoria non sapeva nulla, e concentrando la mente su una meta fissa che gli uomini per lo più non si pongono se non quando il sangue comincia a raffreddarsi a trent'anni e oltre, e solo perché l'immagine rappresenta per loro la pace e l'indolenza o almeno un coronamento della vanità. Fin d'allora egli aveva quella stessa vigile tensione che doveva portare addosso giorno e notte senza mai cambiarla o metterla da parte come gli abiti in cui doveva vivere e dormire, in un paese e fra gente di cui doveva apprendere anche la lingua - quella cura insonne che doveva sapere di potersi permettere un solo errore e non più; quella prontezza a misurare e soppesare l'evento contro l'eventualità, la circostanza contro la natura umana, il suo proprio giudizio fallibile e argilla mortale contro le forze non solo umane ma naturali, scegliendo e scartando, venendo a patti col suo sogno e la sua ambizione così come bisogna fare col cavallo che porti in aperta campagna e in zona boschiva, e che controlli soltanto mediante la tua abilità di non far capire all'animale che in realtà non ne sei capace, che in realtà è lui il più forte.

«La sua sì era una posizione curiosa, adesso. Era lui il solitario. Non Ellen. Lei non solo aveva la zia in suo appoggio, ma il fatto che le donne non adducono né affermano mai la solitudine fin quando una circostanza impenetrabile e insormontabile non le costringa ad abbandonare qualunque speranza di conseguire quella particolare bagatella che al momento desiderano. E nemmeno Coldfield. Lui aveva non soltanto l'opinione pubblica ma la sua riluttanza al matrimonio in grande stile, per sostenere la propria posizione senza incongruenza o paradossalità. Poi (le lacrime ebbero partita vinta; Ellen e la zia vergarono un centinaio di inviti - Sutpen chiamò uno dei suoi negri selvaggi, che andò di porta in porta a consegnarli a mano - e ne inviarono perfino una dozzina di più strettamente personali per la prova generale), quando raggiunsero la chiesa per la prova generale, la sera prima della cerimonia, e la trovarono vuota con un gruppo di uomini dei sobborghi (compresi due Chickasaw del vecchio Ikkemotubbe) ritti nell'ombra fuori della porta, le lacrime rispuntarono. Ellen sostenne fino in fondo la prova, ma dopo la zia la ricondusse a casa in uno stato molto prossimo all'isterismo, sebbene l'indomani tornasse a essere un semplice pianto quieto e intermittente. Si parlò anche di rimandare le nozze. Non so chi intavolasse l'argomento, forse Sutpen. Ma so chi si oppose. Era come se la zia fosse ora protesa, non più soltanto a far digerire Sutpen al paese di viva forza, ma le stesse nozze. Lei passò tutta la giornata successiva a recarsi di casa in casa, lista degli inviti alla mano, in abito da casa e scialle e seguìta da una delle negre dei Coldfield (loro avevano due donne), forse per protezione, forse solo perché risucchiata come una foglia nella scia di quell'accanita virago infuriata e carica di risentimento femminile; sì, se ne venne anche a casa nostra, quantunque tuo nonno non avesse mai avuto altra idea che di presenziare alle nozze: la zia non doveva aver dubbi su papà poiché papà aveva contribuito a tirar Sutpen fuori di prigione, ma ormai lei probabilmente si era lasciata alle spalle ogni forza di raziocinio. Papà e tua nonna erano sposi novelli e mamma era forestiera a Jefferson e io non so che cosa ne pensasse, so solo che non parlava mai di quanto avvenne: della pazza che lei non aveva mai visto, che irruppe in casa non per invitarla a uno sposalizio ma per sfidarla a non intervenire, e poi si riprecipitò fuori. Mamma non aveva neanche capito di quale sposalizio si trattasse, a tutta prima, e quando papà rincasò la trovò in preda a una crisi isterica, e perfino vent'anni dopo la mamma non sapeva dire che cosa fosse realmente avvenuto. Per lei non c'era niente di comico in tutto ciò. Papà soleva stuzzicarla a tale proposito, ma anche vent'anni dopo quel giorno, quando lui la stuzzicava la vedevo alzar la mano (magari col ditale infilato) quasi per proteggersi, e comparirle in viso la stessa espressione che doveva esservi quando la zia di Ellen se ne andò.

«La zia quella mattina percorse tutto il paese. Non le ci volle molto e fu cosa completa; al cader della sera i particolari della situazione si erano diffusi non solo oltre la cerchia del paese ma sotto, penetrando nella scuderia pubblica e nella taverna dei mandriani, da cui dovevano poi venire gli ospiti che presenziarono davvero alla cerimonia. Ellen naturalmente non ne era a conoscenza, e neppure la zia stessa, la quale non avrebbe creduto a ciò che stava per accadere nemmeno se fosse stata chiaroveggente e avesse potuto addirittura veder sfilare gli eventi prima che il tempo li producesse. Non che la zia si sarebbe considerata inaccessibile a un affronto del genere: lei semplicemente non avrebbe potuto credere che le sue intenzioni e azioni della giornata sortissero risultati diversi da quello per il quale aveva rinunciato per l'occasione non solo a tutta la dignità dei Coldfield ma anche a ogni modestia femminile. Sutpen credo che avrebbe potuto dirglielo, ma indubbiamente sapeva che la zia non gli avrebbe creduto. Probabilmente non tentò nemmeno: fece giusto la sola cosa che poteva fare, ossia mandare a chiamare a Sutpen's Hundred sei o sette altri negri suoi, uomini sui quali poteva contare, i soli sui quali potesse contare, e armarli delle torce di pino che reggevano alla porta quando arrivò la carrozza e ne scese la comitiva nuziale. E fu qui che le lacrime si fermarono, perché ora la via davanti alla chiesa era piena di carrozze e carrozzini, sebbene soltanto Sutpen e forse Coldfield notassero che invece di essere parcheggiate davanti alla porta e vuote, erano ferme dall'altra parte della strada e tuttora occupate, e che ora il marciapiede davanti alla chiesa era una specie di arena illuminata dalle torce fumose che i negri reggevano alte sulla propria testa, mentre il loro bagliore guizzava sulle due file di volti tra cui la comitiva doveva passare per entrare in chiesa. Non c'erano ancora fischi né sarcasmi; evidentemente né Ellen né la zia sospettavano che qualcosa non andasse.

«Per un po' Ellen uscì dal pianto, dalle lacrime, e così entrò in chiesa. Era vuota tranne per tuo nonno e tua nonna e forse un'altra mezza dozzina di persone che potevano essere venute per lealtà verso i Coldfield o forse per esser sul posto e non perdere nulla di ciò che il paese, rappresentato dalle carrozze in attesa, pareva aver previsto non meno di Sutpen. Era ancora vuota anche dopo l'inizio e la conclusione della cerimonia. Ellen aveva pure un po' d'orgoglio, o almeno quella vanità che a volte può assumere funzione di orgoglio e fortezza; e poi, non era successo ancora nulla. Fuori la folla era ancora quieta, forse per rispetto alla chiesa, per quella fervida attitudine anglosassone alla completa accettazione mistica dei legni e delle pietre consacrate. Pare che lei uscisse di chiesa avventurandosi in piena tempesta senza preavviso alcuno. Forse si muoveva ancora sotto la superficie di quell'orgoglio che non permetteva alla gente radunata in chiesa di vederla piangere. Lei semplicemente ci camminò dentro, probabilmente anelando ad appartarsi nella carrozza, dove poteva piangere; forse la prima avvisaglia da lei percepita fu la voce che gridò "Attenti! Non colpitela adesso!" e poi l'oggetto - terriccio, sporcizia, quello che fosse - che la mancò, o forse la stessa luce mutevole quand'ella si voltò e scorse uno dei negri, a torcia levata e in atto di lanciarsi sulla folla, sulle facce, quando Sutpen gli parlò in quell'idioma che ancora buona parte della contea non sapeva essere una lingua civile. Ecco che cosa vide lei, che cosa videro gli altri dalle carrozze ferme dall'altra parte della strada - la sposa rannicchiata al riparo del braccio di lui che se la tirava dietro e se ne stava là ritto, immobile anche quando un altro oggetto (non gettarono niente che potesse far male: erano solo zolle di terriccio e rifiuti vegetali) gli portò via netto il cappello dalla testa, e un terzo lo prese in pieno petto - se ne stava lì immobile con un'espressione quasi di sorriso là dove trasparivano i denti fra la barba, e tratteneva i suoi negri selvaggi con quell'unica parola (indubbiamente c'erano pistole nella folla; certo coltelli: il negro non avrebbe avuto dieci secondi di vita se si fosse lanciato) mentre intorno alla comitiva nuziale il cerchio di facce dalla bocca aperta e dagli occhi che riflettevano le torce pareva avanzare e ondeggiare e spostarsi e svanire nel bagliore fumoso del pino acceso. Egli si ritirò verso la carrozza, facendo scudo del suo corpo alle due donne, ordinando ai negri con un'altra parola di seguirlo. Ma non gettarono altro. Evidentemente si trattò solo di quella prima esplosione momentanea, quantunque fossero venuti armati e preparati con quei proiettili che realmente scagliarono. In effetti fu così che parve esaurirsi tutta quella faccenda che era culminata due mesi prima, quel giorno che il comitato di vigilanza l'aveva seguito fino al cancello di Coldfield. Perché gli uomini di cui quella plebaglia si componeva, i commercianti e mandriani e conducenti, tornarono indietro, si dissolsero nella regione da cui erano emersi come topi per quest'unica occasione; si sparpagliarono, se ne andarono per il paese - facce che perfino Ellen non avrebbe più ricordato, viste per la notte o per cena o giusto per una bevuta ad altre taverne venti e cinquanta e cento miglia lontano o lungo strade senza nome e poi sparite anche di lì; e coloro che erano venuti in carrozza e in calesse a godersi una festa romana, spingendosi fino a Sutpen's Hundred a far visita e (gli uomini) a cacciare la sua selvaggina e mangiare il suo pane più e più volte e all'occasione a raccogliersi nella sua stalla mentre lui contrapponeva due dei suoi negri selvaggi così come gli uomini mettono in lizza i galli da combattimento e fors'anche entrava in lizza lui stesso. Questa folla si dissolse pur non sparendo dalla memoria. Lui non dimenticò quella notte, quantunque Ellen, credo, la dimenticasse poiché se la cancellò dalla memoria lavandola con le lacrime. Sì, lei ora s'era rimessa a piangere; davvero che piovve su quel matrimonio».