Parte quarta.

POSCRITTO MALESE.

NEL GUSCIO DEL COCCO.


1.

VESTITI VECCHI.

 

A Kuala Lumpur, nel 1979, ero passato da un albergo all’altro per alcuni giorni prima di sistemarmi all’Holiday Inn. Era il posto piu’ tranquillo che avevo trovato e mi piaceva l’ambiente. Sulla sinistra c’era l’ippodromo e in lontananza si vedevano le colline di Kuala Lumpur. Attorno all’ippodromo e davanti all’albergo cresceva la vegetazione lussureggiante dei Tropici umidi: banani frondosi, frangipani in fiore, il “saman” o albero della piu’ ggia dell’America Centrale, grande e diramato: un miscuglio di vegetazione proveniente dall’Asia, dal Pacifico e dal Nuovo Mondo che richiamava alla mente le grandi esplorazioni europee e le piantagioni coloniali. Riconoscevo la stessa vegetazione di Trinidad, all’altro capo del mondo.

Eppure cio’ che allora era familiare mi era diventato estraneo. Girato l’angolo dell’Holiday Inn c’era una cassettina gialla nel muro, o nella siepe, che, mi avevano detto, era luogo di culto cinese. Conteneva delle offerte, e probabilmente la usavano i tassisti cinesi che lavoravano con l’albergo.

E l’ippodromo non era un vero ippodromo. Qualche volta ci vedevo allenare i cavalli la mattina presto, prima del sorgere del sole; ma non ho mai visto una corsa. Il sabato e la domenica pomeriggio arrivavano i cinesi (e pochi altri) in macchina e affollavano gli spalti. La pista restava vuota, verde e assolata, tagliata da ombre immobili e nere. Ogni mezz’ora gli altoparlanti davano la cronaca di una corsa e la folla sugli spalti entrava in un’agitazione frenetica, come se fosse una corsa vera. E in effetti lo era, ma i cavalli correvano altrove. La gente sugli spalti guardava da li’ degli schermi televisivi, in una strana pantomima di una giornata all’ippodromo, Perche’ quello era l’unico posto a Kuala Lumpur dove erano consentite le scommesse. La Malaysia e’ un paese razzialmente diviso fra malesi e cinesi; il governo e’ decisamente malese e musulmano, e le scommesse sono contrarie all’Islam. L’eccitazione di quei pomeriggi all’ippodromo era una concessione fatta ai cinesi; erano loro i grandi scommettitori.

Avevo conosciuto Shafi, un malese di trentadue anni proveniente da un villaggio del Nord-Est ancora povero e agreste. Si poteva ben dire che aveva fatto molta strada, arrivando a un livello impensabile per suo padre o suo nonno, eppure era colmo di risentimento. Shafi e molti malesi come lui pensavano di aver quasi perso il paese, di essere rimasti per troppo tempo nel villaggio a dormire. Nella terra calda e fertile, le piante crescono troppo facilmente, la vita tradizionale vicino al fiume e alla foresta e’ troppo ricca e troppo piena. Basta gettare un seme, mi disse Shafi un giorno, per vederlo crescere; basta mettere un amo vuoto nell’acqua per prendere un pesce. Avvezzi a quell’idea della terra, gli abitanti dei villaggi non si erano accorti o non avevano capito che i cinesi e gli altri li avevano in larga misura scalzati negli ultimi cent’anni. Ora si erano svegliati, in questo scorcio di secolo, e avevano scoperto che i malesi costituivano ormai solo la meta’ della popolazione e che attorno a loro si era sviluppato un nuovo stile di vita a cui non erano preparati.

Essere malese come Shafi, per meta’ immerso nella vita tradizionale e per meta’ fuori di essa, significa vivere paure e frustrazioni di tutti i tipi. Un uomo da solo non ce la fa a portare tanto peso, e nel 1979 di questo risentimento generico si era fatto carico l’Islam. I malesi della generazione di Shafi erano accesi credenti, una passione alimentata dai missionari islamici che nel 1979 erano particolarmente attivi, grazie alla rivoluzione in Iran e al terrore islamizzante del generale Zia in Pakistan. I missionari diffondevano la storia dei trionfi islamici in quei paesi e promettevano vittorie simili altrove, a patto che la gente abbracciasse la fede. Il mondo dei missionari islamici e’ una sfera chiusa in se stessa; l’obiettivo principale e’ la propagazione della fede e, come per il viaggiatore del quattordicesimo secolo Ibn Batuta, una volta assicurato il dominio della fede, le condizioni dei fedeli non contano.

Shafi mi veniva a trovare proprio all’Holiday Inn. Non era un ospite facile; diceva che i posti come l’Holiday Inn non gli piacevano, e non faceva niente per dissimulare l’apprensione riguardo al cibo che poteva essere stato preparato da non musulmani, forse cinesi o indiani. Altre cose lo offendevano: il piccolo bar che la sera diventava un ritrovo innocente per alcuni avventori abituali (malesi della citta’ , un indiano o due) che intonavano canzoni pop; la sfilata di moda all’ora di pranzo del venerdi’, il giorno sacro, quando la gente veniva a vedere le ragazze indiane o cinesi che facevano ondeggiare le spalle con passo da modelle nell’aria un po’ pesante del ristorante poco arieggiato; e la minuscola piscina, sotto le finestre del bar, dove le donne bianche si mettevano in costume da bagno.

Ma Shafi non vedeva piu’ cio’ che rifiutava, forse non l’aveva mai visto. Non sapeva, per esempio , come venni a sapere il giorno che glielo chiesi, se le donne che prendevano il sole sul bordo della piscina erano attraenti. La prima volta che da ragazzo era venuto a Kuala Lumpur si sentiva nervoso, un estraneo. Adesso era distaccato e indifferente, forte nella sua visione chiusa e acritica. Talora aveva idee confuse, Perche’ la sua fede era un insieme di sentimenti contrastanti. Per esempio provava rimpianto per la purezza del suo villaggio nel Kota Bharu, la purezza della vita che aveva conosciuto la’ e che ora aveva perduto; pero’ voleva anche essere il flagello di villaggi come il suo, per convertirli pienamente, per purificarli da cio’ che sopravviveva delle antiche usanze indo . Erano diventati parte della sua causa. L’Islam missionario di cui si alimentava gli aveva dato un sogno irrealizzabile di purezza islamica; da questa purezza sarebbe scaturita la forza; e i conti con il mondo sarebbero stati saldati.

 

Sedici anni dopo l’Holiday Inn era circondato da torri di acciaio e cemento. Il terreno era diventato prezioso qui attorno. La vista sull’ippodromo che ricordavo non poteva piu’ essere ricostituita, era quasi mitica, come i colli di Roma prima della fondazione della citta’ . Molte altre costruzioni erano in progetto per tutta Kuala Lumpur. Sul retro del mio albergo, dall’altra parte della strada, stavano scavando un’immensa voragine, grande come un intero isolato; gli uomini e le macchine vi si perdevano minuscoli, i ponteggi collegavano i diversi livelli, dalla terra rossa, gio fino a strati di terra pallida e asciutta. La variegata vegetazione tropicale era stata soffocata da uno stile internazionale di vetro, acciaio, pietra, cemento, marmo; persino il clima sembrava diverso. Nei grandi edifici faceva sempre freddo grazie all’aria condizionata e la temperatura fuori era sempre una piccola sorpresa; chi e’ di passaggio si puo’ divertire a giocare con questi sbalzi termici. Nel 1979 la Malaysia era stata ricca, ora era ricchissima.

Mi chiedevo che effetto facesse a Shafi. Ricordavo che, prima di entrare a tempo pieno nel movimento islamico giovanile, aveva diretto un’impresa edile malese. Aveva cominciato a lavorarci che era assai giovane, ma allora non c’erano molti malesi con un’adeguata mentalita’ imprenditoriale. L’impresa era andata male; c’erano interessi molto forti nell’edilizia. In seguito Shafi si era messo in proprio, ma senza successo; imputava la colpa ai lavoratori cinesi e a quasi tutti gli altri che lo avevano piantato. Sapevo che il fallimento lo aveva amareggiato, influenzando anche le sue idee religiose. Mi chiedevo se, con tutta la nuova ricchezza del paese e con gli incentivi del governo a favore dei malesi che si mettevano in affari, fosse stato tentato di riprovarci. Adesso doveva avere quarantotto anni: era nel pieno della maturita’ . La sua carriera, qualsiasi direzione avesse preso, ormai sarebbe stata ben definita.

Ma non riuscivo a rintracciare Shafi. Quelli che lo conoscevano ai vecchi tempi ne avevano perso le tracce. Mi dicevano che era diventato un predicatore, che era sempre in giro, che non era facile contattarlo.

E poi un giorno mi portarono in una comune islamica alla periferia di Kuala Lumpur per incontrare un uomo che affermava di essere Shafi e che si ricordava di me. La comune era un quartiere di solide costruzioni di cemento a due piani. Le case erano intonacate, le strade asfaltate; c’erano giardini e automobili. Quanti ci abitano possono raccontare quello che vogliono sui tanti sacrifici della loro vita, ma fanno parte della Kuala Lumpur ricca.

Ci mettemmo a cercare la casa della persona che diceva di essere Shafi e, quando la trovammo, incontrai un uomo che non conoscevo affatto. Per poco, ma solo per poco, finse di ricordarsi di me, ma senza troppo impegno.

Sulla quarantina, aveva l’aria di essere felice e ozioso, contento della vita nella comune. La casa, su due piani, aveva un soggiorno grande, aperto, ben arredato e qui l’uomo, a meta’ mattina, giocava, mostrando una specie di serenita’ rustica, con uno dei suoi figli, un bambino barcollante e dagli occhi assonnati. Era tutto voluto: in questo tipo di comuni e’ possibile contrabbandare le cose semplici come atti religiosi e virtuosi che offrono come ricompensa al credente un piacere particolare.

Mi disse meccanicamente che la grande autostrada costruita dal governo era un male Perche’ aveva aperto il paese al vizio. Affermava che la lingua ufficiale del paese avrebbe dovuto essere l’arabo; l’inglese non e’ la lingua dei musulmani. Ripeti’ queste cose tante volte che ora, mentre cercava di far giocare suo figlio con uno dei molti giocattoli sparsi sul pavimento, parlava senza energia come se recitasse a memoria.

Sentivo che aveva cercato di spacciarsi. per Shafi per puro ozio; aveva solo bisogno di un po’ di attenzione. A cosa serve essere un pericoloso fondamentalista che abita in una comune se poi non se ne accorge nessuno?

Infatti Shafi, che alla fine non riuscii a incontrare Perche’ nessuno dei suoi vecchi conoscenti in fondo voleva che ci vedessimo, ai loro occhi era come quell’uomo ozioso. Una volta era stato al centro del movimento islamico giovanile, l’organizzazione che intendeva risvegliare i malesi attraverso l’Islam; era la sua unica occupazione. Adesso, benche’ fosse rimasto fedele ai suoi princi’pi, era emarginato. La gente provava imbarazzo che si parlasse di lui; era un uomo che aveva portato alle estreme conseguenze l’idea della vita religiosa.

Altre idee erano cambiate. Nel 1979 Shafi, ricordando con dolore il villaggio dove era cresciuto, aveva parlato dei malesi come di una popolazione pastorale e tropicale; una volta aveva detto che sono un popolo senza tempo , intendendo che non hanno un gran senso del tempo. Non hanno la mentalita’ commerciale, sono sprovvisti dell’energia dei cinesi che provengono da un paese con le quattro stagioni. Shafi era riuscito a coniugare queste idee, stranamente coloniali, con la sua visione della religione, ma erano concetti che ai malesi non piacevano piu’ .

Un giovane avvocato mi disse: Sono cose che abbiamo superato, quasi cancellato. Le abbiamo sostituite con l’idea che i malesi sono un popolo portato al commercio, alla produzione e all’innovazione, tutti termini che una volta non erano associati ai maleso’ .

Il governo ha fatto il possibile per avviare i malesi agli affari e ci e’ riuscito nell’arco di due generazioni. I timori razziali di sedici anni prima erano stati travolti dalla nuova grande ricchezza e da entrambe le parti erano apparsi uomini nuovi. Ecco il messaggio dell’edificio di acciaio, cemento e vetro vicino all’Holiday Inn e della grande autostrada che tagliava la foresta e apriva la via ai villaggi, ai nuovi territori. Un viaggio verso l’interno, che per le vecchie strade sarebbe durato sei o otto ore e avrebbe toccato molti vecchi insediamenti e citta’ coloniali, in autostrada durava due ore e mezzo e non mostrava quasi niente del passato. L’avvocato disse: Io la chiamo telescopiu’ del tempo .

Nel 1979 erano tutti piuttosto giovani nel movimento islamico giovanile; il capo, Anwar Ibrahim, l’uomo a cui tutti facevano riferimento, l’uomo che dava a tutti fiducia, aveva solo trentadue anni, la stessa eta’ di Shafi. Nasar, che Shafi mi aveva presentato, ne aveva solo venticinque, era il ragazzino del gruppo e nell’aspetto fisico era perfino piu’ esile di Shafi. Era appena ritornato da Bradford, in Gran Bretagna, dove aveva conseguito un diploma in relazioni internazionali. I costumi sessuali liberi e facili dell’Inghilterra non gli erano piaciuti e non voleva che contagiassero i giovani malesi di qui.

Gli antenati di Nasar comprendono uno sceicco malese alla Mecca. Lo sceicco era una guida, e questo era la guida dei malesi in pellegrinaggio alla Mecca. Tale attivita’ sarebbe diventata un lavoro regolarmente retribuito solo dopo il terzo decennio dell’Ottocento, quando le vele fecero posto al vapore e il viaggio dalla Malaysia divenne piu’ rapido e sicuro. E’ possibile che l’antenato di Nasar svolgesse la sua opera per i pellegrini nella seconda meta’ dell’Ottocento.

Verso la fine del secolo (secondo i miei calcoli) questo antenato torno’ in Malaysia, in una citta’ mineraria dello stagno a maggioranza cinese, a circa venti chilometri a nord di Kuala Lumpur. Suo figlio, il bisnonno di Nasar, si sposo’ all’eta’ di dodici anni. Nel 1934, quando era gia’ vecchissimo, fondo’ un giornale in lingua malese per educare i malesi all’autosufficienza. Era una voce nel deserto. Dopo di lui la famiglia decadde e si estinse la tradizione per gli studi. L’insegnamento rendeva poco; rendeva di piu’ l’agricoltura.

Il nonno di Nasar, che sarebbe dovuto diventare un maestro religioso, si diede a coltivare circa tre ettari a riso; il padre di Nasar faceva la guardia forestale per lo Stato. Aveva frequentato solamente le scuole elementari per sei anni, ma tutte le mattine prima di andare al lavoro leggeva il giornale; questo risulto’ importante Perche’ fu il principale stimolo intellettuale di Nasar bambino. Nasar e’ il quarto di otto figli, di cui sette maschi. A otto anni inizio’ a leggere il giornale, come suo padre. Per un bambino malese, era una cosa fuori dal comune.

Col passare del tempo, Nasar, il figlio della guardia forestale, riusci’ ad andare a Bradford e a prendere un diploma in relazioni internazionali. E adesso, sedici anni dopo, a soli quarantun anni, dirigeva una societa’ finanziaria che amministrava gli affari di otto imprese di diversa natura.

Gli uffici di Nasar occupavano un intero piano di un grattacielo. L’ombra di questo grattacielo cadeva sui vetri verdi di quello al di la’ della strada dando l’impressione che la via fosse piu’ stretta e la luce tropicale di meta’ pomeriggio, che in un campo aperto o in una strada piu’ esposta sarebbe stata cruda e pungente, si ammorbidisse in quello spazio stretto e protetto, di modo che la luce e il clima di Kuala Lumpur apparivano perfetti.

Nasar, che ora portava gli occhiali e non aveva piu’ l’aria fragile che aveva avuto nel 1979, era vestito con cura, da dirigente: pantaloni con la cintura, scarpe di pelle, calzini in tono, larga cravatta alla moda, un grande orologio rotondo al polso sottile. Il suo segretario personale era un sikh alto e gentile. Nella sala d’attesa principale e nell’anticamera di diversi uffici c’erano modelli di aerei bianchi, come giocattoli, fissati in cima ad aste argentate. L’impresa di Nasar aveva interessi nel campo dell’aviazione: gestiva un servizio aereo nazionale.

Era stata una trasformazione sensazionale, e Nasar, ospitale e gentile, si profondeva in offerte di aiuto, come se la cortesia del villaggio si fosse adeguata alla dimensione dell’impresa. Nel 1979 mi aveva commosso la schiettezza dei membri del movimento: non nascondevano nulla e non si inventavano nulla sul proprio conto. Nasar conservava ancora questa franchezza. Ricordava bene cio’ che era stato nel 1979, non nascondeva il passato. E parlava senza il pungolo dei demoni interni: le fobie, l’insicurezza che in quanto malese di provincia aveva domato prima di diventare l’uomo di adesso.

Cio’ che avevano cercato di ottenere tramite la religione nel 1979, era arrivato successivamente dal puro potere, dalla pura autorita’ .

 

La metamorfosi di Nasar avvenne con Anwar Ibrahim, il capo del movimento islamico giovanile. Era chiaro gia’ nel 1979 che Anwar era destinato a grandi cose e, quando venne il momento dell’ascesa, porto’ Nasar con se’.

Verso la fine del 1981 Anwar decise che la sua attivita’ nel movimento giovanile era arrivata al termine: i discorsi, la presa di coscienza, la protesta. Capi’ che era venuto il momento di fare un altro passo. Deciso a unirsi al partito malese al potere, si candido’ nelle elezioni del 1982, e chiamo’ Nasar, che allora aveva conseguito il master in relazioni internazionali di Bradford, Perche’ gestisse la campagna elettorale. Vinte le elezioni, Anwar entro’ a far parte del Gabinetto del primo ministro e disse a Nasar: Resta con me, diventa il mio segretario particolare . Nasar non sperava tanto. Aveva ventotto anni, aveva sempre incontrato il potere dall’altra parte della scrivanie’; non si sarebbe mai sognato una posizione cosi’ importante: lavorare per un ministro del governo.

Per sette anni fu il segretario particolare di Anwar. In quei sette anni perse le fobie e i dubbi. Incontro’ gente di tutti i tipi, osservo’ dall’interno il meccanismo del governo. E Anwar non smise di trattarlo da amico, non smise di dargli fiducia.

Nasar mi disse nella sua sala riunioni, dove parlavamo durante il pranzo: Non lo dimentichero’ mao’ .

Dopo sette anni diede le dimissioni da segretario di Anwar. Torno’ in Gran Bretagna per conseguire una laurea biennale in Legge. Al suo ritorno divenne vicepresidente di una societa’ conglomerata cinese e la sua esperienza di governo fu determinante per ottenere quel posto. Dopo due anni di pratica nel mondo reale degli affari, lascio’ l’incarico e si mise in proprio.

Gli chiesi delle sue idee del 1979, le idee di Shafi sul valore del “kampung” o i costumi del villaggio, le idee religiose che avevano in comune.

Nasar rispose come se si fosse preparato sull’argomento: Shafi era un uomo d’affari, ma come uomo d’affari ha fallito; ecco da dove gli vengono le idee romantiche sul “kampung”. A quei tempi parlavamo di religione teoricamente, adesso parliamo di Islam in pratica, come stile di vita. Ora mi confronto con il mondo reale. Le conoscenze acquisite mi sono di grande aiuto: cio’ che posso fare, i limiti della mia liberta’ , in che misura mi e’ lecito seguire una filosofia puramente capitalista. Ho alcuni contratti governativi e altri affari nel settore privato, ma ci sono comportamenti che non tollero: la corruzione, le bustarelle, portare fuori qualcuno, procurargli le ragazze, giustificare azioni immorali per vincere un appalto. Questo e’ il banco di prova; per un musulmano la prova si presenta quando si e’ di fronte alla realta’ e si deve fare una scelta. Fino a quel momento hanno sempre ragione loro. Utopisto’ .

Forse pensava a Shafi. Aggiunsi, mettendogli le parole in bocca: E creano difficolta’ Perche’ credono di avere sempre ragione, no? .

Qualche difficolta’ la possono creare. Il mondo degli affari mi mette di fronte a scelte, problemi, persone, quali non avrei mai immaginato. Persone che pretendono una partecipazione nell’impresa in cambio di un progetto. Nel mondo reale degli affari la concorrenza non conosce limiti. A questo punto nasce il conflitto con i valori che vogliamo introdurre nella societa’ .

Nasar riconosceva di dover molto al movimento islamico giovanile ed era rimasto fedele ai suoi insegnamenti. Il potere e l’autorita’ forse avevano messo in luce le sue qualita’ latenti per farne l’uomo che era, ma andava detto che era stata la religione a dargli il primo impulso essenziale.

I malesi non soffrono piu’ di complessi di inferiorita’ . Non sono piu’ come la rana nel guscio del cocca’ concluse. Un modo di dire malese: per la rana l’interno del guscio della noce di cocco e’ il cielo.

 

Un sabato presi la nuova autostrada e andai a Kuala Kangsar, dove si trova il famoso Malay College, fondato dagli inglesi per i figli dei capi locali sullo stile di scuole simili nel subcontinente indiano. Ora era aperto ai ragazzi di tutti i ceti e molte carriere importanti erano iniziate proprio li’ . Anwar Ibrahim, nipote di un ristoratore in un villaggio del Penang e figlio di un infermiere, aveva frequentato il Malay College dopo aver superato l’esame di ammissione, mentre i ragazzi di famiglia reale allora ne erano dispensati.

A Kuala Kangsar si trova anche la famiglia reale di Perak. C’e’ un nuovo palazzo, grande, bianco, ricco e retorico, con una sala del trono provvista di aria condizionata. C’e’ anche il vecchio palazzo in legno, in realta’ si tratta di una costruzione tradizionale su palafitte, la “long house” stretta e buia, con ricche ornamentazioni a traforo, il pavimento di spesse assi di legno e un gradevole ricambio d’aria. Adesso e’ una specie di museo, ma non e’ difficile rimuovere con l’immaginazione le foto incorniciate e le mappe; in quegli ambienti bui, freschi e protetti, con la foresta abbacinante di fuori, ci si puo’ sentire trasportati verso sogni infantili di casa e sicurezza da tempo sepolti.

Su una collina che domina il fiume Perak e quasi all’ingresso del recinto del palazzo sorgeva la casa di Raja Shahriman, scultore e principe, imparentato alla lontana con la famiglia reale. La casa ariosa, che risale alla fine degli anni Quaranta, era arredata in stile malese con poltrone di midollino, tessuti dai colori vivaci e fiori di stoffa.

Lo scultore era. un uomo di bassa statura, appena un metro e sessantacinque, dal fisico minuto alla maniera malese. Nel viso quasi privo di espressione non si leggeva la natura della sua arte. Lavorava con metallo riciclato, nella fucina sul retro della casa. Creava figure marziali di estrema ferocia, alte fino a un metro, dalle linee nette e sinuose; l’effetto di quelle figure di metallo nero in una casa serena e tranquilla era inquietante.

In realta’ lo scultore viveva in un mondo di spiriti e produceva anche kriss, le daghe malesi, anch’esse oggetto dell’attrazione che provava per il metallo. Lo scultore diceva che i kriss trovano da soli il loro proprietario e rifiutano chi non lo e’ davvero. Aveva un consigliere spirituale e gli sarebbe piaciuto che lo incontrassi, ma non c’era tempo. Sentivo la presenza del mondo animista indonesiano. Per molti versi, eravamo prossimi all’origine delle cose, prima del passaggio alle religioni rivelate.

Lo scultore aveva una domestica cinese di mezza eta’ che probabilmente la famiglia gli aveva affidato Perche’ in quel tempo le famiglie cinesi si sbarazzavano delle figlie indesiderate. Di solito i malesi queste ragazze le adottavano. La governante dello scultore era la seconda donna cinese adottata da malesi che avevo incontrato quel giorno. La circostanza dava una nuova prospettiva al rapporto fra le due comunita’ e mi faceva vedere i cinesi sotto una luce diversa.

Nel 1979 mi ero dedicato soprattutto alla ricerca dell’Islam e avevo osservato i cinesi della Malaysia solo dal di fuori, come immigrati vitali a cui i malesi reagivano. Ora, pensando a quelle due donne aggraziate e alla loro storia a lieto fine che le vedeva adottate in una cultura diversa, cominciavo ad avere un’idea di quanto fossero stati vulnerabili i cinesi nel secolo passato e nella prima parte di questo, con un impero che andava sgretolandosi e le guerre civili in patria e il rifiuto all’estero. Debordavano, in cerca di un posto stabile ovunque fosse, sempre stranieri, isolati nella loro lingua e cultura, sopravvivendo solo grazie all’energia cieca. Una volta arrivata la coscienza di se’, una volta vinta la cecita’ , avrebbero avuto bisogno anche loro di certezze filosofiche e religiose proprio come i malesi.

 

Kuala Lumpur e’ favolosa per chi la visita: ricca, nuova e scintillante, piena di edifici pubblici recenti e splendidi interni, traboccante di vitalita’ . In un palazzo nuovo si trovava una nuova banca creata da due fratelli cinesi. Erano appena sulla quarantina e venivano dal niente. Stando all’immagine che raccolsi di loro, un fratello era tutto scintille, un parlatore; quando discuteva il viso gli diventava paonazzo. L’altro era piu’ calmo, con gli occhiali, un ascoltatore, con i modi di un medico. Eppure avvertivo che, alle strette, il fratello calmo probabilmente osava di piu’ . Facevano sembrare semplici i progetti piu’ grandiosi; una pura questione di logica. Per entrambi i soldi non erano piu’ soltanto soldi; gli affari erano diventati un’espressione di energia e di conseguenza una cosa viva.

I fratelli mi furono presentati da Philip. Philip era il segretario dell’azienda, cinese anche lui, non piu’ vecchio degli uomini per cui lavorava. Aveva un modo di fare immediato, spiritoso, spigliato, accattivante. Sembrava di una profondita’ non comune; avrei scoperto in seguito che la sua serenita’ , una componente del suo fascino, se l’era costruita con grande sforzo per celare un’infanzia molto infelice.

Il padre di Philip aveva due famiglie; lui apparteneva alla seconda e pensava che sua madre venisse trattata ingiustamente. Non gli piaceva cio’ che aveva visto da bambino e desiderava risolvere la situazione di sua madre, ma era andato emotivamente alla deriva finche’ non si converti’ al cristianesimo, a quindici anni.

Era accaduto a scuola, un istituto missionario gestito dai Plymouth Brethren, arrivati in Malaysia circa novant’anni prima. Si sentiva molto depresso quando un giorno, assolutamente per caso, assistette a una messa nella cappella. L’insegnamento che Dio era un padre amorevole lo aveva abbagliato, sentiva che gli dava un posto nel mondo.

Philip mi disse: E’ un’ironia della sorte, Perche’ semmai pensavo che mi sarei ribellato a quel tipo di religione, visto che venivo da una famiglia disastrata, dove non avevo avuto un padre dall’eta’ di sei anni. E l’insegnamento diretto della grazia… nella parabola del figliol prodigo, in cui il padre aspetta e abbraccia e bacia il figlio che ritorna. La grazia, l’amore immeritato e il favore concesso a chi se ne e’ dimostrato indegno: e’ stata una cosa di grande forza.

Devo molto alla fede, mi ha dato una certezza, un senso di appartenenza, un’identita’ . Prima era tutto confuso. Chi sono? Cinese ma non cinese. In un programma culturale cinese sarei perso. Inglese ma non inglese, non sono mai stato in Inghilterra. La Bibbia ha dato la spinta iniziale al mio amore appassionato per la lettura, che continua tuttore’.

Allora, nel 1966 e 1967, l’Islam non faceva proseliti con la stessa intensita’ di oggi; era una religione come tante. Al tempo della sua conversione Philip pensava soprattutto al proprio futuro, desiderava diventare avvocato, un professionista.

Ricordo che mia madre diceva: ‘E’ difficile trattare con gli avvocati’. Pensavo che un giorno sarei diventato avvocato e sarei stato sbrigativo con i miei clienti. Cercavo di compensare quello che mancava nella mia famiglia. Nella prima famiglia di mio padre c’erano dei dottori; alla mia famiglia, la seconda, non era andata affatto bene. Quindi cercavo una rivalsa, per restituire dignita’ a mia madre .

Lei adorava gli idoli cinesi; quelli come lei ora hanno abbracciato una nuova forma di buddhismo giapponese.

E’ piuttosto normale che la famiglia cinese butti via gli idoli e aderisca al nuovo buddhismo giapponese che si basa su una forte tradizione umanistica. Sono contento per loro che si siano liberati di quelle divinita’ da focolare .

Chi sapeva della sua fede e delle sue inclinazioni intellettuali si chiedeva come facesse a lavorare in una banca. Lui rispondeva: In base alla mia conoscenza, il cristianesimo significa non negare il mondo; siamo nel mondo ma non del mondo .

La devozione di sua madre per i “joss”, le divinita’ da focolare, era soprattutto una questione di abitudine: accendeva dei bastoncini di incenso e faceva loro delle offerte; era un rituale quotidiano.

Per me non aveva nessun significato neppure quando ero bambino. Non appena abbiamo potuto liberarcene, per noi e’ stato come smettere un vestito usato. Non abbiamo mai temuto che gli de’i sarebbero tornati per punirci. A quattordici o quindici anni sentivo che mi mancava qualcosa: un vuoto, un’assenza. Non riesco a spiegarlo. Per me e’ stato un vero colpo di fortuna capitare in quella cappella. La seconda generazione di cinesi vive il fatto con angoscia: chi sono io, oltre alla casa, al diploma, alla laurea? Queste domande sono piu’ concrete per la seconda generazione; la prima aveva troppo da fare. Per i cinesi ci sono la ricchezza ereditata, l’eredita’ delle circostanze, ma anche la domanda: sono solamente figlio di mio padre? .