28

 

COME accade spesso nello Yorkshire, il tempo cambiò all'improvviso.

Dopo un weekend caldo e soleggiato, lunedì piovve e il martedì si presentò fresco e nuvoloso, con un cielo color piombo che minacciava altra pioggia. Come sempre quando il tempo volgeva al peggio e cominciava a preannunciare l'autunno, Margaret aveva acceso il fuoco nelle stanze del pianterreno che erano quelle più usate - l'ingresso, Stone Hall, la saletta dove si faceva la prima colazione e la biblioteca. I caminetti accesi mitigavano il po' di freddo che trapuntava l'aria e facevano da piacevole contrasto al grigiore del cielo: così pensava la governante.

Evan era pienamente d'accordo con lei e, dopo un pranzo leggero che Margaret le aveva servito nella saletta della prima colazione, le disse: «Credo che non ci sia niente di più simpatico di un bel fuoco, Margaret, perfino in una giornata estiva.

Mia nonna era abituata ad accenderlo spesso nella nostra casa del Connecticut, perfino quando splendeva il sole e faceva caldo. La verità è che le piaceva vedere i fuochi accesi nei camini».

«Piaceva anche a mia madre», ribatté Margaret. «Si chiamava Hilda, e ha lavorato per anni come governante per la signora Harte. Emma Harte, intendo. Mi raccontava che la signora Harte aveva addirittura l'abitudine di attizzare personalmente il fuoco. Comunque, le stanze in questa casa così grande sono sempre gelide, con questi pavimenti di legno, e i soffitti alti, e tutto il resto. Hanno bisogno di essere ben riscaldate e a lungo, prima che arrivi l'inverno, così almeno dico io!»

«E poi un fuoco acceso è così piacevole, da un senso d'intimità, Margaret.»

«Ha ragione. Gradisce ancora un po' di caffè, signorina Evan?»

«No, grazie. E grazie anche per un pranzo squisito.»

«Piacere mio, signorina. E per che ora possiamo aspettare l'arrivo dei suoi genitori?»

«Mio padre ha voluto assolutamente prendere la macchina.

Ha detto che sarebbero stati qui in tempo per il tè. Così immagino che arriveranno alle... all'ora del tè,» Evan cominciò a ridere. «Alle quattro, dico bene?»

«Sì, esatto.»

Evan spinse all'indietro la sedia, si alzò un po' impacciata con l'assistenza di Margaret e attraversò la Stone Hall per andare in biblioteca. Era stata dimessa dall'ospedale nel pomeriggio del giorno prima, ma soltanto dopo aver promesso al medico che lo avrebbe chiamato se avesse sentito qualche dolore insolito che poteva far pensare a un problema con il bambino.

Ci erano volute soltanto un paio di ore perché riuscisse ad abituarsi all'ingessatura alla gamba destra, ma la costola fratturata era dolorosa, specialmente quando cercava di mettersi a sedere.

Eppure, tutto considerato, era stata fortunata. Un brivido involontario la fece fremere ricordando come i freni si erano rifiutati di funzionare, e non poté fare a meno di domandarsi se ci fosse lo zampino di Jonathan Ainsley. Ma dal momento che era riuscita a resistere alla tentazione di fare il suo nome parlando con Robin, ora prese le decisione di dimenticarsi di un uomo perverso e corrotto come lui.

Solo poche settimane prima aveva trovato gli splendidi album di fotografie, massicci, fitti di pagine, che erano appartenuti a Emma, e in cui la bisnonna aveva meticolosamente le immagini di tante generazioni. Joe, l'amministratore della proprietà, che era anche il marito di Margaret, glieli aveva messi a disposizione proprio quella mattina, e lei aveva cominciato a sfogliarli con attenzione, tanto profondo era il suo interesse per gli antenati, ritratti il più delle volte in bianco e nero.

Affascinata da quelle più antiche, aprì di nuovo il primo album. Era in stile vittoriano, elegantemente rivestito in velluto rosso e impreziosito dagli angoli in argento inciso e il grosso fermaglio, in argento anch'esso. Era anche fitto di annotazioni nella scrittura precisa e fluida di Emma.

L'uomo che l'affascinava di più era Winston, il fratello maggiore di Emma. In quell'album c'era un suo ritratto in uniforme della marina inglese, scattata quando aveva soltanto diciassette anni, durante la prima guerra mondiale. Era il bisnonno di Gideon ed Evan riconosceva nelle fattezze di Winston l'uomo che amava. Gideon aveva sicuramente ereditato da lui la bellezza degli Harte, non era difficile accorgersene. Mancava una fotografia di fianco a quella di Winston, ma, accanto al posto vuoto, Emma aveva scritto: «Mio padre, Big Jack Harte».

Chissà chi era stato a togliere la foto e chissà per quale motivo.

Un po' più avanti c'era un'altra immagine con l'annotazione: «Mio padre», e anche in quel caso la scrittura era quella di Emma.

Evan la contemplò a lungo, finché si accorse che l'uomo ritratto le ricordava... Toby, il fratello di Gideon. Ma che cosa c'era di strano? Anche Toby era un discendente di Winston, il figlio di Big Jack. Accanto alla foto di Big Jack, scattata da una di quelle piccole macchine fotografiche dell'epoca che chiamavano «Brownie», c'era un'immagine sbiadita di Elizabeth Harte, moglie di Big Jack e madre di Emma. La sorella gemella di Robin, Elizabeth, le assomiglia in un modo incredibile. E lei stessa le somigliava. Robin aveva ragione quando le diceva che era una vera Harte.

Con cautela, continuò a voltare le pagine, incuriosita dai ritratti di Paul McGill in uniforme da soldato; di Robin ed Elizabeth quando erano bambini in compagnia del padre Arthur Ainsley; di Kit, il figlio che Emma aveva avuto dal suo primo marito, Joe Lowther, con Edwina, in ghingheri in una toilette che richiamava immediatamente alla memoria i Ruggenti Anni Venti.

Nel secondo album c'erano le fotografie di Kit, Robin, ed Elizabeth ai tempi della seconda guerra mondiale. Com'era piena di fascino zia Elizabeth in divisa di crocerossina, con i soffici e lunghi capelli neri. E ancora... la bisnonna davanti alla Camera dei Comuni con una coppia elegantemente vestita. Emma aveva scritto: «La mia cara amica Jane Stuart Ogden e suo marito, Bill».

Il terzo album conteneva le fotografie di Daisy, la figlia che Emma aveva avuto da Paul McGill. E c'erano anche un'istantanea di Paul ed Emma insieme e una con la loro unica figlia, Daisy. E, vicino a questa, un'altra di Paul e Philip con la madre, Daisy, e il padre, David Amory.

Evan si lasciò andare contro la spalliera imbottita della poltrona, inebriata dal racconto che emergeva da quelle centinaia di fotografie che risalivano all'inizio del ventesimo secolo. Gli album, complessivamente ventuno, coprivano un arco di tempo di quasi cento anni. Se fossi una scrittrice, pensò, potrei ricavare una storia della famiglia da queste fotografie. E che meravigliosa saga familiare sarebbe!

Ora era lei a portare in grembo un altro Harte, la generazione successiva. Si posò le mani sul ventre, pensando alla sua creatura. Non era stata concepita volutamente, era successo per caso, ma lei si sentiva felice di essere incinta. Rabbrividì ancora una volta al pensiero della facilità con cui, invece, in quel preciso momento lei e il suo bambino avrebbero potuto essere all'obitorio.

Chiuse gli occhi, e lasciò che i suoi pensieri si concentrassero sul nascituro e sul cambiamento che le avrebbe portato nella vita. La sua speranza era che, alla sua nascita, sarebbe già stata sposata con Gideon. Lui era l'amore della sua vita. E adesso capiva cosa fare perché fra loro tutto tornasse come prima.

 

Robin sostò un attimo sulla porta della biblioteca a contemplare Evan, dolce e incantevole. Aveva un aspetto molto migliore del giorno prima, non era più così pallida e la camicetta color pervinca che indossava le donava moltissimo. Era anche una persona buona, e anche sincera, lo aveva capito fin dal primo momento, di solidi principi morali, onesta per natura... Ebbe la certezza che sarebbe emersa a vele spiegate dalla crisi in cui si trovava attualmente, una crisi, comunque, di modesta entità.

Aveva un gran senso pratico e teneva sempre i piedi per terra, quindi era convinto che sarebbe stata capace di trovare una soluzione al dissenso che aveva avuto con Gideon.

Bussò delicatamente sul battente della porta aperta ed entrò.

«Eccoti qui, Evan!» esclamò. « Spero di non disturbarti».

Lei alzò subito la testa accogliendolo con un bel sorriso. «Robin, sei in anticipo!»

«Sì, è vero, ma volevo avere qualche minuto per stare con te, soli, noi due, prima che arrivassero tuo padre e tua madre.»

Si accostò al tavolo dove lei era seduta, con un'occhiata divertita agli album. «Ti sei messa d'impegno a studiare la famiglia, eh?» rise.

«Eccome. Ed è affascinante.»

Robin la baciò su una guancia e si sedette con lei. «Voglio ribadire che sono emozionato e felice per il bambino, Evan», le disse. «E anche se l'altro giorno ho sostenuto che erano soltanto affari tuoi e di Gideon, e non dovevano riguardarmi, adesso mi stavo semplicemente chiedendo se pensi di dirglielo.»

«Sì, glielo dirò, ma devo scegliere il momento giusto. Ho intenzione di chiamarlo Robin, maschio o femmina. Mi auguro che ti faccia piacere.»

Lui provò un fremito di orgoglio. «Naturale, che mi fa piacere, cara. E, adesso, dimmi un po': che cosa hai in mente per questo pomeriggio? Quando hai detto che dovevo venire a prendere il tè con tuo padre e tua madre, devo ammettere che sono rimasto un po' perplesso. Mi vuoi spiegare quali sarebbero le tue intenzioni?»

Lei rise. «A voler essere sincera, non lo so bene neanch'io.

Ma ho pensato di farvi venire tutti insieme e quando sarete qui riuniti... come si dice giocando d'azzardo, che le fiches cadano dove vogliono! Ecco!»

«Capisco. E loro, quando pensano di tornare a New York?»

«Non lo so. Quando li ho chiamati al telefono dopo l'incidente, mi è sembrato che ci fosse un po' d'isterismo all'altro capo del filo finché non li ho convinti che ero ancora tutta intera.

Mia madre ha insistito per venire a trovarmi. Così per il momento hanno rimandato il viaggio di ritorno a casa. Comunque, io penso di tornare in negozio a Leeds non più tardi della fine di questa settimana.»

«Non avere fretta, Evan. Sono sicuro che Paula non è assolutamente quella negriera che noi tutti a volte immaginiamo.»

Rise. «Allora devo supporre di essere ancora io l'unica persona al corrente del fatto che sei incinta?»

«Oh sì, e per favore... vuoi considerarlo un segreto?»

«Senz'altro. Però hai raccontato a Gideon dell'incidente con la macchina, vero?»

«Sì. Ed era preoccupato. Ha detto che verrà a trovarmi il più presto possibile. Ma è molto impegnato per via degli attentati terroristici in America e per ora preferisce mantenere uno stretto controllo sui quotidiani di proprietà della famiglia.»

«Lo so. È veramente dedito al suo lavoro», rispose Robin.

Si schiarì la voce e le prese la mano. «Non voglio metterti in agitazione e neanche intimorirti, Evan, ma stamattina mi ha telefonato la polizia. Hanno analizzato l'automobile e controllato l'apparato frenante. I tubicini del liquido dei freni erano stati tagliati.»

Lei non ne fu sorpresa. «Il che significa che qualcuno li ha manomessi. È questo che intendi?»

«Precisamente», confermò lui. «Quando hai cominciato la discesa i freni non funzionavano più. Ma la polizia dice che non c'è modo di risalire al colpevole. Non ci sono impronte digitali, capisci.»

Un brivido gelido percorse il corpo di Evan. Non soltanto lei e il suo bambino ma anche il vecchio sul carro e il suo cavallo potevano rimanere vittime dell'incidente. «Nessuno sapeva che io avrei usato quella macchina...» mormorò. La sua voce si spense senza concludere la frase. Poi fissò Robin con i grandi occhi grigio-azzurri colmi di una preoccupazione che era solamente per lui.

«No, nessuno lo sapeva. La vittima predestinata ero io, temo.

Questo è il motivo per il quale voglio che tu non ti preoccupi troppo per quanto ti riguarda.»

«Ma mi preoccuperò per te!» sbottò Evan. «Come non potrei preoccuparmi?»

«Per favore non farlo, io me la caverò benissimo. Ma d'ora in poi sarò sicuramente più vigile. Te lo prometto.»

«Lui... lui è stato qui?»

«Vuoi alludere a Jonathan, naturalmente. No, non è stato qui ma sai bene come lo so io che questo non significa niente.

Può procurarsi chi vuole per fare il suo sporco lavoro, e sono sicuro che è disposto a pagare bene favori di questo tipo, se vogliamo chiamarli così.»

Evan tacque. Si sentì commossa fin nel profondo del cuore, colma di affetto per quell'uomo adorabile. Doveva essere terribile pensare che il suo stesso figlio avesse tentato di fargli del male. Si protese verso di lui, stringendogli forte una mano, poi alzò gli occhi di scatto perché aveva sentito un rumore.

«Sono venuto qui più presto che potevo», esordì Gideon, dalla porta della biblioteca. La guardava con un'espressione di ansia viva.

«Gideon! Non ti aspettavo ancora per qualche giorno, più o meno alla fine della settimana.»

Lui le andò subito incontro, la prese fra le braccia e se la strinse al cuore cautamente ma con tutta la delicatezza possibile.

«Non sopporto anche solo il pensiero che tu abbia corso il rischio di morire.» Poi, scostandosi un poco, la guardò in faccia.

«Come va la costola? Non ti ho fatto male adesso, stringendoti così forte, vero?»

«No, sto bene. Ma sono stata molto fortunata, Gideon, con una costola e una caviglia rotte. E un po' di lividi. Avrebbe potuto essere molto peggio.»

«Me ne rendo conto, amore.» Gideon si girò verso Robin e gli strinse calorosamente la mano.

«Grazie per esserti occupato di Evan per me, zio Robin», gli disse con sincera gratitudine. «Non sai quanto lo apprezzo».

Robin si limitò a sorridere e ad assentire, contento dell'arrivo del pronipote.

«Siediti. Gideon, c'è qualcosa che voglio dirti», disse Evan.

Nel preciso momento in cui era entrato, così inaspettatamente, lei aveva preso di punto in bianco la decisione di parlargli della sua gravidanza.

Guardandola con aria interrogativa, lui andò a sedersi vicino a Robin dalla parte opposta del tavolo da gioco. «Sei strana... c'è qualcosa che non va?» chiese.

«No. Per lo meno non credo... Sono incinta... aspetto il nostro bambino, Gid.»

Gideon, strabiliato, si alzò in piedi di scatto, girò intorno al tavolo e le posò le mani sulle spalle. «Aspettiamo un bambino.

Ma è una notizia meravigliosa, Evan! Veramente meravigliosa!»

Evan gli lesse sul viso una gioia sincera e vide che i suoi occhi verde chiaro, spesso così freddi, critici e attenti nel valutare e soppesare le cose, tradivano in quel momento commozione e felicità. Non era possibile avere dubbi sui suoi sentimenti, e ne fu infinitamente sollevata.

«Perché non me lo hai detto prima?» Gideon le domandò improvvisamente.

«Non volevo influenzarti... su di noi, sul nostro futuro.»

«Capisco. Ma non avrai pensato che una notizia del genere mi lasciasse sconvolto, vero?»

«Non so quello che ho pensato... salvo che ero felice di avere tuo figlio che cresce dentro di me... Una parte di te, Gid.»

Lui le sorrise, poi le prese la testa tra le mani e la baciò sulla fronte. «Sono emozionato, Evan. Emozionato e felice, e mi sento... tanto fortunato di avere te, amore.» Lanciò un'occhiata a Robin e inarcò un sopracciglio. «Tu cosa ne dici?»

«Sono felice ed emozionato come te, Gideon. È una notizia splendida, e so che tuo padre e tua madre saranno altrettanto eccitati e commossi.»

«Saranno al settimo cielo per la felicità.» Rimanendo dietro a Evan, e appoggiandole di nuovo le mani sulle spalle, Gideon cambiò a un tratto espressione, diventando molto serio. «Cosa mi dici dei freni della Rover?» domandò a Robin. «Evan mi ha raccontato che non funzionavano.»

Robin sospirò e Gideon scorse un lampo di allarme che gli passava nei suoi occhi azzurri. «Non mi dirai che sono stati manomessi?», chiese ancora.

Ci fu un silenzio, e finalmente Robin annuì. «Sì. La polizia mi ha informato stamattina che i tubicini del liquido dei freni erano stati tagliati.»

Gideon scosse la testa. «Inconcepibile. Non è il caso di indagare sul come e sul perché proprio adesso, zio Robin, ma devi stare in guardia. In questo caso il bersaglio eri tu, sai?»

«Oh sì, me ne rendo conto. Ho appena finito di dire a Evan che d'ora in avanti ho intenzione di stare molto, ma molto attento.

Ma non pensiamoci ora, Gideon, ragazzo mio. Stanno per arrivare i genitori di Evan. Per il tè.»

«Guarda, guarda, guarda!» sbottò Gideon. «Sarà il classico sasso lanciato nello stagno!»

Qualcosa era cambiato in Evan e lei se ne stava accorgendo.

Era un cambiamento appena percettibile, ma importante. Si era verificato in seguito all'incidente, e se qualcosa di buono poteva scaturire da una brutta esperienza, era stato proprio questo cambiamento.

Il giorno dopo l'incidente aveva dovuto scendere a patti con se stessa perché si era accorta di quanto fosse vulnerabile e si era vista costretta ad accettare la realtà dei fatti, cioè che non si ha pieno controllo della propria vita. La vita era la vita. Un susseguirsi di eventi. E il futuro era imperscrutabile. Né c'era sempre modo di difendersi. L'unica cosa di cui si sentiva sicura era se stessa. E ora, inaspettatamente, capiva anche con precisione che tipo di persona era. Non sua madre, non suo padre, e neanche la nonna Glynnis. Solo se stessa. Si conosceva. E giunta a questa presa di coscienza, aveva anche concluso che nessuno poteva dirigere o gestire la sua vita per lei.

Perché era la sua vita. E stava a lei decidere come viverla.

Sentiva nel profondo del cuore che doveva prendersi saldamente in pugno, assumere il controllo di se stessa, non lasciarsi più influenzare dal padre, dall'immagine che si era creata di lui, o dal passato. Il passato era sempre presente, viveva dentro di lei, e contribuiva a renderla come era. Ma doveva essere tenuto nella giusta prospettiva. Il passato non poteva dominare il futuro.

Così Evan era arrivata alla decisione di essere franca e leale con i genitori, con suo padre in particolare. E nello stesso modo aveva deciso di essere completamente onesta con Gideon.

Era giunto il momento in cui doveva parlargli del bambino.

Non si era aspettata di vederlo quel pomeriggio, però aveva affrontato il suo arrivo senza batter ciglio e, dopo aver respirato a fondo, si era buttata... Dire la verità era stata un'esperienza gratificante. E che incredibile sollievo era stato sentirsi sincera!

Alzandosi da sola, senza aspettare che uno dei due uomini presenti si scomodasse per aiutarla, si appoggiò pesantemente al tavolo da gioco per non perdere l'equilibrio, quindi attraversò la biblioteca manovrando con attenzione la gamba imprigionata nell'ingessatura. Che bello essere in piedi! In posizione eretta la cassa toracica le doleva meno. Anche seduta, non stava troppo male. Ma quando si sdraiava per dormire, provava disagio, anche un po' di dolore. Malgrado questo, continuava a ripetersi che il sabato precedente era stata molto fortunata.

Solo il giorno prima, ridendo, Linnet, aveva commentato che doveva avere un angelo custode, e forse era vero. In ogni caso le bastava sapere che il suo bambino era sano e salvo, che lei si sentiva forte e piena di vitalità e presto sarebbe tornata alla vita normale.

Era eccitata e felice per la commozione e la gioia di Gideon, che aveva reagito alla notizia con contentezza genuina; e ormai in lei si era fatta strada l'idea che presto sarebbero riusciti a risolvere il dissidio nato fra loro. Specialmente dopo quello che le era appena successo.

«Ti senti bene, amore?» le chiese Gideon dall'altro capo della stanza.

«Non potrei sentirmi meglio», si affrettò a rispondergli con un sorriso. «Solo che ogni tanto ho bisogno di sgranchire un po' i muscoli. Queste costole stanno prendendo il vizio di... protestare un po' troppo spesso!»

Gideon rise con lei e poi tornò a dedicare tutta la sua attenzione a Robin che gli stava parlando degli attentati terroristici a New York e Washington. Da ex deputato, aveva ancora molte conoscenze importanti e facile accesso a ogni genere d'informazione.

Evan, rimase a osservarli ancora per qualche minuto, sorridendo tra sé. Fra sette mesi Gideon sarebbe diventato padre, e Robin bisnonno. Un figlio... o una figlia?

In quel momento sentì il rombo di una macchina che imboccava il viale e tornò verso il tavolo da gioco. «Credo che ci siano mamma e papà», annunciò. «Ho sentito una macchina sul viale».

«Sono venuti in macchina?» Gideon domandò, non nascondendo di essere meravigliato.

«Oh sì, papà ha insistito. Ha detto che conosceva la strada.

La sera in cui siamo stati a cena insieme, quando erano appena arrivati a Londra, mi ha raccontato di essere stato nello Yorkshire da bambino.»

Per un attimo sembrò che Robin stesse per parlare ma poi, evidentemente, cambiò idea. Andò alla finestra e cinse le spalle di Evan. «Lasciami indovinare, cara», le disse. «Mi hai invitato qui perché hai intenzione di spiegargli chi sono io».

«Credi che sarà proprio necessario, Robin?»

«In che senso? Cosa vuoi dire?»

«Voi due vi assomigliate moltissimo. Non trovi anche tu, Gid?»

«Purtroppo, ho paura di sì.» Risero tutti e tre. «In questo momento, a guardarci come ce ne stiamo qui in piedi, l'uno vicino all'altro, con un'aria talmente seria, per non dire severa, sembriamo sacerdoti che attendono i fedeli davanti alla chiesa».

«La verità è che io mi sento molto meglio quando sto in piedi», si scusò Evan appoggiandosi a Robin.

Si affacciò Margaret. «Oh ciao, Gideon, non sapevo che fossi qui anche tu».

«Sono entrato zitto zitto, come il classico topolino in chiesa, Margaret», le rispose lui nel suo solito modo gioviale.

«Già, proprio!», annuì lei. Si rivolse a Evan: «I suoi genitori sono arrivati, signorina Evan. Li ho accompagnati nella loro camera. Scendono fra un minuto. Adesso si stanno rinfrescando.

Ho spiegato dov'è la biblioteca. Io intanto porto il vassoio del tè. Avranno sete. E anche appetito, immagino».

«Grazie», rispose Evan mentre Margaret si ritirava.

«Sarà meglio che io tolga qualcosa da quel tavolino», borbottò Gideon. Ne tolse un portacenere, un vaso di fiori, e un libro, poi accostò altre due poltrone al divano. «Ecco fatto, così va bene, c'è posto per sederci tutti e cinque. In cerchio.»

Margaret tornò con tutto il necessario per il tè e posò il vassoio sul tavolino davanti al divano. «Torno subito con le fette di pane e burro, le focaccine, e una delle mie torte di pan di Spagna con il ripieno di crema», disse.

«Ho già l'acquolina in bocca», le rispose Gideon. «So benissimo che il tuo pan di Spagna con il ripieno di crema e marmellata è il migliore del mondo, sai?»

«Sei sempre stato un adulatore, signorino Gideon», mormorò lei prima di uscire dalla biblioteca. Riapparve dopo pochi minuti con un secondo vassoio carico di altre prelibatezze, che posò sulla scrivania. «Vuole che mi fermi a versare il tè, signorina Evan? O pensa che ce la può fare da sola?»

«Me la cavo, Margaret. Grazie comunque.»

«Io sono un esperto a passare le tazze e a servire la torta», le fece eco Gideon e Margaret, con un cenno di accettazione, si ritirò di nuovo.

«Sono contento di poter partecipare anch'io», disse Gideon rivolgendosi a Evan. «Come pensi di farlo?»

«Ancora non lo so... Inventerò qualcosa lì per lì.»

«Tocca a te decidere, mia cara», Robin si azzardò a interloquire.

«Ma non farlo per me...»

«Voglio farlo per me stessa, per mio figlio, per Gideon, e per te, Robin. La verità è importante per tutti noi. Specialmente per il futuro del mio bambino.»

«Senz'altro», lui rispose, con un'occhiata a Gideon, «Sono sicuro che tu sei d'accordo, vero?»

«Pienamente. Hai intenzione di parlare anche del bambino, Evan?»

«Può darsi.»

«E in questo caso, consentimi di dire soltanto questo... mi aspetto che tu mi sposi, e il più presto possibile. Per piacere, dimmi sì.»

«Sì!»

«Evviva! Finalmente ci sposiamo!»

Robin sorrise tra sé. Con persone come Evan e Gideon, tutto si sarebbe sistemato a perfezione. E se aveva imparato qualcosa dell'animo umano, la loro sarebbe stata un'unione felice.

Erano una coppia bene assortita.

Improvvisamente Owen e Marietta comparvero sulla soglia della biblioteca, e si fermarono un momento come intimoriti dalla solennità dell'ambiente.

«Mamma! papà! Entrate, entrate», esclamò Evan avanzando a balzelli, raggiante. «Che bellezza, avervi qui!»

Sua madre entrò impetuosamente nella stanza ma l'abbracciò con cautela. «Ne so qualcosa, io, di costole rotte», le sussurrò avvicinandole la bocca ai capelli. «Oh, Evan, grazie a Dio stai bene. Se sapessi com'ero in pensiero!»

«Sto benissimo, mamma, credimi.

Un attimo più tardi era papà a darle un bacio sulla guancia, a stringerle forte la mano. «Siamo così contenti di vederti, tesoro», disse, scrutandola con affetto. «Sei sicura di stare proprio bene? Nessuna lesione interna?»

«Non dire sciocchezze, papà! H dottore non mi avrebbe lasciato venir via dall'ospedale, ti pare?»

Gideon venne avanti ad abbracciare la mamma, a stringere la mano del papà. «Che piacere vedervi, signori Hughes. Benvenuti a Pennistone Royal.»

«E noi siamo felici di essere qui», Marietta rispose rivolgendogli un caloroso sorriso. «Solo che...» Ma s'interruppe perché aveva intravisto Robin, che era rimasto fermo vicino al camino.

Sorpresa, lanciò uno sguardo a Owen.

Ed Evan, alla quale tutto questo non era sfuggito, colse al volo l'opportunità che le si offriva. «Voglio che tu faccia la conoscenza di una persona», disse prendendo il padre per mano.

«Robin Ainsley, figlio di Emma Harte.»

Robin abbandonò il suo posto per avvicinarsi. «Nonno», continuò Evan, «voglio che tu faccia finalmente la conoscenza di tuo figlio. papà, spero che questo non sia uno shock troppo grande... ma ecco il tuo padre naturale... Lui e Glynnis erano insieme durante la guerra».

Robin gli porse la mano.

Owen gliela strinse. Non potendo non riconoscere qualcosa di sé nell'uomo che gli stava di fronte, lasciò scorrere i secondi senza trovare qualcosa da dire.

Fu Robin il primo a parlare. «Ci siamo già incontrati un'altra volta, prima di adesso, ma talmente tanto tempo fa che devi averlo dimenticato. Ne sono sicuro. Qui, in questa casa, con mia madre, tua nonna Emma Harte. Glynnis... tua madre, ti aveva portato a far visita a Emma, e io sono capitato qui senza preavviso. Te ne ricordi?»

«Vagamente», Owen replicò adagio, sempre con gli occhi fissi su Robin. «Eravamo venuti nello Yorkshire, perché alla mamma piacevano talmente questi posti. Eravamo in questa casa... per il tè... Sì, certo che me ne ricordo, adesso. Ma non sapevo... non sapevo che tu fossi mio padre. Credevo che mio padre fosse Richard Hughes.»

«E lo era, Owen, eccome se lo era! Ti ha cresciuto lui. Ti ha voluto bene come se tu fossi un figlio veramente suo. È stato tuo padre a tutti gli effetti, e un padre magnifico.»

Owen si limitò ad annuire lentamente.

Marietta gli si accostò e lui si affrettò a presentagliela: «Questa è mia moglie, Marietta».

«Piacere di conoscerti.» Robin le strinse la mano, le sorrise.

«Mamma mia, che somiglianza!» esclamò Marietta dopo un momento. «Io avevo sempre pensato che Owen assomigliasse a Richard. Ma invece è la sua immagine fatta e finita, Robin.»

 

Era stata straordinaria. Talmente straordinaria, anzi, da lasciarlo stupefatto. E coraggiosa... perché per essere onesta come si era dimostrata, ci voleva coraggio. Non aveva lasciato niente al caso, alle congetture, o alle allusioni. E tutto era andato per il meglio. Forse, proprio soltanto per merito della sua schiettezza e semplicità. Era stata così franca e onesta, non aveva cercato di abbellire o mimetizzare la verità, né di condire con qualche insulsaggine le sue parole. E anche questo contava.

Adesso era sdraiata sul letto, vicino a lui, sorretta dai cuscini, e stava sonnecchiando nella luce tenue del crepuscolo.

Tutto d'un tratto si era sentita affaticata, e lui si era offerto di aiutarla a salire in camera da letto e le era rimasto vicino... Perché non voleva che fosse sola, e perché in quegli ultimi tempi si era sentito anche lui così solo, e malinconico... senza di lei.

Le loro differenze d'opinione li avevano allontanati. Ma, adesso, grazie a Dio, quella lontananza era stata colmata e, indipendentemente da quello che poteva essere successo, lui non avrebbe più lasciato che qualcosa si intromettesse fra loro. Mai più.

Gideon, appoggiandosi a un gomito, si chinò a contemplare Evan. Serena nel riposo, e incantevole. Come aveva fatto a dubitare di lei? Unicamente per colpa della propria stupidità... com'era prevedibile, no?

Si era reso conto, quando l'aveva conosciuta nove mesi prima, che era diversa da tutte le altre donne che aveva conosciuto, che era di un'integrità a tutta prova, con un'etica rigorosa e solidi principi morali, e dotata di grande intelligenza. A confonderlo era stata la sua indecisione di quegli ultimi tempi.

E anche il suo atteggiamento nei confronti del padre. Eppure la sua adorazione per Owen era soltanto naturale... non si comportava anche lui allo stesso modo nei confronti di suo padre?

Le scostò una ciocca di capelli dalla faccia, e lei aprì gli occhi.

Ricambiò il suo sguardo, mentre un sorriso gli aleggiava sulle labbra, con i luminosi occhi verdi pieni di amore.

«Pagherei non so cosa per sapere cosa stai pensando, Gideon Harte.»

«È semplice. Stavo pensando quanto ti amo.» Le appoggiò delicatamente una mano sul ventre. «E quanto amo questo nostro bambino che sta crescendo dentro di te.»

Un'ondata di felicità illuminò la faccia di Evan, e i suoi occhi grigio-azzurri sembrarono colmi di luce, come trasparenti.

«Anch'io.»

«Oh, Evan, tesoro, non so dirti come mi rimprovero di essere stato così scostante in queste ultime settimane. Mi perdoni?»

«Non c'è niente da perdonare. Tutta colpa mia. Mi sentivo così indecisa!»

«Ma oggi sei stata coraggiosa, a dire a tuo padre di Robin.»

Lei fece una smorfia. «Dire la verità può essere duro. Ma, alla fine, ne vale la pena. Come sarebbe stato terribile se mio padre avesse saputo la verità su Robin prima che glielo dicessi io! Immagina cosa avrebbe provato... Si sarebbe sentito... tradito, ne sono sicura.»

«Non ha battuto ciglio quando gli hai detto che noi aspettavamo un bambino e che ci sposiamo in gennaio. E che tu speravi che lui e la mamma sarebbero stati presenti alla cerimonia nuziale, e che se loro non venivano, tutto sarebbe stato diverso!

Hai parlato in un modo così positivo, così realistico che, per un momento, mi hai lasciato smarrito.»

«Capivo di dover tirar fuori tutto, e di farlo sapere a tutti e due nel modo più chiaro possibile. Non volevo che troppa commozione ci prendesse la mano.»

«Lui ha reagito molto bene, Evan, devo dire, e quanto a tua madre, poi, era addirittura al settimo cielo per il bambino. 'Il mio primo nipote' continuava a ripetere, e alla fine anche tuo padre sorrideva. E non ha fatto una sola domanda... Invece io, tesoro, ne ho una da farti.»

«Sì? E quale sarebbe?»

«Perché gennaio? Perché non possiamo sposarci prima?»

«In un certo senso, piacerebbe anche a me, Gid, ma non possiamo trascurare Linnet. Nemmeno a pensarci e nel modo più assoluto. Anche se decidessimo per una cerimonia più veloce sposandoci civilmente, all'anagrafe, o per la classica fuga d'amore, finiremmo sempre per mettere in seconda linea il suo matrimonio con Julian, non ti pare?»

«Sì, hai ragione. Ma aspettando tutto questo tempo, al momento delle nostre nozze tu... come posso esprimermi... sarai... sarai parecchio avanti, ecco!»

Evan cominciò a ridere sommessamente, facendo segno di sì. «È vero, ma non me ne importa niente! E, a ogni modo, io voglio un matrimonio semplice, senza fasti e soltanto con la tua, e la mia famiglia.»

«La mia è molto numerosa. E anche la tua, a ben pensarci.»

«È vero. E poi c'è un'altra cosa, Gid. La gente è poco propensa a mettersi in viaggio di questi tempi.»

«Capisco a che cosa vuoi alludere... È presumibile che le tue sorelle non avrebbero una gran voglia di attraversare l'Atlantico in aereo con i terroristi che fanno di continuo notizia alla tv, e forse anche in cielo!»

«Precisamente.»

«E allora, gennaio sia», si rassegnò Gideon. Poi diede un'occhiata all'orologio. « Credo sia meglio che faccia un salto giù a vedere come vanno le cose. Tu non vieni?»

«Sì, credo che sia opportuno. Vediamo se papà e Robin vanno d'accordo.»

 

Erano seduti tutti e tre davanti al fuoco nella Stone Hall: sua madre, suo padre, e il nonno. Poco prima lei aveva chiamato

Robin «nonno» per dare maggior peso a un momento drammatico ma adesso si domandò se gli avrebbe fatto piacere sentirsi chiamare così in continuazione. Glielo avrebbe chiesto più tardi, quando si fossero ritrovati da soli.

Tre paia di occhi si volsero a osservarli mentre Gideon aiutava Evan ad accomodarsi nella grande poltrona.

«Quell'ingessatura dev'essere un bell'impiccio, vero?» commentò sua madre.

«L'hai detto, mamma. E mi stanca, per di più.» Spostò gli occhi su Robin e suo padre. «Poco fa sono stata brusca, papà», si scusò. «Ma ho pensato che fosse l'unico modo per raccontarti di Robin e Glynnis».

Owen si alzò di scatto per darle un bacio sulla testa. «Hai fatto la cosa giusta, Evan. Era solo questione di tempo e avrei scoperto la verità. Meglio che mi sia stata rivelata da te, cara.

Tua madre e Robin sono d'accordo, E poi, sono un uomo adulto, no? Sono in grado di affrontare la verità, per quanto inaspettata possa essere.»

«Lo so, papà.»

Gideon sapeva che il tempo a sua disposizione si era esaurito.

Scelse quel momento per darne l'annuncio. «Devo andare, Evan. E mi dispiace».

«Oh, ma è un viaggio così lungo, in macchina!» protestò lei.

«Chissà come ti stancherai.»

«No, per niente, perché prendo un elicottero dall'aeroporto di Yeadon. Sarò a Londra in un batter d'occhio, o quasi.»

Le diede un bacio su una guancia. «Non alzarti, cara. Ti chiamo più tardi», le sussurrò.

«Va bene, Gid», gli rispose lei, sorridendogli. Poi si baciò la punta delle dita e gliele posò sulle labbra. «Ti amo.»

«Anch'io ti amo.»

Gideon distribuì saluti a tutti e scappò via mentre Evan, accomodandosi meglio in poltrona, apprezzava la morbidezza dei cuscini, il calore del fuoco, la luce guizzante delle fiamme. Nonostante le dimensioni, la biblioteca riusciva a essere accogliente.

Si rese conto in quel momento di sentirsi felice, lì seduta con i suoi genitori e Robin... la sua famiglia.

Insieme presero un cocktail e conversarono piacevolmente.

Evan, sorseggiò solo un bicchiere di succo d'arancia, pensando al bambino e a Gideon, e al loro futuro insieme. Si sentiva talmente sopraffatta dalla gioia, che le sembrava quasi qualcosa d'irreale.

Più tardi Margaret annunciò che la cena era servita nella saletta dove consumavano abitualmente la prima colazione, e Owen aiutò Evan ad alzarsi dalla poltrona. Fu Robin a precederli fuori dalla biblioteca e attraverso la Stone Hall, chiacchierando con Marietta di cavalli... fra tutti gli argomenti possibili e immaginabili ! Evan aveva sempre ignorato che alla mamma piacessero i cavalli e le corse ippiche... Non riuscì a spiegarsene il motivo. Ma, del resto, c'era talmente tanto che non sapeva sul suo conto! E su quello di suo padre. Proprio quello stesso pomeriggio si era scoperto che lui aveva già conosciuto Robin, che era già stato lì, in quella casa. Ma per quale motivo lo aveva tenuto segreto? Be', lei sapeva la risposta...

 

Dopo cena si sentì così stanca che pregò sua madre di aiutarla a salire in camera. Dopo che si fu coricata, Marietta si sedette sulla sponda del letto e le prese una mano.

«Sono contenta che tu abbia raccontato a tuo padre di Robin, e del bambino, Evan, ma specialmente di Robin. Era necessario che lo sapesse», le disse dopo un breve attimo di titubanza.

«Ne parli in uno modo così strano, mamma... Come se tu lo avessi già saputo», osservò Evan con circospezione.

«Sì, effettivamente lo sapevo, anche se non l'ho detto a tuo padre», rispose Marietta, dopo un'esitazione appena percettibile.

Evan sgranò gli occhi. «Chi te lo ha detto? Ma perché te lo domando? Dev'essere stata la nonna, altrimenti chi altri avrebbe potuto essere?»

«Infatti. Me lo ha raccontato la nonna, ma senza tante parole.»

«Non riesco a seguirti.»

«Lo capisco. Dammi soltanto un momento, torno subito.»

Marietta si stava già avviando alla la porta. Uscì senza aggiungere altro.

Evan ebbe appena il tempo di riflettere su quella confidenza improvvisa, che Marietta rientrò nella sua camera da letto e si chiuse senza rumore la porta alle spalle. Teneva in mano un pacchetto avvolto in spessa carta marrone. Tornò al letto e lo posò in grembo a Evan.

Lei alzò gli occhi a guardarla: «Cos'è?»

«Lettere scritte da Emma Harte a Glynnis, nel corso degli anni. Glynnis le ha conservate tutte, e una delle ultime cose che mi ha domandato di fare è stata che io andassi a recuperarle nel suo appartamento. E mi ha detto che dovevo darle a te, e soltanto a te. Me lo ha fatto promettere, e io naturalmente gliel'ho promesso.»

«Tu, però, le hai lette.» Questa parole vennero pronunciate più come un'affermazione che una domanda, mentre Evan inarcava le sopracciglia.

«In massima parte, sì. Il pacchetto non aveva i sigilli come adesso. Sono stata io a metterli e a chiuderlo ermeticamente.

Ma sapevo, in cuor mio, che a lei non avrebbe importato... C'era un rapporto speciale fra noi. Tua nonna mi voleva bene, si fidava di me.»

«L'ho sempre saputo, questo, mamma. Dunque tu hai letto le lettere e hai scoperto che papà era figlio di Robin.»

Marietta sospirò. «Sì... e anche altre cose. Ma lei ha insistito perché io te le consegnassi... E allora, eccole qui.»

Evan si lasciò andare contro i guanciali. «Voleva che io sapessi tutto, dico bene? Ma perché?»

«Sono sempre stata convinta che la verità ci rende liberi... e credo che questo fosse il motivo per cui l'ha fatto. Voleva che tu sapessi la verità su lei, sulla sua vita passata e su quelli che erano i caratteri ereditati di tuo padre.» Si chinò a baciare la figlia su una guancia. «Adesso sono tue, cara... per leggerle ogni volta che ne sentirai il bisogno. Ma ricordati: sono destinate solo ai tuoi occhi!»

«Capisco, mamma, e ti ringrazio di avermele portate. Ma sei proprio sicura che papà non ne sappia niente, che non ci abbia dato un'occhiata quando tu non eri presente?»

«Oh no, le tenevo nella mia cassetta di sicurezza in banca», la rassicurò Marietta.

Evan sorrise. «Mamma, lo sai che per me tu sei una sorpresa continua?»

Appena fu sola Evan non poté resistere alla curiosità di aprire il pacchetto, anche se era molto stanca. Disfece il nodo e scartò una grossa scatola di cartone piena di lettere. Ne tirò fuori una a caso e, per le due ore successive, lesse le lettere che Emma aveva scritto alla sua nonna... fino a quando non poté più tenere gli occhi aperti. Quello che stava leggendo, la lasciò sbalordita e stupefatta e, in qualche caso, le fece salire le lacrime agli occhi.

Alla fine fu costretta a spegnere la luce per dormire. Ma fu un sonno irrequieto, il suo; nei suoi sogni continuavano ad apparire Emma e Glynnis con tutto quanto era successo più di cinquant'anni prima...