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DOPO averla aiutata a salire in automobile, l'autista le consegnò una busta. Comodamente appoggiata allo schienale la guardò. Jean-Claude ci aveva scritto sopra: MADAME TESSA FAIRLEY.
Per un momento osservò la calligrafia: molto bella, precisa, chiara e fluida. Aprendo la busta, tirò fuori il biglietto. Cara Tessa, aveva scritto, lo chauffeur ti accompagnerà a casa mia. Dovessi ritardare qualche minuto, Hakim, il mio domestico, ti servirà qualcosa di fresco. JCD
Dopo aver letto e riletto il breve messaggio, lo mise nella borsetta e diede un'occhiata fuori del finestrino curiosa di scoprire dove abitasse. Ma l'autista non le aveva dato alcuna informazione di sua spontanea volontà, e lei decise di non chiederlo.
Quella mattina, quando aveva fatto colazione con suo fratello, si era scoperta ad avere molte domande sulla punta della lingua ma aveva resistito a fargliele. Voleva scoprire qualcosa di più su quell'uomo, ma per conto proprio; le opinioni degli altri, perfino di Lorne, non erano importanti, anche se sapeva che nel caso di suo fratello non avrebbe potuto che sentire solo elogi.
Si riaggiustò la tunica di lino nero che indossava sugli stretti pantaloni dello stesso tessuto e colore. Non sapendo bene dove sarebbero andati a pranzo, aveva scelto quel completo, dal taglio semplice ma su misura, perché poteva essere adatto a qualsiasi situazione, a un bistrot oppure a un locale molto più elegante. Un paio di orecchini di perla a bottoncino e una spilla a forma di fiore appuntata alla spalla aggiungevano un tocco personale ed elegante, ma potevano essere tolti in un lampo se l'avesse richiesto una situazione più modesta.
Si era sentita letteralmente oppressa dalla grande calura quando era uscita dall'albergo ed era contenta di aver scelto quel top senza maniche e di avere infilato ai piedi nudi un paio di sandali a sottili cinturini intrecciati. Era chiaro che sarebbe stato torrido, quell'ultimo giorno di agosto, ma il completo di lino nero era comodo e fresco.
Intanto che l'automobile viaggiava nel traffico intenso, cominciò a rendersi conto che si erano diretti verso la zona di Parigi che preferiva, il settimo arrondissement e non ci volle molto perché l'autista imboccasse rue de Babylone, andando a fermarsi di fronte a un palazzo che risaliva all'alba del secolo ventesimo, con una massiccia porte cochere, dalle imponenti ante di legno che in tempi ormai lontani le carrozze a cavalli oltrepassavano per entrare nel cortile interno.
Dopo averla aiutata a scendere dalla macchina, lo chauffeur le indicò una porticina incassata in una delle due ante e la salutò.
Lei sorrise, ringraziandolo, e quando la ebbe superata, venne così a trovarsi nel cortile a ciottoli che era evidentemente stato un hotel particulier, prima di venire trasformato in appartamenti.
Il portiere uscì subito dalla sua guardiola nell'atrio e la salutò con cortesia informandosi se poteva esserle utile. Lei gli spiegò che monsieur Deléon la stava aspettando e l'uomo la precedette all'interno del palazzo accompagnandola davanti a una porta in mogano a doppio battente a destra della gabbia del piccolo ascensore.
Tessa suonò il campanello e aspettò; dopo un minuto uno dei battenti della porta veniva aperto da un uomo sorridente di mezza età, in giacca bianca. Notando la pelle olivastra e i capelli scuri, pensò che doveva essere nordafricano.
«Bonjour madame», esordì, spalancando la porta e invitandola a entrare. «Io sono Hakim», si presentò in un inglese dal forte accento straniero.
«Bonjour, Hakim», rispose lei e il ticchettio dei suoi tacchi alti l'accompagnò mentre lo seguiva attraverso l'anticamera dal pavimento di marmo.
Facendola passare in un ampio locale biblioteca, Hakim offrì: «Madame... un apéritif?» e si affrettò a spiegare: «Monsieur sera de retour dans dix minutes»
«Un vene d'eau, s'il vous plait», accettò lei.
Lasciata sola, osservò la biblioteca dal vano della porta senza muoversi per un momento, prendendo nota di ogni cosa con curiosità e interesse perché avrebbe voluto sapere quanto più era possibile su quell'uomo.
Era una stanza completamente diversa da qualsiasi altra avesse mai visto. Elegante, ma sobria e di stampo prettamente maschile.
Rivelava un gran gusto, in modo speciale nei mobili antichi che quasi le sembrarono autentici pezzi da museo. Era monocromatica, tutta giocata su una calcolata armonia di colori tenui, avorio e beige; e questo insieme di tinte delicate serviva da sfondo, di grande raffinatezza, per le tonalità pastose e calde del legno stagionato dei diversi mobili antichi. Le pareti avevano la stessa sfumatura delle tende alle finestre, che dal soffitto scendevano fino al pavimento, in un tessuto di lana color avorio, e di quello avorio-e-beige delle imbottiture di divani e poltrone mentre il pavimento di legno, completamente privo di tappeti, era lucido a tal punto che sembrava di vetro.
Da dove si trovava aveva di fronte a sé, sulla parete di fondo, la più lontana, due alte finestre e un'imponente scrivania di mogano con poltroncina di mogano, in quello che riconobbe come lo stile impero francese. Sulla scrivania c'erano un paio di lampade con la base a colonna in legno dorato e i paralumi neri, quadrati, oltre a svariati altri oggetti che al primo momento non riuscì a individuare chiaramente, salvo per un alto orologio a pendolo, di cui vedeva soltanto la parte posteriore.
Guardando alla sua sinistra vide che la parete era dominata da un camino in marmo bianco sul quale era appeso uno specchio antico. Il gruppo più importante di divani e poltrone, raccolto di fronte al camino, era composto di quattro bergère Luigi XV, le eleganti poltrone dall'alto schienale ad aletta, e due sofà nello stesso stile. Circondavano un basso tavolino in vetro da salotto, che a lei, tuttavia, non sembrò fuori posto in mezzo a quegli arredi antichi.
La parete dalla parte opposta era interamente nascosta da scaffalature di legno scuro, lucidissimo, che dal pavimento salivano al soffitto e la occupavano per tutta la sua lunghezza, ed erano letteralmente stracolme di libri. Di fronte agli scaffali era stato sistemato uno stupendo tavolo da biblioteca del diciottesimo secolo e, in un angolo, alla sua destra c'era un guéridon, un tavolino antico da lettura con una sola gamba a piedestallo, e accanto a esso una poltrona dallo schienale rigido e una lampada a stelo.
In quel momento ricomparve Hakim, con passo silenzioso, per servirle il bicchier d'acqua. Dopo averlo accettato si avvicinò alle finestre per guardar fuori.
Con grande meraviglia si accorse che davano su una spaziosa terrazza e su un prato con aiuole di fiori bianchi; contro un alto muro in pietra crescevano una varietà di grossi alberi e arbusti e cespugli, i quali nel loro insieme creavano una specie di pergolato completamente in ombra. Sotto gli alberi erano sistemati qua e là gruppi di seggiole da giardino in metallo. A quel punto Tessa non poté fare a meno di pensare che in che posto delizioso si trovasse. Un giardino in città, nel cuore di Parigi... un autentico lusso.
Poi il domestico uscì sulla terrazza e quando cominciò ad apparecchiare la tavola si rese conto che avrebbero pranzato lì e non in un ristorante. Ne fu felice.
Tornò al centro della stanza e si soffermò a osservare la scrivania.
Accanto all'orologio antico, un famoso Leroy et Fils, c'erano una scatola in bronzo dorato di elaborata fattura, due tagliacarte in cristallo con decorazioni in filigrana di bronzo sull'impugnatura e una cartelletta in cuoio nero nella quale era infilato un foglio di carta assorbente ancora candido e intatto.
Nient'altro. Mancava la solita disordinata accozzaglia di cianfrusaglie e il quadro d'insieme era di una pretta eleganza maschile.
Andò a dare un'occhiata ai libri sugli scaffali. Quanti filosofi...
Cartesio, Aristotele, Platone, Sofocle; opere di scrittori francesi come Victor Hugo, Celine, Andre Malraux, Jean Paul Sartre, Émile Zola e Colette; volumi di storia francese, inglese e americana; alcuni dei suoi romanzi preferiti, Dickens, le sorelle Brontë e Jane Austen. Tomi di Charles de Gaulle, Winston Churchill, e altri. Non mancava anche una varietà di biografie di uomini politici, come Churchill, John Major, de Gaulle, John Kennedy, Ronald Reagan e Franklin Roosevelt, e altre di personaggi storici, Napoleone, Talleyrand, Nelson, il duca di Marlborough e Cromwell, oltre a quelle di Elisabetta Tudor e di Carlo II d'Inghilterra. E non mancava nemmeno una raccolta dei celebri discorsi di Churchill durante la seconda guerra mondiale.
C'erano opere sul cristianesimo, sul giudaismo, sul buddhismo e sull'Islam. Anzi, c'era un gran numero di opere sull'Islam fianco a fianco con una collezione di libri più recenti sul terrorismo. E accanto a questi, un volume dopo l'altro offrivano una panoramica sulle centinaia di guerre che erano state combattute lungo i secoli. Su un altro scaffale ancora erano allineati molti dei romanzi più recenti e riconobbe un buon numero di titoli di rinomati autori inglesi.
Si trovò a fissare anche una parete di libri d'arte sulle opere di Renoir, Picasso, Manet, Monet, Degas, Gaugin, Turner, Constable, Gainsborough, Bernard Buffet e Rodin e volumi dedicati alla musica di Massenet, Bizet, Ravel, Bach, Beethoven, Mozart, Puccini e alle opere di Wagner.
Finì per domandarsi se li avesse letti tutti arrivando alla conclusione che molto probabilmente la risposta doveva essere affermativa.
Dopo aver bevuto quasi tutta l'acqua, appoggiò il tozzo bicchiere quadrato sul tavolino di vetro ragionando che quello era il posto più sicuro dove metterlo in una stanza così piena di preziosi oggetti antichi. E cominciò a curiosare qua e là osservando le opere d'arte appese alle pareti. Un ritratto di Napoleone attirò subito la sua attenzione e un altro di Napoleone e Giuseppina, erano appesi alla destra dello specchio sopra la mensola del camino, mentre dall'altra parte c'era uno stupendo dipinto che si sarebbe detto molto antico di un elegante donna in abito blu. Tessa si domandò se non fosse di Ingres.
Ai due lati della porta che dava nell'atrio erano incorniciati antichi pannelli che rappresentavano un uomo e una donna in abiti del diciottesimo secolo, due raffigurazioni dell'autunno e dell'inverno in uno stile che doveva essere quello di Fragonard.
Tornò al camino e lasciò che i suoi occhi contemplassero tutto quello che c'era intorno. In uno sguardo d'insieme, adesso poteva rendersi conto che quella stanza non era soltanto l'espressione di un gusto raffinato ma rifletteva anche la personalità dell'uomo straordinario che la occupava. Brillante, di grande istruzione e profonda cultura, un intellettuale e un filosofo.
Un uomo d'immenso talento.
Sentì un rumore di passi che attraversavano l'atrio. Un attimo più tardi lui apparve nel vano della porta e si arrestò per un attimo a rimirarla. Era in abito scuro e camicia bianca e ancora fermo cominciò ad allentarsi il nodo della cravatta. Poi venne avanti, verso di lei.
Accorgendosi inaspettatamente di avere i nervi a fior di pelle, Tessa rimase impietrita mentre si sentiva cogliere da una strana sensazione... come se qualcosa... la intimorisse.
Jean-Claude le si fermò di fronte e le tese la mano. Tessa la strinse nella propria. E lui se la portò alle labbra, la sfiorò appena, e poi la lasciò andare.
«Le mie scuse. Ti ho fatto aspettare.»
«Non ha importanza», rispose Tessa, stupita perché aveva la bocca arida.
Jean-Claude si staccò di qualche passo dicendo: «Mi permetti di lasciarti un momento? Voglio cambiarmi, mettere addosso qualcosa di... più comodo. Je reviens tout de suite».
Quando se ne fu andato e si ritrovò di nuovo sola, Tessa si lasciò cadere in una delle bergère, accorgendosi che le gambe non la reggevano.
Jean-Claude attraversò rapidamente l'atrio, salì le scale due gradini alla volta, e si affrettò a raggiungere la sua camera da letto. Dopo essersi liberato del completo, infilò una camicia pulita di cotone bianco, ne rimboccò le maniche, entrò nell'armadio guardaroba, e trovò un paio di pantaloni di cotone beige.
Fece scivolare i piedi nudi in un paio di mocassini marrone, e si sentì subito meglio. Il vestito che aveva indossato per la riunione al palazzo presidenziale aveva avuto qualcosa di soffocante, e adesso era felice di liberarsene.
Attraversando la camera, andò al telefono e compose il numero del cellulare di Lorne.
Lorne rispose quasi immediatamente con un «Pronto?» asciutto e scattante.
«C'est moi», disse Jean-Claude. «Adesso sono a casa mia.
Tessa è qui, e pranzeremo in giardino.»
«Ecco una buona idea, Jean-Claude. Non penso che per Tessa sia molto saggio farsi vedere a Parigi con un altro uomo. Ho i miei dubbi che due inglesi durante i loro vagabondaggi possano capitare anche per caso nel tuo mondo, ma non si sa mai!»
«Ho una domanda. Mi sono dimenticato di fartela quando mi hai telefonato poco fa.»
«Me la puoi fare adesso.»
«Devo considerare la presenza di suo marito come una pura coincidenza? Dovrei chiamare qualcuno che pensi alla sua sicurezza?»
«Non è necessario, comunque grazie per averci pensato. Sono quasi sicuro che Mark si trovi a Parigi per fare rapporto ad Ainsley.»
«Bien. Capisco. E stai calmo, Lorne, con me lei è al sicuro.
Mi terrò in contatto con te... e anche tu devi fare lo stesso.»
«Senz'altro. Grazie, Jean-Claude. E ricordati di non dire niente a Tessa. Se dovesse sapere che suo marito è a Parigi, si agiterebbe terribilmente.»
«Non dirò una sola parola in proposito. Au revoir, mon ami.» Jean-Claude tornò alla poltrona sulla quale aveva buttato la giacca, recuperò il cellulare e se lo fece scivolare in una delle tasche dei pantaloni, poi passò in bagno. Dopo essersi lavato le mani, si sciacquò la faccia con dell'acqua fresca, l'asciugò tamponandola, ci spruzzò un po' di colonia e si passò un pettine fra i capelli. Si allontanò dal lavabo ma tornò indietro subito per guardarsi attentamente nello specchio. Rimase colpito perché gli sembrava di avere l'aria un po' stanca.
Sono troppo vecchio per lei? si chiese. Sospirò profondamente.
Da tempo aveva capito che la questione dell'età non aveva importanza quando c'era di mezzo il cuore.
Dal momento in cui l'aveva conosciuta, la sera prima, gli pareva che la sua vita fosse in pieno subbuglio. Perfino quando era stato costretto a concentrarsi durante la riunione all'Élysée, c'era stato un momento in cui non aveva potuto fare a meno di pensare a lei. Come affrontare la situazione? Lui, così abile a risolvere problemi di ogni genere, si trovava all'improvviso totalmente smarrito.
Lascerò che le cose vadano come devono andare... e che siano gli eventi a prendermi la mano, che siano come un treno lanciato a tutta velocità che sta per arrivarmi addosso. Cos'altro c'è da fare? si domandò. E mentre raggiungeva la biblioteca un momento più tardi, dovette riconoscere che le cose, ormai, gli erano sfuggite di mano. Lui era un uomo, e lei una donna, e qualcosa di intimo, profondo, infinitamente inquietante, era passato fra loro la sera prima... Adesso doveva lasciare che gli eventi seguissero il loro corso.