19

 

Tessa era in piedi davanti alla finestra, e stava guardando il giardino, quando Jean-Claude tornò in biblioteca. Al rumore dei suoi passi rapidi e decisi sul parquet, si voltò di scatto ad affrontarlo.

Lui si fermò vicino al basso tavolino di vetro e i loro occhi s'incontrarono; Jean-Claude la studiò per un momento, e un sorriso affiorò sulle sue labbra.

Tessa lo ricambiò e si sentì obbligata a muovere qualche passo per raggiungerlo.

«Champagne, mi pare», mormorò Jean-Claude sollevando la bottiglia dal secchiello d'argento che Hakim aveva portato pochi attimi prima. «È un rosé Billecart-Salmon, uno dei miei preferiti», le disse. «Trovo che ha un gusto morbido... Spero che ti piaccia.»

«Adoro lo champagne rosé», rispose, ed era la verità; lo giudicava il suo preferito anche se non era una grande bevitrice.

Mentre lo osservava stappare lo champagne, si scoprì a deglutire più di una volta, accorgendosi che sentiva di nuovo qualcosa di intimidatorio in lui. Chi non sarebbe rimasto intimorito da Jean-Claude? si chiese. Era un uomo celebre, di grande talento, il beniamino dell'élite francese e il favorito dei presidenti.

Ma non era solo questo a scombussolarla. C'era dell'altro.

Tanto per cominciare si scopriva impacciata e addirittura un po' nervosa, quando lo aveva vicino. Provava una gran voglia di allungare una mano per toccarlo, voleva che lui la toccasse, voleva trovarsi fra le sue braccia, braccia che le apparivano forti.

Con il respiro affannato, si spostò dall'altra parte del tavolino prima di correre il rischio di comportarsi come una vera e propria sciocca.

Ma in un attimo, eccolo di nuovo vicino che le porgeva un calice di champagne. Con la mano sfiorò la sua e fu come se avesse sentito una scossa elettrica. Sedette in poltrona senza dire una sola parola. Ma non le sfuggì il sorriso divertito che si era disegnato sulla faccia di Jean-Claude, mentre andava a riempire il proprio bicchiere.

Dopo un momento lo sollevò in un brindisi verso di lei. «Sante.»

«Sante», rispose lei e bevve un sorso.

Calò un silenzio. Poi Jean-Claude domandò: «E allora, Tessa... come ti senti?» I suoi occhi bruniti, che avevano qualcosa di magnetico, si posarono su di lei con espressione pensierosa intanto che aspettava una risposta.

Era stata una domanda, la sua, che l'aveva lasciata perplessa.

Rimase a fissarlo per un momento, aggrottando la fronte e prima di riuscire a trattenersi, mormorò: «Intimidita».

«Da me?» Lui sembrò sconcertato e aggrottò le sopracciglia con aria corrucciata.

Un po' stupita dalla propria onestà, scrollò la testa rispondendo: «Sì, ecco! Dalle tue doti e da quello che sei stato capace di compiere, dalla tua posizione nel mondo. Non sono abituata a uomini famosi come te».

«Ma io sono solo un uomo, né più né meno come tanti altri.»

«No, non è vero. Tu sei molto famoso.»

«La fama non ha nessun significato per me.» Si abbandonò contro lo schienale imbottito della poltrona, e ancora una volta la guardò assorto prima di continuare. «Forse sei nervosa e magari addirittura imbarazzata. Sì, credo di sì. Perché lo sono anch'io.»

«Oh», si lasciò sfuggire Tessa, meravigliata.

«Naturale! È comprensibile quello che proviamo. Tutto d'un tratto siamo qui soli, insieme. E non sappiamo come comportarci.»

«Forse...»

Sporgendosi dalla poltrona Jean-Claude le imprigionò gli occhi con gli occhi e cominciò a parlare piano, quasi gentilmente.

«Ieri sera è successo qualcosa fra noi. Io ti ho guardato nell'atrio della casa di Marie-Hélène e anche tu mi hai guardato e fra noi è nato qualcosa. Qualcosa che più intimo di così non potrebbe essere nel rapporto privato fra un uomo e una donna.

Ci siamo compresi a fondo, come meglio non sarebbe stato possibile. E se fossimo stati soli avrei cercato di fare qualcosa.»

«In che senso? Cosa vuoi dire?» lo fissava senza lasciarlo un momento con gli occhi.

«Avrei detto... Vieni a casa con me.»

«Avresti dovuto domandarlo», mormorò. «Sarei venuta.»

«C'est dommage.» Jean-Claude alzò le mani in un gesto tipicamente francese, si strinse appena appena nelle spalle, le sorrise quasi con malinconia.

«E allora, perché non me l'hai domandato?» insisté Tessa.

Lui non rispose.

«Non l'hai fatto perché c'erano i tuoi amici?» azzardò, inarcando le sopracciglia con aria interrogativa.

«Non, non», si schermì. «Assolutamente no. Non per quello.

Io non vivo la mia vita per il mondo o seguendo le regole del mondo. È stato per via di Lorne.»

«Ma a lui non sarebbe importato un bel niente! Ti adora!» esclamò Tessa.

«Che strana parola.» Intanto le lanciava un'occhiata curiosa.

Lei scrollò la testa. «Sei il suo idolo, il suo mentore, è convinto che non esista al mondo un altro come te. Per mio fratello, tu non puoi sbagliare.»

«Sono lusingato. Naturellement. Ma devi capire quanto sia preziosa per me la sua amicizia e non farei niente, mai e poi mai, per guastarla.»

«Ti considera un vero gentiluomo», aggiunse, ritenendolo opportuno. E bevve in fretta qualche sorso di champagne, chiedendosi se non cominciava a essere un po' sbronza.

«Non sono del tutto sicuro che quello possa essere uno dei fattori di questa equazione» fu la risposta di Jean Claude.

Lei lo guardò, ma non disse niente.

Ci fu un silenzio privo d'imbarazzo. Parlare con tanta schiettezza aveva allentato la tensione. Tessa si rendeva conto di non avere mai avuto un'onestà di quel genere con Mark e il solo pensiero di lui la fece fremere interiormente. Lo ricacciò. Non c'era posto per lui qui, in questo appartamento, con quest'uomo, che era un uomo vero e non una larva di uomo. Jean Claude Deléon... un uomo che era colosso.

Da parte sua, Jean-Claude era felice di averla incoraggiata a parlare dei propri sentimenti. Detestava certi giochetti estenuanti fra uomini e donne. Li trovava ridicoli e infantili. Per lui soltanto l'onestà e la verità erano accettabili.

Si alzò, prese la bottiglia dello champagne, andò a riempire il bicchiere di Tessa e rabboccò il proprio.

Accomodandosi di nuovo nella bergère, gustò una sorso di champagne prima di continuare: «Hai paura?»

«Un po'», fu pronta a rispondere.

«Non di me? No, vero?»

«No, non proprio... Però, sì, di quello che potrebbe succedere.

Fra noi.»

«Ah, sì, imbarcarsi in una relazione amorosa è effettivamente rischioso.»

Lei rimase in silenzio, gli occhi grigio-argento, improvvisamente pensierosi.

Con un tono di voce caldo, con una sfumatura divertita, le disse: «Un centino per i tuoi pensieri, Tessa Fairley».

«Quanti anni hai?» Le sue parole riecheggiarono nella grande stanza come se vi fosse piombato un macigno.

Jean-Claude la guardò con tanto d'occhi. Era chiaro che non si era aspettato una domanda del genere. Tessa avrebbe voluto mordersi la lingua prima di parlare. «Non ho parole per scusarmi.

Come ho potuto essere tanto scortese?» Si accorse di arrossire.

«Non sei obbligato a rispondere perché...»

«Sono troppo vecchio per te», la interruppe sorridendole, mentre un'espressione di rimpianto si disegnava per un attimo sulla sua faccia.

«No, non è vero.»

Senza badare al commento di Tessa, riprese: «Ieri sera, qui da solo, mentre tornavo con il pensiero alla serata, mi sono domandato per quale motivo la vista di una donna mi avesse provocato un simile choc. Ecco qualcosa che devo cercare di spiegarmi.»

Ma in realtà sapeva già la risposta. Aver capito che quella era l'unica donna al mondo in grado di risolvere l'enigma della sua vita.

«Adesso sei tu che stai facendo dell'introspezione», fu il commento di Tessa, un commento lucido e acuto che si intromise nelle sue riflessioni.

«Ah, sì. Stavo pensando a te. Quali sono i tuoi progetti?»

«Per questo weekend, intendi? O per il futuro?»

«L'uno e l'altro.»

«Non ho progetti per il weekend.»

«Lo passeresti con me?»

«Sì.»

«E come facciamo per Lorne? Non posso portarti via a lui.

Siete venuti a Parigi insieme. Abbandonarlo, sarebbe scortese.»

«Mio fratello prende tanto seriamente il suo lavoro, ma tu questo lo sai già, che sarebbe contentissimo di essere lasciato in pace a studiare la sua parte. Vuole sempre avere un'ottima preparazione quando deve recitare.»

«Mais oui. Lo so. Comunque, dobbiamo includere anche lui.»

«Possiamo domandarglielo, certo. Perché no?»

«Sembri più rilassata.»

«È vero. Credo di sentirmi meglio.»

«E per quello che riguarda il futuro?»

«Devo affrettare le pratiche per arrivare a rendere esecutivo il mio divorzio. Ma una volta che mia madre tornerà da New York, la prossima settimana, credo che tutto prenderà un ritmo più rapido. È bravissima ad affrontare i problemi ed è particolarmente efficiente a trattare con gli avvocati. L'hai mai conosciuta?»

«Sì.

È una donna eccezionale.» E la mia paura è che lei non mi darà la sua approvazione per quel che ti riguarda, pensò, ma decise che sarebbe stato più saggio non manifestare questo dubbio ad alta voce.

Hakim si presentò sulla porta della biblioteca. «Monsieur, s'il vous plait.»

«Merci, Hakim.» Alzandosi rapidamente dalla poltrona, Jean-Claude la invitò: «Vieni, Tessa. È in tavola. Andremo in giardino passando dalla sala da pranzo».

 

La sala da pranzo era adiacente alla biblioteca, e Jean Claude riuscì a fargliela attraversare senza nemmeno sfiorarla con la punta di un dito. Tessa si rendeva conto che, se lui provava quello che stava provando lei... qualsiasi contatto fisico fra loro avrebbe provocato all'istante un'esplosione.

Quando, dall'appartamento con l'aria condizionata, uscirono sulla terrazza, il caldo li colpì all'improvviso lasciandoli letteralmente storditi. E Jean-Claude si fermò sui due piedi. «Credo che questo sia stato un errore. Qui fuori c'è un caldo torrido.»

«È vero, però guarda, il sole si è già spostato», gli indicò il fondo del giardino. «A me va bene così, se sei d'accordo. Qualche volta fa piacere mangiare all'aperto.»

«Benissimo», acconsentì e la precedette verso la tavola. Ne scostò una seggiola e quando si fu accomodata tirò più vicino il grande ombrellone in modo da potersi trovare completamente in ombra. Le sedette di fronte, prese la bottiglia dell'acqua e riempì i bicchieri. Dopo averne bevuto un sorso, domandò: «Dobbiamo finire lo champagne, oppure preferiresti del vino bianco con il pranzo?»

«Preferirei lo champagne, per favore», replicò lei, sapendo che il vino le sarebbe andato alla testa, e quella era l'ultima cosa al mondo che desiderava.

«Scusami, ci metto soltanto un minuto», promise, alzandosi e tornando alla porta finestra per recuperare lo champagne.

Gli occhi di Tessa lo seguirono. Era alto, muscoloso, con una bella figura asciutta, le spalle larghe, in forma smagliante e in camicia bianca e pantaloni di cotone sembrava molto più giovane di quanto lo avesse giudicato prima, quando era rientrato dal suo appuntamento con l'abito austero da cerimonia. Forse non era ancora sulla cinquantina, proprio come aveva detto Lorne. Eppure, aveva parlato chiaro sostenendo di essere troppo vecchio per lei. Ma cosa significava esattamente? Come si faceva a calcolare una cosa del genere? C'erano persone mature per la loro età, altre che sembravano infantili. Lei aveva trentadue anni ma si considerava molto matura per la sua età.

Ma l'avrebbe considerata anche lui allo stesso modo? Doveva confessarsi di non aver mai conosciuto un uomo così.

Jean-Claude ritornò quasi subito, portando il secchiello d'argento con la bottiglia di champagne. Lo seguiva il domestico con un vassoio con due flûte puliti.

«Voilà!» esclamò posando il secchiello del ghiaccio mentre Hakim appoggiava i calici sul tavolo e si ritirava. Pochi minuti più tardi tornava spingendo un tavolino di metallo. Ci sistemò sopra lo champagne e la bottiglia dell'acqua, fece un cortese cenno di saluto e si dileguò ancora una volta.

Mentre le versava lo champagne, Jean-Claude la informò: «Lourdes, il cuoco, ha preparato un pranzo leggero. Fa troppo caldo per mangiare qualcosa di sostanzioso».

«Sì, è vero», convenne mentre si domandava se sarebbe stata capace di inghiottire almeno qualche boccone. Senza riuscire a spiegarlo, si sentiva di nuovo con i nervi a fior di pelle.

Aveva cominciato a rilassarsi dopo la conversazione ma adesso, lei di solito così sicura di sé, si sentiva smarrita e non all'altezza della situazione, anzi quasi una scolaretta seduta di fronte a quest'uomo sofisticato nel suo elegante giardino nel cuore di Parigi... sopraffatta da lui, dalla situazione, dallo stesso modo in cui reagiva alla sua presenza.

Come se le avesse letto nel pensiero, le disse improvvisamente: «È molto difficile... imparare a conoscere una persona, sentirsi a proprio agio quando si è insieme. Lo capisco, anch'io sono parte di questo... ma andrà tutto per il meglio... fidati di me».

«Come hai fatto ad accorgente?» lo sollecitò guardandolo con gli occhi sgranati. «È come se tu mi avessi letto nel pensiero.»

«Non ho poteri magici, te lo assicuro», si schermì lui scrollando la testa.

 

Oh, sì invece che li hai, pensò Tessa, per rendermi così nervosa.

Io che non mi sono mai sentita prima d'ora come mi sento in questo momento! Ma rimase in silenzio, prese il calice di cristallo e bevve un po' di champagne rosé. Poiché non desiderava parlare dei propri sentimenti, cambiò soggetto. «La tua biblioteca è una delle stanze più belle ed eleganti che mi sia mai capitato di vedere. Ma non lavori lì, vero?»

«No. Comunque, vado spesso in biblioteca a sedermi e a riflettere.»

«Ma, allora, dove scrivi? Hai uno studio da qualche parte?»

«No, lavoro qui, nel mio appartamento. Ho uno studio di sopra. Te lo mostrerò più tardi, se ti fa piacere, perché è un po' speciale.»

«Mi piacerebbe. È lì che hai scritto Warriors?»

«Sì...» S'interruppe senza concludere la frase, bevve un po' di champagne, e poi sbottò: «Ti ho offerto il mio libro come un atto di cortesia, perché sei venuta al ricevimento. Ma non sei costretta a leggerlo, capisci».

«Oh, ma l'ho già cominciato», confessò e poi tutto d'un fiato: «La notte scorsa non riuscivo a dormire». Sentendosi subito imbarazzata si ritrasse appoggiandosi allo schienale della seggiola, mentre arrossiva violentemente. Poi continuò, molto in fretta: «Comunque ho preso in mano il tuo libro e mi sono accorta che non riuscivo più a lasciarlo. Tu sai una quantità di cose sulle guerre e il terrorismo e la politica, vero?»

Annuì. «Per quale motivo non riuscivi a dormire?»

Lei deglutì più di una volta e stava per raccontargli qualche assurda bugia. Ma poi preferì essere sincera, «Stavo pensando a te.»

Jean-Claude si lasciò sfuggire un profondo sospiro. «Io ho avuto lo stesso problema.» I suoi occhi si posarono su di lei e la fissarono a lungo, tanto che, a un certo momento lei sbatté le palpebre e girò la testa dall'altra parte.

Ma Jean-Claude, che voleva richiamare di nuovo su di sé tutta la sua attenzione, disse ancora: «Sono contento che tu capisca il francese, per me è importante».

Lei avrebbe voluto domandargliene il motivo, ma preferì tacere.

«E tu, dove hai imparato l'inglese?» domandò invece, sforzandosi di assumere un contegno che fosse il più possibile normale.

«Lo parli perfettamente.»

«Ho preso lezioni quando ero ancora ragazzino, e l'ho studiato impegnandomi a fondo. Sui dodici o tredici anni avevo deciso di fare lo scrittore e smaniavo dalla voglia di viaggiare, specialmente di andare in America e in Inghilterra. E proprio per quella ragione volevo impadronirmi a fondo della lingua inglese.»

«Ci sei riuscito.» Intanto si domandava perché lo facesse...

Perché continuava a dirgli tutte le cose che lui già sapeva?

L'arrivo di Hakim con una vichyssoise interruppe la loro conversazione per un momento. Quando gliela ebbe servita, Tessa ne sorbì una cucchiaiata ma si accorse che non riusciva quasi a inghiottirla benché fosse squisita. Appena il domestico si fu ritirato, in fretta come al solito, osservò: «Con i tuoi articoli, hai fatto la cronaca di molte guerre, ed è senz'altro pericoloso».

«La vita è pericolosa.»

Lei non rispose.

«E tu, questo, lo sai, Tessa.»

Strizzò leggermente gli occhi. «Lorne ti ha raccontato qualcosa su di me.»

«No, niente affatto. L'ho visto qualche settimana fa, mentre tornava a Londra da Istanbul passando da Parigi. Abbiamo cenato insieme ed è stato a quel punto che mi ha raccontato del rapimento della tua bambina. Tutto qui. Nient'altro.»

«Capisco.»

«Era preoccupato per te.»

«Lo so.» Sospirò. «Ma andare a cacciarsi nel bel mezzo di una guerra non è come cercarsi dei guai?»

«No. Io non corro rischi... almeno... nelle guerre, no.»

Ci fu una lunga pausa. Negli occhi di Jean-Claude, mentre indugiavano sul viso di lei, apparve un'espressione evocativa.

Le sorrise, e fu un sorriso caldo, tenero, il suo.

Il suo magnetismo era qualcosa di palpabile, e nello sforzo di spezzare quell'incantesimo nel quale le pareva di essersi lasciata irretire al punto di sentirsene sopraffatta, Tessa afferrò il calice di champagne. Con sgomento, si accorse che le tremava visibilmente la mano. Nel tentativo di far cessare quel tremito, provò a respirare a fondo, più di una volta, e riuscì ad appoggiarlo di nuovo sulla tavola senza versarne neanche una goccia.

Non poté fare a meno di vedere che non gli era sfuggito niente.

E come sarebbe stato possibile il contrario? Hakim arrivò a ritirare i piatti, tornò con le omelette e si dileguò. Lei tentò di mangiare senza molto successo, e dopo qualche attimo si rese conto che neanche Jean-Claude stava mangiando.

Accorgendosi che lei lo stava scrutando e lo fissava intensamente, disse: «Non ho fame».

«Neanch'io.»

«Forse sarebbe meglio se cercassimo di venir fuori da questa situazione, di risolverla.»

«Cioè, di cosa stai parlando?»

«Il lato fisico... di questa situazione. Vieni, Tessa, vieni con me.» Si alzò da tavola, lei lo imitò e insieme lasciarono il giardino.

Nell'atrio Jean-Claude si voltò a guardarla dicendo: «Ti avevo detto che ti avrei mostrato il mio studio. È lassù». E le indicò la scala che portava al piano superiore.

 

Dopo averle aperto la porta, seguì Tessa nel suo studio. Ma proprio mentre stava per prenderla fra le braccia squillò il telefono. «Merde», mormorò, richiudendosi la porta alle spalle con il piede e correndo verso la scrivania. Quando sollevò il ricevitore scoprì che era sua sorella Marie Laure.

Mentre le parlava con affetto, e di tanto in tanto taceva, ascoltandola, i suoi occhi si soffermarono su Tessa, che stava osservando tutte le fotografie che coprivano una intera parete, e lo raffiguravano in compagnia di altri scrittori, uomini politici, attori, filosofi, pittori, amici, il beau monde di Parigi, del mondo intero. Nel tentativo di rendere più breve la conversazione con la sorella, Jean-Claude le spiegò che in quel momento si trovava in una riunione... Era al telefono soltanto da poco, eppure gli pareva che si fosse trattato di una vita intera. Finalmente riuscì a riagganciare, e in quel preciso momento Tessa si voltò a guardarlo. Nell'espressione della sua faccia poté intuire subito l'aspettativa repressa, il desiderio negli occhi... e dovette ammettere di esserne non meno sopraffatto.

Girò in fretta intorno alla scrivania, e si ritrovò ad andarle incontro; e lei si abbandonò, quasi vacillando, fra le sue braccia.

Un piccolo grido le sfuggì mentre gli si aggrappava; e un attimo più tardi gli nascondeva la faccia sulla spalla. Tremava talmente che ne fu allarmato, e cercò di calmarla, accarezzandole le spalle, la schiena, tenendola stretta contro di sé, mentre mormorava dolcemente contro i suoi capelli biondo platino: «Tessa, va tutto bene, rilassati, chérie, rilassati».

Infine Tessa rialzò la faccia per affondare lo sguardo in quello di lui. E Jean-Claude si sentì smarrire in quegli occhi straordinari, quegli occhi grigio-argento. Chinare la testa per guardarla, sentirla così vicina, era qualcosa che gli faceva mancare il respiro ma, nello stesso tempo, era infinitamente colpito dalla sua bellezza eterea che gli dava uno struggimento al cuore.

Lei socchiuse le labbra, ma in un movimento incredibilmente seducente, se le bagnò con la punta della lingua.

Incapace di resisterle, le appoggiò le labbra sulle sue, premendole, schiacciandole, divorandole, e poi le affondò la lingua nella bocca, e lei gli si abbandonò e rimasero così ad assaporarsi, a godersi reciprocamente. Un brivido percorse il corpo di Jean-Claude che la strinse a sé più forte di prima. E infine le lingue non si cercarono più, ma continuarono a baciarsi, perduti l'uno nell'altro, dimenticando ogni altra cosa all'infuori di se stessi e di quello che provavano.

Dopo un momento, sempre avvinghiati, si abbandonarono sul divano e lui continuò a baciarla con passione, come aveva desiderato fin dalla sera prima... e in ogni minuto da allora in poi. E adesso finalmente lei era lì, dove lui l'aveva sempre desiderata, fra le proprie braccia e stava per diventare una parte di lui come lui si sarebbe fuso con lei. Essere posseduto e possederla a sua volta, ecco quello che desiderava in modo spasmodico.

Pochi attimi più tardi Jean-Claude si rialzò con gesti affannosi e cominciò a slacciarsi i bottoni della camicia mentre andava alla porta e le dava un giro di chiave. Quando tornò indietro, lei si era già spogliata. Il suo corpo lungo, snello e flessuoso era disteso sul divano, per lui. Com'era bella.

Un attimo e si era spogliato anche lui, i vestiti buttati a casaccio sul pavimento. Si sdraiò al suo fianco travolto dal desiderio e la prese fra le braccia. La tenne stretta più forte che poteva, ascoltando il cuore che gli batteva nel petto, in piena armonia con quello di Tessa.

Rialzandosi su un gomito, la fissò di nuovo in quegli occhi di una bellezza incredibile e lei ricambiò quello sguardo carico d'intensità, e gli accarezzò il viso.

«Jean-Claude», bisbigliò.

«Sì, tesoro?»

«Ti desidero tanto.»

«Non più di quello che ti desidero io.» Le baciò la fronte, gli occhi, i seni piccoli e sodi, le accarezzò quel corpo slanciato e il ventre, stavolta senza fretta. Le sue mani si mossero lievi, fluttuanti, su ogni parte di lei fino a quando lei cominciò a gemere sommessamente, rivelando tutto il piacere che provava mentre rispondeva alle sue carezze e lo carezzava a sua volta.

Quando le sue mani e la sua bocca si soffermarono sul ciuffo di peli morbidi e setosi, Tessa non riuscì più a trattenersi e si lasciò sfuggire un grido. Fu con tenerezza ed esperienza che lui la portò all'apice del piacere, accorgendosi come cresceva a ondate, diventava spasmodico. Spostandosi su di lei, mettendosi fra le sue gambe, la penetrò rapidamente mormorando contro i suoi capelli: «Chérie. Ah, mia Tessa, mio amore...»

«Jean-Claude, Jean-Claude.» ansimò lei e gli circondò il collo con le braccia. Lo tenne stretto contro di sé, con una voglia immane di possederlo, di possedere tutto di lui. E a Jean Claude adesso parve che cominciassero a sollevarsi e abbassarsi lentamente insieme. I loro corpi si adattavano a perfezione l'uno all'altro, si muovevano allo stesso ritmo, come una cosa sola.

La passione aumentò vertiginosamente e si mossero più in fretta, e ancora più in fretta, ansanti, rantolanti, fino a raggiungere insieme il vertice esplosivo del piacere. E poi Jean Claude ebbe la sensazione di cadere precipitosamente, di sprofondare in uno spazio argenteo, pieno di luce, portandola con sé, mentre capiva che non l'avrebbe mai più potuta lasciare. Mai più.

 

Rimasero distesi sul divano con la mente offuscata dal piacere, vagamente storditi. Quel desiderio struggente che avevano tenuto represso si era placato, ogni tensione era svanita e, adesso, fra loro c'era soltanto la gioia di sentirsi appagati.

Con le labbra contro i capelli di lei, le chiese: «Stai bene?»

«Benissimo. Ma ho sete.»

Le baciò la pianta del naso, si issò dal divano e attraversò la stanza.

Tessa rimase a guardarlo, pensando a come era armonioso il suo modo di muoversi. La sera prima Lorne lo aveva definito un uomo di azione perché era sempre in movimento, per qualche incarico giornalistico, come inviato speciale in zona di guerra, a occuparsi di progetti all'estero... Effettivamente adesso non aveva difficoltà a capire come gli calzasse a pennello quella definizione.

Jean-Claude era sparito in un'altra stanza e quando tornò portava una bottiglia d'acqua e due bicchieri.

«Hai anche una cucina qui?» azzardò.

Rise. «No, è il bagno. Ma c'è un frigorifero per le bibite e c'è anche un bricco per il caffè.» Posando i bicchieri sulla scrivania, si diede da fare per aprire la bottiglia, versò l'acqua, e portò i due bicchieri al divano.

Tessa si mise seduta, tirando giù dai cuscini le gambe lunghe e snelle e appoggiando i piedi sul pavimento. Accettò con piacere il bicchiere che lui le porgeva. «Grazie. Mi sento prosciugata.

Dev'essere stato tutto quello champagne che mi hai fatto bere.»

Sedendolesi vicino ironizzò: «Così adesso dirai che ti ho fatto ubriacare e poi ti ho sedotta, vero?»

«Per niente. Quello lo hai fatto ieri sera, nel salone di Marie-Hélène.

Di fronte a mezza Parigi.»

Lui scoppiò in una risata scrosciante. «Touché.»

«Hai una vestaglia o una camicia che io possa mettermi? Oh, guarda, prendo questa», disse lei, allungandosi verso la camicia bianca di Jean-Claude, abbandonata sul pavimento.

«Lascia che vada a prenderti qualcos'altro. Non è pulita, l'ho già portata.»

«E proprio per questo che voglio metterla.» Affondò la faccia nella camicia. «Odora della tua acqua di colonia.» Rialzandosi, si fece scivolare addosso la camicia, e ne allacciò un paio di bottoni, poi aggiunse: «E anche di te».

Lui scoppiò in una risatina sommessa mentre rientrava in bagno e ne usciva un minuto dopo con una vestaglia di seta blu marino. «Hai fame?»

«Un po'. Ma non credo che quelle omelette saranno ancora calde.»

L'abbracciò stretta. «Credo che riuscirò a mettere insieme qualche panino imbottito. Però prima voglio parlarti.»

«Di che?» domandò lei, subito sulla difensiva, notando il tono improvvisamente serio di lui. «Qualcosa che non va?»

«Siediti», la incalzò, indicandole il divano. E Tessa ubbidì.

Jean-Claude le girò intorno, accostò una poltrona al divano, e venne a sedersi di fronte a lei. Per un momento rimase in silenzio.

Intanto lei lo scrutava di soppiatto. Non c'era da meravigliarsi che le donne gli cadessero ai piedi. Non era stato così anche per lei? E istantaneamente. Era virile, con un corpo forte, vigoroso con occhi del colore dell'ambra brunita, pieni di sentimento, intensi e carichi di magnetismo, con una bocca sensuale ed estremamente dolce. Quel tanto di sfuggente che non sapeva spiegarsi gli veniva dall'espressione gentile e amabile. Ma in quel momento Jean-Claude ricambiava il suo sguardo con aria assorta. Non le sfuggì che a poco a poco diventava più serio e fu proprio quella che le sembrava una gravità imprevedibile a incitarla, una volta di più, a domandare vagamente preoccupata: «Insomma, c'è davvero qualcosa che non va?»

«No.» Bevve un lungo sorso d'acqua, posò il bicchiere su un tavolino e si sistemò sulla poltrona. «Ho cinquantatré anni, sono un uomo adulto. Questo...» fece una pausa, e la sua mano indicò con un gesto vago loro due «...per me non è uno sport.

Non è neanche un gioco con il quale mi diverto.»

«Credo di averlo capito, Jean Claude.»

«Ho visto troppo, fatto troppo, vissuto troppo duramente in molti modi diversi. La sofferenza, il crepacuore... con loro ho familiarità. Ho lottato contro la disillusione e l'angoscia, ho sopportato molti dolori, e immagino che tu potresti dire che ho avuto esperienza di molte cose. A Parigi c'è chi si mostra convinto che io sia stanco, perfino logorato e, sotto certi aspetti, forse è così.» Si allungò di nuovo verso il bicchier d'acqua, evidentemente assetato come lo era stata lei.

«E adesso, alla mia età», continuò, «non posso pretendere di sprecare il mio tempo, perché ho ancora molto da scrivere, da studiare, da ottenere e da realizzare. Capisci quello che sto dicendo, Tessa?»

«Sì, credo di sì.»

«Ieri sera quando sono tornato a casa dopo cena mi sono sentito come se fossi stato colpito da una mazzata. Sì, proprio così come se qualcuno mi avesse tirato una mazzata. Tu. Ero colpito dal nostro incontro. Hai un effetto devastante su di me.

E credo di avere lo stesso effetto su di te. Ho ragione?»

«Sì, hai ragione. Mi sento né più né meno come ti senti tu.

Ma non è qualcosa che ci siamo appena dimostrati reciprocamente, Jean-Claude? Ma...» s'interruppe.

«Ma cosa?»

«Io sono spaventata.»

Lui le sorrise. «E io sono terrorizzato.»

Schiarendosi la voce, lei riprese: «Quello che vuoi dirmi è che non vuoi che io ti faccia sprecare del tempo, vero?»

«Sì, è esatto. Sono riuscito a sprecare una quantità incredibile del mio tempo negli anni, e spesso con donne che si sono rivelate completamente diverse da come credevo.»

«E per quello che mi riguarda cosa credi che io sia?»

«La donna che ho cercato per tutta la vita.»

«Nel tuo libro, quello sul quale mi hai fatto la dedica, hai scritto, 'Je suis là! Che cosa intendevi dire?»

«Cosa pensi che volessi dire?»

«Io sono qui per te... ad aspettarti.»

«Molto intuitivo da parte tua, Tessa.»

«Lorne ha detto che non mi aveva mai visto comportarmi così. Mi ha descritto come se fossi stata lì lì per perdere i sensi, per svenire ai tuoi piedi, ed era la verità. Per lo meno è così che mi sono sentita.»

Lui fece un cenno di assenso ma non aprì bocca per commentare quelle parole.

E Tessa continuò: «Ha anche detto che non aveva mai visto comportarsi così neanche te».

«Lorne ha ragione perché è quello di cui sono convinto anch'io.»

Improvvisamente si lasciò sfuggire una risatina. «Volevo impadronirmi di te, portarti qui e prenderti fra le braccia, tenerti vicina a me per sempre. Ed è stata una sensazione talmente oppressiva da lasciarmi strabiliato.»

«Hai detto che non volevi che ti facessi sprecare del tempo...

Ma, allora, che cosa ti aspetti da me?»

«Che tu sia leale con me. Vorrei sapere se sei pronta a imbarcarti in una relazione con me e c'è un'altra cosa: devo sapere che sarai sempre onesta con me, sempre schietta e sincera.»

«Mai e poi mai sarei capace di mentire con te», lo rimproverò e poi con voce più dolce: «Quanto a una relazione certo che la voglio. Non ne abbiamo appena cominciata una?»

«Qualcuno che potrebbe considerarla più o meno l'avventura di una notte.»

«L'avventura di un pomeriggio», lo corresse e cominciò a ridere.

Lui ebbe il buongusto di unirsi a quella risata, scrollando la testa.

E Tessa con voce sommessa gli fece notare: «Viviamo in città differenti. Io ho una bambina di tre anni. E ho anche una carriera, delle responsabilità».

«So tutte queste cose, Tessa. Ma... se provassimo? Cosa ne dici?»

Quando non gli rispose, Jean-Claude si fece più insistente.

«Vuoi?»

«Voglio.»