10

 

GIDEON si aspettava che la porta della cucina fosse chiusa a chiave. Ma quando ne girò il pomo, si aprì subito e poté entrare direttamente pregustando l'accoglienza cordiale e affettuosa di Margaret e Joe i quali, di solito a quell'ora prendevano una tazza di tè. Invece, e con sua grande meraviglia, non c'era nessuno.

Si fermò su due piedi, guardandosi intorno, e indugiò ancora un attimo ad annusare profumini deliziosi. Nell'aria aleggiava un aroma esalato da un miscuglio di spezie che gli riportarono di colpo alla memoria tanti ricordi dell'Africa del Nord, di carne che sobbolliva a fuoco lento e di verdure fumanti, di quelle favolose fragranze che fanno venire l'acquolina in bocca, e accompagnano sempre la preparazione di qualche pasto tanto speciale, da diventare un'autentica ghiottoneria. Non aveva dubbi: sarebbe stato un festino squisito perché Tessa era la miglior cuoca che conoscesse, una cuoca senza rivali. Aveva proprio sbagliato carriera, lei, fu la sua riflessione sbrigativa mentre attraversava a passo rapido la cucina e infilava il corridoio di servizio.

Una scala secondaria, sul retro della casa, portava al primo piano che era in gran parte il regno di Paula, per continuare fino al secondo dove si trovavano la maggior parte delle camere da letto. Nessun tipo di sicurezza qui, constatò, chiunque avrebbe potuto entrare senza problemi, esattamente come aveva fatto lui, e raggiungere la zona padronale della villa. Avrebbero dovuto abituarsi tutti a chiudere a chiave le porte che davano all'esterno, altrimenti se la sarebbero vista con Jack. E lui non era tipo che scherzasse. Sospirò mentre affrontava i gradini della scala sul retro, abitualmente usata dai domestici ai tempi in cui il personale di servizio era al completo.

Che salita ripida, osservò, e gli vennero in mente le piccole cameriere di tanto tempo addietro che portavano i vassoi della prima colazione nelle camere da letto. A metà mattina dovevano già essere esauste. Ma, a quell'epoca, il mondo era stato pieno di vere e proprie ingiustizie; sotto certi aspetti non si poteva davvero negare che le cose fossero cambiate in meglio.

Al secondo piano, su ogni porta una piccola placca in ottone portava inciso il nome della relativa suite, Gialla, Azzurra, Cremisi, Oro, e via dicendo; questo metodo d'identificare ogni camera mediante un colore era stata un'invenzione di Emma e lui l'aveva sempre considerata un'idea incantevole. Finalmente arrivò alla suite Gialla, batté leggermente con le nocche sulla porta ed entrò prima di essere stato invitato.

«Oh, mio Dio!» esclamò Evan, «mi hai fatto spaventare!»

Si strinse meglio la salvietta di spugna intorno al corpo nudo mentre rimaneva immobile a guardarlo, stupita.

«Scusami», mormorò Gideon continuando ad avanzare. Poi, si fermò di botto, e sempre immobile dov'era, prima la prese per la mano e poi fra le braccia con aria quanto mai possessiva.

Tenendola stretta, la baciò con ardore, poi la spinse attraverso la camera.

Lei tentò di avvolgersi meglio nell'asciugamano, evitando di lasciarlo scivolare sul pavimento e intanto la sua espressione assumeva un'aria d'incertezza. «Si può sapere cosa c'è?» domandò piano, fissandolo con gli occhi sgranati, mentre tentava di liberarsi dalla morsa tenace delle sue braccia.

Senza risponderle subito, lui continuò a manovrare per condurla verso il letto. «Adesso siediti qua, e smettila di lottare.

Non ho nessuna intenzione di violentarti.»

«Ne sei proprio sicuro?» gli domandò ma, si sedette ubbidiente sul letto, e rimase a osservarlo mentre lui si liberava rapidamente di tutto quello che aveva addosso. Quando venne avanti, lei si rese conto che sarebbero rimasti su quel letto un bel po', e questo poteva significare una cosa soltanto, cioè che sarebbero stati in ritardo a cena. Ma non ebbe neanche la minima possibilità di protestare perché Gideon adesso era venuto a sedersi di fianco a lei e in un batter d'occhio cominciava a baciarla appassionatamente. A parte il fatto che non sarebbe stata neanche capace di abbozzare il più piccolo gesto, ricambiò subito, e con ardore, quelle effusioni, perché lo amava con tutta se stessa.

Dopo qualche istante smisero di baciarsi e lui si tirò su appoggiandosi a un gomito per guardarla in volto. «So già quello che stai per dire... che saremo in ritardo per la cena e un sacco di altre storie del genere. Ma è più di una settimana che non mi trovo un momento da solo con te, e sento un assoluto bisogno di esserti vicino, così come adesso, e nella massima intimità.»

«Lo so, lo so», mormorò lei mentre alzava una mano ad accarezzargli la nuca e poi gli affondava le dita nei folti capelli.

«Anch'io ho sentito la tua mancanza, mi sei mancato e mi è mancato fare l'amore.»

Gideon chinò la testa a fissare quei luminosi occhi grigioazzurro e le sorrise; poi, con una mossa assolutamente inaspettata, quasi involontaria, prima si mise a sedere di scatto, e poi balzò giù dal letto avvicinandosi ai suoi vestiti ammucchiati su una seggiola. Dopo un attimo tornava sul letto e le prendeva una mano stringendola nella propria. «Ti desideravo talmente tanto da non vedere l'ora di farti venire a letto con me, ma per l'amore abbiamo tutto il resto della nostra vita. È una volta soltanto che una ragazza e un ragazzo si fidanzano.» Cominciò a ridere. «Ecco, speriamo che sia soltanto una volta», si augurò, e dopo averle fatto scivolare al dito l'anello con lo zaffiro che teneva stretto in mano, annunciò: «Adesso siamo veramente fidanzati, Evan, e solo questo importa».

Lei si issò a sedere sul letto, e fissò prima lui poi l'anulare della propria mano sinistra, gli occhi che scintillavano, colmi di stupore e di gioia. «Grazie per un anello stupendo come questo», disse allungandosi a baciarlo sulle labbra. «E, sì, adesso siamo proprio fidanzati.» La sua voce era raggiante quando aggiunse: «Che mio padre approvi o no, siamo fidanzati! E io approvo di sicuro! Oh, che bellezza!»

Gideon rise con lei, felice della sua contentezza, e di tutto quell'entusiasmo. «Sono contento che il tuo anello ti piaccia.»

«Mi piace alla follia. Oh, Gid, mi hai proprio colto di sorpresa, ed è tutto così fantastico, e sono così felice.»

«Anch'io sono felice.» La contemplò. «E adesso suggelliamo il patto con un bacio, vuoi?»

Lei ricambiò il suo sorriso e gli fece scivolare le braccia intorno al collo, tirandolo giù fino a quando le fu sdraiato sopra.

Si baciarono ardentemente, avidamente, si accarezzarono nei posti più intimi e segreti, e presto la passione di lui ebbe il sopravvento. Evan si sentì travolgere da un'ondata di calore e gli si strinse forte addosso, con tutto il suo amore. Gli circondò la schiena con le braccia mentre lui la penetrava e si lasciò sfuggire un gemito, come faceva sempre, come se fosse stata colta di sorpresa. L'eccitazione di Gideon era alle stelle e quando Evan cominciò a spingere vigorosamente il bacino contro quello di lui, gli parve di esplodere. Entro pochi secondi si muovevano all'unisono, in un ritmo perfetto. E fu un ritmo che aumentò d'intensità e, più in fretta si muovevano maggiore era la loro eccitazione. Quando toccò l'estasi, Evan gridò il suo nome, e un attimo più tardi anche Gideon pronunciò il suo prima di sussurrarle non una sola ma mille volte, quanto l'amasse.

 

Dopo che si furono ripresi, fecero una doccia tenendosi stretti, l'uno fra le braccia dell'altro, sotto il getto scrosciante del l'acqua.

Sembrava che non fossero capaci di separarsi.

Ma alla fine riuscirono a staccarsi. Evan tornò in camera da letto ad asciugarsi e a spazzolarsi i capelli. Era ancora avvolta in un asciugamano e si stava applicando un velo di trucco, quando Gideon la raggiunse e si vestì rapidamente. Poi si sedette in una poltrona e cominciò a contemplarla, riflettendo che poteva considerarsi molto fortunato ad averla conosciuta. Effettivamente, in un mondo senza certezze aveva trovato il vero amore, e si riteneva molto fortunato. Questa donna era la compagna perfetta da ogni punto di vista; fra loro esisteva la sintonia più totale. Dopo aver infilato un grazioso abitino di mussola e un paio di sandali, Evan si voltò di scatto ad affrontarlo: «Si può sapere cosa c'è? Mi stai fissando con certi occhi! Direi quasi intensamente».

«Ti sto semplicemente ammirando, tesoro. Tutto qui», mormorò lui, con aria languida.

Lei gli si accostò sollevando la mano sinistra. «È favoloso, Gideon, sai? L'anello di fidanzamento più perfetto che ci sia.»

«È quello che penso anch'io, e stasera lo terrai al dito, vero?

A cena con gli altri, voglio dire.»

«Sì, se ci tieni... Tutti capiranno che ci siamo fidanzati.» Tacque per qualche istante, guardandolo con attenzione per vedere come reagiva.

«Naturalmente. Ma dal momento che ci siamo fidanzati sul serio, perché non dovrebbero capirlo? Sono la famiglia, tua come mia. E stammi a sentire, non voglio che tu lo tolga neanche quando vedrai tuo padre e tua madre la settimana prossima.

Siamo intesi?» I suoi occhi verdi erano penetranti e avevano assunto un'aria decisa, mentre la fissavano.

«D'accordo, d'accordo», si affrettò a rispondere, e parlava sul serio. Ma nello stesso tempo si stava accorgendo che c'era qualcosa nel tono di voce e negli occhi di Gideon che lasciava capire come lui non avrebbe più accettato obiezioni o perplessità.

E aveva ragione. Dal momento che si erano fidanzati e intendevano sposarsi, perché avrebbero dovuto nasconderlo ai suoi genitori? Owen non ne sarebbe stato contento, ne era quasi sicura ma, in fondo, si trattava della sua vita, non di quella di papà. Sapeva invece che il padre e la madre di Gideon sarebbero stati felicissimi, perché Emily e Winston, le avevano già confidato che si auguravano che sposasse il loro figliolo.

«Domani possiamo andare a trovare Robin per dirglielo, Gid?» gli domandò cambiando argomento all'improvviso. «Sarei proprio felice di fargli sapere che adesso il nostro fidanzamento è ufficiale.»

«Perché no? Sbaglio o mi sembra un tipo romantico? Come sarà contento di essere il primo a saperlo! Se penso che ha conservato quella fotografia della tua nonnina per tutti questi anni!»

Evan scoppiò in una risatina sommessa. «Niente nonnina, non si parla così della mia Glynnis! Neanche da anziana era il tipo della nonnina. E, in ogni caso, più di cinquant’anni fa era un fior di ragazza, e fascinosa anche.»

«Ho visto quel ritratto, sì o no? Era un'autentica bellezza, e lo sei anche tu. La mia bellezza. La mia splendida, futura moglie.»

 

Tessa era davanti ai fornelli, intenta a sorvegliare contemporaneamente parecchie pentole e padelle e talmente concentrata in quello che stava facendo da non aver neanche il tempo di girarsi a guardare chi stava arrivando, quando sentì un rumore di passi. Così si accontentò semplicemente di esclamare: «Dove sei stato? Credevo che venissi a fare quattro chiacchiere con me, e invece è un secolo che ti aspetto, Lorne».

«Non sono Lorne», la contraddisse Jack Figg mentre le veniva vicino. «Lorne mi manda a domandare se hai voglia di bere qualcosa.»

Tessa si voltò: «Sarebbe proprio una bella idea, Jack».

«Sta trafficando per stappare una bottiglia di champagne nella Stone Hall. Ti va bene, oppure preferiresti qualcos'altro?»

«Champagne, e grazie se vai a prendermelo.»

«Torno fra un minuto», rispose.

Tessa ricominciò a manovrare ai fornelli, mescolando delicatamente la carne, sollevando coperchi e controllando, soddisfatta, la cottura di ogni pietanza. Spense il fuoco sotto qualcuno di quei recipienti proprio nel momento in cui Jack tornava e le porgeva un calice di champagne. «Grazie», fece lei accettandolo.

Jack accostò il proprio calice a quello di lei. «Alla salute», brindò.

«Alla salute», rispose e bevve un sorso. «Com'è secco. Un gusto divino.»

«Che buon profumo hanno tutte queste cose appetitose. Cosa stai preparando per cena?»

Dopo aver spento il fuoco sotto qualche altra casseruola, Tessa andò al tavolo della cucina, si sedette, e cominciò a sorseggiare lo champagne. Jack la seguì, ma rimase in piedi a guardarla.

«Oppure è un segreto?»

«Ma no, assolutamente. Prima ho fatto cuocere a vapore un mazzo di asparagi bianchi da servire come antipasto con la salsa olandese. La portata principale è un couscous. Lo so che potrebbe sembrare una scelta strana per una serata così calda, ma non lo è proprio per niente. Il couscous è un piatto di origine marocchina e il Marocco è un paese caldo. Il cereale che serve per preparare il couscous è molto leggero, una specie di semolino, e ho preferito la carne di vitello a quella d'agnello che è molto più leggera. Ho preparato una specie di blanquette de veau alla marocchina, ma ho ristretto un po' la salsa invece di lasciarla più liquida. Ti piacerà, Jack.»

«Non ne dubito affatto», rispose. E sedette anche lui al tavolo della cucina. «Il profumo che emana è squisitamente aromatico.

Si può sapere con precisione cosa sto annusando?»

«Si tratta di un bouquet di molte spezie mescolate insieme.

Curcuma, zenzero, zafferano, cumino, e cipolle, puoi sentirne l'odore, oltre a parecchie verdure cotte a vapore e al sugo della carne. Mi auguro che tu abbia fame perché ne ho fatto una montagna.»

Jack rise. «Devo confessare che, a star qui con questi profumini sotto il naso, le mie papille gustative sono già al lavoro.

Ti giuro che ho l'acquolina in bocca. Se prima avevo un certo appetito, adesso sono famelico.»

«È quasi pronto. Sono già scesi tutti?»

«Gideon ed Evan non si sono ancora visti, e neanche India, ma gli altri sono nella Stone Hall a scolarsi i cocktail.»

«Accidenti! Sarà meglio che torni ai miei fornelli!» esclamò, accennando ad alzarsi.

Jack le appoggiò una mano sul braccio. «Puoi concedermi un paio di minuti, Tessa, oppure c'è qualcosa che si può rovinare?

Non sopporterei di essere proprio io a guastarti una cena quando i preparativi ti hanno richiesto tutte quelle ore di lavoro!»

«No, no, assolutamente, purché si tratti soltanto di pochi minuti.»

Gli allungò un'occhiata indagatrice e si lasciò cadere di nuovo sulla sedia. «Mi vuoi parlare di Adele, dico bene?»

Adesso toccò a lui rivolgerle una strana occhiata. «Come hai fatto a capirlo?»

«Perché non hai più accennato alla bambina da giovedì, non mi hai più chiesto niente sul suo conto, e io ho pensato che fosse molto curioso. Vedi, nessuno mi ha domandato cosa è successo intanto che era con Mark, e non posso negare che questo mi abbia colpito, mi sia sembrato strano. Magari non tanto il fatto che la mia famiglia non me ne parlasse, quanto piuttosto che tu non fossi più tornato sull'argomento.»

«Volevo che tu riacquistassi tutta la tua calma. E poi, sapevo che se ci fosse stato qualcosa di cui io avrei dovuto essere informato, me ne avresti parlato direttamente. Non solo ma, in tutta franchezza, mi sei sembrata abbastanza tranquilla e mi sono reso conto che se Mark l'avesse maltrattata o le avesse fatto del male in qualsiasi modo, ti saresti precipitata a dirmelo.»

«È vero, e hai ragione, non è successo niente di particolare, a dar retta ad Adele. L'ha portata un po' in giro per la campagna, sempre in macchina, e poi a Harrogate a pranzare al Betty's Cafè. E dopo sono andati a Ripon. Secondo me lei si è soprattutto annoiata; e poi era disperata per la perdita della sua bambola, e ha pianto per quello. Naturalmente, nel pomeriggio ha cominciato a sentirsi stanca, così Mark ha preso una camera allo Spa Hotel in modo che potesse fare il suo solito sonnellino del dopopranzo. Dio solo sa che cosa ha creduto di fare con una bravata del genere. Be', l'ha fatto per angosciarmi, per mettermi paura, o così presumo, almeno.»

«È giustissimo quello che dici. Ma Adele ha accennato, per caso, a quell'altro uomo che c'era in macchina? Lo conosceva?»

«No, non lo conosceva, eppure, per essere una bambina così piccola, ha una memoria buona. Ha detto che c'era con loro un amico di papà. E che si chiamava Amico. Ma io non sono affatto sicura che quello fosse davvero il suo vero nome.»

«In che senso? Vuoi spiegarti meglio?» le domandò Jack, subito all'erta.

«Perché quando ho provato a domandare qualcosa di più ad Adele a proposito di quell'uomo, lei mi ha risposto che il papà le ha detto: 'Questo è il mio amico', e immagino che lei abbia pensato che era il suo vero nome, e si chiamava così, perché Mark anche in seguito per parecchie volte ha continuato a chiamarlo Amico. Non ho la minima idea di chi possa essere, Jack, a meno che non si tratti di uno dei suoi assistenti, di una persona del suo ufficio.»

Lui annuì. «Non è da escludere. Faccio fare subito un controllo lunedì mattina. Voglio essere informato se uno dei suoi assistenti era fuori ufficio mercoledì scorso.»

Tessa si alzò in piedi di scatto esclamando: «Bisogna che cominci a mettere le pietanze sui piatti di portata, Jack, altrimenti mi si rovina tutto. Non c'è altro che volevi domandarmi?»

«No, nient'altro. Posso aiutarti, Tessa?»

«In realtà non ho bisogno di aiuto, ma potresti portare i piatti in sala da pranzo fra qualche minuto.»

«Sarà un piacere.» Bevve un sorso di Dom Pérignon, sempre restando seduto, e rimase a osservarla mentre distribuiva le pietanze sui grandi piatti da portata che aveva tirato fuori dai due forni. Efficiente, disinvolta, pienamente controllata.

Pensò che non l'aveva mai vista più bella di così. Mentre di solito era pallida come un fantasma, quella sera sembrava splendente.

La sua carnagione lattea aveva una sfumatura di un rosa chiarissimo, evidentemente provocato dall'impegno di preparare la cena e dal caldo della cucina, che le donava moltissimo.

Fra l'altro, con quel gran daffare che l'aveva tenuta occupata per tutto il pomeriggio, Jack si stava accorgendo che era di umore decisamente migliore, come al solito, quando era impegnata a lavorare sodo. In questo, assomigliava a sua madre.

Paula dava il meglio di sé quando era sotto pressione, invece quando non aveva niente da fare diventava imbronciata, assumeva l'aria scontenta e perdeva tutta la sua energia di superdonna.

Sia Tessa sia Linnet assomigliavano alla loro mamma, per quanto lui la riconoscesse come una caratteristica che avevano ereditato tutte e tre dalla madre capostipite della dinastia.

Per tutto il tempo in cui Jack aveva conosciuto Emma, e lavorato per lei, l'aveva sempre vista depressa e svogliata soltanto per colpa dell'inattività e della noia; invece era sempre al massimo della forma e piena di energia quando sgobbava di grosso.

E poi c'era anche da dire che a Tessa piaceva molto cucinare e provava una grande soddisfazione a preparare piattini appetitosi per la famiglia e gli amici. Se doveva giudicare dalla propria esperienza, chiunque amasse il proprio lavoro era destinato ad avere successo e, guardandola, non poté fare a meno di pensare che stasera aveva proprio un'aria splendida e fiorente di chi era destinato a ottenerlo malgrado le preoccupazioni per Mark e l'imminente divorzio.

Tessa interruppe i suoi pensieri, domandandogli: «Jack, ti dispiacerebbe andare in sala da pranzo e accendere le candele sulla tavola? E magari, anche, controllare un momento se sono calde le piastre per i portavivande che teniamo sulla credenza.

Mezz'ora fa le avevo messe al minimo e quindi ormai dovrebbero essere abbastanza calde. Dopo puoi venire ad aiutarmi con i piatti di portata».

«Signorsì, signor generale!» esclamò, alzandosi di scatto, facendole un perfetto saluto militare, e correndo via ridacchiando.

Lo sguardo di Tessa lo seguì mentre lasciava la cucina. Jack voleva un gran bene alla mamma e adorava Linnet, che chiamava sempre Bellezza, ma nonostante questo lei sapeva di essergli simpatica, sì, questo lo sapeva con sicurezza, come sapeva che era sempre stato gentile con lei, fin da quando era bambina.

Quanto a lui, invece, lo considerava un enigma, un uomo che parlava poco della propria vita personale. La mamma le aveva raccontato che aveva preso moglie anni prima, ma poi doveva essere successa una tragedia, della quale non sapeva molto. Di tanto in tanto gli capitava di raccontare, ma sempre di sfuggita, qualcosa di sé: come gli piacesse andare a vela a Robin Hood's Bay, la pittoresca località marina dello Yorkshire dove abitava; andare a teatro; e che nel tempo libero si dilettava nella pittura.

Lei sapeva che era devoto agli Harte, lavorava come consulente con uno stipendio fisso per i grandi magazzini Harte's, e si era fatto vivo con lei molto più spesso del solito in quegli ultimi tempi da quando erano cominciati i guai con Mark. E, di questo, gliene era grata perché lo considerava una presenza rassicurante, estremamente affidabile, uno di famiglia, insomma.

Eppure c'erano moltissime cose che ignorava sul suo conto. Un vero e proprio uomo del mistero, pensò, mentre cominciava a scolare le verdure.

Jack tornò in cucina mentre stava versando il couscous su un piatto di portata di grandi dimensioni. Rimase a guardarla mentre lo disponeva a forma di cupola. «Che cosa sono quelle altre cose che hai messo nel couscous?» domandò, curvandosi verso il piatto.

«Ceci e uvetta. L'ho preparato in modo tradizionale. Adesso gli dispongo tutt'intorno le verdure cotte a vapore.» E intanto, mentre parlava, aveva cominciato a sistemare a cucchiaiate carote, rape, pastinache, zucchine e cipolline intorno al couscous. Poi a Jack chiese: «Ti pregherei di mettere questo piatto nel forno grande che c'è là, per tenerlo in caldo, per favore.

Adesso sistemo su un altro piatto di portata lo stufato di vitello, e riscaldo la salsa olandese per gli asparagi. Poi sono pronta».

«Felicissimo di esserti di aiuto, Tessa e congratulazioni, questa cena ha un aspetto davvero invitante.» Intanto infilava nel forno il piatto del couscous. Poi gli venne in mente di domandare: «Come pensi di servirlo?»

«Dopo aver mangiato gli asparagi, pensavo che tu, Desmond, Linnet e io potevamo trasferire i grandi piatti di portata in sala da pranzo, mettendoli sugli scaldavivande caldi. Sarà una cena stile buffet, e tutti potranno servirsi da soli come e quando vogliono.»

«Mi sembra un'ottima idea», rispose, «e senza dubbio la più semplice.»

 

La stanza non gli era familiare. A tal punto da sentirsi completamente disorientato.

Batté le palpebre nella luce tenue e si guardò intorno, cominciando a distinguere gradatamente forme e oggetti che a poco a poco prendevano sempre più rilievo: un cassettone, una seggiola, un orologio a muro e, a destra, una finestra. Dove diavolo si trovava?

Dusty Rhodes sbatté di nuovo le palpebre e cercò di mettere meglio a fuoco gli occhi. Lentamente riuscì ad avere un quadro migliore della camera, un quadro completo, non più frammentario.

Era una stanza d'ospedale. E lui era in un letto di ospedale... con l'ago di una fleboclisi infilato in una vena. O qualcosa del genere.

Al primo momento non riuscì a ricordare niente. Poi, in un lampo, si vide di nuovo nello studio, quella mattina, mentre si precipitava davanti al quadro per proteggerlo dal coltello alzato.

E di nuovo gli parve di sentire la punta affilata della lama che gli penetrava nelle carni. Un dolore straziante. Sangue. Un fiume di sangue che ne sprizzava fuori. Gli macchiava la camicia.

La mano. Sgocciolava lungo il braccio. Sul pavimento.

Era stata lei ad accompagnarlo qui in macchina. All'ospedale della contea di Harrogate. Ecco dov'era. Gli tornò in mente tutto. India. Lady India Standish, figlia di un conte, una nobildonna a pieno diritto. Una ragazza meravigliosa. Un angelo.

Gli aveva salvato la vita. Quanto a questo, non c'erano dubbi.

Non aveva perso la calma. Gli pareva di rivederla ancora con gli occhi della mente. Padrona di sé. Controllata. Pratica.

Lo aveva imbottito di asciugamani di spugna. E accompagnato qui in macchina, a velocità folle. Ricordava di essersi sentito agghiacciare per quella velocità. Lo aveva ricoverato, e affidato ai sanitari del Pronto Soccorso tutto intero... e salvo! Sì, era quello il motivo per cui era ancora vivo, per cui non era morto dissanguato. Tutto merito suo, soltanto suo.

Era tornata poco prima a vedere come stava, ma lui non si era ancora risvegliato completamente dall'anestesia. A un certo momento aveva aperto gli occhi e l'aveva vista lì seduta. Vicino al suo letto. E gli teneva una mano. E sussurrava piano tante parole tranquillizzanti. Pallida, spettrale, i capelli chiari arruffati. Lui aveva cercato di parlarle. Ma era ancora troppo debole. E poi aveva perduto di nuovo conoscenza.

Adesso lei era andata via. Per sempre? Sperava di no. La voleva nella propria vita. Ma lei ci sarebbe rimasta?

Sarebbe venuto tutto a galla. La storia della sua lunga relazione con Melinda. La stampa, la cronaca scandalistica, avrebbe saputo dell'esistenza di sua figlia Atlanta. Una bambina molto piccola. La bellissima Atlanta. Lui non voleva che succedesse niente di tutto questo. Ma sapeva che sarebbe successo proprio esattamente l'opposto. E si sarebbe anche trovato la polizia alle costole. Con lui non avevano ancora parlato, perché non era stato in grado di farlo dopo l'intervento, ma sarebbero tornati l'indomani. Sarebbero tornati di sicuro... com'era vero Dio! Con i loro taccuini. A prender nota di ogni cosa. E lui ci avrebbe fatto una figuraccia. Eppure Melinda non doveva aver avuto nessuna intenzione di fargli del male. Era stato un incidente, lei mirava soltanto a danneggiare la tela. Era andata su tutte le furie quando aveva visto un'altra donna nel suo studio.

Come era riuscita a venir via dalla casa di cura? A entrare nello studio? Tutta colpa sua, quella mattina non aveva chiuso a chiave la porta.

Cosa raccontare a India? Tutta la verità, era l'unica soluzione.

Essere onesto fino in fondo. Ma come raccontarglielo. Ecco il problema. Trovare il momento giusto. Parlare con lei di Melinda. Raccontarle di che cosa soffriva Melinda. Come fosse una tossicodipendente. Raccontarle della loro bambina. Lui le voleva bene. Atlanta. India. Voleva bene a tutte e due.

E cosa fare per quello che riguardava Melinda? Come guarirla e metterla di nuovo nelle condizioni di avere una vita sana e regolare? E come eliminarla dalla propria vita? Grazie a Dio non l'aveva sposata. Comunque, doveva assumersi le proprie responsabilità. Aiutarla e ottenere la custodia di Atlanta, Conservarsi India...

Quando poco più tardi venne l'infermiera a dargli un'occhiata, si accorse che Russell Rhodes, il famoso artista, stava dormendo profondamente, come prima. Era la cosa migliore per lui, rifletté, sapendo che... c'era mancato un niente e sarebbe stato in pericolo di vita. C'era stato un momento in cui avrebbe potuto anche morire. Grazie a Dio, non era successo.

Aveva avuto la fortuna dalla sua parte. Tutti avevano bisogno di un po' di fortuna un momento o l'altro, nella vita. Richiuse la porta senza far rumore e tornò al proprio lavoro.