Capitolo Ventitré

Il mattino successivo seguii la messa di Jordan, che era più frequentata della mia messa mattutina alla St. Margaret. Avevo chiamato Millie appena sveglio, per dirle dov’ero e come mettersi in contatto con me.

Millie, navigando su Reddit e Tumblr molto più di me, sapeva già delle foto, ma non mi disse: “Te lo avevo detto” e non sembrò portarmi rancore, così sperai che mi avrebbe perdonato nel suo modo scorbutico. Si offrì anche di appendere un cartello alla porta, per informare che gli orari di ricevimento e le messe della settimana erano temporaneamente sospesi, perciò, una volta sistemate le questioni pratiche, mi potei concentrare sul presente.

Tuttavia, prima di riattaccare, non riuscii a fare a meno di chiedere: «Hai visto Poppy?» e mi odiai per quello.

Millie sembrò capire. «No, l’auto non è nel vialetto da ieri sera.»

«Okay» dissi, affannato e stanco, non sapendo cosa provare a quella notizia. Di certo non migliorò la sensazione di avere un cratere gigante al posto del cuore.

«Padre, ti prego, prenditi cura di te. Nonostante tutto, la tua parrocchia ti vuole bene» aggiunse e avrei voluto tanto che quelle parole fossero vere, ma come potevano esserlo dopo che avevo rovinato tutto?

Dopo la messa, ebbi la chiesa tutta per me. La chiesa di Jordan era antica, aveva più di cent’anni ed era stata realizzata quasi tutta in pietra, arricchita da vetrate colorate. Non c’erano tappeti rossi, nessun rivestimento in finto legno. Era una vera chiesa, antica e rimbombante, il genere di luogo dove lo Spirito Santo si poteva librare come una nebbia invisibile che luccicava tra le travi.

A Poppy sarebbe piaciuta tantissimo.

Ero scosso e svuotato per tutte le lacrime versate durante la notte, come se la mia anima fosse fuoriuscita da me insieme al pianto. Avrei dovuto inginocchiarmi, lo sapevo, inginocchiarmi, chiudere gli occhi e abbassare il capo, invece mi stesi su una delle panche. Era di legno, duro e freddo, ma non avevo la forza di rimanere in piedi un minuto di più, quindi restai lì, a sbattere le palpebre con lo sguardo fisso sul retro della panca davanti a me, tra i messali, i moduli delle presenze e le matite smussate.

Signore, dimmi cosa fare.

Una parte di me sperava di svegliarsi e scoprire che era stato tutto un brutto incubo, un’allucinazione creata per testare la mia fede, ma non era così. Avevo davvero trovato Poppy e Sterling insieme. Mi ero davvero innamorato solo per essere preso a calci nel culo (e proprio dalla donna che volevo sposare).

Abbandono il clero e spero che Poppy mi riprenda indietro? Provo a cercarla? A parlarle? E qual è la cosa migliore per la Chiesa, che io resti? La Chiesa è più importante di Poppy?

Non sentii né vidi niente. A parte il rumore lontano del traffico della città all’esterno e la luce fioca che si rifletteva pigra sul legno della panca.

Neanche un condizionatore oggi? Di tutti i momenti possibili, proprio oggi non ho diritto a niente?

Sapevo di fare l’arrogante, ma non mi importava. Perfino Giacobbe aveva dovuto lottare con Dio per ottenere la sua benedizione; se, per conquistare la mia, dovevo mettere il broncio, lo avrei fatto. Ma, soprattutto, ero stanco. E svuotato. Non potevo continuare a piagnucolare, anche se ne avrei avuto voglia, e così i pensieri vagavano, le preghiere fluivano senza senso, o prive di parole, e rimanevo lì a contemplare il luogo in cui mi trovavo. Solo e ferito, in una chiesa che non era la mia. Con le mie azioni, avevo arrecato danno alla mia parrocchia e tradito la fiducia del vescovo e dei parrocchiani, la cosa che più di tutte avevo cercato di conquistare da quando ero diventato un sacerdote.

Avevo fallito.

Avevo fallito come prete, come uomo e come amico.

Fissai il pavimento di pietra, sbattendo piano le palpebre nel silenzio.

Cosa faccio, resto?

Rimanere prete sarebbe stato il modo migliore per espiare le mie colpe? E sarebbe stata la cosa più vantaggiosa per la Chiesa? E anche per la mia anima? Lasciare adesso, e non alle mie condizioni, sembrava un capriccioso atto di disprezzo verso me stesso, una sorta di “ho rovinato tutto e quindi mollo”; qualsiasi decisione avessi preso riguardo al mio futuro, doveva provenire da sentimenti diversi da quelli.

Doveva arrivare dal Signore.

Purtroppo, quel giorno, Lui sembrava di poche parole.

Forse la vera domanda da pormi era un’altra: potevo ancora immaginare per me stesso una vita senza sacerdozio e senza Poppy? Avevo deciso di abbandonare perché la amavo, ma, una volta presa la decisione, una serie di prospettive si erano aperte davanti a me, opportunità che mi ispiravano, inebriavano, rinvigorivano. Esistevano così tanti modi per servire il Signore e se fosse stato proprio quello il punto? Non di unire me e Poppy, ma di spingermi fuori dalla zona di comfort che mi ero creato? Una bolla dove potevo agire solo fino a un certo punto, dove potevo avere sempre una scusa per non sognare più in grande, uno spazio in cui era facile coltivare l’immobilismo e la stagnazione, in nome dell’umiltà del servizio reso.

Volevo fare tante cose da giovane, le stesse che aveva fatto Poppy, come lunghe missioni di volontariato, che erano diventate impossibili una volta sistematomi nella parrocchia. Ma se fossi stato libero, avrei potuto combattere la carestia in Etiopia o trascorrere l’estate a insegnare inglese in Bielorussia o scavare pozzi in Kenya. Avrei potuto andare ovunque, sempre.

Con chiunque.

Be’, non proprio chiunque. Perché, se chiudevo gli occhi e visualizzavo nella mente le pianure polverose di Pokot o le foreste della Bielorussia, perdendomi in silenziose fantasie riguardo al futuro, c’era solo una persona che immaginavo al mio fianco.

Una figura minuta e slanciata, con i capelli scuri e le labbra rosse. Avrebbe portato l’acqua con me o forse dei quaderni nuovi per i bambini, o magari avrebbe tenuto in mano i suoi occhiali da sole mentre camminavamo insieme, con le dita intrecciate, verso una riunione della comunità. Forse avrebbe dormito su di me, in un’amaca, e sarei riuscito a distinguere i disegni a forma di diamante che la rete le avrebbe impresso sulla pelle, o magari avremmo condiviso un dormitorio spoglio e senza riscaldamento, rannicchiati su un letto duro, incastrati come due pezzi di un puzzle.

Ma ovunque saremmo stati, avremmo aiutato delle persone. Nello stesso modo diretto, concreto, a volte intimo, in cui Gesù lo aveva fatto: curando i malati con le mani, guarendo i ciechi con fango e saliva, senza timore di sporcarsi e impolverarsi. Quella era stata la differenza fondamentale tra Gesù e i farisei, no? Lui andava tra la gente, gli altri stavano al chiuso, a discutere su pergamene ingiallite, mentre la loro popolazione veniva maltrattata da un impero indifferente.

Mi ricordai di quando avevo scelto di diventare un sacerdote, dell’eccitazione e dell’aspettativa ardente che avevo provato. In quel momento, sentii le stesse emozioni, e fu come essere sfiorato dalle ali di una colomba e ricevere un battesimo del fuoco, nello stesso istante, perché tutto divenne chiaro. Non solo chiaro, ma evidente.

Mi sedetti.

Il Signore mi voleva nel mondo reale, tra le vite ordinarie dei Suoi Figli. Forse, i piani che Egli aveva per Tyler Bell erano molto più entusiasmanti e meravigliosi di quello che avevo sempre creduto.

È questo che vuoi? chiesi. Che io me ne vada, non per Poppy, non per il vescovo, ma per me? E per Te?

E la parola mi risuonò nella mente, con pacata ma tonante autorità.

.

Sì.

Era arrivato il momento di smettere. Il momento di lasciare la mia vita da sacerdote.

Ecco la risposta che cercavo, il percorso che avevo chiesto, anche se non era proprio ciò che avevo domandato era perché, prima, avevo posto la domanda sbagliata.

Quella volta non ci fu nulla di tangibile, nessun roveto ardente, nessun formicolio, nessun fascio di luce. Solo pace, tranquilla e contemplativa, e la consapevolezza che i miei piedi mi avrebbero condotto sul cammino. Dovevo solo fare il primo passo.

E quando più tardi, quella sera, chiamai il vescovo per informarlo della mia decisione, la mia pace ritrovata c’era ancora. Sapevamo entrambi che era la scelta giusta, per me e per la Chiesa, e fu così che la mia vita da sacerdote, da Padre Tyler Bell, giunse a una fine priva di clamore e al contempo solenne.

 

Il fine settimana successivo ci sarebbe stato l’Irish Fest, ma avevo già salutato i miei parrocchiani e svuotato la casa parrocchiale, quindi non avevo motivo di andare fin lì, anche se detestavo perdere il calcio d’inizio della raccolta fondi per la chiesa.

«Temi che ti possano prendere a sassate?» mi domandò Sean quando accennai che non sarei andato (stavo da lui, nell’attesa di trovare un posto per me).

Scossi la testa. In effetti, a parte lo scalpore nazionale sui social media, in cui ero stato demonizzato e allo stesso tempo ero diventato una specie di celebrità per il mio aspetto, i miei parrocchiani avevano reagito molto meglio di quanto meritassi. Mi avevano detto che speravano rimanessi: alcuni mi avevano addirittura implorato di restare, altri mi avevano ringraziato per aver parlato apertamente di abusi, altri solo abbracciato e augurato il meglio. E avevo risposto con onestà a qualsiasi domanda, almeno quello glielo dovevo, un resoconto aperto e completo dei miei peccati, così che non ci sarebbe stata nessuna ombra di dubbio, nessuna voce in circolazione. Non volevo che il mio peccato macchiasse la comunità più di quanto non avesse già fatto.

Ma, allo stesso tempo, nonostante il loro calore e l’affetto, per me non sarebbe stato salutare tornarvi. Anche mentre preparavo le valigie, la settimana precedente, ero stato tormentato dal pensiero di Poppy, e dopo che io e papà avevamo caricato tutto sul furgone dei traslochi, con la scusa di salutare ancora altre persone, ero andato a casa sua. Non avevo pensato a cosa le avrei detto se l’avessi trovata lì, e poi non sapevo più se ero arrabbiato con lei o disperato a causa sua – o entrambe le cose – per un tradimento da cui solo il suo corpo sarebbe stato in grado di guarirmi, anche se era proprio ciò che mi aveva ferito.

Ma non importava. Se n’era andata ed erano sparite anche tutte le sue cose: il suo iMac, gli alcolici, i libri. Avevo sbirciato dalle finestre della casa vuota, il volto schiacciato contro il vetro, come un bambino davanti alla vetrina di un negozio, con la ridicola sensazione che, se fossi potuto entrare, sarei stato meglio. Felice, anche solo per un minuto.

Ragionando come un tossicodipendente, ero andato a cercare la chiave di scorta nel portico sul retro, ma ovviamente non c’era più, e tutte le porte erano chiuse a chiave. Avevo perfino provato a forzare una delle finestre, prima di riprendere finalmente il controllo su me stesso. Se ne era andata via con Sterling e io ero là, a rischiare di venire arrestato per violazione di domicilio.

Cerca di mantenere la calma fino a quando non sarai a casa e potrai bere qualcosa, avevo rimproverato me stesso, ed ero riuscito a farcela. Io e papà avevamo scaricato nel seminterrato dei miei genitori tutto quello che c’era sul furgone e poi avevamo bevuto qualche bicchiere di whiskey, senza dire una sola parola. Ancora il lutto irlandese.

Nonostante in quei giorni rivivessi solo ricordi dolorosi legati a Weston, tuttavia fui felice di scoprire che, dopo il festival, Kickstarter aveva funzionato proprio come Poppy aveva previsto: a partire da inizio novembre, la St. Margaret raccolse quasi diecimila dollari per la ristrutturazione.

Ne soffrii un po’ al pensiero che il progetto al quale avevo dedicato così tanto tempo ed energie sarebbe stato affidato a un altro prete, e fu anche un po’ seccante che molte donazioni online provenissero dalle Tylerette, un gruppo di mie fan su internet, spuntato fuori poco dopo le foto. Le Tylerette sembravano più interessate a speculare sulla mia situazione sentimentale o a riesumare foto del college di me a torso nudo, piuttosto che a fare beneficenza. Ma pensai che il fine ultimo fosse una giusta causa, quindi andava bene lo stesso.

«Almeno sai che potresti farti delle gran scopate, ovunque tu vada» disse Sean, mentre mangiavamo cibo da asporto nel soggiorno del suo attico, una sera di qualche settimana più tardi.

«Vaffanculo» risposi, impassibile. Non mi importava. C’era solo una donna che volevo, ma se n’era andata, e nessuna fan su internet (o nessun fan) avrebbe potuto cambiare le cose.

«Ti prego, dimmi che non hai intenzione di seguire il celibato anche adesso che sei stato lateralizzato.»

«Laicizzato, e non sono affari tuoi.»

Sean mi lanciò in testa una confezione di salsa di soia e sembrò provarci gusto perché me ne lanciò altre, il coglione, e poi mise il broncio quando gli tirai il contenitore di salsa agrodolce sul petto e la salsa rosa si versò sul suo completo elegante di Hugo Boss.

«Te la potevi risparmiare, idiota» borbottò sfregando invano la stoffa.

E quella era perlopiù la mia vita: litigare con mio fratello, mangiare cibo spazzatura, non avere la più pallida idea di cosa fare dopo. Pensavo a Poppy di continuo, mentre cercavo dei corsi post-laurea, mentre ero in compagnia dei miei genitori, che mi supportavano, pur andandoci coi piedi di piombo, come se temessero che, dicendo una parola sbagliata, avrei potuto avere un flashback del Vietnam o iniziare a strisciare sul pavimento con un coltello tra i denti.

«Hanno paura che tu esploda a causa di quello che c’è su internet, pensano che forse reprimi le tue emozioni al riguardo» mi aveva gentilmente spiegato Ryan, quando mi aveva sentito parlarne con Aiden e Sean. «Quindi, sai. Non esplodere.»

Non esplodere. Che buffo. Casomai, stavo implodendo, schiacciato e piegato in un uomo più piccolo, un uomo più debole. Senza Poppy, era come se avessi dimenticato tutto ciò che mi aveva reso Tyler Bell. Mi struggevo per lei, come una persona senza fiato avrebbe fatto per l’ossigeno, continuamente, e mi rimaneva davvero poco margine per pensare a qualcos’altro. Non riuscivo neanche a guardare The Walking Dead perché me la ricordava troppo.

«Sono perso» ammisi con Jordan il giorno dopo il Ringraziamento. «So di aver fatto la cosa giusta a lasciare il clero, ma adesso ho così tante opzioni, ci sono così tanti luoghi in cui potrei andare, tante cose che potrei fare. Come posso sapere qual è quella giusta?»

«Ti sembra che sia tutto sbagliato senza di lei?»

Non avevo fatto cenno a Poppy, e il suo acume mi innervosì, anche se ormai avrei dovuto aspettarmelo.

«Sì» risposi con onestà. «Mi manca così tanto da star male.»

«Ha provato a mettersi in contatto con te?»

Abbassai lo sguardo sul tavolo. «No.»

Nessun messaggio. Nessuna email. Nessuna chiamata. Niente. Aveva chiuso con me. Immaginavo che dovesse avermi visto, quel giorno a casa sua, che avesse capito che sapevo della storia con Sterling, e, in quel caso, era pure peggio. Nessuna spiegazione? Nessuna scusa? Neanche la farsa di una debole giustificazione e tanti auguri per il futuro?

Sapevo che aveva lasciato Weston; Millie mi chiamava ogni settimana per aggiornarmi sulla chiesa e sui miei ex parrocchiani, ma non avevo idea di dove fosse andata, anche se la immaginavo a New York con Sterling.

«Penso che dovresti provare a cercarla» disse Jordan. «Per capire cosa è successo.»

E fu così che mi ritrovai allo strip club con Sean, quel dicembre. Era quasi collassato per l’emozione quando gli avevo chiesto di portarmici, parlava di farmi scopare, di farsi scopare, e che avremmo dovuto portare anche Aiden ma non quella sera, perché si voleva concentrare sulle mie mosse.

«Non ho intenzione di rimorchiare una spogliarellista» protestai per l’ennesima volta, mentre salivamo in ascensore.

«Cosa? Non sono abbastanza per te? Te ne scopavi una, giusto un paio di mesi fa.»

Oddio, erano già passati due mesi? Sembrava molto meno, tranne quando sembrava di più, ovvero le volte in cui ero certo fossero passati anni da quando avevo assaporato la dolcezza del corpo di Poppy, da quando avevo sentito la sua fica calda e umida stringersi intorno al mio uccello, e quelle erano le volte in cui mi ritrovavo talmente eccitato da respirare a fatica. Per fortuna, Sean ci teneva a fare carriera e lavorava spesso fino a tardi la sera, così avevo l’attico a mia disposizione per la maggior parte del tempo. Non che masturbarmi fosse di molto aiuto, non importava quante volte venissi nella mia mano pensando a lei; il dolore di averla persa non si attutiva mai, la pillola del suo tradimento non si faceva mai più dolce. E, tradimento o no, il mio corpo la desiderava ancora.

La volevo ancora.

«Era diverso» spiegai a Sean nell’ascensore, e lui alzò le spalle.

Sapevo che non sarei mai stato in grado di farglielo capire, perché non si era mai innamorato. “La passera è la passera” diceva ogni volta che provavo a spiegargli perché non avevo voglia di incontrare nessuna ragazza, scelta a caso tra le sue conoscenze, perché non volevo nessun appuntamento. Cosa c’era di così speciale in lei?

Il club era pieno, era sabato sera e bastarono solo un paio di Vodka Tonic per convincere Sean ad andare per la sua strada. Io rimasi al bar, a sorseggiare un Bombay Sapphire Martini e guardare le ballerine sul palco, mentre riportavo alla mente le sensazioni provate quando Poppy aveva danzato soltanto per me.

Cosa non avrei dato per riavere indietro qualcuno di quei momenti: io, lei e quella maledetta cosa di seta attorno al suo collo. Con un sospiro, appoggiai il mio drink. Non ero andato lì per rievocare il passato, ma per scoprire dove fosse finita.

La barista mi si avvicinò mentre puliva il bancone. «Un altro?» chiese indicando il mio martini.

«No, grazie. A dire il vero, sto cercando una persona.»

Sollevò un sopracciglio. «Una ballerina? Di solito, non forniamo informazioni riguardo agli orari…» Per motivi di sicurezza: intuii il resto della frase.

Non avevo ragione di offendermi, mi rendevo conto di come le apparisse la situazione. «A dire il vero, non ho bisogno di informazioni sull’orario. Sto cercando Poppy Danforth… Credo che abbia lavorato qui.»

La barista spalancò gli occhi riconoscendomi. «Oh Dio, sei quel prete, vero?»

Mi schiarii la voce. «Ehm, sì. Voglio dire, in realtà non sono più un prete, ma lo ero.»

La barista sorrise. «La foto in cui giochi a frisbee al college… mia sorella la usa come sfondo del computer, al lavoro. E hai visto i meme di Prete Sexy?»

In effetti, sì, nel bene e nel male, avevo visto i meme di Prete Sexy. Avevano usato le foto che c’erano sul sito della St. Margaret, quelle che Poppy aveva ammesso di aver guardato tutti quei mesi prima.

“Ho pensato che forse sarebbe stato più facile se avessi conosciuto il suo nome e il suo aspetto.”

“Ed è più facile?”

“Non proprio.”

Dopo aver chiarito che non ero uno dei tanti ragazzi che importunavano le ballerine, ci riprovai: «Sai dov’è andata Poppy?»

Lo sguardo della barista si riempì di compassione. «No. Ha dato le dimissioni in fretta e furia, e non ha detto a nessuno perché lasciava o dove andava, anche se tutti sapevamo delle foto, quindi abbiamo intuito che avesse qualcosa a che vedere con quelle. Non te l’ha detto?»

«No» risposi, prendendo di nuovo il martini. Certe verità andavano giù meglio con un po’ di gin.

Appese lo strofinaccio a un gancio lì vicino e si girò di nuovo verso di me. «Sai, adesso che ci penso, so che ha lasciato qualcosa qui, quando è venuta a raccogliere le sue cose. Vado a prenderla.»

Picchiettai le dita sul bancone in acciaio, vietandomi di sperare che fosse qualcosa di importante, come una lettera lasciata apposta per me, pur desiderandolo con tutto me stesso. Com’era possibile che se ne fosse andata e basta? Senza una parola?

Ciò che c’era stato fra noi aveva significato così poco per lei?

Il petto mi si strinse e, non per la prima volta, si accartocciò per il dolore; la sofferenza di un amore unilaterale, sapendo che l’avevo amata più di quanto lei avesse amato me.

È così che si sente il Signore per tutto il tempo?

La cosa mi fece riflettere.

La barista tornò con una spessa busta bianca. Sopra c’era il mio nome, scritto a pennarello con tratti grossi e frettolosi. Quando la presi, capii subito di cosa si trattava, ma la aprii lo stesso e un’altra ondata di dolore mi squarciò le viscere mentre tiravo fuori il rosario di Lizzy e sentivo il suo peso sulla mano.

Lo tenni sollevato per un minuto, guardai la croce che ruotava nella luce fioca della sala da ballo, poi ringraziai la barista, trangugiai quello che restava del Martini e me ne andai, lasciando Sean alle sue avventure senza veli.

Era finita. Davvero. Era finita da quando avevo visto Sterling e Poppy baciarsi, ma in un certo senso fu quello il segnale definitivo che tra di noi non ci fosse più nulla. Le avevo dato il rosario spontaneamente, era un regalo, e non avevo mai pensato una sola volta di rivolerlo indietro, ma lei lo aveva visto come il simbolo di un legame, una sorta di debito, e aveva rifiutato quel legame, proprio come aveva rifiutato me.

Sì. Era tempo che lo accettassi.

Era finita.