Capitolo Undici

Dopo l’incontro col gruppo degli uomini, mi fermai in ufficio per prendere un rosario e un piccolo opuscolo con alcune preghiere generiche e mi diressi verso la chiesa, sapendo che era molto probabile che Poppy fosse già arrivata.
Quello che non potevo sapere, era che l’avrei trovata in piedi proprio davanti all’altare a fissare il crocifisso; la luce della tarda sera che filtrava dalle finestre la punteggiava dei toni più scuri delle pietre preziose, zaffiro, cremisi e smeraldo. Non avevo immaginato di trovarla con le spalle tremanti, come se stesse piangendo, e che tutte le porte e le finestre sarebbero state chiuse, in modo da trattenere all’interno la seducente aria profumata di incenso.
Mi fermai, il saluto sulle mie labbra bloccato dalla quiete, dal peso schiacciante del silenzio.
Il Signore era lì.
Il Signore era lì e stava parlando con Poppy.
Sentii sulla pelle ogni bacio dell’aria, mentre mi avvicinavo a lei, riuscii a udire ogni suo respiro e, quando la raggiunsi, vidi la pelle d’oca sulle braccia e le lacrime silenziose che le scorrevano sulle guance.
C’erano migliaia di cose che avrei potuto dirle, ma non riuscii a trovare il coraggio di interrompere qualunque cosa stesse accadendo in quel momento. Però mi sentivo invitato a partecipare, come se prendervi parte fosse giusto, e lo feci, avvolgendola tra le mie braccia.
Poppy si appoggiò a me, gli occhi ancora fissi sulla croce, e la sostenni mentre entrambi ci lasciavamo colmare dalle emozioni, che ci purificarono nella luce languida e nel silenzio. Le ombre strisciarono sul pavimento concentrandosi attorno ai nostri piedi; i secondi passarono e, pian piano, ci avvicinammo sempre più, fino a quando ogni centimetro della sua schiena premette contro di me, il mio viso fu nei suoi capelli e le sue mani intrecciate alle mie.
La vicinanza di Poppy, e quella di Dio allo stesso tempo, fu euforia, estasi, ed ebbi quasi le vertigini mentre le sentivo entrambe, drogato di lei e del mio Dio. E, di fronte a questa comunione mistica, non ci fu spazio per il senso di colpa, per l’autocritica e le recriminazioni. Solo per l’attimo presente, lo stare lì. Poi lei si girò tra le mie braccia e inclinò il volto verso il mio.
«Lo senti anche tu?» chiese.
«Sì.»
«È sempre così per te?»
Scossi la testa. «Una volta alla settimana, forse. A volte due. So di persone, come il mio confessore, che lo vivono in ogni momento e altre, come il mio vescovo, che non l’hanno mai provato.»
«È stupendo.»
Intanto, si era fatto completamente buio e non eravamo che ombre, ma perfino così, le tracce delle sue lacrime luccicavano.
«Sei stupenda» sussurrai.
Parlammo con voce sommessa; la santità e la presenza ancora palpabili nell’aria. E avrei dovuto sentirmi un depravato a tenere Poppy stretta a me proprio di fronte a Dio, ma il nostro personale Roveto Ardente, in una stanza silenziosa, faceva apparire tutto più giusto, come se tenerla tra le mie braccia, guardandola in viso, fosse la cosa più corretta da fare.
Feci scivolare le dita sotto al suo mento per inclinarle il volto verso il mio e mi abbassai quanto bastava a far sì che i nostri nasi si sfiorassero. In quel momento avrei potuto baciarla. Forse avrei dovuto. Forse era quello il disegno di Dio fin dall’inizio, farci ritrovare lì, soli, in chiesa, obbligati ad affrontare la realtà, ovvero che la nostra fosse più di un’amicizia, più che attrazione fisica. Era qualcosa di puro, autentico e inconfutabile e non sarebbe sparito.
Tremò contro di me, le labbra socchiuse in attesa, e mi permisi di ridurre ancora un po’ la distanza tra noi, di abbassarmi ancora, per ritrovarmi con la bocca a pochi millimetri dalla sua, mentre le stringevo le braccia intorno alla vita. Eravamo così vicini da condividere il respiro, nel vero senso della parola, e i nostri cuori battevano allo stesso ritmo vertiginoso.
Nonostante ciò che era successo tra noi, in un certo senso, quel momento fu più intimo, più fragile di quello che avevamo già condiviso. Tutto il resto era accaduto mentre fingevo che Dio non guardasse, ma adesso… non c’era finzione… sacro e profano si mescolavano e si confondevano insieme, fusi e saldati per creare qualcosa di nuovo, unico e singolare, e, se l’amore era questo, allora non capivo come chiunque potesse sopportarne il peso.
«Non riesco a resistere, mi dispiace» dissi, nello stesso momento in cui lei diceva: «Ho provato a starti alla larga.»
E poi la baciai.
Sfiorai le sue labbra con le mie una volta, solo per sentire la morbidezza della sua pelle, e subito dopo premetti la bocca contro la sua, sul serio, e la assaggiai nel modo più lento e profondo possibile, fino a quando sentii le sue ginocchia cedere, mentre emetteva piccoli suoni dal fondo della gola.
La baciai finché la vista si sfocò, fino a dimenticare i momenti in cui non ci eravamo baciati, fino a non riuscire più a distinguere dove finisse la mia bocca e iniziasse la sua. La baciai finché non sembrò che ci fossimo scambiati qualcosa, forse una promessa, un patto o un pezzo delle nostre anime. E, quando alla fine ci staccammo, mi sentii rinato, un uomo nuovo. Un nuovo battesimo, sancito da un bacio invece che dall’acqua.
«Ancora» implorò lei. «Ancora.»
La baciai di nuovo, questa volta affamato, bramoso e, dal modo in cui sospirò nella mia bocca e le sue dita stritolarono il tessuto della mia camicia, potevo asserire che lei fosse persa in me, quanto io in lei, e non avrei voluto mai smettere, non avrei voluto mai che questo momento finisse.
Ma doveva finire.
Quando ci allontanammo, lei fece un passo indietro e si strinse fra le proprie braccia, tremando appena per il soffio dell’aria condizionata. Le nuvole, fuori, si erano diradate, lasciando filtrare un raggio d’argento attraverso le finestre, e noi ci trovammo al centro di uno splendente lago fatato di luce lunare. Il sentimento divino era ancora lì, ma, più che come entità esterna, avvertivo delle scintille dentro di me, come se il divino si fosse infiltrato nel mio sangue. Mi sentii stordito, come ubriaco, per tutto.
«Sono stanca» disse Poppy, anche se sembrava più confusa che affaticata. «Penso sia meglio che torni a casa.»
«Ti accompagno» mi offrii. Lei annuì e insieme ci lasciammo il mistero alle spalle, come se passando dalla porta della chiesa potessimo fuggire da quello che era appena successo.
«È stato incredibile» sussurrò.
«Mi hanno sempre detto che sono bravo a baciare.»
Mi colpì la spalla. «Sai cosa intendo.»
Percorrendo la navata, non riuscivo a togliermi dalla testa l’immagine di lei in piedi, davanti alla croce, così aperta e recettiva verso un’esperienza che la maggior parte delle persone non avrebbe mai vissuto.
«Poppy, devo chiedertelo. È successo qualcosa che ti ha attirato verso la chiesa? Magari, ci andavi da bambina e adesso sei ritornata?»
«Perché?»
«Sembra che…» Cercai le parole giuste, desideroso di esprimere quanto trovassi bello il suo interesse. «Penso che sia meraviglioso che tu abbia deciso di buttarti. Non molti lo fanno.»
«Dal mio punto di vista, mi sembra di essermi avvicinata in maniera graduale» disse mentre uscivamo. Mantenni tra noi una distanza di sicurezza mentre scendevamo le scale di pietra all’esterno della chiesa. «La mia famiglia non è religiosa; a dire il vero, nessuno di nostra conoscenza lo è, che io sappia. Credo che abbiano sempre guardato alla religione con sospetto, come se una cosa in grado di ispirare un tale fervore nelle persone fosse fuori luogo, nel migliore dei casi. Pericolosa, nel peggiore. Sono sempre stata un po’ più aperta di loro in questo ambito. All’università, frequentavo quasi tutte le settimane il tempio buddista con un’amica e ad Haiti lavoravo fianco a fianco con i missionari. Ma è stato solo il primo giorno in cui sono venuta a confessarmi che ho cercato questa esperienza di mia spontanea volontà.»
«Cosa ti ha fatta tornare dopo quella volta?»
Fece una pausa. «Tu.»
Metabolizzai la risposta mentre raggiungevamo la fine delle scale; ci avviammo poi attraverso il parco alberato, posto tra la chiesa e casa sua. Era illuminato dai lampioni e dalla luna.
Mi schiarii la voce, mentre mi chiedevo se la mia domanda avrebbe fatto davvero qualche differenza; poi decisi di farla lo stesso. «Sono stato io come prete? O come uomo?»
«Entrambi. Credo che sia per questo che sono così confusa.»
Continuammo a camminare in silenzio, nello stesso luogo ma non insieme, le nostre menti concentrate sulla bellezza del momento vissuto in chiesa, su come era stato baciarsi mentre le nostre anime erano in fiamme.
Dannazione. Era tutto così confuso anche per me, e persino quando la confusione iniziò a sfumare, invece che schiarirmi le idee, sembrò produrre l’effetto opposto. Tutto quello che avrebbe dovuto essere di primaria importanza passava in secondo piano.
Come la mia promessa di essere migliore.
«In questo momento ho voglia di tenerti per mano» dissi all’improvviso. «Vorrei metterti un braccio intorno alla vita e stringerti a me.»
«Ma non puoi» rispose con dolcezza. «Qualcuno potrebbe vederci.»
Intanto eravamo giunti nel giardino dietro alla casa.
«Non so cosa fare» dissi con sincerità. «Io…»
Non c’era nient’altro da aggiungere. Non sapevo come spiegarle cosa provavo per lei e come mi sentivo nei confronti della mia vocazione e delle responsabilità, e che sarei stato pronto a mollare tutto per poterla baciare di nuovo. Dannazione, avevo davvero voglia di tenerla per mano nel parco…
Lei osservò le stelle in cielo. «Anche a me piacerebbe tanto che potessi tenermi per mano.» Rabbrividì di nuovo, aveva i capezzoli turgidi nella leggera frescura della sera, degli apici duri che imploravano di essere succhiati.
I sentimenti dolci di qualche minuto prima iniziarono a fondersi con altri, più primordiali, che si concentrarono all’altezza del bacino. Dovetti fare appello a tutto il mio autocontrollo per non inchiodarla al cancello e baciarla di nuovo, per non tirarle giù i pantaloni e scoparla proprio lì, all’aperto, dove chiunque potesse vedere.
«Voglio rivederti» dissi a voce bassa. Il significato non poteva essere frainteso, difatti Poppy si spostò sfregando le cosce tra loro.
«Forse… voglio dire, noi dovremmo…»
«Credo che non mi importi più» affermai.
«Neanche a me» sussurrò lei.
«Domani.»
Scosse la testa. «Devo andare a Kansas City per la gestione finanziaria del locale, stiamo passando a un nuovo software di contabilità. Ma sarò di ritorno giovedì sera.»
Quasi gemetti ad alta voce, ma riuscii a controllarmi. «Sono tre giorni a partire da adesso» dissi.
Lei appoggiò le mani sul chiavistello del cancello sul retro. «Entra» propose. «Stiamo insieme stasera.»
«È tardi» le risposi. «Per quello che ho in mente, voglio avere a disposizione molto più tempo.»
Espirò piano, le sue labbra rosse si schiusero mostrando gli incisivi e un minuscolo pezzetto di lingua.
Mi guardai intorno per assicurarmi che fossimo davvero soli, poi le afferrai la mano, aprii il cancello e l’attirai all’interno del giardino. La spinsi sotto al pergolato ricoperto di vegetazione e la feci voltare in modo che avesse il culo premuto contro di me, contro la mia erezione. Le coprii la bocca con una mano e le slacciai i jeans con l’altra.
«Tre giorni a partire da adesso è un periodo lungo» le mormorai nell’orecchio. «Voglio solo assicurarmi che tu stia bene fino ad allora.»
Poi, feci scorrere la mano giù lungo la pancia fino a scivolare sotto le mutandine di seta. Gemette al primo tocco.
«Shh» le ordinai. «Fai la brava e ti darò quello che vuoi.»
Emise un secondo gemito in risposta.
Dio, adoravo la sua fica. Non avevo mai toccato niente di più morbido delle pieghe tra le sue gambe, e, maledizione, quanto era bagnata. Così bagnata che avrei potuto tirarle giù i jeans e prendermi quello che volevo all’istante, proprio lì. Ma no. Lei meritava più di quello. Di certo, però, avrei avuto delle fantasie al riguardo mentre la facevo venire.
Cominciai a stimolarle il clitoride e tracciai piccoli cerchi, rapido e premendo forte, adorando il fatto che facesse resistenza contro la mia mano. Sapevo che la pressione e la velocità erano un po’ eccessive, ma sapevo anche che lei lo adorava, che gradiva quel pizzico di dolore nel suo piacere.
«Potrei farlo tutto il giorno, Agnellino» le dissi. «Adoro allungare una mano sul davanti dei tuoi jeans, giocare con il clitoride, farti venire. Ti piace?»
Lei annuì, il suo respiro irregolare contro la mia mano. Mancava poco al culmine.
«Giovedì notte» le ricordai, e fu come se stessi quasi vivendo un’esperienza extracorporea, ascoltando me stesso pronunciare quelle parole. Ma a quel punto non mi importava o, meglio, avevo superato la soglia in cui le regole a cui tenevo contassero. «Voglio stare con te. Voglio scoparti. Ma solo se è quello che vuoi tu.»
Lei annuì di nuovo, con impazienza, disperata.
«Sarà un supplizio aspettare» dissi e la mia voce risultò roca. «Non vedo l’ora di essere dentro di te. Sentimi. Senti quanto sono duro anche solo a pensarci.» Sfregai l’uccello contro il suo culo e lei iniziò a tremare. Le mie parole e la pressione del mio cazzo la spinsero al limite. Emise un grido che venne attutito dalla mia mano, lunghe scosse la attraversarono per un intero minuto e alla fine si rilassò, accasciandosi contro di me. Tenni la mano nei suoi slip ancora per un paio di minuti: adoravo la sensazione che mi trasmetteva e poi, con riluttanza, la tolsi, tirai su la sua cerniera e le riallacciai il bottone dei jeans.
Mi succhiai le dita mentre lei si voltava a guardarmi, gli occhi che brillavano e le guance arrossate in modo evidente anche al buio.
«Vai a dormire, Poppy» sussurrai, quando mi accorsi che non avrebbe voluto farmi andare via. «Ci vediamo giovedì sera.»

La mattina seguente, mentre recitavo la messa, un pensiero mi colpì come una valanga di mattoni, con la stessa potenza dei nostri baci: mi stavo innamorando di Poppy Danforth.
Non si trattava soltanto della voglia disperata di fare sesso con lei. Né solo di compiacimento per averle fatto trovare la fede. Ero proprio sulla buona strada per innamorarmi di lei.
Dopo un mese.
Stupido, ero davvero uno stupido.
E adesso che non era qui, neanche nelle vicinanze, mi resi conto che la mia ossessione era un vortice fuori controllo, come una crisi d’astinenza da una droga.
Immaginai la sua voce riempire la chiesa, dopo che Rowan e le nonnine se ne furono andati alla fine della messa. Rividi il suo volto e la treccia morbida, mentre stampavo delle copie di schede sulla Bibbia per il prossimo incontro col gruppo degli uomini. Mi ritrovai a cercare foto della Dartmouth e di Newport su Google, invece di navigare sui vari forum di The Walking Dead. Cercai persino la sua famiglia sul web (inquietante, lo so), mi misi a scorrere le foto di famiglie ricche e potenti, scattate a eleganti eventi di beneficenza, e alla fine trovai una sua vecchia immagine a una specie di raccolta fondi per un politico. Lei assieme a un gruppo di persone attraenti che erano chiaramente suoi parenti, i fratelli, suo padre, con i capelli grigi e le spalle ampie, e sua madre, slanciata ed elegante. Un fratello e una sorella, entrambi con abiti costosi, e volti somiglianti al suo, dagli zigomi alti.
Cliccai sulla foto per aprirla e ottenere una versione più grande del volto di Poppy. Era più giovane, ma non tanto, intorno ai vent’anni forse, ed era evidente che non fosse felice. Mentre tutti mostravano sorrisi entusiasti all’obiettivo, lei riusciva solo a tenere le labbra premute tra loro, gli occhi puntati oltre il fotografo, come se fosse assorbita da qualcosa che solo lei poteva vedere.
Un’ondata di gelosia indesiderata e di sospetto mi salì nel petto. Stava guardando Sterling? Sembrava il genere di evento a cui anche lui avrebbe potuto partecipare, da quel poco che sapevo. O forse stava solo osservando il fantasma della sua infelicità, il suo futuro banale, fatto di posti a sedere da stabilire e cartoncini del menù da far stampare.
Pensai a quella foto per tutta la sera. Pensai anche a lei, a quando l’avrei rivista, il giovedì, e ogni due minuti mi ritrovavo a sorridere, a farlo senza motivo tranne la certezza di poterla vedere di nuovo.
Quella sera, col gruppo dei giovani, parlammo di Gesù che veniva tentato nel deserto, ma, per effetto della ferma inversione di marcia dell’ultima settimana, mi sentii del tutto distaccato dai versi. Non ero in un deserto… mi trovavo in un luogo ricco di foglie verdi e fruscianti e acqua che scorreva limpida.
Cosa era cambiato? Me lo chiedevo. Nel giro di una settimana o forse solo di un giorno?
Era stata la notte precedente. Erano stati la preghiera, la magia, il profumo dei suoi capelli. Il bacio, che aveva sigillato qualcosa che trascendeva dall’aspetto fisico a quello spirituale. I due mondi non erano più separati e divisi, ma un tutt’uno… e così l’esperienza di stare con lei era passata dal generare in me confusione a essere meravigliosa. Stupenda. Non dal punto di vista estetico, ma nel senso che mi aveva colmato di meraviglia.
Lei mi aveva riempito di stupore. Mi aveva fatto vedere il mondo con sensi diversi: ogni albero era più verde, ogni angolo più acuto, ogni volto più piacevole, e più gradevole era prestare aiuto.
Tuttavia, il senso di colpa non era sparito. Oscillavo tra fantasia e rimprovero, mi punivo con più corse, più flessioni, più commissioni per la chiesa, trascorrendo il resto delle ore in preghiera in cerca di una risposta.
Perché il Signore mi aveva portato Poppy, se non dovevo innamorarmi di lei?
Era davvero così terribile che un uomo di Dio facesse sesso?
I Protestanti lo facevano da mezzo millennio e non sembravano, per quello, essere destinati all’inferno più dei cattolici.
Ed era così sbagliato volere entrambi? Volevo condurre la mia chiesa, aiutare le persone a trovare Dio, ma, maledizione, volevo anche Poppy e non pensavo fosse giusto dover scegliere.
Il Signore non mi rispose. Qualunque magia avesse aleggiato in chiesa nelle ultime due settimane, ora si nascondeva da me e, in un certo senso, quella era già di per sé una risposta.
Dovevo venirne a capo da solo.