25

Non c’è.

Sono appoggiata al bancone del bar, respiro fumi di birra, ho in mano un bicchiere di pessimo vino, ascolto l’interminabile discorso di Aaron sulla sua graphic novel, e le ultime tracce del mio sorriso sono svanite. Non ce la faccio più. Ho smesso di girare la testa verso la porta come un cane speranzoso. Se voleva venire, a quest’ora sarebbe arrivato. Fine.

Naturalmente tutti si aspettavano che ci presentassimo mano nella mano, se non addirittura sposati. Tutti mi hanno chiesto cosa fosse successo. Io ho respinto le domande con brevi risposte positive, accuratamente studiate:

“Sto benissimo! Proprio bene! Molto bene!”

“Sì, io e Dutch ci siamo lasciati, ma si vede che non era destino. Sì, lo so, che peccato. Cose che succedono.”

“Sono appena tornata dal monastero, pensa! Sono arrivata ieri. Sì, d’inverno è favoloso. Farida vi saluta tutti…”

“No, è da un pezzo che non vedo Dutch.”

“No, non c’era di mezzo un’altra persona, è stato solo che… Comunque. Basta parlare di me.”

Ma per tutto il tempo la delusione mi cresceva dentro, pesante, calda, una pietra. Avevo sperato. Avevo proprio sperato. Non so neanche bene cosa sperassi, di preciso. Solo… qualcosa di buono. Sì, qualcosa di buono.

Perché il fatto è questo. Puoi tagliare tutti i fiori ma non puoi impedire l’arrivo della primavera. Non mi importa quello che dicono, non puoi. Salta fuori. Non si lascia reprimere. È sempre lì, presente, nel profondo, dormiente, in attesa. Appena ho visto l’email di Kirk, ho sentito che spuntava una margherita, spingeva fuori la testolina come per dire: “Non si sa mai…”.

Non era un eccesso di ottimismo. Non era una fantasia illusoria. Era semplicemente un… forse. A tutti è permesso un forse, no? E quella sensazione è stata il mio carburante per tutto il tempo, mentre facevo le valigie, salutavo Farida e Felicity, volavo a casa, sceglievo come vestirmi e truccarmi e uscivo, stasera. Speranza. Solo una margheritina di speranza.

Ma adesso soffia un vento vivace e la margheritina è parecchio sbattuta. Potrei andarmene, a questo punto. Ho salutato tutti quelli del gruppo e ci siamo ripromessi di ritrovarci ancora e in un certo senso mi ha fatto piacere vederli, anche se non è la stessa cosa. E come potrebbe? In Puglia eravamo un gruppo di anime spensierate con il kurta. In questo pub di Londra, Richard si è rivelato un noiosone con l’eskimo, ed Eithne parla solo dei suoi nipotini. Anna mi ha intrattenuta lungamente sulla sua brillante carriera, e aveva l’aria tutta allegra quando le ho detto che Matt e io ci eravamo lasciati. Tutti sono un pelo più pallidi e accigliati di quanto fossero in Italia. Compresa me, naturalmente.

Borbotto una scusa vaga a Eithne, esco dal pub e appena sono in strada, sotto una pioggerellina londinese, faccio un bel respiro per scacciare tute le sensazioni che mi sono montate dentro in questi giorni. Sto guardando un autobus che passa, chiedendomi se prenderlo per andare a casa, quando il mio telefono squilla: è una chiamata con FaceTime. È Ronald che ha voglia di chiacchierare, e sorrido amaramente. Proprio adesso.

Ronald è l’unico Warwick con cui sono rimasta in contatto. Gli parlo più o meno un paio di volte al mese. Mi ha cercato poco dopo che ero arrivata in Puglia e abbiamo fatto una bella chiacchierata innocua. Gli interessava sentirmi parlare dell’Italia e aveva voglia di commentare le ultime notizie. Poi ha ricominciato a raccontarmi della tremenda truffa che aveva subito e, anche se mi ripeteva cose che già sapevo, l’ho ascoltato con partecipazione. Capivo che aveva bisogno di sfogarsi, e che a casa sua non ha la possibilità di farlo. Non abbiamo parlato di Matt. Quando ho visto che puntava in quella direzione, gli ho detto: “Per favore, potremmo non parlare di Matt?”. Dopo di che non abbiamo più menzionato né lui né nessun altro membro della famiglia. Ma abbiamo chiacchierato. Piacevolmente.

Adesso, però, no. Non è il momento. Rifiuto la chiamata e gli mando un messaggio proponendogli di sentirci un altro giorno. Poi comincio a camminare di buon passo, per mettere della distanza fra me e il pub. Devo allontanarmi da tutto questo, sia in senso fisico sia mentale. Basta. Ripigliati. Vai avanti.

Pensando all’idea di “andare avanti”, mi viene in mente Sarika, e mi batte forte il cuore. Perché è lì che dovrei essere. Con le mie amiche. Con la squadra. Non ho detto neanche a loro che sono tornata. Non so bene perché. Immagino sperassi…

Stupida margheritina.

Mi dirigo decisa verso il metrò. Andrò a casa di Nell, le faccio una sorpresa. Avrei dovuto pensarci prima.

Per arrivare dove abita Nell ci metto circa mezz’ora, compreso il tempo per comprare dei fiori lungo la strada. Mentre cammino sul marciapiede verso casa sua, mi sento più consapevole di quello che sto facendo, e comincio a provare una certa eccitazione. Esaltazione, quasi. Perché sono passati mesi! E ho finito il libro! E le mie amiche mi sono talmente mancate. Così tanto. E non sanno che sono tornata!

Devo ringraziare soprattutto Maud, perché casa mia è trasformata. Ordinatissima! Ha restaurato lo scaffale, le sedie della cucina e il cassettone, che adesso è azzurro con gli interni rivestiti di carta da parati. È meraviglioso. È tutto meraviglioso. Valeva assolutamente la pena di aspettare.

Gli alberi che costeggiano la via, illuminati dai lampioni, sono coperti di gemme e quella vista nonostante tutto mi fa sorridere di nuovo amaramente. Eccola qui. La primavera. Impossibile fermarla.

È solo quando sono nel cortile davanti al palazzo che all’improvviso mi sento nervosa. No, non nervosa, ma… farei meglio a mandarle un messaggio, invece di presentarmi così alla sua porta?

Mi sistemo su un piloncino tra due auto parcheggiate, poso i fiori per terra e prendo il telefono. Ma non mi viene in mente nessun messaggio che non suoni melenso. E poi: dovrei dire anche alle altre che sono tornata? In generale, avrei dovuto riflettere un attimo su questa cosa?

Sto per aprire WhatsApp quando un’auto in arrivo attira la mia attenzione. È una FIAT blu che conosco, appartiene al vicino di Nell, John Sweetman. E sta parcheggiando nello spazio per i disabili. Di nuovo. Quando vedo la sua faccia tranquilla e occhialuta, mentre fa manovra come se niente fosse, mi viene una rabbia… Ancora? Cioè, veramente, ancora?

Te ne vai per sei mesi di trasformazione personale, torni, traboccante di energia positiva… ed eccolo lì. Certe cose non cambiano mai. Rimetto il telefono in tasca, e mi sto preparando a sfidarlo, quando una voce irrompe nel silenzio.

«Ehi!»

È una profonda voce maschile, arrabbiatissima. Una voce… che conosco?

Sto sognando, per forza. Ho le allucinazioni. Eppure… no. Un attimo dopo lo vedo, diretto a grandi passi verso John Sweetman come un toro infuriato, e io resto senza fiato.

Matt?

«Sposti quella macchina del cazzo» dice, e picchia sul finestrino di John Sweetman. «Non ci pensi neanche, a parcheggiare qui. Non se lo sogni proprio. Questo spazio serve alla mia amica. Se ne vada.»

Non sento cosa risponde John Sweetman, ammesso che risponda. Non sono sicura di essere totalmente lucida. Mi manca il respiro. Cioè… Matt?

«Si sposti!» Matt sembra sul punto di esplodere. Cioè, a vederlo è parecchio minaccioso, così alto e robusto e con lo sguardo bellicoso. Come se stesse per distruggere un avversario sul ring. Se io fossi John Sweetman, sarei terrorizzato.

E infatti dopo un istante John Sweetman mette in moto. Matt fa un passo indietro per permettergli di andarsene. Poi si gira, fa un segno, e arriva un’altra macchina. Quella di Nell. Cosa… cosa sta succedendo?

L’auto entra nello spazio per disabili, la portiera si apre e Topher scende, poi si china verso l’interno.

«Okay… piano… attenzione…» lo sento dire.

Un braccio gli si posa sulle spalle, e Matt va ad aiutare, così per un attimo la loro schiena mi impedisce di vedere altro, poi Topher si raddrizza e tiene Nell in braccio.

Nell?

La guardo, e mi sento gelare. È pallidissima. Cos’è successo?

Ma Nell sorride a Topher e lui sistema meglio il braccio attorno a lei, come se lo avesse già fatto migliaia di volte. Nel frattempo Matt ha preso un borsone nel bagagliaio e lo ha richiuso. E dovrei dire qualcosa, muovermi, annunciare la mia presenza… ma non posso. Sono inchiodata, e ho le lacrime agli occhi. Vedo tutto offuscato.

Nel frattempo John Sweetman ha parcheggiato da qualche altra parte e si sta avvicinando con una certa esitazione. Matt si gira verso di lui.

«Si scusi con la mia amica» gli dice bruscamente, e mi accorgo che Sweetman è imbarazzato. Vede Nell in braccio a Topher, Matt che ha in mano la borsa e il bastone, e il suo atteggiamento di difesa inizia a sgretolarsi.

«Non avevo idea» inizia. «Non avevo idea che la signorina… non avevo capito. Mi spiace.»

«Lo credo» dice Topher, con gli occhi scuri che sono due fessure colme di disprezzo. «Ci scusi, per favore.»

Matt ha già aperto il portone con la chiave – ha una chiave? –, fa passare Topher e Nell, e dopo un attimo scompaiono tutti e tre.

Mi asciugo gli occhi con un sospiro. Questo piloncino su cui sono seduta è durissimo, mi fanno male le gambe e dovrei alzarmi. Ma non posso farlo, mi gira la testa, sono totalmente confusa.

Poi sento qualcos’altro che mi stupisce ancora di più.

«Siamo qui!» È la voce di Maud, come sempre altissima. «Sì, preso tutto. Sì, Nihal ha trovato il cordiale al sambuco. È stato bravissimo. Siamo lì in un secondo.»

Ed eccola arrivare, sotto il mio sguardo incredulo: parla animatamente con Nihal, che la accompagna. Hanno entrambi dei sacchetti della spesa pienissimi, e hanno l’aria di due vecchi amici.

«Lo so che tu ci credi, e io rispetto assolutamente le tue convinzioni, Nihal. Ma secondo me non ha proprio senso» gli sta dicendo Maud. «Come fa una cosa a cambiare se la misuri? E comunque cosa vorrebbe dire “quanto”?»

«Cercherò di spiegartelo» risponde, pacato come sempre, Nihal. «Tu sai cos’è un elettrone, Maud?»

«No» risponde lei decisa. «Ha importanza?»

Parlando, entrano nel palazzo e svaniscono. Io sono ancora più confusa di prima. È impossibile. È irreale. Che cosa sta succedendo?

Però adesso basta, non posso più restare seduta qui, spettatrice della mia stessa vita. Con le gambe tremanti, mi avvio verso casa di Nell. Ho le sue chiavi in borsa, come sempre. Entro nell’androne e mi avvicino alla porta del suo appartamento. Sono un fascio di nervi. In tutta la mia vita, un incontro con le mie amiche non mi ha mai agitata fino a questo punto.

Mentre infilo la chiave nella serratura mi trema addirittura la mano, ma la giro, entro e sento un boato di risate proveniente dal soggiorno.

«Non esiste!» esclama la voce di Sarika, e sobbalzo di nuovo. Ma ci sono tutti? «Okay, Sam dice che sarà qui entro mezz’ora. Vado a prendere dell’altro vino…»

Arriva in anticamera, mi vede e per un istante temo che possa svenire.

«Ava?» sussurra. «Ava? Ava!» E la sua voce si trasforma in un grido. «È tornata Ava!»

Scatta il pandemonio. L’ingresso di Nell non è enorme, ma in dieci secondi è pieno di gente. La prima ad abbracciarmi è Sarika, poi Maud mi spreme addirittura. Emergo dalla loro stretta e c’è Nell davanti a me, appoggiata al bastone, felice come non l’ho mai vista, e ci abbracciamo mentre Nihal dice timidamente: «Bentornata» e Topher commenta: «Eccellente entrata, Ava. Eccellente».

E poi c’è Matt. Si tiene fuori dalla ressa, qualche passo indietro. Ha lo sguardo cupo e interrogativo, ma non so quale sia la domanda. Non lo so.

Ho un nodo alla gola e a stento riesco a guardarlo in faccia, ma gli dico: «Ciao».

«Ciao.»

Si fa avanti e allunga una mano per sfiorare per un attimo la mia. «Ciao.»

«Non…» Mi giro a indicare tutti con un gesto. «Non capisco. Non capisco questa cosa.»

«Povera Ava» ride Sarika. «Vieni, tesoro. Bevi qualcosa. Adesso ti spieghiamo.»

È semplicissimo, naturalmente. Matt e io ci siamo lasciati ma i nostri amici no. Le nostre vite no.

Siamo tutti riuniti nel soggiorno di Nell a mangiare e bere. Io sorseggio il mio vino, cercando di ascoltare tutti contemporaneamente e mettere insieme la storia.

«E così quando voi vi siete lasciati» inizia Sarika «noi abbiamo pensato: “Oh, no!” perché ci piacevamo davvero. Ma non abbiamo cominciato a frequentarci subito. Tranne Nell e Topher, loro sono rimasti sempre in contatto.»

«Avevamo dei litigi da portare a termine» dice Nell, rivolgendo un sorriso smagliante a Topher.

«E ne abbiamo ancora» conferma Topher.

«Però il momento in cui ci siamo davvero riuniti è stato…» Maud esita e mi lancia un’occhiata. «… quando Nell è andata all’ospedale.»

«All’ospedale?» La interrompo, provando il brivido gelido della paura. «Cos’è successo? Non mi avete detto niente.»

«Non eravamo autorizzate a farlo» interviene Maud. «Ava, avrei voluto. Davvero. Ma Nell era sicura che saresti volata qui. Perciò dovevamo tenere la bocca chiusa.»

«Se aveste detto una sola parola, vi avrei fatte uccidere» ruggisce Nell.

«Lo so» dice Maud in tono di rimpianto. «Lo avresti fatto davvero. I miei bambini sarebbero rimasti orfani. Perciò non te lo abbiamo detto.»

«Che cosa non mi avete detto?» Li guardo tutti uno dopo l’altro. «Cosa?»

«Un’altra operazione. Intestino. Niente di che. Niente di che» ripete Nell decisa, quando sto per chiedere qualche particolare in più.

«Comunque i ragazzi sono stati grandi. Topher è rimasto con lei di notte…»

«Non riuscivo a sbarazzarmi di lui» dice Nell alzando gli occhi al cielo. «Era sempre lì a rompere in ospedale.»

«Gioco a poker online quindi sto sveglio comunque» spiega Topher con una scrollata di spalle. «E chi non si divertirebbe a stare a sentire Nell che insulta le infermiere?» Le sfiora una mano con uno sguardo così tenero che lo fisso sorpresa. Ma è… Sono…?

«Poi, quando lei è uscita dall’ospedale, Nihal è stato veramente geniale» dice Maud, rivolgendogli un sorriso abbagliante. «Dovrebbero dargli il Nobel. Ha detto: “Nell, cara mia, quello di cui tu hai bisogno nella vita sono i robot!”.»

«Robot?» ripeto incredula.

«Ho visto un possibile scopo nell’utilizzo di robot» spiega Nihal con la consueta misura. «Ho suggerito una serie di modi in cui potrebbero facilitare a Nell le operazioni della vita quotidiana.»

«Guarda!» Maud si sposta e mi indica qualcosa alle sue spalle, e così vedo il braccio meccanizzato accanto a Nell. È montato su un supporto e regge un iPad a cui è attaccata una stilo lunghissima.

«Mi ha cambiato la vita» dice Nell, mettendo in evidentissimo imbarazzo Nihal.

«Ce ne sono in tutta la casa» dice Maud, orgogliosa come se i robot li avesse inventati lei. «Uno in camera di Nell, uno in cucina… Oh, guarda! Eccolo!»

Un robot avanza sul parquet, identico a quello degli snack, solo che questo porta le medicine di Nell. È così semplice e geniale che resto senza parole. Perché ricordo quello che ho detto a Matt, a proposito dell’hobby tecnologico di Nihal, e adesso me ne vergogno moltissimo. Nihal è un genio.

«Quello che veramente vorrei sviluppare è un sistema di controllo oculare» dice Nihal pensieroso, osservando Nell mentre sorseggia la sua birra.

«Cosa sarebbe?» chiede Maud entusiasta. «Un braccio bionico?»

«Non mi trasformerai mai in un dannatissimo cyborg» ringhia Nell.

«Oh, dài, fatti mettere un braccio bionico» dice Maud. «Dài, Nell.»

«Sì, dài, Nell» interviene Sarika. «Non fare la guastafeste.» Mi fa l’occhiolino, e io per un istante mi sento profondamente felice. Mi sono mancate davvero tanto.

«Allora, mi pare che tu stia ancora con Sam, giusto?» le chiedo.

«Vado a vivere da lui la settimana prossima» mi risponde Sarika con un sorriso beato.

«Fantastico! A proposito, dov’è che vive?» non resisto a chiederle in tono innocente. «Vicinissimo al metrò, vero?»

«Abbastanza vicino» mi risponde, evitando il mio sguardo. «Saranno… cioè, io cammino veloce. E certe volte prendo la bici. Quindi, al massimo dieci minuti.»

«Dieci minuti in moto» dice Nell con un ghigno, e Maud scoppia a ridere.

«Okay, è a qualche chilometro» cede Sarika. «A diversi, dannatissimi chilometri dal metrò. Ma non mi importa. Voglio solo stare con lui!»

La sua felicità è così palese che ho una rapida, dolorosa stretta al cuore. Siamo sempre lì. Può andare bene. Devi solo avere fede.

«E adesso vogliamo sapere, Ava» dice Nell. «A momenti morivo dallo sforzo di non chiedertelo, ma… il libro?»

Lascio passare un attimo, poi annuncio trionfalmente: «L’ho finito!». Esplodono gridolini di gioia e Maud mi dà il cinque, sprizzando entusiasmo. «E piace a un’agente» aggiungo, e faccio fatica a crederci anche mentre lo dico. «Perciò… vuole rappresentarmi.»

Felicity ha letto il resto del mio manoscritto mentre mi preparavo a partire. Ha detto che non può promettermi niente, ma pensa che la storia di Harold finirà in libreria. Il mio amato Harold, in un vero libro!

Nell si avvicina e posa la sua mano sulla mia, una luce commossa negli occhi.

«Ecco» dice con la voce un filo roca. «Ecco. Lo sapevo che potevi farcela.» Mi sorride, le sorrido, e so che entrambe ricordiamo la conversazione fatta proprio qui alcuni mesi fa.

E mentre siamo sedute qui, tenendoci le mani, scruto il viso di Nell per capire meglio. Perché devo sapere. Quella specie di vibrazione tenera e scintillante tra Nell e Topher è… è reale. Vero?

«Nell» le chiedo sottovoce. «Dimmi una cosa. Tu e Topher… state insieme?»

«No» dice subito Nell, e tira via la mano in segno di protesta. «Oddio! No.»

«Sì, stiamo insieme» interviene Topher, che ci stava ascoltando.

«No, per niente.»

«Be’, secondo me, sì. Sarika, stiamo insieme?»

«Non chiederlo a me.» Sarika alza entrambe le mani.

«Ma certo che state insieme!» afferma con passione Maud. «Siete una bellissima coppia!»

«Maud, tu sei pazza» ribatte Nell, ma arrossisce lievemente e lancia un rapido sguardo a Topher.

«Grazie per il tuo sostegno, Maud» dice serio lui. «Me ne ricorderò.» Poi si rivolge a me, un’espressione divertita sul viso. «Per rispondere alla tua domanda, siamo in trattativa, direi. Ancora un po’ di vino?»

Scuoto la testa e bevo un sorso, sorridendo a entrambi e godendomi l’atmosfera. La sensazione di essere tornata a casa, con le mie amiche. Le cose sono cambiate, ma in meglio.

«Come sta Harold?» chiede una voce profonda alle mie spalle, facendomi sobbalzare. Mi giro e c’è Matt, seduto qui dietro, con un bicchiere fra le mani. Non ha partecipato alla nostra vivace conversazione, e non ha detto granché da quando sono arrivata.

Cioè, lo capisco. È strano. E un po’ doloroso. Ma siamo qui, e non possiamo ignorarci.

«Sta benissimo, grazie.»

«Bene.» Matt annuisce. «Salutalo da parte mia. E brava, davvero, per il tuo libro.»

«L’ho finito» ripeto, perché voglio sentire di nuovo quelle parole pronunciate ad alta voce, di fronte a lui. «Ho finito qualcosa. Ecco.»

«Sì.» Il suo sguardo è pieno di calore. «Sei stata grande.»

«E tu hai lasciato Harriet’s House?» continuo, cercando di fare conversazione. E subito l’espressione di Matt diventa imperscrutabile.

«Ah» dice dopo un attimo. «Lo sai.»

«Sì, l’ho visto online. Ma non so che cosa fai adesso.»

«Lavoro con Topher.» E sorride. «Siamo soci, anzi.»

«Oh, Matt!»

«Lo so. È una gran bella cosa.»

Ha l’aria così entusiasta che non riesco a trattenermi e lo stringo in un rapido abbraccio, poi mi ritraggo subito, mortificata.

«Oddio. Scusa. Non… Scusa.» Ho le guance in fiamme e bevo in fretta un sorso di vino. «Comunque, stai bene, allora? A vederti, di sicuro…»

«Ava.» Matt mi interrompe e aspetta finché non alzo la testa e lo guardo. «Ava. Potremmo… non so, andare a cena?»

La sua espressione è seria ma piena di speranza, e io lo fisso, travolta da mille pensieri. Anche lui sperava? Per tutto questo tempo, ha sperato anche lui?

«Mi piacerebbe» dico alla fine. «Sì. Volentieri.»