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Il mattino seguente quando salgo sull’aereo non sto nella pelle. Finalmente saprò tutto di Dutch! E lui saprà tutto di me… e inizierà la nostra vita felice insieme.
Abbiamo deciso di non vuotare il sacco in aereo. (Cioè, io l’ho deciso.) Anche se muoio di curiosità, dovrà essere nel momento giusto. Abbiamo aspettato tanto; possiamo farlo ancora un po’.
Quindi il mio piano è questo: arriviamo a Heathrow, troviamo un bar, ci sediamo l’uno di fronte all’altra, facciamo un bel respiro… e ci diciamo tutto. E durante il volo, tanto per divertirci, scriveremo qualche ipotesi su un foglietto. Nome, lavoro, hobby. Anche questa è stata una mia idea. Volevo aggiungere “età” e poi mi sono resa conto che era una pessima idea, e ho corretto con “tutto tranne l’età”.
Sull’aereo ci sono altri del corso, sparsi qua e là. Il posto di Dutch è quattro file davanti a me, ma va bene così. Non è necessario sederci vicini. Abbiamo il resto delle nostre vite per stare insieme.
Ora indossiamo i nostri vestiti normali. Io ho un abito morbido e leggero, mentre Dutch è in jeans, con una camicia di lino che ha comprato nel gift shop del monastero. Non è un abbigliamento particolarmente rivelatore, anche se ho notato un bell’orologio. Abbronzato e muscoloso, con le infradito ai piedi, sembra veramente un falegname.
Scrivo “falegname” e “Jean-Luc” e poi mi lascio ricadere contro la spalliera, cercando di immaginare dove potrebbe vivere e lavorare. Il suo laboratorio me lo figuro benissimo. E lui lì dentro che lavora, con una canottiera grigia un po’ consunta. Magari ha segato qualche asse ed è un pochino sudato, poi esce con una tazza di caffè in mano e si toglie la canottiera per fare arti marziali al sole. Mmh.
È una visione così deliziosa che chiudo gli occhi per godermela meglio, e poi forse mi addormento, perché mi sembra che siano passati solo cinque minuti e già ci stiamo preparando all’atterraggio. Il cielo di Londra è bianco e nuvoloso e mi prende un attimo di nostalgia dell’Italia, ma prevalgono subito l’emozione e l’impazienza. Manca poco!
Abbiamo stabilito di incontrarci al nastro dei bagagli e quando arrivo lì vedo Eithne e Anna. (Mi sembra ancora strano non chiamarle Principiante e Metafora.)
«È stato meraviglioso conoscervi» dice Eithne, abbracciandoci forte prima di allontanarsi.
Anna non ci abbraccia, ma dice: «Buona fortuna» con uno dei suoi sorrisetti maligni, e io mi costringo a risponderle con un bel sorriso e un: «Anche a te!».
E poi finalmente arrivano le nostre valigie e ci avviamo all’uscita.
«Dove andiamo?» chiedo mentre passiamo dal gate degli Arrivi e ci troviamo circondati da autisti che brandiscono cartelli. «Magari uno degli hotel dell’aeroporto? Ci mettiamo al bar e ordiniamo del vino?»
«Buona idea.»
«Allora? Hai cercato di indovinare qualcosa di me, sull’aereo?» gli chiedo senza riuscire a trattenermi, e Dutch ride.
«Sì, un paio di cose ho provato a indovinarle. Però di sicuro ho sbagliato.» Mette le mani avanti. «Ho lavorato di fantasia.»
«Mi piace, se lavori di fantasia. Sentiamo.»
«Okay.» Tace per un attimo, ridacchiando e scuotendo la testa, come se i suoi stessi pensieri lo imbarazzassero, poi dice tutto d’un fiato: «Ho pensato che magari sei una profumiera».
Wow. Una profumiera. In realtà è molto vicino ad aromaterapeuta. Cosa che diventerò, appena finito il corso.
«Ci ho preso?» aggiunge.
«Non posso dirtelo.» Gli sorrido. «Tutto a suo tempo. E come mai profumiera?»
«Credo sia perché, quando penso a te, ti vedo sempre circondata da fiori» mi risponde dopo averci riflettuto un istante. «Immersa nel loro profumo. Sei così tranquilla e serena. Così… non saprei. Placida.»
Lo guardo incantata. Placida! Serena! Nessuno mi ha mai definita “serena” in vita mia.
«E sai cosa si dice dei cani» continua Dutch, scaldandosi. «Che assomigliano ai loro padroni. Perciò penso che tu abbia un whippet. O magari un levriero afgano. Un cane molto bello ed elegante, che ha maniere molto belle ed eleganti. Giusto?»
«Ehm…» Frugo in borsa in cerca del burrocacao, tanto per evitare la domanda. Cioè, per essere un beagle Harold è bellissimo. E si comporta benissimo, certo, a modo suo, basta solo conoscerlo. E sono certa che Dutch lo conoscerà.
«E io?» chiede lui quando usciamo e veniamo investiti dall’aria inglese, una sensazione di freddo, dopo l’Italia. «Mi hai già smascherato?»
«Oh, direi che qualcosina ho capito, qua e là» lo stuzzico, e lui mi sorride con una certa mestizia.
«Sono proprio un libro aperto, eh?»
«Sono quasi certa di sapere qual è il tuo lavoro, e ho un’idea anche per il tuo nome…» Mi interrompo di colpo sentendo chiamare da lontano il mio, di nome.
«Ava! AVA! Siamo qui!»
Eh? Cosa…
Oddio! Non ci credo!
Mi sento scoppiare il cuore dalla felicità quando vedo i visi familiari di Nell, Sarika, Maud e i bambini. È la squadra! E Harold! Sono venuti a prendermi!
Solo che mi sembrano impegnati in una specie di zuffa. Harold ringhia a un autista in uniforme e punta a morderlo, mentre Bertie cerca di tirarlo via. Oddio. Harold detesta le uniformi, e questa è particolarmente ridicola. Tutti quei galloni!
«Levatemi di dosso questo cane!» strilla furioso l’autista.
«E allora togliti il cappello» ribatte insolente Bertie. «A Harold non piace. Non è colpa sua.»
«I bambini parlano solo se interrogati» lo sgrida l’autista, molto burbero. «Richiamate il vostro cane!»
«Parlano solo se interrogati?» Nell gli si avventa contro all’istante. «Vuoi zittire i bambini? E magari vorresti zittire anche le donne. Che cazzo di problema hai? Ava! È il tuo falegname?» continua poi in tono allegro. «Portalo qui!»
«Jean-Luc!» esclama Maud tutta eccitata, battendo le mani. «È un sogno! Si chiama davvero Jean-Luc?»
Guardo Dutch per vedere se reagisce al nome Jean-Luc, ma lui sta guardando la scena con una strana espressione.
«Sono… con te?» mi chiede incredulo.
«Sì» confermo entusiasta. «Sono le mie amiche. Vieni che te le presento.»
Mentre parlo, Harold comincia a girare intorno alle gambe dello chauffeur, legandole con il guinzaglio e abbaiando rumorosamente. Bertie gli ha lasciato troppo gioco. Ma è solo un bambino.
«Chiamo la polizia» strilla l’autista. «Si vergogni!»
«Quello è… il tuo cane?» dice Dutch, con un tono lievemente sconvolto.
Okay. Magari non è proprio il modo ideale di conoscere Harold. Ma a Dutch piacciono i cani. Capirà.
«Detesta le uniformi» gli spiego. «Harold!» grido. «Tesoro! Sono tornata!»
Al suono della mia voce, Harold si gira, e il suo muso è un tripudio di felicità. Cerca di correre verso di me, rischiando di far cadere l’autista, ma Nell acchiappa il guinzaglio.
«Mr Warwick!» L’autista guarda disperato Dutch e io ho un vero e proprio choc.
«Aspetta. È… con te?»
«È Geoff» risponde brusco lui. «Sì, è con me.»
Dutch ha l’autista?
Ho una specie di corto circuito cerebrale. È tutto sbagliato. I falegnami non hanno l’autista. Che succede?
Mi precipito a togliere di mano a Nell il guinzaglio di Harold e libero le gambe dello chauffeur.
«Mi spiace tanto!» ansimo. «Le gambe sono a posto? Il mio cane è molto sensibile. Bisogna prenderlo con le buone.»
«Con le buone, eh?» protesta lo chauffeur. «Altro che con le buone, lo prenderei!»
Mi chino per abbracciare il mio prezioso Harold e sussurrargli quanto mi è mancato, e che ho un nuovo amico da fargli conoscere. Poi mi alzo e dico a Dutch, con voce tremula: «Ecco, ti presento Harold!».
Ci metto un attimo a rendermi conto che lui non ci sta neanche guardando. Sta parlando con l’autista in tono irritato. Non l’ho mai sentito così.
«Geoff, che cosa ci fai qui?»
«La vogliono alla riunione. E a cena. Il signor Warwick sostiene che lei lo sapeva. Mi ha chiesto di venire a prenderla e portarla direttamente ad Ascot.»
Dutch chiude gli occhi come se stesse cercando di controllarsi. «Ho spiegato che non avrei partecipato alla riunione. Mi sembrava di essere stato chiaro.»
«Lui mi ha detto così» replica implacabile Geoff. «La aspettano.»
«Devo fare una telefonata» mi dice Dutch, e prende il cellulare, molto teso. «Scusa. Non era… non era affatto questo il mio piano… Papà.» Si allontana per non farsi sentire, e io lo seguo con lo sguardo, incredula.
«Credevo che fosse un falegname» dice Maud, che è rimasta a bocca aperta come le altre.
«Anch’io.» Sono molto confusa. «Non capisco. Devo aver colto le vibrazioni sbagliate.»
«Ma quindi cosa fa?» chiede Nell.
«Come si chiama?» interviene Sarika.
«Non lo so» ammetto.
«Ancora non sai come cazzo si chiama?» Nell è incredula. «Ava, ma cos’hai nella testa? Come si chiama?» domanda a Geoff. «Il tuo boss, lì. Come si chiama?»
«È il signor Warwick» risponde rigidissimo Geoff. «Ma non sono affari suoi.»
«La mia amica ha intenzione di passare con lui il resto della sua vita e di essere la madre dei suoi figli» ribatte Nell. «Quindi sono affari miei.» Geoff mi lancia uno sguardo a dir poco dubbioso, ma non risponde. Neanch’io so cosa dire, perciò restiamo tutti immobili, in tensione, aspettando che Dutch riappaia, e quando arriva ha una faccia cupissima.
«Mi spiace» dice rivolto a me. «Mi dispiace tanto. Devo andare a una riunione di lavoro.»
«Di sabato?» Non riesco a nascondere la mia delusione.
«È una riunione che teniamo durante il weekend. È…» Sospira. «Perdonami. Ma torno. Appena possibile. Domani. E riprenderemo… da qui.»
Ha un’aria talmente infelice e mortificata che mi sciolgo. Non so cosa sia successo durante quella telefonata, ma si è rabbuiato e capisco che non vorrebbe andarsene.
«Non importa!» lo rassicuro, cercando di avere un tono allegro. «Vai e fai… quello che devi fare. E mi scuso per Harold» aggiungo rivolta a Geoff, che in tutta risposta sbuffa.
«Ragazze, è stato un piacere.» Dutch alza una mano per salutare le mie amiche. «E ciao anche a te, Harold. Spero che la prossima volta avremo modo di conoscerci meglio, ma devo proprio andare.» Poi si gira a guardarmi, e per un attimo restiamo in silenzio, gli occhi negli occhi. «Immagino che prima o poi la bolla dovesse scoppiare» dice lui alla fine.
«Eh, sì.»
«Ma questo non cambia niente. Ti amo.»
«Ti amo anch’io. Tanto.»
«E questa cosa la faremo funzionare.»
«Sì.»
«Sì.»
«Oh, guardali!» sento la voce di Maud esclamare entusiasta. «Sono adorabili!»
Dutch mi ha preso le mani e non sono sicura di poterlo lasciar andare, ma Geoff tossicchia impaziente e così alla fine, sentendomi molto nobile, lo libero e dico: «Fai. Fai quello che devi».
Guardo Dutch che segue Geoff fino a una grande berlina aziendale nera e si siede dietro. Non è affatto la macchina che avevo immaginato per lui. E neanche un autista che gli aprisse la portiera. O il “Financial Times” pronto sul sedile posteriore.
«Aspetta!» esclamo, mentre Geoff sta per chiudere la portiera. «Cos’è che devi fare? Che lavoro fai?»
«È un’azienda di famiglia» risponde Dutch, ancora più teso. «Perciò… ecco.»
«Ma mi hai parlato di un laboratorio» dico, totalmente confusa.
«Sì. Nello studio di design c’è anche un laboratorio.»
«Ma cosa fate?» chiedo, leggermente esasperata. «Questa azienda, cosa fa?»
«Case delle bambole.»
«Cosa?» Lo fisso, pensando di aver capito male.
«Case delle bambole» ripete. «E bambole. Le facciamo da sempre. Le collezionano in tutto il mondo.»
Giocattoli? Non mi aspettavo neanche questo.
«Oh.» Prendo tempo, cercando qualcosa da dire sulle case delle bambole. «Bello! Fighissimo! A presto.»
«Prima possibile. È stato meraviglioso.» Mi guarda negli occhi. «Veramente.»
«Mi mancherai» gli dico impulsivamente.
«Anche tu.» Annuisce, poi si gira. «Andiamo, Geoff.»
Geoff chiude la portiera e si siede al suo posto. Mette in moto e l’auto sta partendo quando mi rendo conto di una cosa atroce e assolutamente spaventosa. Parto a razzo inseguendo la macchina, con Harold che abbaia come un pazzo, e batto sul finestrino finché l’auto si ferma e il finestrino si abbassa.
«Non ti ho dato il mio numero di telefono!»
«Merda.»
«Sì.» Ci fissiamo, tutti e due sconvolti dall’enormità di quello che stava per succedere, poi gli porgo il mio telefono. «Scrivilo qui» gli dico senza fiato. «Ah, un’ultima cosa. Come ti chiami? Io sono Ava. E tu?»
«Oh, sì. Non te l’ho detto.» Finisce di scrivere il suo numero, poi mi guarda. «Sono Matt. Diminutivo di Matthias.»
«Matt!» Sorrido, perché Matt mi piace, anche se non è Jean-Luc. Lo salvo come Dutch/Matt, gli mando un messaggio e sospiro di sollievo. «Ciao, Matt, lieta di conoscerti.»
«Ciao, Ava.» Strizza gli occhi sorridendo. «Lieto di conoscerti. Bel recupero, brava.»
Richiude il finestrino e guardo l’auto allontanarsi, mentre elaboro questa nuova informazione. Matt. Matthias. Case delle bambole. (Case delle bambole?) Matt Warwick. Matt. Vi presento Matt, il mio ragazzo. Ciao, lui è Matt. Conosci Matt?
Suona bene. Familiare. Credo di averlo sempre saputo, che si chiamava Matt.