Soffriamo e godiamo secondo leggi eterne, leggi che noi applichiamo o che trovano applicazione in noi, indipendentemente dal fatto che le riconosciamo. Non è forse vero che al bambino piace la torta, anche se non sa nulla del pasticciere, e al passero la ciliegia, anche se non si domanda come sia maturata?

J.W. GOETHE1

Faremmo un gravissimo errore a credere che esistano dei problemi personali. Quante angosce per un lavoro perso, per un amore finito, per un figlio che si allontana o per un torto, per un trauma o per quelli che chiamiamo “i tarli della mente”, o per le infinite cose “imperfette” che facciamo.

La cosa peggiore, quando veniamo assaliti da quello che chiamiamo “il problema”, è ragionarci su, cercare collegamenti con il passato, dirci che abbiamo sbagliato, che noi siamo sbagliati…

La psicologia è diventata una portineria che scruta soltanto ciò che è successo e succede sul pianerottolo. Siamo immersi in un fiume che scorre e ci vediamo fermi, immobili, come statue.

Sapere che il nostro mondo interno è in perenne metamorfosi dovrebbe aiutarci a comprendere che il nostro modo di vedere le cose e noi stessi è il vero nemico da cui prendere le distanze. La metamorfosi ci indica che qualcosa procede a nostra insaputa: forse torna alla sorgente, al nucleo, al seme, al Sé, calato nella nostra profondità, in cui sono iscritti i mille volti del nostro destino. Come ben sapevano i Greci e i Romani, siamo abitati da forze primordiali che appartengono alla terra, ma preparano i regni celesti. Regni sottili, che richiedono una “mente cosmica” per essere guardati: ma il nostro Io non vede i processi che ci abitano e si radica nelle illusioni.

Nel mio lavoro i veri miglioramenti li ho visti solo quando accadevano due cose. La prima era che il paziente si arrendeva: l’ansia, la depressione venivano accolte, sentendo l’impotenza di poter agire, di risolvere il disagio. Bisogna dirsi spesso, nella giornata, “io sono il nulla”: così avrebbero ragionato Meister Eckhart e Silesius e, molto prima, i taoisti.

Ogni disagio è una prova iniziatica da superare per seguire il cammino che spetta a ognuno di noi.

L’Io, il nostro misero Io, non ha i poteri per farcela: prima crea il problema e poi si illude di risolverlo. Per questo Blaise Pascal chiamava l’Io “odioso” (Le moi est haïssable) e aveva colto che dentro di noi, custoditi in abissi nascosti, ci sono i poteri della cura, della guarigione, della salute. L’Io di Pascal è detestabile perché prigioniero di un punto di vista che chiude all’oceano della vita la possibilità di portarci là dove dobbiamo andare. Negli anni ho imparato a non fidarmi dei miei giudizi, delle mie strategie, dei ragionamenti per risolvere i problemi. Mai, assolutamente mai, collego un disturbo a un trauma, a ciò che è accaduto nel passato, nella storia personale del paziente. Voglio guardare ciò che mi colpisce senza memoria, senza ricordi che lo colleghino, ma con l’Io nudo… Arriva la tristezza e non ho niente da dirmi, nessuna spiegazione, mi arrendo soltanto: “Vieni pure, stai con me, avvolgimi… Penetra nelle mie viscere… Io sono il tuo custode”.

Queste sono le parole che dico a me stesso quando ho dei disagi, le parole che trasmetto ai miei pazienti. So che questa è la strada migliore perché la metamorfosi svolga al meglio il suo lavoro. La seconda cosa è andare altrove… sì, altrove, via dal pensiero.

Il modo migliore per allontanarsi dai ragionamenti, che non fanno altro che peggiorare i disagi, è fare cose con le mani. Essere concentrati, essere presenti quando si compiono azioni minime, come ricamare, scrivere, disegnare, piantare semi e così via. Plotino ci aveva insegnato che dobbiamo perderci nello sguardo: quando guardi un fiore fino a che l’occhio lo sente penetrare dentro di sé, sta accadendo un vero e proprio miracolo: io e il fiore diventiamo una sola cosa, siamo una sola cosa… io vedo la rosa e il fiore vede me attraverso i miei occhi. Questa uscita da me stesso è il perno di ogni psicoterapia che voglia abbracciare il profondo. Non c’è più il mio Io con il suo punto di vista limitato a guardare il problema, e allora comincia a intervenire il Sé, il nucleo, il Senza Tempo, dove abita la sorgente del mio essere, dove il mio destino, il mio viaggio sono contemplati in chiave energetica. Si tratta di imparare a non interferire mai con le nostre sofferenze. Sentite cosa mi scrive Ilaria:

Dobbiamo perderci nelle azioni, fino a entrare nel regno della contemplazione, che è il miglior farmaco che esiste per il cervello.

Sono Ilaria e ho 18 anni. Ho sofferto di attacchi di panico, passavo da una paura e da un tormento a un altro: paura di morire, paura di impazzire, paura di fare del male, paura di suicidarmi e senso di irrealtà. Il suo punto di vista mi ha aiutata a osservare queste paure senza andare in panico. Semplicemente le osservavo, senza commento, senza interferire, ma agendo nell’azione quotidiana, facendo altro: disegnavo, leggevo, cantavo motivi rilassanti o mi immaginavo su una spiaggia con un cavallo nero. Ho smesso di chiedermi il perché, di trovare delle teorie razionali che lasciavano il tempo che trovavano. Erano solo illusioni. Sto affrontando senza interferire e noto che ogni giorno è sempre migliore. Sì, ci sono alti e bassi, ogni tanto le paure ricompaiono ma quando arrivano io immagino di trovarmi dinanzi a una stanza in fiamme: io la guardo e sorrido. Mi sto abbandonando alle mie paure e ai miei tormenti, sto iniziando a fidarmi di nuovo di me stessa, del divenire, senza interferire.

Provo un grande piacere quando un altro modo di vedere le cose si apre nella coscienza di una persona che soffre. Guardare se stessi senza disturbare il processo, senza giudizi, senza progetti, prepara un’alchimia energetica: perché noi siamo prima di tutto e più di tutto esseri cosmici, seduti su energie ancestrali, primordiali, come il mondo che nasce ogni giorno da sempre.

Qualcosa sta procedendo

Perché ci sia un destino, bisogna che ci sia un uomo antico dentro di noi. Siamo malati di nevrosi perché ignoriamo il nostro “amico dell’anima” e ci sembra di essere in un deserto in balia dell’aridità, dell’assenza di dèi. Senza di loro è una vita senza scopo: senza gli dèi non c’è un’Itaca che ci aspetta. Non abbiamo più presenza interiore, perché non la cerchiamo più. C’è qualcosa, un’energia eterna che bada a noi e che indirizza la nostra esistenza? Senza questa guida siamo meno di niente, siamo voci che ripetono suoni collettivi, sempre accesi come le radio dei bar, che ormai ignorano cosa sia il silenzio. Solo i bambini, che vivono il mondo delle fiabe, attivano attraverso le Immagini l’energia primordiale… Senza Immagini primordiali, senza archetipi, senza fate, streghe, eroi, mostri, senza labirinti, siamo morti che sotterrano i morti, e soprattutto non sappiamo più di avere un’evoluzione che ci aspetta. Questo libro è dedicato proprio ai codici della nostra evoluzione: siamo in una perenne metamorfosi e non ce ne accorgiamo. Siamo condotti e crediamo di essere noi a decidere dove andare: il libero arbitrio si svolge solo su azioni marginali, su mete banali.

Se non abbiamo un destino da seguire, siamo esseri casuali: uno vale l’altro. Siamo piante senza radici.

Quante persone mi chiedono: come si fa a realizzare il proprio destino? Io penso che il nostro destino non sbaglia mai: del resto, una palma non si sogna di sbagliare il cammino verso i “suoi” rami e mai si sognerebbe di diventare un oleandro. O fa la palma, o muore! I nostri disagi, la nostra fatica di vivere e realizzarci sono figli delle nostre identificazioni, dell’idea che ci siamo fatti di noi stessi.

Mi dice Adele, 43 anni: “Non sopporto quando mia madre mi sgrida come fossi una bambina. Non lo sopporto più, glielo dico in tutti i modi di smetterla, anche urlando, ma lei continua. Così soffro di attacchi di insicurezza, di ansia, di paure e non combino mai veramente niente di buono”.

Che consigli può dare mai una madre di 80 anni a una figlia di 43? Nella vita tocca a noi, solo a noi, condurci verso la nostra rotta.

Lei, cara Adele – così ho risposto alla sua e-mail – non ce l’ha con sua madre, ma con se stessa. Ce l’ha con la bambina che ha preso il sopravvento dentro di lei. Nessun uomo o donna adulta chiede ancora consiglio ai genitori e tanto meno dà peso alle cose che dice la madre: magari le ascolta con tenerezza, per educazione, ma è del tutto indifferente. Se la mamma ci ferisce, se lottiamo con lei, è perché vogliamo ancora farci trattare da bimbi, perché non sappiamo staccarci dalla dipendenza. Ma senza indipendenza non c’è futuro, non si aprono le strade del destino. Ma di che cosa si tratta? Secondo il grande alchimista Giuliano Kremmerz noi possiamo realizzare tutto ciò che desideriamo a patto di entrare “in uno stato di essere indipendente e interiore che non conosce ostacoli”.2

Fare le cose con le mani, senza pensare, concentrati solo su quello che stiamo realizzando, porta il cervello a stimolare “centri energetici”, profondi, ricchi di una chimica capace di attivare l’autoguarigione.

Cosa sono gli ostacoli? Per Adele, la bambina che si arrabbia con la mamma, di cui teme la critica e il giudizio. Se l’Io non è attaccato a figure che ci influenzano, al pensiero comune, alle imitazioni, scopre la coscienza indipendente che, energeticamente, è capace di condurci al compimento del nostro destino.

Perché la coscienza indipendente, che non conosce ostacoli, possa agire, occorre uscire dall’“Io odioso” e dal suo punto di vista. In questo senso la distrazione dai disagi è decisiva. Le cose che facciamo quando siamo in uno stato di coscienza “assorto”, creano nel cervello quelle “azioni nitide”, così care al pensiero taoista. Le azioni nitide sono per Lao Tzu quelle che avvengono senza scopo, senza intenzione, senza dirsi nulla.

Sentite cosa mi dice Paola:

Buonasera, la conosco ma non la seguivo. Negli ultimi anni, in seguito a un grave incidente di mio nipote e alla perdita del lavoro, mi è stata riconosciuta una depressione grave. La tengo controllata con un farmaco, ma ultimamente ho attacchi di panico che mi portano a rinchiudermi in me stessa e a essere insoddisfatta di tutto. Ieri per caso mi è passato su Facebook un suo video, sono andata sulla sua pagina e ne ho guardati altri. Ne sono stati sufficienti due per darmi uno scossone. Nel primo lei diceva con voce ferma, ma le giuro è stato come una saetta che mi ha attraversato il corpo: “Sei depressa? Mettiti a ricamare, mettiti a fare giardinaggio”, ecc. Beh, non ci crederà, ma sono uscita di casa e ho cominciato a strappare le erbacce. Non solo… mi son messa a riordinare l’armadio! Ora questo video: un altro scossone… Mi sa che comincerò a seguirla più spesso.

Nel momento in cui possiamo stare con noi stessi, senza commento, siamo nel territorio dell’anima. Allora lei agisce e ci porta a casa.

Alle radici della vita

Non cercare un nuovo amore, un lavoro migliore, una vita più ricca… Non cercare di mandar via le tristezze, le paure, le ansie, le ossessioni, i brutti pensieri. Non cercare in qualcuno il sostegno… Non cercare! Le radici della pianta lavorano nell’assenza di luce, nel silenzio, nel buio della terra. Senza teorie, senza sapere fanno i fiori, le foglie, i rami. Mi viene da sorridere quando qualcuno mi parla di equilibrio: come se nel nostro corpo non ci fosse una “sapienza” che tiene insieme al posto giusto i visceri, le ossa, il cuore, con una compartecipazione mirabile e in perenne divenire. Noi produciamo un’incessante trasformazione. Siamo seduti su un movimento, su un cambiamento continuo di cui neppure ci accorgiamo. Siamo diventati grandi senza saperlo. C’è un processo cosmico – sì, perché siamo esseri cosmici – che produce la nostra primavera, la nostra estate, il nostro autunno. A ogni stagione nuovi fiori, nuovi frutti.

Senza saperlo stiamo rinascendo ogni giorno e intatta scorre l’energia della fioritura. Stiamo per volare come farfalle, ma non osserviamo, sicché finiamo per credere che non voleremo mai…

Ho pensato di dedicare questo libro a tutti coloro che hanno perso le radici, e per tale motivo credono di non avere un destino. Per la verità nessuno ci ha detto, né a scuola né sui media e neppure le diverse teorie psicologiche, che siamo seduti su una metamorfosi che si sta sviluppando. Sarebbe un peccato che avvenisse senza di noi, mentre crediamo di essere persone sbagliate, non realizzate o peggio, fallite.

La metamorfosi verso il nostro destino è in atto e non si può sfuggirle, come ricordava Goethe. Dobbiamo cambiare lo sguardo per vedere i frutti che stanno arrivando. Spesso buttiamo via le nostre qualità preziose, perché non assomigliano a quelle degli altri. Dobbiamo osservare bene, lo sguardo ci deve accompagnare, ricordandoci che per “vedere” non c’è bisogno di “commentare”. Vedere il disturbo significa perdersi, come se guardassimo un panorama: è qualcosa che apre le porte al nostro essere cosmico, dove vive la sorgente perenne del nostro destino. Lì, ci sono i saperi, lì compaiono i segni che indicano la rotta giusta per ciascuno di noi. Quando arriva il disagio, la sofferenza, la cosa fondamentale da fare è allontanarsi dal pensiero razionale, lasciarsi andare al disagio senza se e senza ma, senza rimuginarci su. Come ha fatto Alessia:

Ho 25 anni e sono nel fiore dei miei anni, ma dopo la fine di una storia con un narcisista manipolatore sono entrata nell’oblio e nulla per me aveva più senso. Continuavo a pensare e ripensare a lui in modo ossessivo. Dopo aver letto Il manuale della felicità tutto è cambiato. Mi sono rilassata, non penso più al passato e mi sento meglio. Ho lasciato andare quel triste pensiero che mi affliggeva ogni mattina. Ho passato una triste estate, chiudendomi in casa e tartassandomi di pensieri. Da circa un mese ho raggiunto uno status che chiamo “libertà”. Non penso più. Non mi giudico. Mi limito a guardare gli stati d’animo e non faccio nulla. Mi sento leggera.

La donna della foresta

Quando Lucrezia, 36 anni, viene da me, il motivo che la disturba è la “gelosia ossessiva”. “Per la verità vengo da lei perché da quando lui mi cerca meno, sto impazzendo. Da ragazza ho sofferto di anoressia, e visto che nell’ultimo mese ho iniziato a mangiare sempre meno mi ha preso una grande paura di ricascarci. Mi capitava di ingelosirmi anche con i precedenti fidanzati, ma stavolta è un record. Lo tempesto con cento messaggi al giorno e lui si allontana sempre di più. È più forte di me. In più questo mese abbiamo litigato tantissimo. Faccio un sacco di scenate, perché al lavoro c’è un’altra che temo gli piaccia.”

Solo se accettiamo la presenza di un lato in ombra diventiamo più completi, e quindi ci avviciniamo alla destinazione che la natura ha preparato per noi.

Nessuno pensa mai che il Sé ha nelle contraddizioni uno dei suoi codici più importanti. Mentre per il nostro Io esiste solo un punto di vista, nel profondo gli opposti convivono. Molto spesso il disagio dipende dall’esasperazione di un solo punto di vista, mentre nell’inconscio, nel profondo, noi siamo anche il lato opposto, l’Altro che ci abita. Così la donna irreprensibile fa a volte colpi di testa inaspettati, oppure molti rapporti saltano quando il carattere sottomesso di uno dei due vira sul lato opposto. Non mi fiderei troppo quando vi dicono “mia moglie è dolce, tenera, accondiscendente, mi capisce sempre, è docile e accogliente”. Una donna sottomessa prima o poi reagisce. In fondo quel marito non stava con lei, ma con un lato di lei che gli piaceva considerare come totalizzante. Non era così… Sempre, prima o poi, il Sé tira fuori il lato nascosto e, se non siamo pronti a vederlo, la relazione salta per aria. Per dire che non siamo mai una sola cosa. Le definizioni che diamo di noi stessi sono sempre false: ci piace vedere la persona buona, leale, dolce, irreprensibile, e vogliamo ignorare che al di sotto della superficie cova il nostro essere primordiale, esattamente il contrario di quello che crediamo di essere.

Conosci le leggi del tuo essere. Accettale, anche se appaiono paradossali e incompatibili con le idee alle quali sei stato educato. E vivi quelle leggi, invece di vivere la vita dei tuoi genitori e dei tuoi nonni, dei tuoi vicini e dei tuoi colleghi.3

Dice ancora Lucrezia: “Più aumenta la gelosia, più vivo nella perenne paura di ingrassare, anzi mi sento grassa tutti i giorni della mia vita e per questo non bevo alcolici, elimino i grassi… e pensare che mangerei solo dolci! Sono anche tanto schizzinosa”. Mentre parla e racconta della sua gelosia ossessiva sembra di sentire la voce di un’adolescente, di una bambina che ha preso il sopravvento su tutta la propria vita psichica.

Tutti i pazienti credono che di loro esista solo il disturbo e dicono: “Se non ci fosse il disagio, la mia vita sarebbe perfetta”. Lo dicono quasi tutti, anche se in fondo sanno che non è vero. I disagi rivelano che abbiamo smarrito il contatto con il nostro lato nascosto e che quindi stiamo perdendo sempre di più le nostre caratteristiche. Cerco sempre nei miei pazienti qualcosa di eccentrico, qualcosa che non corrisponda alla definizione che danno di se stessi. Per esempio: “Sono un tipo tranquillo, sereno, dolce, non litigo mai, non mi piacciono le discussioni”. Bene, io non cerco quest’armonia, ma qualcosa magari dimenticato, che riveli un mondo che il paziente ha perso di vista. Così chiedo spesso: “Com’era da ragazzo?”. Spesso il destino mostra le sue tendenze fin dagli albori, già nell’infanzia e nell’adolescenza. “Da piccolo mi chiamavano ‘tormento’. Per tutti ero ‘il piccolo diavolo’.” Magari nel tempo tutto si è assopito e non ci sono più “disarmonie” o immagini trasgressive. Ebbene, io cerco proprio le disarmonie.

Se sono condotto da una energia che mi caratterizza, spesso il mio destino si rivela prima che l’educazione faccia la sua parte. Per questo mi piacciono le cose strane delle persone, che magari poi hanno dimenticato o addomesticato. Metamorfosi significa che qualcosa in me sta procedendo. Generalmente pensiamo di essere come siamo perché siamo condotti dal nostro Io e crediamo di essere protagonisti della nostra vita. Ma ciò che siamo per davvero vive altrove, nel luogo più nascosto del nostro essere. Spesso ciascuno di noi si oppone alle tendenze interiori, agli istinti, alle emozioni che ci sorprendono, ci confondono e imbarazzano. Ma sono voci di un sapere primordiale, legate al nostro destino che avanza. La soluzione è sempre essere altrove rispetto al mondo conosciuto. La vita non è mai come la vediamo, c’è sempre un lato nascosto che non appare, e quando viene soffocato il nostro destino si blocca. Questo ci fa star male. Spesso il malessere viene per far emergere gli istinti che abbiamo dimenticato.

Siamo abitati da un processo primordiale che sta agendo, ci sta portando dove dobbiamo andare, e gli unici che non lo sanno siamo noi…

Per questo non bisogna mai chiedersi che cosa mi fa star male, qual è la causa del mio disturbo; ma che cosa non sto facendo per il mio destino.

Così chiedo a Lucrezia se ricorda un momento della sua vita in cui le ossessioni non c’erano, visto che mi dice che negli ultimi quindici anni invece erano sempre presenti, anche con gli altri fidanzati.

LUCREZIA Ah, sì, quando vado per il mio lavoro di antropologa in Amazzonia.

MORELLI Cioè?

LUCREZIA Sì, là mangio di tutto, non sto attenta.

MORELLI Cosa mangia?

LUCREZIA Per esempio la pancia di scimmia, una delle cose più buone che ho mai assaggiato. In Amazzonia mangio carne di scimmia, di coccodrillo, armadilli, topi alla brace… Qui mi copro tutta e mi vesto sempre di nero, lì sto in maglietta e calzoncini. Partecipo anche ai riti più pericolosi, dove si prendono sostanze che inducono l’estasi, ma che spesso sono veleni pericolosissimi.

Le chiedo di chiudere gli occhi e di immaginarsi come una donna con un altro nome.

LUCREZIA Jane, una vera selvaggia.

La donna moderna, ossessionata dalla gelosia, e Jane la selvaggia, che mangia di tutto, sembrano vivere agli antipodi, a una distanza abissale l’una dall’altra. Eppure dentro di lei coincidono…

MORELLI E il sesso?

LUCREZIA Quando vado in Amazzonia faccio l’amore crudo.

MORELLI Sarebbe?

LUCREZIA Lì non ci si bacia neanche… e il sesso viene naturale. Nelle tribù c’è poligamia e lì non so proprio cosa sia la gelosia, quando vado a letto con uno di loro tutto è semplice.

In ognuno di noi c’è un lato nascosto che prima o poi deve venire alla luce, anche se a volte dolorosamente. La metamorfosi dell’anima avanza tanto più siamo capaci di accettare il nostro lato opposto e accoglierlo anche se ricco di ombre, di istinti brutali che mettono in discussione la brava persona che vogliamo recitare in superficie.

Non è facile accettare i feroci, istintuali elementi dell’inconscio, il selvaggio ululante, l’“Ombra”, il male, che ogni raffinata superficie nasconde.4

1. Johann Peter Eckermann, Conversazioni con Goethe, Einaudi, Torino 2008.

2. Giuliano Kremmerz, Avviamento alla scienza dei magi, vol. II, Edizioni Mediterranee, Roma 2007, p. 162.

3. Carl Gustav Jung, Jung parla: interviste e incontri, cit., p. 89.

4. Ivi, pp. 89-90.