Oh quante volte in quel tempo sospirai d’approdare, con l’ala della gru, che sopra me trasvolava, alla riva dell’Oceano smisurato per bere al calice spumeggiante dell’Infinito quell’esaltante estasi vitale.
J.W. GOETHE1
Qualche tempo fa ho partecipato a una trasmissione televisiva sugli animali domestici. Apriti cielo! Potete immaginare gli insulti che mi sono arrivati quando ho detto che le bestie di casa, che spesso i padroni chiamano “amore”, sono diventati dei peluche. Gli uomini portano in giro al guinzaglio le loro nevrosi. Costanzo mi ha raccontato che, quando è andato a trovare Konrad Lorenz, il grande etologo, il suo pastore tedesco si fermava davanti alla soglia di casa e non entrava. “Vede Maurizio” gli ha detto Lorenz “i cani devono fare i cani, devono mantenere intatta la loro natura selvatica.” Maurizio, che come me ama la magia della vita e quindi gli animali, è rimasto molto colpito.
Negli animali, più che nell’uomo, disturbato dal suo rimuginare, gli dèi si rendono manifesti…
Dobbiamo guardare gli animali, osservare i loro movimenti, il loro modo di stare nel mondo, la loro sicurezza nei gesti, nei percorsi, nello stare con se stessi. Ciò che colpiva gli antichi era la naturalezza degli animali: sapevano sempre dove andare e raggiungevano le mete più lontane, si adattavano ai climi più tremendi. Gli uccelli erano dèi che volavano, i serpenti e le farfalle erano i signori dei mutamenti, così come erano magiche le api, che “riconoscono” i loro fiori a distanza… Gli antichi Egizi guardavano le metamorfosi degli animali e comprendevano che il frammento dell’essere si ripete per intero in tutto il cosmo. Ogni essere vivente è occhi, respiro, secrezioni, sesso, vita e morte e soprattutto trasformazione. Non c’è epoca della terra, a parte la nostra, che non abbia visto nell’uovo la nascita dell’intero universo. Uova sono gli occhi, uova sono le ovaie, i testicoli, uova sono i cervelli… siamo un’immensa, inimitabile, imperturbabile metamorfosi, di cui neppure ci accorgiamo. Gli animali, che la vivono senza titubanze, ce la raccontano nei loro movimenti, nella muta, negli incessanti cambiamenti che vivono. Gli Egizi guardavano gli animali come “archetipi” viventi, nel falco, nella civetta, nel toro vedevano saperi antichi, primordiali. Sapevano che gli animali erano presenze perenni dentro di noi. Noi siamo loro e loro sono noi: ma gli animali possiedono la certezza dell’istinto, si muovono senza navigatore, sono dèi che corrono, volano, strisciano sulla terra, si nascondono. Sentite come parla Roberto Calasso della concezione del mondo egizio riguardo al mondo animale:
Quale modello avrebbero seguito? Gli animali. Gli Egizi tentarono di raggiungere la massima animalizzazione dell’uomo. Non già assimilandolo nell’aspetto e nel comportamento a una qualunque specie animale, ma addestrandolo a eseguire un solo gesto per ciascuna occasione. La sicurezza dell’animale fu la loro guida.2
Chissà perché oggi di fronte ai “poteri animali” ci piace dire “ma è solo istinto…”, e valutiamo il sapere della natura inferiore a quello dello spirito. Eppure il volo di ottomila chilometri del colibrì ci mostra cos’è in grado di fare il più piccolo degli uccelli, mentre noi ci perdiamo a dieci metri da casa. I taoisti, che erano i maestri della spontaneità e della naturalezza, consigliavano di “imitare” il volo dei passeri, la corsa dell’orso, l’agilità del leone. Come gli Egizi, nel regno animale vedevano saperi immensi, capacità archetipiche, e assimilavano il carattere di ciascuno di noi a quello di una gazzella, un falco, un leone, una pecora… Bisogna guardare gli esseri che volano, galoppano, strisciano, per imparare le leggi della vita, della metamorfosi, dell’evoluzione. Nell’animale gli Egizi prima, e i Greci poi, vedevano lo stato primordiale, così caro a Guénon, che alberga dalla notte dei tempi nel nostro cervello antico. Siamo animali primordiali e i poteri che vediamo in loro ci appartengono: sono gli stessi di migliaia di anni fa.
Eppure non siamo noi portatori di tutta la storia dell’umanità? Perché è così difficile credere nell’esistenza in ciascuno di noi di due anime? Quando un uomo raggiunge i cinquant’anni, solo una parte del suo essere ha vissuto per mezzo secolo, l’altra parte, che pure ha sede nella sua psiche, conta milioni di anni.3
Così gli animali sono l’emblema del nostro essere antico. Ci raccontano di magie che sanno compiere, che appartengono al nostro cervello primordiale e che abbiamo completamente dimenticato.
Rispetto agli animali, gli uomini erano innanzitutto loro custodi. Questa fu la regola degli Egizi. E la pena di morte colpiva chi la infrangeva. Gli animali sacri erano non meno di 34. “Chi uccide un ibis o un avvoltoio, sia volontariamente sia involontariamente, deve morire.” Decisiva era la decisione mortale riservata all’uccisione involontaria … Uccidere un gatto involontariamente era un atto punito con la condanna a morte.4
Uccidere un gatto era aggredire la “gattità” del mondo, sfregiare quei balzi felini, quel modo di vedere nella notte che solo i gatti possiedono. Oggi come allora siamo gatti che danzano nel cosmo, anche se abbiamo perso qualsiasi idea di universo nella nostra interiorità, presi come siamo dai fatti personali. Gli Egizi alludevano alla magia del gatto e ci invitavano a ritrovarla dentro di noi.
La dea Bastet, la dea gatto, vegliava sulle case, sui templi: ricordava all’uomo e alla donna il volto materno del femminile, il suo regno notturno.
Mi è capitato poco tempo fa di essere ospite di un hotel in Piemonte: vedo una gatta spelacchiata, che se ne stava sdraiata con aria sofferente. Ho chiesto al proprietario che cosa le era successo. “Katy” mi ha detto “è sempre stata una giocherellona, ama salire sulle auto dei clienti, che quasi sempre se ne accorgono e la riportano indietro. Invece questa volta è partita a giugno su un’auto ed è saltata giù dopo tre ore in una piazzola dell’autogrill. Ieri, dopo tre mesi, è tornata… Ha trovato la strada, pensi che miracolo.” Questo orientarsi senza navigatore era forse uno dei motivi per cui gli Egizi avevano compreso che nel cervello esiste una Signora della notte, che viaggia e torna a casa con la sovrana noncuranza di chi conosce la vita. I gatti sono tradizionali, affettuosi, indifferenti, pigri, sensuali. Per questo ogni donna ama farsi chiamare “gattina”… attenzione però agli artigli!
Nella psicoterapia io do molta importanza all’immagine dell’animale amico. Si tratta di far chiudere gli occhi al paziente, di non farlo rimuginare sui problemi, ma immaginare un’aquila, una farfalla, una tortora, un animale con il quale sente affinità. Così si attiva il cervello primordiale, quello in cui è depositata la nostra essenza. Prima di tutto e più di tutto siamo falchi, gabbiani, gatti, colombi, tori… Lì vive la nostra energia eterna: questo ci ha trasmesso l’Egitto. Le immagini animali ci avvicinano al nucleo, al Sé, e ci mettono in contatto con quelle energie protettive di cui abbiamo sempre bisogno. Per questo gli animali sono diventati totem, simboli di misteri che ci abitano: sono le immagini primordiali che dalla notte dei tempi vegliano su di noi.
Colui che parla con immagini primordiali è come se parlasse con mille voci, egli afferra e domina, e al tempo stesso eleva, ciò che ha designato dallo stato di precarietà e di caducità alla sfera delle cose eterne, egli innalza il destino personale a destino dell’umanità e al tempo stesso libera in noi tutte quelle forze soccorritrici che sempre hanno reso possibile all’umanità di sfuggire a ogni pericolo e di sopravvivere persino alle notti più lunghe.5
Tutte le forme dell’universo sanno volare? Non sono forse abbozzi, progetti di ali, i rami e le foglie degli alberi che si espandono verso il cielo? Volano gli insetti che sono fra le forme più primordiali dell’evoluzione, e così gli uccelli che sono i veri padroni, i veri esploratori dell’atmosfera. Ma volano anche i pesci, che imitano le ali con le loro pinne, e che corrono da una parte all’altra dei mari, dei fiumi, dei laghi, degli oceani. E chi direbbe mai che un bruco, un animale di terra, potrà un giorno trasformarsi in farfalla? Eppure, nell’uovo che partorisce la farfalla, qualcosa “sa” che la carne del bruco potrà un giorno volare… Solo gli animali di terra non volano, soprattutto i mammiferi. Chissà perché ai mammiferi non è toccato in sorte di volare? Eppure è da loro che l’evoluzione ha creato l’uomo, sono proprio loro l’ultimo anello evolutivo che porta agli umani. Perché non siamo stati dotati di ali?
Vedere negli animali il volto degli dèi, le immagini primordiali della vita, è riconoscere il nostro essere antico, l’uomo dei primordi, che tutto deve al mondo animale.
Schwaller de Lubicz, il grande egittologo, aveva osservato che nell’evolversi delle forme si perde ciò che non è funzionale, ciò che non serve agli ultimi arrivati, ai più progrediti del cosmo. Insomma, il Signore del mondo, nel fare l’uomo, ci ha immaginati senza le ali… Eppure quando noi uomini fantastichiamo il divino, quando immaginiamo gli dèi, gli angeli o i demoni, non possiamo fare a meno di mettere loro le ali. A che fase siamo della gravidanza del mondo? L’embrione umano ripercorre tutte le tappe della filogenesi, tutte le tappe animali che sono servite per fare l’uomo. Ma non c’è traccia di ali… Per quanto cambierà l’uomo di domani, per quanto evolverà, per quanto si svilupperà… di sicuro non avrà mai le ali.
O nella proiezione degli dèi e degli angeli, che rappresentano l’immagine dell’uomo che ambisce a raggiungere i cieli, è rappresentato un volo che non deve fare il nostro corpo, ma qualcos’altro? Di tutto il corpo dell’uomo, solo il cervello continua a evolvere, a espandersi, come un feto che debba crescere, maturare, realizzare le prossime tappe evolutive.
Perché il mammifero, per arrivare all’uomo? Perché in lui il prodotto del concepimento cresce dentro la madre, non accade come con le uova, affidate al mondo esterno.
Forse noi mammiferi umani siamo le madri del nostro cervello: è lui che deve mettere le ali, prepararsi gli organi che ancora non ha… e farci volare. Come il mammifero partorisce, anche noi dobbiamo far partorire il cervello. Siamo nel mondo per fare volare l’anima: e l’anima può svilupparsi solo dall’interno, come le creature dentro i corpi materni. Dobbiamo imparare le regole che esaltano la capacità dell’anima di produrre nuovi modi di essere. Se l’anima mette le ali, conquistiamo poteri e saperi che non sappiamo di avere…
Se oggi dovessi dare un consiglio a un giovane psicologo che vuole diventare psicoterapeuta, non avrei esitazioni: gli direi di guardare il mondo animale. Non certo però per spiegare ciò che siamo e l’evoluzione in termini darwiniani. Non siamo scimmie diventate uomini: siamo saperi primordiali, coscienze cosmiche che vengono estratte via via dall’uomo, che era presente già agli albori, nascosto nei primi semi delle piante, nelle uova dei primi esseri, nel mammifero che è la notte dell’uomo.
Che psicoterapia potrà mai esserci, se non cerchiamo come funziona il nostro essere, dal primus dies della creazione? La vita animale si svolge nel segno delle leggi eterne… Le farfalle monarca compiono più di seimila chilometri quando, in autunno, partono dal Nordamerica e volano fino in Messico: arrivano a milioni e si posano sui tronchi d’albero, e gli uomini e le donne preparano ogni anno, al loro arrivo, una delle più grandi feste tradizionali del mondo. Una festa sacra, perché vedono il potere magico del loro percorso. La domanda è tutta qui: come può una farfalla, che vive pochi giorni, compiere un tragitto così lungo? La loro è una migrazione di generazioni: le farfalle durante il viaggio si accoppiano, depositano le uova e le nuove nate continuano la strada. Ci vogliono quattro o cinque generazioni, talvolta anche sei, per arrivare alla meta. Le farfalle continuano lo stesso volo delle loro madri: la destinazione è tracciata già nelle loro uova. Così ci sono metamorfosi che sono destini scritti dentro di noi: siamo figli dei progetti dei nostri antenati… così ragionavano i Romani. Se non portiamo a termine la nostra metamorfosi, se veniamo schiacciati dalla nostra storia personale, allora avremo abortito.
Quelle percezioni che oggi sono abbozzi, come certe intuizioni, certi accadimenti sincronici che sanno di magia, diventeranno probabilmente componenti normali e stabili della condizione umana. Sono le ali dell’anima…
In Africa, racconta Hermann Keyserling, esistono termitai che offrono a chi li osserva un incredibile spettacolo su cui riflettere.
Ogni quattro settimane la pacifica esistenza della loro cittadella è interrotta come da una violenta esplosione. Un dato mattino sulla sua superficie sembra essere piombata la distruzione totale: la rete delle gallerie appare scoperta e infranta; migliaia di esseri morti, d’un colore giallo sporco, sono sparsi fra le rovine. L’ammasso di macerie rimane così durante una giornata; poi, nella notte, gli autori del vandalismo e del massacro, che si erano provvisoriamente ritirati, ritornano e terminano la loro opera. Risulta allora che tali distruttori e ricostruttori sono soltanto i rappresentanti di una generazione più giovane e della stessa specie delle vittime, saliti dal fondo del formicaio verso la sommità. Nelle tenebre della prima notte, i vecchi occupanti, abituati a una vita comoda e uniforme, sono stati assaliti all’improvviso e uccisi. La notte dopo, il campo di battaglia è ripulito e ricoperto da una rete di nuove gallerie, situata proprio sotto l’antica. Comincia un nuovo periodo di vita tranquilla, ordinata e comoda…6
Questo racconto è una grande metafora: il mondo animale, in questo caso le termiti, ci insegna che il cardine della natura è costituito da un continuo processo trasmutativo, che porta a rinnovarsi continuamente e che “sedersi” sulle comodità dell’esistenza e su un modo di procedere troppo regolare e ordinato – come in questo caso fanno le termiti adulte e come accade all’essere umano quando conduce una vita tranquilla e abitudinaria – finisce per divergere in maniera innaturale dal dinamismo inarrestabile della vita. Nel mondo animale – e, come vedremo, vegetale – la metamorfosi passa attraverso trasformazioni eclatanti, come nel caso delle termiti, dove la maturazione delle giovani larve si realizza tramite una cruda e improvvisa insurrezione generazionale. Se andiamo a vedere cosa accade nel tragitto evolutivo dell’essere umano, scopriamo che dopo le prime, profonde trasformazioni intrauterine e le successive, evidenti fasi di crescita degli adolescenti, la metamorfosi si sposta sul piano più sottile e invisibile dell’anima e la si può intuire dietro il lento e lungo sviluppo della personalità, grazie allo schiudersi di atteggiamenti nuovi. Pensate, per esempio, al senso di responsabilità che compare quando un giovane inizia a lavorare, alla maturazione che si affaccia dopo la morte di un genitore, al senso materno che subentra in una donna dopo il parto: si tratta di trasformazioni assai profonde, che rimettono in discussione gli equilibri del mondo interiore e aprono nuove prospettive e sensibilità. Si tratta della nascita di atteggiamenti nuovi che riflettono e rendono riconoscibile la metamorfosi dell’anima. Non potrebbe essere altrimenti, in quanto ciò che sottende la vita di una pianta, di un animale, di un uomo è un profondo, inarrestabile, continuo cambiamento.
Metamorfosi significa “trasformazione” ed è un processo naturale grazie al quale una forma vivente muta profondamente, passando da una fisionomia a un’altra; modificando quantitativamente e qualitativamente l’intera sua struttura.
Prendiamo come esempio gli insetti: insieme agli anfibi, sono tra gli animali in cui la fisiologia della metamorfosi è piuttosto studiata e chiara. La trasformazione consiste in un profondo cambiamento delle strutture interne ed esterne che si verifica nel corso della vita dell’insetto, andando dallo stadio di larva a quello di adulto.
Fondamentalmente abbiamo due tipi di metamorfosi. Uno più semplice, la cosiddetta metamorfosi “incompleta” – tipica del 20 per cento degli insetti, per esempio libellule, cavallette e cimici così come di molluschi e crostacei – nella quale gli animali che si trasformano hanno da larve un aspetto fisico abbastanza simile a quello che si ritroveranno da adulti. Inoltre, questo tipo di metamorfosi prevede che l’animale muti progressivamente fisionomia, senza smettere di alimentarsi e senza periodi di stasi, ovvero senza digiunare e andare in letargo. (Come vedremo successivamente, molti animali passano invece attraverso lunghi periodi in cui non si alimentano e si rintanano in uno stato letargico o molto simile, come per esempio i pipistrelli e le lumache.)
Il secondo tipo di metamorfosi, detta “completa”, è più complessa: la larva deve passare attraverso diverse mute prima di diventare crisalide e quindi completare la sua crescita. In vari momenti non si nutre e rimane completamente immobile. Questo processo si verifica nell’80 per cento degli insetti, come farfalle, coleotteri, mosche e vespe. Accade, per esempio, anche ai serpenti quando devono cambiar pelle: quest’ultima è fatta di un tessuto squamoso che non ha elasticità. Va ciclicamente sostituita, altrimenti limita la crescita. Per far questo il serpente, dopo essersi isolato, deve romperla e sfilarsela di dosso, per poi attendere che se ne ricrei una nuova. Questo momento della muta è assai delicato, perché senza pelle il serpente è estremamente vulnerabile e ha bisogno di rimanere nascosto, immobile e digiuno. Per poter evolvere, quindi, l’animale transita attraverso una fase di distacco dall’ambiente esterno, cerca il buio e il silenzio, condizioni grazie alle quali riesce a estrarre da sé energie profonde, capaci di favorire la rigenerazione tipica del processo metamorfotico.
Silenzio, solitudine e vuoto sono il nutrimento dell’anima…
Queste due tipologie di metamorfosi possono essere rapide, oppure lente e graduali, ma ciò che fa la differenza sono il digiuno totale e la stasi letargica, necessari a favorire una trasformazione – quella “completa” – ben articolata e profonda. In questa seconda forma di metamorfosi, inoltre, vengono generati organi che non esistevano in precedenza (come per esempio le ali nella farfalla o, come vedremo più avanti, i polmoni e le zampe nella rana): in questi casi si attivano fenomeni di distruzione cellulare e di creazione di nuovi tessuti e nuove funzioni proprie dell’insetto adulto. La genesi avviene a partire da organi che già esistevano, oppure da aggregati di cellule che durante lo stadio larvale erano quiescenti. Si tratta di cellule indifferenziate che in un momento successivo si organizzano per formare l’insetto adulto: sono chiamati “dischi immaginali”.
Quindi, nelle larve che vanno incontro a una metamorfosi completa, esistono due popolazioni di cellule: quelle larvali e quelle immaginali (il termine “immaginale” deriva da “imago”, come viene chiamata la farfalla adulta. La muta, che porta allo sfarfallamento conclusivo, assume per analogia la denominazione di “immaginale”).
È interessante pensare, quantomeno come ipotesi, che anche nell’uomo esistono strutture cellulari “quiescenti”, attivabili attraverso il digiuno e la stasi, capaci di favorire la nascita di nuove funzioni organiche. Questo ribadisce così la convinzione, comune a molti autori, che “essere vivi” significhi passare attraverso una eterna e inarrestabile metamorfosi.
Si tratta di una regola che accomuna il regno vegetale, animale e umano. È il caso emblematico della farfalla: grazie a una sofisticata dinamica ormonale il bruco, una sorta di sacco vivente che continua a mangiare erba per poter crescere, dopo qualche tempo si imbozzola e diventa una crisalide. Chiuso in questo contenitore, il bruco si “dissolve” e – nell’arco di qualche settimana – si ricrea in maniera completamente diversa: la farfalla non prende pressoché niente dal bruco, quasi tutte le cellule nervose si rinnovano completamente, e prendono forma le ali che verranno pervase da una linfa che scorre lungo le nervature pompata da un piccolo cuore, anch’esso creato ex novo, a forma di tubicino.
I tempi della metamorfosi possono variare molto: a volte le crisalidi possono impiegare, per schiudersi, più di un decennio…
I tempi della metamorfosi di questo animale possono variare: se facciamo un parallelismo con l’uomo, notiamo quanto può incidere l’effetto dell’ambiente esterno sui processi di trasformazione. Nell’individuo umano hanno un peso il nucleo famigliare, la società, l’istruzione, la cultura in cui si cresce: tutti fattori capaci di favorire o frenare (sino a inibire) un percorso maturativo. Allo stesso modo, l’ambiente e le stagioni determinano una notevole variabilità nel tempo di posa delle uova della farfalla: se il clima è secco non accade nulla, perché i bruchi appena nati non troverebbero erba a sufficienza per nutrirsi e quindi, per attivare il ciclo di trasformazione, bisogna attendere le prime piogge. Lo stesso modo anche alle crisalidi, che in ambienti caldi e aridi faticano a schiudersi. Ciò che in alcune specie avviene in una o poche settimane, in altre può richiedere cinque o dieci anni. Pare che la crisalide più resistente, per dar vita a una farfalla, abbia impiegato quindici anni!
Prendiamo ora la rana: quando le sue uova si schiudono ne escono i girini, che assomigliano a piccoli pesci: hanno la coda, respirano con le branchie, si nutrono di alghe. Tempo qualche settimana però al girino spuntano le zampe e, soprattutto, vengono autodigerite branchie e coda, per lasciar spazio a un nuovo sistema respiratorio – quello polmonare – che consente a questo anfibio di transitare dalla vita acquatica a quella terrestre, e di cambiare alimentazione, passando dalle alghe ai vermi e agli insetti… Tutto questo processo è regolato da una complessa sequenza ormonale che agisce a livello tissutale, innescando la metamorfosi: alcuni organi, come le branchie dei girini, si autodistruggono mentre altri si differenziano e si sviluppano, come i polmoni della rana.
La metamorfosi nelle piante
Se osserviamo il mondo vegetale riconosceremo subito un denominatore comune con quello animale, non può che essere così… Si tratta di una spinta trasformativa continua, messa in evidenza da Wolfgang Goethe a fine Settecento nel suo saggio La metamorfosi delle piante.
Fu Goethe per primo a occuparsi del divenire delle forme, mettendo in luce l’infinito gioco creativo della natura.
Diversamente dalla visione rigida di quell’epoca che in maniera sistematica classificava ancora fiori e alberi entro confini ben precisi, Goethe, interrogandosi sul divenire delle forme in natura, scrive: “La natura non ha sistema, essa ha vita, essa è vita e successione da un centro ignoto verso un confine non conoscibile”,7 mettendo così in evidenza il fluire plastico delle forme naturali tipico del processo metamorfotico. E ancora:
Sullo stesso stelo prima osservavo una foglia ben decisa, che a poco a poco si trasformava in stipola, quando sulla stessa pianta scoprivo foglie prima rotonde, poi frastagliate e, infine, quasi guernite di piume perdevo il coraggio di fissare un punto o tirare una linea di confine.8
Goethe descrive così gli stadi evolutivi vegetali all’interno dei quali si alternerebbero, a suo avviso, due forze, una di natura concentrativa, l’altra di estrazione e dispiegamento. Un seme sarebbe, in pratica, la massima contrazione della pianta in un punto, mentre nelle foglie avverrebbe la prima manifestazione della forza espansiva. Nel calice del fiore questa tornerebbe a comprimersi, per poi dispiegarsi nuovamente nella corolla. Gli stami e il pistillo rappresenterebbero una forma ulteriore di concentrazione, che di nuovo si espanderebbe nel frutto…
Da qui la suggestiva affermazione di Goethe che la natura “produce una parte mediante l’altra, e crea le forme più diverse per metamorfosi dello stesso organo”:9 cioè la pianta non creerebbe una parte dopo l’altra, bensì l’una dall’altra, in una sorta di trasformismo con cui la natura opera di continuo. Ma se “il ciclo di vita di questi esseri è una metamorfosi continua, visibile con gli occhi e tangibile con le mani”,10 è altrettanto vero, nota sempre Goethe, che esiste una metamorfosi regolare o progressiva, ma anche una metamorfosi irregolare o regressiva. Nel primo caso:
La natura procede sempre verso la sua grande meta, così come nel secondo indietreggia di uno o di più passi … sembra infiacchirsi e, indecisa, lascia la sua creatura in uno stato indeterminato, gracile, spesso gradito al nostro occhio ma intimamente debole e inoperante.11
È interessante osservare come questa diversità di comportamento possa dipendere dall’eccesso di nutrimento dato alla pianta, in quanto “un’abbondante alimentazione ritarda la fioritura, mentre un’alimentazione moderata o addirittura povera l’accelera”.12 Oppure derivi, spiega sempre Goethe in un altro passaggio del suo trattato, dall’eccessiva irrigazione e concimazione: messa in un vaso piccolo o con poca terra, una pianta tende a fiorire precocemente mentre una maggior disponibilità di terreno porta le radici (e di conseguenza i rami) a svilupparsi moltissimo, ritardando la fioritura e la fruttificazione.
La natura crea forme eternamente nuove; ciò che esiste non è mai stato; ciò che fu non ritorna – tutto è nuovo seppur sempre antico … Costruisce sempre e sempre distrugge: la sua fucina è inaccessibile.13
Questo conferma ciò che abbiamo già visto in precedenza accadere nel mondo animale e ci fa riflettere sugli effetti che questo fenomeno può avere anche sugli esseri umani: tanto il digiuno (e una fase di attesa, stasi o letargo…) favorisce i processi trasformativi, quanto il nutrimento (a maggior ragione se eccessivo) e un dinamismo continuo li rallentano sino a bloccarli; il complesso lavoro di assimilazione obbliga la pianta a un consumo energetico che sottrae forza ai processi di fioritura e di fruttificazione. Quindi, se l’alimentazione è imprescindibile per vivere, per favorire la metamorfosi sospenderla è fondamentale.
Non a caso, in tutte le tradizioni del passato, il digiuno ha avuto un ruolo di importanza fondamentale per chi cercava la spiritualità e voleva incontrare il divino. Prendere le distanze dal cibo significava allontanarsi dalle energie terrene, facendo affiorare energie più sottili e invisibili, indispensabili a innescare il processo di metamorfosi: alternare il cibo al digiuno aveva il significato di attivare, nel profondo della materia, il parto dello spirito. Perciò i digiuni erano sacri e se ne parla nella Bibbia, nei testi chassidici, mussulmani e indù: le culture antiche erano pienamente consapevoli dei codici su cui si basa la metamorfosi.
Il rovescio della medaglia
Per poter attivare l’energia interiore, embrionaria, a cui fa riferimento anche la cultura taoista, per potersi nutrire dall’interno, la natura deve interrompere i contatti con l’esterno, entrare in uno stato di quiescenza e sospendere l’assunzione di cibo, ovvero andare in letargo e digiunare. Se mancano questi due presupposti, il processo maturativo procede con velocità prossima allo zero. In pratica i tessuti adulti non crescono affatto, la metamorfosi non si realizza e si resta nella condizione larvale, senza mai raggiungere la forma adulta…
La natura … origina dal nulla le sue creature, e non dice loro né da dove vengono, né dove vanno. Devono soltanto correre. La strada, la conosce Lei.14
Ma a volte la natura “sceglie” per convenienza proprio questo percorso: l’axolotl, una salamandra messicana, non va incontro a metamorfosi per la scarsa presenza di iodio nelle acque. Il prolungarsi della condizione larvale consente però a questi anfibi di sfruttare meglio l’ambiente acquatico in cui vivono e di raggiungere dimensioni corporee maggiori, perlomeno sino a che le condizioni ambientali restano favorevoli.
Anche altri anfibi maturano a seconda della convenienza: per esempio un altro tipo di salamandra, l’ambystoma tigrinum, che vive in zone paludose, non si trasforma sino a quando le condizioni ambientali non mutano: se l’ambiente cambia e peggiora (per esempio le acque si prosciugano), allora la salamandra va rapidamente incontro a metamorfosi.
Nella notte dell’uomo quindi, quando ancora l’evoluzione è agli inizi, le prime forme vegetali e poi quelle animali già mostrano un andamento plastico e trasformativo caratteristico, basato sulla metamorfosi: questa modalità di crescita è una costante, tipica della materia vivente capace di estrarre da se stessa, come fosse il cappello di un prestigiatore, forme nuove in continuazione. Come genialmente aveva colto Goethe, la materia crea di continuo, originando da se stessa forme nuove. E il suo strumento privilegiato è la metamorfosi.
C’è in lei (nella natura) una vita eterna, un eterno divenire, un moto perenne: eppure non fa un passo avanti. Si trasforma di continuo, non conosce un attimo di quiete. Ignora l’immobilità; colpisce con maledizione l’indugiare. È salda. Il suo passo è misurato, rare le sue eccezioni, invariabili le sue leggi.15
Comprendere che il sacro, la magia, l’eternità sono forze vive dentro di noi, che spesso assumono forme animali, ci ricongiunge al nostro essere naturale, senza il quale siamo meno di niente. Gli animali sono immagini eterne che ci ricordano che siamo seduti su processi che stanno “migrando” dentro di noi, come la sterna artica che dal Polo Nord al Polo Sud percorre ogni anno circa novantaseimila chilometri, tra andata e ritorno, quasi più di una navicella spaziale. Tutti gli animali tornano a casa: si tratta quasi sempre di un viaggio per tornare al punto di partenza, alle origini, come i salmoni, le anguille e così via. Senza saperlo, anche noi stiamo tornando a casa, e anche se a volte i nostri problemi ci imbrigliano in un infinito rimuginare, anche se ci sforziamo per mesi di prendere decisioni che non approdano a niente, spesso è proprio il nostro “animale guida” a comparire in sogno per ricordarci che dentro ognuno di noi, come ricordava Hillman, vive un’energia animale che ci cura, ci aiuta, ci protegge e sa decidere per noi.
L’animale quale benefattore segreto si apre articolandosi in una serie di punti di vista nei quali lo stesso animale viene interiorizzato nell’anima umana in vari modi – come tracce filogenetiche, come antenato totemico, come meccanismi di sfogo innati –, e da tale animale noi o discendiamo o siamo istintualmente potenziati. È appunto questa faccia animale della psiche che vediamo nei sogni.16
L’incontro con animali nella realtà ha spesso un valore sincronico e segnala mutamenti in arrivo. Alda, 43 anni, in terapia si lamentava dei suoi insuccessi lavorativi e si sentiva fortemente sottovalutata. Le avevo consigliato di non pensare più al problema, ma piuttosto di occuparsi della sua femminilità, di curarla.
“Come fossi la madre di me stessa?” mi ha detto.
“Esattamente” ho risposto.
Ogni giorno si truccava, metteva dei bei vestiti e il lamento si diradava. Un giorno, sul suo balcone, ha visto per la prima volta da quando abitava lì – e cioè da più di quindici anni – un nido nascosto dentro un vaso, con delle uova. “Pazzesco, le ho viste per caso, tanto era invisibile il nido.” Sei uova da cui sono nati sei merlotti. Quando me lo ha raccontato, non ho detto niente. Un mese dopo ha avuto un incarico da dirigente, il suo sogno si è avverato. Le forze primordiali incarnate dal merlo, il volatile che rappresenta le sorprese, il viaggio tra la notte e la luce, erano venute a trovarla. La metamorfosi che era avvenuta dentro di lei si era manifestata nel nido e nei piccoli che erano nati. Siamo esseri cosmici.
1. Johann Wolfgang Goethe, I dolori del giovane Werther, Mondadori, Milano 2000.
2. Roberto Calasso, Il cacciatore celeste, Adelphi, Milano 2016, p. 362.
3. Carl Gustav Jung, Jung parla: interviste e incontri, a cura di W. McGuire e R.F.C. Hull, Adelphi, Milano 2013, pp. 93-94.
4. Roberto Calasso, Il cacciatore celeste, cit., pp. 362-363.
5. Carl Gustav Jung, Psicologia e poesia, Bollati Boringhieri, Torino 2018, p. 47.
6. Hermann Keyserling, La rivoluzione mondiale e la responsabilità dello spirito, Hoepli, Milano 1935, p. 148.
7. Johann Wolfgang Goethe, La metamorfosi delle piante, Guanda, Parma 1983, p. 12.
8. Ivi, p. 52.
9. Ivi, p. 55.
10. Johann Wolfgang Goethe, Urpflanze. La pianta originaria, a cura di M. Donà, AlboVersorio, Senago 2014, p. 19.
11. Johann Wolfgang Goethe, La metamorfosi delle piante, cit., p. 56.
12. Ivi, p. 61.
13. Johann Wolfgang Goethe, Urpflanze, cit., p. 23.
14. Ivi, p. 25.
15. Ivi, p. 24.
16. James Hillman, Presenze animali, Adelphi, Milano 2016, pp. 71-72.