Oggi
4 Febbraio 2018
E’ già passata un’ora dal mio arrivo. Questa stanza si è riempita progressivamente di nuove indiscrezioni. Osservo questa misteriosa donna. Sembra sincera ma non ho elementi per giudicare. E se fossero tutte menzogne?
Le sue rivelazioni mi hanno colpito nel profondo. Non sono in grado, in questo momento, di giudicare l’attendibilità di quanto appreso. Lei sembra davvero convinta. I suoi occhi non mentono. Durante tutta questa controversa storia, sono rimasto in silenzio ad ascoltarla con vivo interesse. Non mi sono distratto, nemmeno per un istante.
Volutamente ho spento il telefono. Non volevo interruzioni. Adesso mi ritrovo con grandi interrogativi, cui dare risposte convincenti.
E’ calato un eloquente silenzio. Mi ha lasciato il tempo di riflettere. Apprezzo la sua discrezione. Non vuole convincermi della bontà del suo racconto. Non ha bisogno di farlo. E’ consapevole d’avermi risucchiato in quella storia controversa.
Mi sento spaesato. L’adrenalina è a livelli elevati. Sono stato testimone di un racconto che, se veritiero, potrebbe riportare alla luce un caso mai risolto.
Infatti, in questi ultimi dieci anni, di Sara non si è saputo più nulla. Tuttavia, le indagini non sono mai ripartite. Con la morte dell’agente Baldini, tutto si è arenato per sempre. Evidentemente, era l’unico a non credere alla tesi dell’allontanamento volontario. Alla luce di quanto appena appreso, ho seri dubbi anche sulla sua morte.
La donna mi osserva con curiosità. Accenna un sorriso. M’invita a condividere i ragionamenti silenziosi. «Non mi crede?»
«In questo momento mi manca la lucidità», ammetto.
«Non mi stupisce. Ho passato i dieci anni più brutti della mia esistenza»
«Cosa gli è capitato?»
«Sicuro di voler continuare?»
«Ormai ci sono dentro», le dico, con convinzione.
«Cosa le frulla per la testa?»
«Cosa intende dire?», chiedo, mostrandomi perplesso.
Mi fa cenno di proseguire. «Mi faccia pure le sue domande».
Non mi lascio pregare. «Come fa a sapere tutte queste cose che mi ha raccontato?», le chiedo.
Lei resta in silenzio. Sospira. Poi riprende la parola. «Non l’ha ancora capito?», mi domanda, come se si trattasse di un’ovvietà. Accenna un sorriso enigmatico.
«Mi scusi ma temo di non riuscire a seguirla…», ammetto.
«E’ strano, lei è in casa mia da più di un’ora e non ci siamo ancora presentati», mi dice, alimentando la mia curiosità. «Piacere, mi chiamo Chiara Magni. Dieci anni fa, ero la signora Cordusio», aggiunge, spiazzandomi. Resta in silenzio. Attende una mia reazione. E’ consapevole che, con quella rivelazione, genererà uno stupore fin troppo scontato.
Spalanco gli occhi. Basito da quelle parole. Non riesco a parlare. Troppo scosso, per poterlo fare.
Lei mi giunge in soccorso. «Se gliel’avessi detto, sono certa che l’avrei distratta dal racconto», ironizza. Mi sorride ancora.
«Lei è la madre di Rebecca?!?», esclamo.
«Mia figlia non mi considera più…»
«Perché?»
«Lei e il mio ex marito non vivono più qui. Si sono trasferiti al Nord, un anno dopo la morte del poliziotto»
«Vi siete separati?»
«Quando mi hanno ricoveratan nel reparto psichiatrico dell’ospedale, hanno deciso d’abbandonarmi. Troppo imbarazzo gli avevo procurato», mi rivela. I suoi occhi luccicano. Segno di una sofferenza ancora viva, nonostante dieci anni di distanza.
Sospira. Prosegue nelle confidenze. «Il mio ex marito, alla fine, ha trovato il coraggio d’uscire allo scoperto con l’amore della sua vita»
«Mi sta dicendo che si è fidanzato con la signora Sartori?»
«Di cosa si stupisce? Sono sempre stata a conoscenza del loro amore. Per colpa loro sono diventata schiava di alcool e ansiolitici»
«Mi dispiace, non deve essere stato facile»
«Il tempo, e gli psicofarmaci, ti aiutano ad accettare di tutto», ironizza ancora. E’ davvero forte. Vorrei abbracciarla. Provo tenerezza per lei. E’ una donna sola. Abbandonata da tutti.
Il mio stupore continua a restare inalterato. A questo punto, ho bisogno di saperne di più, della sua storia. Forse, questa donna dallo sguardo malinconico, è custode di una verità sepolta da dieci anni.
Ha l’esigenza di svuotarsi. Non è abituata a ricevere attenzioni. Per sua stessa ammissione, all’interno di questo Borgo, si è ritrovata totalmente sola.
«Perché non è andata via da qui?», le chiedo.
Accenna un sorriso rassegnato. «Quante volte ho provato a farlo», mi rivela. Si accende un’altra sigaretta. Le concedo tutto il tempo necessario, nonostante la mia voglia di sapere.
L’attesa dura poco. Riprende il discorso. «Mi è sempre mancato il coraggio. Non riesco a evadere da queste mura invisibili»
«Non deve essere facile, vivere in un posto in cui tutti la credono pazza», le faccio notare.
«I pazzi ricevono un trattamento migliore. I miei concittadini, invece, mi considerano invisibile. Ormai mi sono abituata a tutto. Ho maturato una sorta di corazza»
«Ma è assurdo!»
«L’unica consolazione è che non mi resta ancora molto da vivere», mi dice, con cinismo. Il fumo riempie i suoi polmoni. Colgo un cenno di piacere.
Cambio argomento. Ho bisogno di risposte. «Lei che idea si è fatta?»
«Non ho mai creduto all’allontanamento volontario di Sara», mi rivela, con naturalezza. «…e nemmeno alla morte del poliziotto», aggiunge.
«Come mai non ha raccontato tutto alla polizia?», le chiedo.
«Chi le dice che non l’abbia fatto? Mi pento d’aver informato l’ispettore Falcetti. E’ stato lui a richiedere il TSO nei miei confronti», mi rivela. Digrigna i denti. «Dannato verme. Spero che Dio gli abbia riservato la giusta punizione!», esclama.
«E’ morto?»
«Per fortuna esiste la giustizia divina!», mi dice, mostrandosi soddisfatta. Ha un attimo di sbandamento. Si eclissa.
Sono impaziente. Non posso attendere ancora. Decido d’attirare l’attenzione. Ottengo il risultato sperato.
Si mostra imbarazzata. «L’ho fatto di nuovo?»
«Non si preoccupi. Capisco che, questi ricordi, le provochino ancora del dolore»
«E’ necessario che le dica proprio tutto. In questo modo, potrò morire con serenità. Toccherà a lei, prendersi carico della mia eredità. Forse, riuscirà a far riaprire questo caso controverso», mi dice. Ripone molta fiducia in me. Non credo di meritarmi la sua stima. Fino a poco fa, ho nutrito forti dubbi sull’attendibilità di questa donna. Adesso, invece, qualcosa è cambiato. E’ meritevole di rispetto, fino a prova contraria. Sono un giornalista, devo sempre verificare una notizia, prima d’accettarla come vera. Anche in questo caso, farò le dovute ricerche. E se dovessero emergere dati incoraggianti, continuerò a portare avanti questa battaglia. Ormai ci sono dentro. Questa storia mi ha contaminato. Voglio sapere la verità e non mi darò pace, finché non scoprirò cosa è accaduto realmente a Sara e all’agente Baldini.
«Se ho ben capito, nessuno le ha creduto»
«Un uomo c’è stato ma ha pagato con la vita», mi sussurra.
«Si riferisce al poliziotto?»
«E’ morto per colpa mia…», sussurra. I suoi occhi brillano.
Ho la deduzione giusta. «E’ lei la misteriosa sagoma che gli ha parlato la notte di Capodanno?», domando, con stupore. Sono certo di non sbagliarmi.
«Sono dieci anni che mi porto dentro un enorme senso di colpa. La morte mi libererà anche da questo…». Le lacrime scendono sul suo viso. Sono silenziose e impercettibili. Trova il coraggio di non crollare. E’ abituata a quel tipo di sofferenza. «Mi sono imbottita di tranquillanti, ansiolitici e antidepressivi. Nemmeno loro, sono riusciti ad alleviare la sofferenza», trova il coraggio di dirmi.
«Cosa ha rivelato a Baldini, la notte di Capodanno?», chiedo. Ho bisogno di quell’ultimo tassello.
«D’accordo. Ritorniamo indietro a quella notte maledetta…», mi dice. Aspira ancora dalla sigaretta. Il fumo fuoriesce attraverso la bocca. Riempie la stanza.
La donna socchiude gli occhi. E’ pronta a quel salto indietro nel tempo.