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Caro Franz,
È ormai una settimana che sono tornato dall’isola. Tutto è andato come mi aspettavo. Ho trovato la posizione perfetta. È molto vicina alla spiaggia e di fronte si vede la Turchia. Ho saputo poi che il terreno appartiene al demanio, di conseguenza non ci sono problemi relativi alla proprietà che avrebbero potuto rendere più difficile l’acquisizione del terreno.
L’unica cosa negativa è che il sindaco non ha voluto ricevermi. Ovviamente, non me l’ha detto in maniera esplicita, ma ha trovato sempre nuove giustificazioni. Una volta era troppo impegnato, un’altra era in partenza per Atene. Di fronte a ogni mio tentativo di incontrarlo aveva sempre pronta una giustificazione per evitarmi.
Devo confessarti che questo suo atteggiamento mi ha preoccupato alquanto. Per fortuna le mie ansie si sono dissolte quando ho incontrato il direttore generale del ministero dello Sviluppo. Mi ha accolto con entusiasmo, e te lo dico davvero senza esagerare. Ha fatto in modo di fissarmi subito un appuntamento con il viceministro.
E lo stesso entusiasmo l’ho incontrato presso il viceministro. Mi ha detto che sono impegnatissimi per riuscire ad attirare investimenti in Grecia, e quando arriva un greco dalla Germania, l’accoglienza è ancora migliore. Mi ha assicurato che da parte del ministero avrò ogni possibile aiuto e sostegno. E mi ha anche detto che, se penso di fare domanda per avere un finanziamento europeo, il ministero mi appoggerà.
Caro Franz, la gente qui in Grecia ha sete di investimenti e sono molto contento di aver preso la decisione di venirci. In fondo, mio padre è partito di qui come Gastarbeiter, umiliato dalla dichiarazione di pentimento che aveva dovuto sottoscrivere, come diceva lui stesso, e questa umiliazione ha continuato a fargli male per tutta la vita. Non voglio nascondertelo, ma mi sento orgoglioso che il figlio di una persona ferita dalla dichiarazione di pentimento possa tornare nella sua terra di origine per offrirle qualcosa.
Ah, quasi mi scordavo di dirti che ho anche sistemato la questione dell’alloggio qui ad Atene. Ho trovato un appartamento in un quartiere molto bello, e un ufficio in una zona dove si concentrano tutte le nuove imprese. Da domani comincio i colloqui per assumere del personale.
Caro Franz, tutto va come avevo programmato e l’entusiasmo che incontro mi dà molta forza.
Il tuo amico,
Andreas
La seconda lettera di Makridis me l’ha spedita Mània con la posta elettronica. Leggendola, la mente rimane su quello che ha detto Pròdromos: “Quel che comincia bene finisce male”. Il suicidio di Makridis lo conferma. Tutto era iniziato con entusiasmo e fiducia, ma a causa della sua inesperienza non sapeva che in Grecia devi partire per il raccolto con un cestino piccolo ed è più saggio essere pessimista, perché almeno così sei pronto al peggio.
In quello stesso momento, però, penso che è quantomeno improbabile che Makridis sia giunto alla decisione di uccidersi solo perché la Grecia lo ha deluso o perché il sindaco non ha voluto dargli udienza. Le cause più frequenti di suicidio sono la bancarotta e la delusione amorosa, e nel caso di Makridis non sembra che si tratti né dell’una dell’altra.
Naturalmente, il biglietto che è arrivato all’ambasciata tedesca parlava, per Makridis, di un omicidio, e questo lascia aperta la possibilità che il giovane imprenditore sia stato spinto al suicidio da qualcuno. È l’unica ipotesi e non posso certo escluderla, anche se non mi convince.
La telefonata di Petròpoulos interrompe i miei pensieri.
“Sai come lo chiamavano qui, Vranàs?” mi chiede.
“No, come lo chiamavano?”
“Nimetz.”
“E che vuol dire?”
“Chi sarebbe, dovresti chiedermi, piuttosto. Non mi dire che vivi ad Atene e non hai mai sentito parlare dell’americano che sta mediando tra Skopje e noi per trovare una soluzione alla questione Macedonia! Lo stesso lavoro lo faceva Vranàs, tra gli agricoltori, l’amministrazione e l’Europa. Finché qualcuno gli ha dato il soprannome di Nimetz.”
“Sicché Vranàs non si occupava solo degli interessi dello zio? Si occupava anche di altri?”
“Dapprincipio collaborava solo con lo zio, ma quando si è saputo in giro che Mattheou risolveva le sue questioni in fretta mentre gli altri ci mettevano due o tre mesi, hanno contattato Vranàs, e lui ha preso anche loro sotto la sua ‘protezione’. E per di più con la benedizione dello zio che non voleva sembrare egoista nei confronti dei compaesani. Comunque, è rimasto fedele alla parentela, per cui ha continuato a favorire per primo Mattheou e poi tutti gli altri. Che comunque ottenevano i finanziamenti piuttosto rapidamente. Ma la cosa più importante è che non dovevano andare in giro per uffici perdendo un sacco di tempo. Si occupava di tutto Vranàs e li avvertiva quando i soldi erano arrivati. A quel punto gli agricoltori non dovevano far altro che andare a incassare.”
Come si diceva una volta quando si comprava un appartamento? “Chiavi in mano”. E più o meno così faceva Vranàs, solo che lui diceva: “Soldi sul conto.”
“Che pensano gli agricoltori di Vranàs?” chiedo a Petròpoulos.
“Che era un tipo a posto. Diceva: ‘Ti costerà tot e avrai i soldi il tal giorno,’ e questo era tutto. Ora, quanti di questi soldi andavano a lui e quanti servivano a oliare i vari ingranaggi loro non lo sapevano e neppure gli interessava. Anzi, se a qualcuno capitava di avere fretta, Vranàs diceva che avrebbe dovuto fargli pagare l’urgenza. E non basta…”
“Sentiamo.”
“La famiglia di Mattheou non aveva neanche idea dell’esistenza di Vranàs. Non si era mai presentato a casa loro e non lo conoscevano neppure di nome. Evidentemente, per ragioni di sicurezza, Mattheou e Vranàs avevano deciso di non divulgare la loro parentela.”
Molto naturale. Mattheou non voleva mettersi in cattiva luce dicendo che aveva un parente faccendiere e per di più figlio del mangiacomunisti, e neanche Vranàs voleva esporsi troppo agli occhi del padre, rivelando che intrallazzava con i parenti della madre.
Ciononostante si vede che qualcuno l’ha scoperto e ha deciso di giustiziarli entrambi.
“Bravo, hai fatto un ottimo lavoro!” mi congratulo con Petròpoulos, e stavolta ne sono convinto al cento per cento.
Fino a questo momento, le vittime erano figli di nazionalisti, ma ora siamo passati anche a gente di sinistra. Di conseguenza, se di vendetta si tratta, i moventi non possono essere politici, per il semplice fatto che non si può essere di sinistra e nazionalista allo stesso tempo. A meno che, naturalmente, l’assassino non sia figlio di una famiglia divisa in due, con membri in parte nazionalisti e in parte di sinistra che si sono ammazzati tra di loro.
In ogni caso, se ci allontaniamo dall’ideologia e andiamo alle cose semplici, il denaro non separa solo le famiglie, può anche far mettere da parte vecchi rancori in nome di un interesse comune. E quindi, ritorno a Sotiròpoulos e a Ghikas.
Sto per chiudere e andarmene a casa, quando mi interrompe una telefonata di Mània.
“Signor commissario, stasera è invitato a cena da me e da Uli. Ho già avvertito la signora Adriana e l’accompagniamo noi.”
Mi dà l’indirizzo di una taverna a Petralona. Sono tentato di tirare fuori la Seat dal garage, ma poi penso al detto “una volta che il male è iniziato, non aspettarti che si fermi”. Del resto non ho alcuna voglia di subire gli sguardi di disapprovazione di Adriana.
Prendo il filobus verso Omònia, e continuo con il metrò. Mi fermo a un’edicola per chiedere dove si trova la taverna, e l’edicolante mi indica una strada verso la parte superiore di Petralona.
“Avrebbe dovuto scendere al Theseion, che è più vicino,” mi dice.
Gambe in spalla, mi inerpico per la salita soffocando le imprecazioni, perché con il navigatore avrei trovato la taverna molto prima.
Mi ci vuole mezz’ora abbondante per arrivare. Nel frattempo tutta la compagnia si è già radunata ed è in attesa del mio arrivo. Saluto rapidamente e poi mi siedo.
“Mània, ragazza mia, perché questa spesa per invitarci tutti a cena?” dice Adriana.
“Lo chieda a Uli. È stata una sua idea.”
“Un po’ di pazienza e vi spiegherò perché vi ho invitati a cena. Aspettiamo il vino,” risponde Uli.
Ci rendiamo conto che sta per annunciarci qualcosa di importante. Cerco di incrociare lo sguardo di Mània, ma lei è rivolta altrove, mentre Caterina vaga con gli occhi tutt’intorno al locale. Sono più fortunato con Fanis perché vedo che mi fissa e mi sorride con aria furba.
Arriva finalmente il vino, insieme ai primi stuzzichini. E a questo punto Uli riempie il bicchiere e si alza.
“La prima cosa che vorrei dirvi è che sto proprio bene con voi e in Grecia,” esordisce con il suo greco corretto anche se pronunciato alla tedesca.
“Anche noi stiamo molto bene con te, Uli,” lo interrompe Adriana che soffre di “incontinenza commentativa”.
“La seconda cosa che voglio dirvi è che anch’io sono diventato un po’ greco. Passo col rosso, svolto dove è vietato e non mi interessa se qualcuno mi fa un gestaccio, e posteggio sul marciapiede se ho fretta. Come parlo in greco con la pronuncia tedesca, così sono diventato un tedesco con abitudini greche.”
Queste frasi scatenano risate e un immediato applauso. La gente ai tavoli di fianco ha interrotto la cena per seguire lo spettacolo.
“Dato che la lingua greca e le abitudini greche non mi bastavano, ho deciso di fare anche un terzo passo, ma questo non potevo farlo da solo,” continua Uli. “Mània mi ha detto che è disponibile ad aiutarmi e così abbiamo deciso di sposarci.”
Il nuovo applauso, stavolta, non si limita al nostro tavolo, ma si estende anche a quelli vicini, accompagnato da varie esclamazioni: “Auguri!”, “Lunga vita!” “Buona fortuna!”
Caterina si alza per prima. Bacia Uli e poi la sua amica.
“Che fine hanno fatto i discorsi che non avresti mai voluto un socio nelle decisioni che riguardano la tua vita?” la stuzzica ridendo.
“Caterina, mi dicevo due cose. La prima è: non innamorarti di un greco complessato. E questo sono riuscita a evitarlo. La seconda: non innamorarti di un tedesco che si è messo qualcosa in testa. In questo caso ho dovuto cedere le armi.”
“Comunque, mi fa piacere che l’abbiate deciso e, per di più, in tempi abbastanza rapidi per le tue abitudini,” commenta Adriana.
“Le posso spiegare, signora Adriana,” le risponde Mània. “Mi sono guardata intorno e mi sono detta: ‘Che cosa ci abbiamo guadagnato a continuare per mesi a dire no alle condizioni che ci ha imposto la Merkel? Non abbiamo fatto altro che complicarci la vita. Quindi, prima dirò di sì a Uli, meno danni dovrò subire.’”
Una nuova ondata di risate attraversa la tavolata mentre tutti si alzano per congratularsi con Mània e Uli che ora sono seduti mano nella mano.
Quando arriva il mio turno, Mània si stacca da Uli e viene ad abbracciarmi.
“Tutto è cominciato quando ci siamo ritrovati con Caterina, e questo lo devo a lei,” mi sussurra all’orecchio.
La abbraccio e le do un bacio, mentre Uli aspetta in piedi il suo turno. Abbraccio anche lui e gli dico che sono davvero molto felice. Quando le effusioni hanno termine, Uli mi stringe e mi guarda.
“Ecco che cosa non ha compreso Makridis,” mi dice. “Se avesse sposato una greca, avrebbe resistito meglio.”
“Non capisco cosa intendi.”
“Quando leggerà la prossima lettera, comincerà a capire,” mi risponde con un che di misterioso mentre mi consegna la terza lettera.
La affido a Adriana perché la conservi nella sua borsa e torno al mio posto.
“Signor Charitos, vogliamo che siate lei e la signora Adriana a farci da testimoni,” mi dice Mània.
“Con molta gioia ed è un grande onore per noi, Mània,” le risponde Adriana che riesce ad anticiparmi sempre.
“Ma non vi sposate in comune?” chiede Fanis.
“Non solo. Prima ci sposiamo civilmente, come voglio io, e poi ci sposiamo anche in chiesa perché Uli insiste per farsi una collezione completa di tutte le esperienze greche, matrimonio religioso compreso.”
“Sai come diciamo in questo caso in Epiro, Uli?” gli chiede Adriana.
“Come?”
“‘Se devo sposare un turco, che almeno sia un sultano,’” gli risponde Adriana e tutti scoppiamo di nuovo a ridere.