10

 

Il mattino seguente mi svegliai con la nebbia. Non si vedevano più le montagne, così il mio rientro venne posticipato al pomeriggio e io uscii per fare una corsetta nell'aria umida e fredda.

Attraversai alcuni isolati di casette accoglienti e automobili modeste, sorridendo allo spettacolo di un piccolo collie che saltava da una parte all'altra di un giardino cintato, abbaiando furiosamente alle foglie che cadevano. A un tratto la padrona del cane uscì.

«Shooter, piantala!»

Indossava una vestaglia trapuntata, pantofole foderate di pelo e bigodini, ma non sembrava affatto preoccupata di comparire in quello stato. Raccolse il giornale e se lo batté sul palmo della mano, urlando qualcos'altro. Immaginai che, prima della morte di Emily Steiner, gli unici crimini che avevano turbato quella parte del mondo dovessero essere stati i furti di giornali davanti alla porta o indesiderati addobbi di carta igienica sugli alberi dei giardini privati.

Le cicale intonavano la stessa gracidante canzone della sera prima, e le robinie, i piselli odorosi e i convolvoli erano coperti di rugiada. Alle undici cominciò a cadere una pioggia gelida; mi sentivo circondata da un mare di acque tristi.

Solo verso le due e mezzo il tempo migliorò abbastanza da consentirmi di partire. L'elicottero non sarebbe potuto atterrare nel campo sportivo della scuola perché a quell'ora si esercitavano i Warhorses e le majorettes; Whit e io ci saremmo incontrati su uno spiazzo erboso all'interno della porta in pietra a doppio arco di una minuscola cittadina di nome Montreat, presbiteriana fino al midollo e solo a pochi chilometri dal Travel-Eze.

La polizia di Black Mountain mi scortò fino al luogo dell'appuntamento, ma poiché Whit non si era ancora fatto vedere, io rimasi seduta in macchina sul bordo di una strada sterrata a guardare dei bambini che giocavano a bandiera. I maschi rincorrevano le femmine e le femmine rincorrevano i maschi, e tutti rincorrevano la gloria di strappare un fazzoletto rosso dalla cintura di un giocatore della squadra avversaria. Il vento trasportava le loro giovani voci e spesso anche la bandiera, infilandola fra i rami degli alberi, e ogni volta che rotolava in mezzo alla strada o ai rovi, tutti si fermavano. Qualunque spirito di eguaglianza finiva allora in panchina, dove le femmine aspettavano il recupero della bandiera da parte dei maschi; poi, il gioco riprendeva invariato.

Quando si cominciò a sentire il tipico rumore scoppiettante dell'elicottero, provai un moto di dispiacere all'idea di dover interrompere tanta vivacità e allegria. I ragazzini si pietrificarono in sculture di meraviglia, mentre il Bell JetRanger si abbassava al centro del prato sollevando un turbine di vento. Salii a bordo e sventolai la mano in segno di saluto; quindi l'elicottero tornò a innalzarsi oltre le cime degli alberi.

Dopo un po' vidi il sole coricarsi all'orizzonte come Apollo che, stanco, si sdraia per riposare; poi il cielo si trasformò in una macchia d'inchiostro nero soffiato da un polipo. Quando arrivammo all'Accademia, non si vedevano nemmeno le stelle. Wesley, che si era tenuto informato via radio, ci aspettava all'atterraggio, e non appena scesi dall'elicottero mi prese per un braccio e mi condusse via.

«Vieni» mi disse. «Sono contento di rivederti, Kay» aggiunse quindi in un sussurro, e la pressione delle sue dita sul mio braccio aumentò il mio turbamento.

«Le impronte rilevate sugli slip di Ferguson appartengono a Denesa Steiner.»

«Che cosa?»

Mi guidava a passi veloci nell'oscurità. «E il gruppo sanguigno dei tessuti trovati nel freezer è 0 positivo. Lo stesso di Emily. Stiamo ancora aspettando i risultati degli esami sul Dna, ma a quanto pare Ferguson ha rubato la biancheria da casa Steiner quando entrò per rapire la bambina.»

«Vuoi dire, quando qualcuno entrò per rapire la bambina.»

«Giusto. Gault potrebbe starci giocando uno dei suoi tiri.»

«Benton, per l'amor del cielo, adesso vuoi dirmi di che crisi si tratta? Dov'è Lucy?»

«Nella sua stanza al dormitorio, immagino» rispose, mentre varcavamo l'atrio del Jefferson.

La luce intensa mi costrinse a strizzare gli occhi e, nonostante il display che annunciava BENVENUTI ALL'ACCADEMIA FBI, quella sera a Quantico non mi sentivo affatto la benvenuta.

«Che cosa ha combinato?» insistetti, mentre Benton usava una scheda magnetica per aprire la barriera di porte in cristallo recanti gli stemmi del Dipartimento di giustizia e della National Academy.

«Aspetta finché non saremo di sotto.»

«Come sta la tua mano? E il ginocchio?» Me n'ero quasi scordata.

«Molto meglio, da quando sono stato dal dottore.»

«Grazie» risposi in tono asciutto.

«Guarda che mi riferivo a te. Sei l'unico medico che abbia visto negli ultimi tempi.»

«Be', già che sono qui potrei anche toglierti i punti.»

«Non occorre.»

«Mi basterà un po' d'acqua ossigenata e del cotone idrofilo. Non ti preoccupare.» Attraversammo la sala manutenzione delle armi da fuoco, impregnata del tipico odore di Hoppes. «Non dovrebbe farti male.»

L'ascensore ci portò al piano più basso dell'edificio, dove si trovava l'Unità investigativa di supporto, il cuore delle attività dell'Fbi. Wesley era a capo di altri undici esperti di profili psicologici ma, a quell'ora, se n'erano già andati tutti. Lo spazio in cui lavorava mi era sempre piaciuto, perché Benton era un uomo sensibile e modesto, anche se per saperlo bisognava conoscerlo molto bene.

Se la maggioranza dei tutori dell'ordine tappezzavano le loro pareti e i loro scaffali di souvenir e attestati di merito guadagnati nel corso della loro guerra contro gli aspetti più infimi della natura umana, Wesley amava invece circondarsi di quadri di ottima qualità. 11 mio preferito era un enorme paesaggio di Valoy Eaton, a mio parere paragonabile a un Remington e che un giorno avrebbe senz'altro raggiunto le stesse quotazioni. Anch'io avevo alcuni suoi dipinti a olio, e la cosa interessante era che Wesley e io avevamo scoperto questo artista dello Utah in maniera del tutto indipendente.

Questo non per dire che Benton non conservasse anche qualche trofeo esotico, ma si limitava a esporre solo quelli più significativi. Come il berretto bianco della polizia viennese, o il colbacco di una Cold Stream Guard, o ancora gli speroni d'argento da gaucho argentino: tutte cose che non avevano nulla a che fare con i serial killer o altre simili atrocità a cui lavorava di solito. Si trattava piuttosto di doni di amici di lunga data come me. Wesley possedeva infatti svariati ricordi del nostro rapporto, perché quando le parole venivano meno anch'io mi esprimevo attraverso dei simboli: un fodero italiano, una pistola con l'impugnatura in avorio lavorato e una Mont Blanc che portava sempre nel taschino della giacca all'altezza del cuore.

«Dai, racconta» dissi, prendendo una sedia. «Che altro è successo? Hai un pessimo aspetto.»

«E infatti è così che mi sento.» Allentò il nodo della cravatta e si passò le dita tra i capelli. «Kay» mi guardò «non so come dirtelo. Cristo!»

«Dillo e basta» risposi, sentendomi gelare il sangue nelle vene.

«Sembra che Lucy abbia violato l'ERF, infrangendo i sistemi di sicurezza.»

«In che senso?» ribattei, incredula. «Lei era già autorizzata all'accesso, no?»

«Non all'accesso alle tre di mattina, ora in cui lo scanner della serratura biometrica ha registrato una sua impronta.»

Lo fissai sbalordita.

«E certo non ha il permesso di aprire dei file riservati relativi ad altrettanti progetti in corso di elaborazione.»

«Quali progetti?» osai domandare.

«Pare che abbia curiosato in file di ottica elettronica, di grafica termica, di raffinamento progressivo video e audio. E che abbia stampato dei programmi dalla versione elettronica della gestione dei casi su cui sta lavorando per noi.»

«Ti riferisci al CAIN?»

«Esattamente.»

«Per farla breve, ha risparmiato qualcosa?» esclamai allibita.

«Be', ecco, è proprio questo il punto. In pratica si è infilata dappertutto, il che rende più difficile capire cosa cercasse in realtà e per conto di chi.»

«Ma questi sistemi a cui lavorano là dentro sono davvero così segreti?»

«Alcuni sì, e dal punto di vista della sicurezza lo sono senz'altro tutte le tecniche impiegate. Non vogliamo che si venga a sapere a quale strumento ricorriamo in ogni singolo caso, capisci?»

«Non può essere stata lei.»

«Invece sappiamo che è così. Il problema è perché.»

«D'accordo, allora: perché?» Lottai per ricacciare indietro le lacrime.

«Denaro. È l'unica ipotesi che riesco a fare.»

«Ma è ridicolo! Sa benissimo che se ha bisogno di soldi può rivolgersi a me.»

«Kay» si sporse sulla scrivania, intrecciando le dita, «hai idea di quanto possano valere informazioni del genere?»

Non risposi.

«Prova a immaginare se l'ERF stesse elaborando un sistema di sorveglianza in grado di filtrare i rumori di sottofondo, in modo tale da consentirci di controllare qualsiasi conversazione di potenziale interesse in qualunque parte del mondo. Prova a immaginare quante persone là fuori morirebbero dalla voglia di conoscere i dettagli dei nostri sistemi di prototipizzazione rapida o di satelliti tattici, piuttosto che i programmi software che Lucy sta mettendo a punto per i servizi segreti...»

Sollevai una mano per interromperlo. «Okay, basta così» dissi, tirando un respiro profondo tutta tremante.

«Allora dimmelo tu» riprese Benton. «Dimmi tu perché, visto che conosci Lucy meglio di noi.»

«Non sono più tanto sicura di conoscerla. E non so come abbia potuto fare una cosa del genere.»

Esitò, distogliendo brevemente lo sguardo prima di tornare a fissarmi. «Mi avevi accennato a qualche preoccupazione relativa all'alcol. Perché non ti spieghi meglio?»

«Temo che Lucy beva esattamente nello stesso modo in cui fa tutte le altre cose, cioè senza misura. Lucy o riesce benissimo o riesce malissimo, e l'alcol è solo un esempio.» Mentre pronunciavo quella frase, mi resi conto che stavo aggravando i timori di Wesley.

«Capisco» disse. «Ci sono stati casi di alcolismo, nella sua famiglia?»

«Sinceramente comincio a pensare che ci siano casi di alcolismo in tutte le famiglie» commentai con amarezza. «Comunque sì. Suo padre era alcolista.»

«Stai parlando di tuo cognato?»

«Lo è stato per pochissimo tempo. Come sai, Dorothy si è sposata quattro volte.»

«Tu sapevi che Lucy ha trascorso alcune notti fuori dal dormitorio?»

«No, non lo sapevo. E la notte dell'irruzione all'ERF, dov'era? Se non sbaglio ha una compagna di stanza e altre ragazze con cui condivide l'alloggio.»

«Può benissimo essere uscita di soppiatto mentre dormivano. Insomma, non lo sappiamo. Come sono i vostri rapporti, Kay?» mi chiese poi.

«Non troppo buoni.»

«Non potrebbe aver agito così per punirti in qualche modo?»

«No» risposi, e sentii che iniziavo ad arrabbiarmi. «Ma in questo momento non ho nessuna voglia di essere usata da te per costruire il profilo di mia nipote.»

«Kay» la sua voce si ammorbidi, «vorrei che tutto questo non fosse vero, proprio come lo vorresti tu. Ma sono la persona che l'ha raccomandata all'ERF, quello che si sta battendo per farla assumere dopo il diploma all'UVA. Come credi che mi senta?»

«Dev'esserci un'altra spiegazione.»

Wesley scosse la testa. «Anche se qualcuno avesse scoperto il NIP di Lucy, non sarebbe potuto entrare lo stesso perché il sistema di identificazione biometrico avrebbe richiesto la sua impronta digitale.»

«Allora voleva farsi beccare» sentenziai. «Lucy sa meglio di chiunque altro che irrompere in file riservati significa lasciarsi dietro delle registrazioni orarie dei log-in e log-out, la lista delle operazioni eseguite e chissà quante altre tracce.»

«Sono d'accordo con te. Lo sa meglio di chiunque altro. Ed è proprio questa la ragione per cui è così importante scoprire il movente. In altre parole: cosa stava cercando di dimostrare? A chi stava cercando di nuocere?»

«Cosa succederà adesso, Benton?»

«L'OPR istituirà un'indagine ufficiale» rispose, riferendosi all'Ufficio responsabilità professionali del Bureau, l'equivalente degli Affari interni in un dipartimento di polizia.

«E se viene riconosciuta colpevole?»

«Dipende. Se saremo in grado di stabilire che ha rubato qualcosa, si tratterà di un vero e proprio crimine.»

«E in caso contrario?»

«Anche qui, dipende dalle conclusioni a cui giungerà l'OPR. Ma credo di poter già affermare che, come minimo, Lucy ha violato i nostri codici di sicurezza, e tanto basta per cancellare ogni sua prospettiva futura all'interno dell'Fbi.»

Avevo la bocca così asciutta da non riuscire quasi più a parlare. «Ne uscirà distrutta.»

Gli occhi di Wesley erano velati dalla stanchezza e dalla delusione. Sapevo quanto amasse mia nipote.

«Nel frattempo» proseguì tuttavia, nel tono piatto che avrebbe usato per affrontare qualsiasi altro caso, «non può restare a Quantico. Le hanno già comunicato di preparare i bagagli. Magari potrebbe trattenersi da te a Richmond finché l'indagine non sarà conclusa.»

«Certo, però sai benissimo che io non ci sarò sempre.»

«Non la stiamo mandando agli arresti domiciliari, Kay» ribatté lui, e per un istante il suo sguardo si riscaldò, lasciandomi intravedere uno scorcio di ciò che silenziosamente si agitava nelle sue oscure profondità.

Si alzò.

«Tornerò a casa questa sera stessa» dissi, alzandomi a mia volta.

«Spero che tu stia bene» disse Benton, e io capii a cosa si riferiva, pur essendo consapevole che in quel momento non potevo nemmeno pensarci.

«Grazie» risposi, mentre una tempesta agitava i miei neuroni nella sanguinosa battaglia che si era appena scatenata dentro di me.

Quando la raggiunsi nella sua stanza, poco più tardi, Lucy stava disfacendo il letto.

«In cosa posso aiutarti?» le chiesi.

Infilò le lenzuola in una federa. «In niente» rispose. «È tutto sotto controllo.»

La sua camera era arredata con gli istituzionali due letti singoli, le scrivanie e le sedie in quercia impiallacciata. Rispetto agli standard yuppie, le stanze dei dormitori del blocco Washington erano spaventose, ma per essere degli alloggiamenti militari non erano poi così male. Mi domandai dove fossero le compagne di Lucy e se erano già state messe al corrente dell'accaduto.

«Magari da' un'occhiata nell'armadio per vedere se ho preso tutto» disse. «Il mio è quello a destra. E controlla i cassetti.»

«È tutto vuoto, a parte gli appendiabiti, ma non so se sono tuoi. Questi con le spalle imbottite, intendo.»

«Sono della mamma.»

«Allora immagino che tu li voglia.»

«No. Lasciali pure qui per la prossima idiota che finisce in questo cesso.»

«Lucy» la pregai, «non è colpa del Bureau.»

«Non è giusto.» Si inginocchiò sulla valigia per chiuderla. «Che ne è del principio di presunta innocenza fino a prova contraria?»

«Legalmente, sei innocente fino a prova contraria. Ma finché non chiariranno com'è avvenuta la violazione della sicurezza, non puoi criticare la decisione dell'Accademia di sollevarti da qualsiasi incarico all'interno di aree riservate. Inoltre, non ti hanno arrestata: semplicemente ti è stato chiesto di allontanarti per un po'.»

Si girò a guardarmi, con gli occhi stanchi e arrossati. «Per un po' significa per sempre.»

Quando in macchina le feci alcune domande più dettagliate, la vidi oscillare tra lacrime di commozione e focose impennate che bruciavano tutto quanto era a portata di mano. Poi si addormentò, e io non avevo ancora saputo niente di nuovo. Cominciò a piovere; accesi i fari antinebbia e mi accodai alla lunga fila di luci di posizione che si snodava sulla striscia d'asfalto. Di quando in quando, in corrispondenza di curve e avvallamenti, le nuvole e l'acqua si trasformavano in un muro che mi impediva di vedere a un metro dalla macchina. Ma invece di fermarmi e aspettare che il rovescio si esaurisse, scalavo la marcia e continuavo a guidare il mio guscio mobile di noce, acciaio e morbida pelle.

Ancora non mi spiegavo bene per quale motivo avessi comprato una Mercedes 500E; sapevo solo che, dopo la morte di Mark, mi era sembrato importante poter salire a bordo di un'auto nuova. Forse era per via dei ricordi, poiché sulla mia macchina precedente ci eravamo molto amati e altrettanto disperatamente avevamo lottato; o forse era solo che con il passare degli anni la vita per me diventava sempre più dura, e avevo bisogno di più potenza per andare avanti.

Svoltando in Windsor Farms, il vecchio quartiere di Richmond dove abitavo, fra imponenti dimore in stile georgiano e Tudor nei pressi del fiume James, udii Lucy stiracchiarsi. La luce dei fari illuminò i minuscoli catarifrangenti fissati alle caviglie di un ragazzino sconosciuto che andava in bicicletta, quindi superai un'altra coppia di sconosciuti che camminavano mano nella mano portando a passeggio il cane. Gli alberi della gomma avevano scaricato nel mio giardino un'altra montagna di semi spinosi, sulla veranda erano ammucchiati alcuni giornali arrotolati e i bidoni dei rifiuti si trovavano ancora vicino al ciglio della strada. Mi bastava una breve assenza per sentirmi una perfetta estranea, e perché la mia casa sembrasse totalmente disabitata.

Mentre Lucy portava dentro le valigie, accesi il fuoco nel camino della sala e misi su un bollitore per il tè. Per un po' rimasi seduta da sola davanti al caminetto, ascoltando la colonna sonora del trasloco di mia nipote, lo scroscio della doccia e altri rumori non meglio identificati della sua presenza. Ci aspettava una discussione che riempiva entrambe di sgomento.

«Hai fame?» le chiesi, quando finalmente la udii varcare la soglia del soggiorno.

«No. Hai una birra?»

Dopo una breve esitazione, risposi: «Nel frigorifero del bar».

Rimasi in ascolto qualche altro minuto, senza voltarmi; sapevo che, se avessi alzato gli occhi, l'avrei vista solo come io desideravo che lei fosse. Mentre sorseggiavo il tè chiamai dunque a raccolta tutta l'energia necessaria per fronteggiare quella ragazza bellissima e brillante con cui avevo in comune misteriosi segmenti di codice genetico. Dopo tanti anni, era ora che ci incontrassimo veramente.

Mi raggiunse vicino al camino e sedette sul pavimento, appoggiandosi contro il bordo in pietra e bevendo a canna dalla bottiglia di Icehouse. Aveva indossato senza chiedermi il permesso una tuta sfacciatamente colorata che usavo nelle ormai rare occasioni in cui riprendevo in mano la racchetta da tennis; per il resto, era a piedi nudi e si era tirata indietro i capelli. In quel momento mi resi conto che, se non l'avessi conosciuta di persona e mi fosse passata di fianco per strada, mi sarei girata a guardarla, e non solo per il suo corpo e il suo viso. In Lucy si intuiva una spigliatezza di comunicativa e di portamento davvero eccezionale: sembrava che per lei tutto fosse facile, cosa che in parte spiegava il suo scarso numero di amicizie.

«Lucy» esordii, «aiutami a capire.»

«Mi hanno incastrata» disse, bevendo un sorso di birra.

«Se è così, in che modo?»

«Che vuoi dire, se?» Mi guardò intensamente, mentre gli occhi le si riempivano di lacrime. «Come puoi pensare anche solo per un istante... Oh, merda. Tanto a che serve?» Distolse lo sguardo.

«Se non mi dici la verità non posso aiutarti» risposi, alzandomi quando decisi che in effetti nemmeno io avevo molto appetito. Andai al bar e mi versai uno scotch con ghiaccio.

«Partiamo dai fatti» proposi, tornando a sedermi nella poltrona. «Sappiamo che qualcuno è penetrato nell'ERF verso le tre del mattino di martedì. Sappiamo che per fare questo sono stati usati il tuo numero di identificazione personale e l'impronta del tuo pollice. Inoltre, il sistema ha documentato anche che questa persona - la quale, ripeto, ha il tuo NIP e la tua impronta digitale - ha aperto numerosi file riservati. Il log-out registra le quattro e trenta precise.»

«Mi hanno incastrata» ripeté Lucy.

«Dove ti trovavi, in quel momento?»

«Dormivo.» Scolò nervosamente il resto della birra e si alzò per prendere un'altra bottiglia.

Dal canto mio centellinavo il bicchiere di scotch perché non si può proprio buttare giù di corsa un Dewar's Mist. «Pare che certe notti il tuo letto sia rimasto vuoto» dissi in tono calmo.

«Ah, sì? Be', non sono affari che riguardano nessuno.»

«Invece sì, e lo sai benissimo. La notte in cui si sono svolti i fatti eri o non eri nel tuo letto?»

«In quale letto dormo, quando e dove, sono affari miei ed esclusivamente miei» ribadì.

Tacemmo entrambe per un istante, mentre io la rivedevo seduta sul tavolo da picnic, nell'ombra della sera, il suo viso brevemente illuminato da un fiammifero nelle mani di un'altra donna. La risentii parlare all'amica e di colpo compresi il carico di emozione nella sua voce: anch'io conoscevo bene il linguaggio dell'intimità, e sapevo riconoscere la voce di una persona innamorata.

«Dove ti trovavi esattamente la notte in cui l'ERF è stato violato?» le chiesi di nuovo. «O forse dovrei dire, con chi ti trovavi?»

«Io a te non lo chiedo mai.»

«Lo faresti, se servisse a risparmiarmi un mucchio di guai.»

«La mia vita privata non conta.»

«No, quello che temi è il rifiuto» dissi.

«Non so di cosa stai parlando.»

«L'altra sera ti ho vista nell'area dei picnic. Eri con un'amica.»

Distolse lo sguardo. «Così adesso mi spii anche.» Le tremava la voce. «Be', non sprecare prediche con me, e scordati il senso di colpa cattolico perché io non ci credo.»

«Non ti sto giudicando, Lucy» dissi, anche se in un certo senso lo facevo. «Aiutami solo a capire.»

«Tu stai sottintendendo che sono anormale o che vado contro natura, altrimenti non avresti nessun bisogno di capire. Verrei accettata per quella che sono senza doverti nessuna spiegazione.»

«La tua amica può testimoniare dove ti trovavi martedì notte alle tre?»

«No.»

«Capisco» commentai, e da parte mia accettare la sua posizione significava ammettere che la ragazza che conoscevo io non esisteva più. Non conoscevo questa nuova Lucy, e mi domandavo cos'avessi sbagliato con lei.

«Adesso che cosa farai?» mi chiese, mentre i minuti trascorrevano con sfibrante lentezza.

«Ho un caso da seguire nel North Carolina. Credo che dovrò trascorrere parecchio tempo laggiù.»

«E il tuo ufficio?»

«Se ne occupa Fielding. Domattina però devo presentarmi in tribunale, credo. Anzi, sarà meglio che chiami Rose per sapere a che ora.»

«Di che caso si tratta?»

«Omicidio.»

«Be', questo lo immaginavo. Posso venire con te?»

«Se vuoi.»

«O forse sarebbe meglio che tornassi a Charlottesville.»

«A fare che?» chiesi.

Lucy aveva l'aria spaventata. «Non lo so. E non so nemmeno come andarci.»

«Usa pure la mia auto, quando non ci sono. Altrimenti potresti andare a Miami fino alla fine del semestre, e poi rientrare all'UVA.»

Buttò giù l'ultima sorsata di birra e si alzò, i suoi occhi erano nuovamente lucidi di lacrime. «Dai, ammettilo, zia Kay. Tu pensi che sia stata io, vero?»

«Lucy» risposi onestamente, «non so che cosa pensare. Le prove dicono una cosa, e tu ne dici un'altra.»

«lo non ho mai dubitato di te.» Mi guardò come se le avessi appena spezzato il cuore.

«Sarei felice se tu trascorressi qui il Natale» dissi.