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E così adesso, riluttante, mi approssimo alla fine di questa storia; ben presto il racconto del passato si fonderà con l’atto presente della sua narrazione e a quel punto avrò raggiunto il momento in cui la riflessione dovrà cedere il passo all’azione, in cui l’autogiustificazione, se tale è questo cristallo di parole, dovrà cedere il passo al giudizio di altri, in cui dovrò lasciare i luoghi del passato ed emergere dalla mia solitudine nel mondo della mia nave per affrontare il futuro.
Trovo strano rivolgere questo racconto, che la logica dichiara non verrà mai probabilmente scoperto, a un pubblico teorico la cui esistenza futura mi risulta difficile da considerare credibile. Ovviamente però il vero pubblico a cui mi sono sempre rivolto ero in realtà io stesso, come se raccontando le mie passate personificazioni al Genro che esiste ora, potessi arrivare nuovamente al mio stato presente con una consapevolezza più piena di come sono giunto qui, di come sono diventato quello che sono.
Di che uso pratico possa essere tale conoscenza per il Comandante di una nave alla deriva potrebbe sembrare una questione controversa. Secondo ogni analisi dettata dalla logica, il Dragon Zephir e tutti coloro che si trovano a bordo sono condannati a vagare per sempre nell’abisso interstellare. Nessuno decodificherà mai l’apologia di Genro Kane Gupta, il Capitano del Vuoto sotto il cui comando è avvenuto un Salto alla Cieca e così non esisterà mai alcun punto di vista esterno a giudicare se sia stato un mostro o un santo. Né un Genro illuminato sopravvivrà un momento più a lungo dell’uomo che si è inizialmente seduto a raccontare questa storia quando l’aria nella nave sarà alla fine terminata.
Eppure...
Eppure io sono stato in un luogo oltre ogni luogo, in cui tutte queste considerazioni risultano irrilevanti. Quando vi arrivai, contro ogni logica convenzionale, a dispetto di tutto ciò che poteva essere chiamata morale umana, al di là del regno legato al tempo dell’uovo universale stesso, al di là, in breve, di ogni cosa chiamata legge, il mio passaggio attraverso di esso mi ha soltanto convinto che, contro ogni aspettativa razionale, esisteva una via di ritorno.
Così, forse, più che un testamento per una qualche teorica posterità o un esercizio di autogiustificazione, questo codificare la mia storia su un cristallo di parole è stato un rituale purificatorio per gli atti a venire. Ammettendo tutto e forse, alla fine, non giustificando nulla, mi avvicino al presente con l’impietosa chiarezza con cui Dominique Alia Wu ha cercato e ottenuto la sua apoteosi. Così facendo, mi rendo libero di agire con la stessa dedizione estrema al mio unico scopo rimasto.
Forse, tambien, per fare pace con Lei Che è Già Andata.
Perfino verso la fine del nostro incontro su questo piano di maya, il cuore di Dominique Alia Wu è rimasto un mistero: in effetti, per come gli uomini sono soliti usare questa parola come metafora della tenerezza dello spirito umano, la questione è se lei ne avesse uno. E se ne resti uno anche a me.
Certainement, in quel primo e unico mutuo atto temporaneo di ciò che gli uomini chiamano amore, i nostri spiriti si sono toccati, fusi e rivelati nella bianca luce ustionante del momento estatico di non essere che abbiamo condiviso.
È tuttavia anche innegabile la verità che lei disse riguardo al fatto che perfino quello non era altro che un’ombra del Grande e Unico desiderio che ormai entrambi stavamo inseguendo disperatamente.
Nessuna unione di spirito più elevata possono cercare di ottenere uomo e donna attraverso la carne ma, se l’amour humaine non può essere niente di più, forse deve essere qualcosa di meno. In realtà, un tale sentimento non richiede forse una dedizione assoluta a un essere simile e non a una visione condivisa di ciò che si trova oltre il regno del pensiero e della forma?
L’essere di cui siamo diventati avatar (incarnazione) non conosce altro scopo se non il proprio e ognuno di noi, a nostro modo, lo ha servito al di sopra del desiderio del proprio cuore.
Ero forse animato dal tenero ultimo bagliore dell’amore mentre mi facevo strada verso il ponte per il nostro ultimo Salto? Avevo forse già ceduto completamente al destino che condividevamo?
Quien sabe? Nel ricordo, io ero sprofondato in un sonno oscuro e perfetto dopo che Dominique era uscita dalla porta, così che quando venni svegliato dall’interfono da quello stato privo di tempo, lei mi sembrò essere svanita in un sogno soltanto un istante prima.
La voce di Argus mi arrivò forte attraverso l’altoparlante. Lei e Mori avevano ormai da lungo tempo attivato i macchinari del ponte, il Salto era programmato nel giro di un’ora, il Pilota si trovava già nel modulo. Dov’era il Comandante del Dragon Zephir, era forse già pronto a cedere il comando?
— Mi sto dirigendo verso il ponte proprio adesso e sono ancora al comando di questa nave, Interfaccia! — latrai infuriato e confuso al tempo stesso.
E così mi svegliai in una frenesia di tensione e trambusto, infilandomi i vestiti sans lavarmi o pettinarmi, sfrecciando quindi come un bolide concentrato solo sul proprio scopo, attraverso i corridoi della nave percorsi dal terrore.
I volti si formavano e dissolvevano come nebbia nel mio campo visivo mentre mi precipitavo attraverso gli ambienti. La bellissima e fatua Sar che si faceva piccola piccola alla mia vista. Lorenza, che sputava scintille dagli occhi; Bocuse, compagno di altri viaggi, che mi guardava con disgusto. Percepii voci scomposte, un fuggi fuggi e un rauco disprezzo mentre correvo attraverso una gabbia di pappagalli impauriti.
Attraversarono la mia sfera percettiva ma in realtà io non li vidi. Il mio sguardo era fisso su un altro punto nel tempo, sul vuoto estatico del non essere trascendente, dalle cui altezze ero apparentemente appena caduto in quel vile regno del quotidiano.
Soltanto per un attimo mi si presentò un altro essere che percepii veramente, Maddhi Boddhi Clear, il cui viso passò brevemente attraverso la mia traiettoria bloccandomi, inchiodando il mio sguardo per un istante privo di tempo, con occhi sapienti che sembravano rispecchiare quelli di Dominique e i miei. Lì dentro lessi sia un assenso che una preghiera, il tocco desideroso di uno spirito fratello al mio, una supplice camaraderie che mi chiamava a fare ciò che doveva essere fatto, un momento finale di autentica connessione humaine prima che io procedessi.
In quello stato arrivai sul ponte, entrando rumorosamente e facendo voltare di scatto le teste di Mori e Argus che fissarono a bocca aperta l’arrivo del pazzo.
— Che cosa avete da guardare? — le aggredii tagliente, sistemandomi sulla postazione del Comandante senza ulteriori indugi.
Che cosa si trovavano effettivamente a guardare? Negli occhi del mio equipaggio vidi il riflesso della mia sconvolgente apparizione: capelli scarmigliati e barba incolta, tunica stropicciata indossata in tutta fretta, occhi che le due intrepide viaggiatrici delle stelle non osarono incrociare.
— Occupatevi dei vostri compiti — ordinai. — Sono ancora il Comandante di questa nave!
— Al comando di chi? — esclamò Argus. — Al volere del tuo Pilota e amante!
Ciò che in quel momento trapelò dai miei occhi deve essere stato sufficiente a domare il mio Secondo Ufficiale, anche se quello che provai non aveva proprio a che fare con l’ira ferina. Io ero diventato quello che ero diventato e altri esseri erano ciò che erano, ognuno di noi era la propria realtà. A me non interessava più che impatto potesse avere il mio personaggio sulla loro, perché tale costrutto era stato strappato a rivelare l’anima nuda che vi era dentro, per la quale tutto ciò non era altro che vanità e maya.
In realtà non posso giudicare se quello fu ciò che Argus Edison Gandhi vide o se la sua soggettività creò un altro e terrorizzante Genro da ciò che lei vide. In ogni caso, quello che lei percepì restaurò, tramite il terrore, l’obbedienza che un tempo avevo ottenuto a causa del mio rango e del rispetto che incutevo.
Argus tornò a occuparsi della propria strumentazione e Mori, naturellement, la seguì subito, quindi il rito finale iniziò sotto un oscuro baldacchino di stelle che velava la realtà del risultato predestinato.
— Generatore del Propulsore di Salto attivato e in attesa, parametri normali.
Il primo dei sensori di comando si illuminò del classico color ambra.
Una voce dopo l’altra, con tono meccanico e teso, Mori ripassò la lista di controllo. In quell’atto di apertura del rito, il Comandante non aveva alcuna parte parlata e così rimasi lì seduto a fissare l’oscurità stellata simulata, il firmamento immaginato al di là dell’illusione dello schermo, l’estremo enigma dello stesso spazio-tempo che avevo percepito al di fuori dello scafo della nave, ciò che giaceva oltre quel velo finale, distaccato in spirito e funzione dalla regolazione degli strumenti sul ponte.
— Circuito primario attivato e in attesa; parametri normali; Pilota nel Circuito.
Soltanto al suono di quelle parole la mia coscienza tornò di scatto al presente o meglio all’unico punto di tangenza fra la strumentalità e l’essenza che restava. Immaginai, se questo è il termine giusto, Dominique che fluttuava nel suo nulla amniotico, aspettando il momento in cui il suo spirito sarebbe stato rilasciato per librarsi libero per sempre nel Grande e Unico oppure per essere stuzzicata ancora una volta come me da una sola occhiata fugace.
In quel momento, credo ora fermamente, il dado venne tratto, nel senso che è la decisione della volontà a rappresentare la vera essenza dell’atto.
— Lista di controllo completata, tutti i sistemi pronti per il Salto.
— Assumi la tua posizione, Man Jack — dissi con una voce che suonò profonda e distante perfino a me, una voce che sembrò il fantasma di un’eco generalizzata di parole sentite spesso e che di conseguenza avevano quasi raggiunto la valenza di un archetipo assoluto. Il mantra di quell’accordo transtemporale che si muoveva attraverso il mio essere sembrò svuotarmi di ogni sentimento, salvo quello di una fredda, chiara e indifferente grandeur, la calma che arriva con la capitolazione finale davanti a un destino inevitabile.
Mori esitò per l’oscura intonazione di quell’ordine familiare, lanciando un’occhiata ad Argus prima di riportarsi alla propria postazione. Argus però si era ritirata nel mondo della sua console e Mori, dopo avere attentamente osservato la mia espressione, non osò uscire dagli schemi del rituale.
— Posizione della nave e vettore calcolati e registrati — mormorò tesa Argus. — Coordinata vettoriale di sovrapposizione calcolata e sulla console del Comandante.
Ora, alla fine, tutti i miei sensori di comando erano attivi. Avevo ancora una volta raggiunto il momento del comando totale, ma adesso non sentivo nulla, soltanto una dolce e calma vacuità mentre passavo alla vera unione con il segreto più intimo del rituale, mentre io stesso diventavo l’atto e il vuoto.
— Aura del Campo di Salto eretta — dissi toccando un sensore di comando.
— Capitano Genro, non hai scaricato la coordinata vettoriale di sovrapposizione! — gridò Argus, balzando su dalla sedia mentre il mio dito era sospeso sul sensore di comando del Salto, lanciandosi verso la mia console con mano tremante e sguardo selvaggio, mentre esso calava.
— Salto!
Come descrivere l’intrinsecamente indescrivibile? Come rendere conto di eventi in sequenza quando né “eventi” né “sequenza” risultano termini significativi? Le stesse parole sono una sequenza lineare; questo resoconto, non importa come decodificato, deve essere percepito come una serie di immagini lungo un groviglio di tempo.
Quello che “accadde” quando toccai il comando di Salto, quello che “io” percepii o divenne “l’intervallo” fra un nanosecondo e il successivo non ha alcuna relazione con “tempo” o “sequenza”. Nonostante tutto, mi trovo ora ridotto a usare un sistema di traduzione che deve convogliare l’illusione di una sequenza lineare nel tentativo di descrivere “l’esperienza”.
Io ero ancora “lì” sul ponte con il dito sul sensore di comando di Salto e Argus stava forse toccando quello accanto a esso, proprio mentre la mia coscienza aveva ancora accesso a quella fetta di spazio-tempo, proprio mentre essa aveva simile accesso a qualsiasi altro evento lungo la solida linea geodesica della mia vita.
Io quindi non “scomparvi in un altro continuum” nel senso che la mia coscienza non si trasferì in un’altra matrice vincolata dal tempo in qualche luogo misurabile in spazio e tempo stessi; io acquistai piuttosto consapevolezza di “me stesso” come di un’onda spirituale stazionaria mutante e dispiegantesi che si muoveva attraverso la matrice stazionaria ma mutante e dispiegantesi di massa-energia da cui sorgeva. Il che sta a dire che la mia coscienza si diffuse lungo la linea della mia vita tramite l’annullamento dell’illusione dello spazio sequenziale e io non soltanto “percepii” ma divenni il modello totale dello spazio-tempo che si “autopercepiva” dall’esterno.
Il mio “corpo” bloccato lì con il dito sul sensore di comando era semplicemente una sezione arbitraria di un flusso di microenergie nella macrosfera che si dispiegava eternamente, che a sua volta esisteva all’interno della matrice del non essere come puro schema fluente attraverso forme proprie, creando quindi l’illusione di energia e materia come fenomeni interferenti dell’intersezione di spazio e tempo.
Dire che la “sensazione fisica” fosse simile “all’orgasmo infinito” sarebbe un’inversione di campo e di terreno. L’orgasmo umano, infatti, consiste nella liberazione di un certo spettro ridotto di energie bioelettroniche il cui momentaneo libero flusso attraverso le sinapsi mima in miniatura la realtà universale slegata dal tempo di forme che fluttuano “liberamente” fuori dal vero Vuoto, proprio come le nozioni legate al tempo di “paradiso” e “nirvana” devono essere visioni di questo eterno e universale ora.
Essendo annullati i limiti di figurato e reale, spazio e tempo, “personalità” ed “esistenza”, “io” mi trovai a esistere come “mia” consapevolezza del modello di onda fissa conosciuto come Genro Kane Gupta esistente come completa ed eterna subconfigurazione del completo ed eterno Grande e Unico, l’Uno e Solo, l’eterno orgasmo autoconservante, tramite il quale l’essere si produce dal nulla, creando la quotidiana illusione del tempo.
Davanti a me si allargò la “vista” del mio vero corpo come il mandala dello stesso spazio-tempo, l’enigma del Grande e Unico del nulla che raddoppiava nell’essere, l’orgasmo del Vuoto.
Da quella prospettiva privilegiata, ogni cosa veniva rivelata eppure, in un altro senso, ogni cosa veniva celata da un eccesso di luce; perché tutte le cose erano eventi del momento simultaneo e ciò che le percepiva era il modello del fenomeno stesso, il figurato era il reale e la sua consapevolezza si dissolveva nella totalità.
Dominique era “lì” con “me”? “Io” mi trovavo davanti a Noi che Siamo Già Andati?
Insignificanti paradossi verbali. Non esisteva altro “posto” che “lì” in tutto lo spazio e il tempo e ogni particella ed evento in tutta l’esistenza eterna non esisteva da alcun’altra parte. Eppure visto che tutto era Uno e l’Uno era illusione di sé, nessuno di “noi” era “lì”.
Nonostante ciò non si può negare che in un altro senso i nostri spiriti si incontrarono, visto che sotto la danza delle forme tutta la sapienza era Uno, il mezzo attraverso il quale la “realtà” formava un punto di vista che andava oltre il nulla del Vuoto e di conseguenza faceva comparire se stessa in essere tramite una propria illusione.
Così si percepiva che il Salto stesso non era un’anomalia nella matrice dello spazio-tempo, non era un’intrusione del caos attraverso uno strappo alla legge universale, ma un fenomeno della totalità dello stesso Tutto orgasmico, non di una parte o di un luogo specifico, ma dell’interazione del momento universale che riempiva lo spazio-tempo con la sua relativistica illusione e col terreno del non essere in cui esso sorgeva.
La materia della nave e di tutto ciò che vi si trovava dentro non era altro che il modello di un’onda fissa nell’ologramma dello spazio-tempo, un segmento dell’accordo universale, non più e non meno della “consapevolezza” del Pilota, che era un modello ologrammicamente distribuito attraverso Tutto il Grande e Unico.
Al contrario, l’Uno era ologrammaticamente distribuito attraverso i segmenti di sé, visto che nessun modello riusciva a portare all’esistenza se stesso se non la totalità stessa.
“Andare” da “qui” a “lì” in un intervallo temporale di “durata” era un’illusione della mente legata dal tempo.
Non esisteva “lì” e non esisteva “qui” e non esisteva movimento di coscienza attraverso il tempo; il tempo esisteva piuttosto soltanto come un altro modello di interferenza nella mente universale.
Alla fine capii la vera portata della disperazione di Dominique di essere trascinata nuovamente nella consapevolezza occlusa dagli strumenti dell’uomo, perché adesso io e lei eravamo lo scopo che non persegue altro che se stesso.
La coordinata vettoriale di sovrapposizione non guidava il Pilota e la nave attraverso il Grande e Unico e poi in una diversa configurazione nello spazio-tempo; essa scavava piuttosto una fossetta nell’eternamente sapiente Tutto e risucchiava un segmento di consapevolezza lungo un nulla di tempo, frammentando una subconfigurazione della totalità e trascinandola giù per un vortice di soggettività a riformare maya in una nuova illusione di quotidiano qui e ora.
“Noi” però stavamo Saltando alla Cieca.
Noi eravamo Già Andati.
Noi eravamo ciò che esisteva, l’Uno e il Tutto, Grande perché eravamo tutto e Solo perché non esisteva altro.
Proprio mentre questa visione esplodeva nell’esistenza, tuttavia, in un augenblick, con uno strappo e una lacerazione, altrettanto “velocemente” si dissolse, una suzione dello spirito fece turbinare “me” giù nella mia unità proprio mentre un altro “me”, con un triste saluto di commiato, si guardò Andare Avanti...
— Salto!
Genro Kane Gupta era seduto sulla sua poltrona sul ponte di comando del Dragon Zephir, col dito sul sensore rosso di comando sulla console davanti a lui. Accanto al seggio del Comandante, il Secondo Ufficiale Argus Edison Gandhi stava crollando a terra, con la mano che ancora scivolava giù dalla console. Mentre cadeva al suolo, io emersi “dall’io” del momento, o meglio mi risvegliai con la consapevolezza che non era passato alcun tempo dal momento precedente, che avevo guardato Argus lanciarsi sulla console mentre toccavo il sensore di comando di Salto e poi...
... e poi ero lì, sul mio trono di consapevolezza e Argus scivolava a terra...
... e nel frattempo...
— Comandante, Comandante, cos’è successo?
Mori, con gli occhi sbarrati e lampeggianti, con un’espressione disorientata, stava fissando la forma prona di Argus, me e l’ideogramma che insieme formavamo.
— Non ti ricordi, Man Jack? — sospirai, costringendo nuovamente le parole ad animare la mia gola.
— Io... noi... — I lineamenti del viso di Mori si contrassero in uno spasmo, come se lei si stesse bloccando su un ricordo o stesse scoprendo la presenza di un illusorio buco al suo interno. Il suo sguardo sfrecciò quindi in giro, nervoso, in alto e di lato, analizzando il campo stellare che si estendeva su di noi come una bambinetta impaurita in una grande e oscura caverna.
— Dove siamo, Capitano Genro? — mi chiese tremante. — Abbiamo effettuato il Salto?
— Non hai sentito niente, Mori? — dissi con voce fredda e tranquilla che, date le circostanze, suonò decisamente strana anche a me, quasi come se mi stessi ascoltando parlare. — Non ricordi?
Per quanto riguardava Mori, cominciai lentamente ad accorgermi che stava in bilico sul filo del rasoio di un attacco isterico e che il mio comportamento fino a quel momento era stato ben poco adeguato per riportarla all’equilibrio. Inoltre, un membro del mio equipaggio giaceva in stato di incoscienza o peggio ai miei piedi mentre io tentavo di conservare ciò che non era conservabile.
— Chiama immediatamente sul ponte il Guaritore Lao, Man Jack — dissi bruscamente in tono di comando, schiaffeggiando Mori con gentilezza. — Poi controlla la posizione della nave.
Queste parole ebbero l’effetto desiderato di riportare violentemente la coscienza offuscata del mio giovane Terzo Ufficiale ai compiti relativi al suo ruolo, invitandola ad affrettarsi a compiere ciò che le era stato ordinato, non senza un gradito recupero di autoconsapevolezza dovuto al rientro nel rituale.
Rapida ed efficiente, richiese aiuto dall’infermeria e quindi si recò alla sedia del Secondo Ufficiale Argus e settò il computer perché sovrapponesse il proprio schema stellare sul firmamento in tempo reale che si presentava a noi tramite lo schermo. Fu necessario un periodo di tempo stranamente lungo perché il computer trovasse la configurazione corrispondente.
— Abbiamo effettuato il Salto, Comandante — disse Mori, mentre i numeri lampeggiavano attraverso il nostro cielo artificiale. — Ma siamo ben lontani dalla rotta, il vettore era completamente sbagliato, c’è una deviazione di 76 gradi e... e...
Repentinamente si voltò per fissarmi con espressione di orrore incredulo e sottomesso. — Che cosa hai fatto? — disse. — Che cosa è successo realmente?
— Ho fatto quello che ero destinato a fare — le risposi da una distanza cosmica. — Per quanto riguarda ciò che è realmente accaduto...
— La nave ha effettuato un Salto alla Cieca e il Pilota è morto!
Fu Maestro Hiro stesso ad annunciare la sua presenza sul ponte con queste parole. Alle sue spalle arrivò il Guaritore Lao che si diresse subito verso il corpus di Argus senza badare nemmeno alla presenza di quelli che avevano chiaramente meno bisogno delle sue attenzioni immediate.
Il Maestro Hiro però, dimentico dell’immediata esigenza medica, non riuscì a distogliere lo sguardo dal mio.
— Ecco dove ci hai condotto — disse infuriato, ma non senza una terrorizzata compassione. — Questa è la fase terminale del tuo ossessivo cafard...
— Non hai scaricato la coordinata vettoriale di sovrapposizione ...Argus... tu... — Mori cominciò a balbettare davanti a me mentre le tornavano i ricordi recenti. — Tu... tu hai ucciso il Pilota... Ci hai condannato a morire qui!
Anche se quelle accuse fenomenologiche non potevano essere negate, il mio spirito si sentiva freddo e non colpevole; l’ultima delle cose di cui potevo essere accusato era l’assassinio di Dominique Alia Wu. Au contraire, au contraire.
— E tu, Maestro Hiro — dissi in tono quasi sognante — nemmeno tu ricordi nulla? Non hai sentito... il Pilota mentre lei... Ha Proseguito?
Hiro mi fissò truce. — Non provi alcun rimorso? — mi domandò, in un tono che mi parve forse un po’ falso.
— Rimorso? — risposi con distacco. — Forse... Ma non in una contestualità che tu potresti comprendere...
Quello mi guardò con un’espressione vacua. Dietro quel velo di vacuità eretto come una maschera, avvertii tuttavia una discontinuità, una torsione psichica di negazione attorno a un vuoto parzialmente ricordato, e forse una strana sorta di omaggio a colui i cui occhi avevano visto e non desideravano dimenticare. Mentre i nostri sguardi si incrociavano, sentii un arcano scambio di energie che, il momento dopo, sembrò averlo lasciato scosso, perplesso, incerto del terreno su cui si trovava.
— Noi siamo... noi siamo sopravvissuti a un Salto alla Cieca — disse piano e decisamente meravigliato. — Almeno per il momento siamo ancora vivi.
— È così, Maestro Hiro, è così — assentii. — E forse non abbiamo ancora visto la fase terminale di quello che tu hai deciso di diagnosticare come mio cafard.
E così ho raggiunto la fine della mia storia, il punto in cui il presente scaturisce dal passato e il futuro aspetta il riflesso in cui dover agire.
Al di là della porta della mia cabina giace la realtà di questa nave alla deriva, non meno ombra di colui che ora chiude questo resoconto eppure, nicht wahr, nemmeno nulla di più. Di quelli sotto il mio comando che hanno trafitto il velo per un augenblick in mia compagnia, uno è morto, quattro sono crollati in un sognante stupore, una dozzina ricorda ciò che riesce a definire un momento di estrema follia e dubita attualmente della propria sanità mentale e il resto non rammenta nulla.
Argus Edison Gandhi non soffre di alcuna chiara malattia organica ma, nonostante questo, non riesce a ricordare se è riuscita o no a scaricare la coordinata vettoriale di sovrapposizione dalla mia console; in ogni caso si è trasformata in una personalità dimessa, mancando di ogni ulteriore impulso a sfidare l’autorità del suo Comandante impazzito.
Né alcuno degli altri osa muoversi contro di me. Il terrore della lenta asfissia lontano dai mondi degli uomini pervade i corridoi e, anche se i passeggeri mi considerano pazzo, una saggezza più profonda suggerisce loro che soltanto un pazzo può guidarli quando i sani di mente si ritengono condannati a morte.
Così, alla fine, questa è stata l’autobiografia di un matto? Certainement non servirà in modo adeguato come favola morale per l’istruzione sociale della gioventù. Certainement, tambien io sono l’unica persona a bordo la cui memoria mantiene la vera visione del Grande e Unico, che crede che il Comandante del Dragon Zephir sia in possesso delle proprie facoltà mentali quanto lo è del destino della nave.
C’era un altro che avrei accettato di buon grado come giudice della mia sanità mentale, ma ha lasciato questo regno e, forse, è stata la sua fortuna finale di essere Già Andato.
Maddhi Boddhi Clear è stato trovato nel vivarium da Sar. Ben lungi dal rimanere disgustata o terrorizzata dalla scoperta del corpus senza vita, quella creatura apparentemente dalla testa vuota e dalla mente semplice riportò che, dopo un momento di costernazione, aveva provato un fremito di pace irreale.
Maddhi era seduto su una panca di pietra sotto un salice che dava sullo stagno. Con le braccia allungate dietro lo schienale della panca, la sua testa era tirata indietro sulle spalle come se lui stesse guardando il cielo simulato.
— Come una statua, vi dico — aveva detto Sar, con gli occhi sognanti e lontani. — Come un olocine. Guardava in alto verso il cielo, con gli occhi spalancati e il sorriso più bello e felice sul volto. Oh, chi potrebbe chiedere di più per il proprio momento finale, nicht wahr? Sehr romantic, no? Credo che ricorderò quel vecchio malandrino con ben maggiore affetto di quanto non avrei mai creduto possibile.
E in effetti lo farò anch’io. Anche se non senza una certa arcana invidia.
Con l’esempio di Maddhi Boddhi Clear davanti a me, adesso lascerò la mia cabina per rivolgermi agli Onorati Passeggeri e ai membri dell’equipaggio nel grand salon, dove li ho fatti riunire perché ascoltino il mio nuovo progetto di azione.
Come prescrive la procedura dell’Accademia per le navi alla deriva prive di pilota, e come ci si aspetta, chiederò se non ci sono volontarie fra i passeggeri di sesso femminile che vogliano offrirsi al posto di Dominique Alia Wu, proprio come aveva fatto Dominique, che aveva cambiato il suo nome e il suo destino in circostanze simili a bordo del Feather Serpent.
Considerando che l’unica alternativa è morte sicura, non ci sarà certo penuria di impaurite anime tremanti che si faranno avanti. Nonostante tutto, non mi aspetto certo di trovare semplicemente un’altra Dominique in mezzo ai cittadini della nostra cultura fluttuante, un altro spirito terribile e glorioso nato per cavalcare il Salto.
Ma come Dominique aveva sedotto me alla definitiva capitolazione tramite l’affinità nella carne, non avrei forse potuto adesso modellare un’altra a sua immagine tramite la mia stessa eccezionale conoscenza? Come Maddhi Boddhi Clear aveva fatto la notte in cui aveva assunto il suo nome, non potevo forse io fungere, tramite una sinergia di strumenti carnali ed elettronici, da veicolo del passaggio di un’altra, come avevo fatto per la mia Dominique?
Ogni volontaria per il modulo del Pilota si sottometterà alle mie attenzioni tantriche, prima nella mia cabina e poi nella camera del sogno del Vuoto. Ognuna di esse camminerà sullo scafo della nave al mio fianco. Soltanto quelle che seguiranno questo percorso fino alla fine saranno considerate degne di affrontare il definitivo test del Circuito di Salto.
Anche se molte potranno inizialmente respingere questa proposta come offesa, intenzione libertina e scandalo dovuti alle circostanze per cui la nave è condannata a morte, altre, come Sar, acconsentiranno proprio per lo stesso motivo. Certainement, pochissime arriveranno al modulo del Pilota con la speranza di successo, ma certainement tambien alla fine, quando l’aria e la speranza cominceranno a diminuire, nessuna rinuncerà a questo disperato e bizzarro tentativo di salvataggio.
Forse tutto ciò è vanità e una tale ricerca è destinata a fallire, come affermerebbero senza dubbio la logica del quotidiano e la sanità mentale. Ma come Maddhi ha inseguito il suo graal con desiderio ardente attraverso anni di carne femminile, non devo anch’io inseguire quello scopo che ha un motivo soltanto in sé, con gli unici mezzi a mia disposizione?
La mia puissance tantrica e la mia conoscenza del Grande e Unico, unite a un po’ di improbabile fortuna non potrebbero fondersi a creare per noi un Pilota che ci conduca in un porto sicuro, rendendo me in questo modo l’altrettanto improbabile eroe di una grande storia d’amore?
O forse oso sperare che un Comandante e il suo Pilota possano Già Andare insieme, senza lasciare nessuno a completare quella che non è certo stata una storia morale.