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Mal d’esprit, malaise sessuale, cafard, ossessione noir: così i maestri della guarigione avrebbero potuto tassonomizzare il mio stato mentale, mentre io e Lorenza ci dirigevamo su vie separate. Quelli meno inclini alla visione terapeutica e più inclini alla problematica morale, anche se non privi del senso di giustizia della tribù, mi avrebbero definito un vero sociopatico, un mostro di anomia faustiana.

Chez moi, io mi sarei certamente dichiarato colpevole rispetto a tutte quelle cose, allora come adesso. L’essermi allontanato dalla speranza di ottenere soccorso dirigendomi verso il cuore più oscuro della stessa ossessione era certamente stato un atto volontario di mia scelta.

Eppure, allora come adesso, alla malefica fine di questa curva geodesica del fato da me stesso scelto, non riesco ancora a negare un certo orgoglio segreto per avere privilegiato la visione absolute rispetto alla quotidiana vie humaine.

Voila, ho alla fine permesso a questa terribile verità di passare dal mio coeur auto-occluso al cristallo di parole di questo resoconto dove tutti possono vederla, anche se l’unica anima che potesse mai leggere questa nuda verità dovesse essere soltanto la mia!

Pensate di me ciò che volete, consideratemi, come fece Lorenza, un folle carico di orgoglio innamorato della propria malaise; quando lasciai quella camera del sogno che rappresenta il vuoto, non desideravo più lo status quo precedente, la perduta innocenza del mio ruolo di Comandante, ma colei che mi aveva condotto negli oscuri recessi di questo cafard... in effetti, l’espressione orgasmica dello stesso vuoto.

Ma anche se era cambiata un’era nell’augenblick della camera del sogno, nel regno della carne e del tempo era passata a malapena un’ora dal Salto e Dominique giaceva ancora in coma nell’infermeria, lasciando me a vagare per la nave come l’Olandese Volante dell’antica tradizione lirica, un capitano fantasma perduto in un regno ombra.

Le ore passarono in una nebbia. Lorenza era andata nell’environ (ambiente) del grand salon; di conseguenza io riparai al ponte intrattenimenti, dove non ci saremmo trovati, dove gli incontri con gli Onorati Passeggeri e l’equipaggio potevano tranquillamente venire ridotti alla silente e comune passività dell’attività di spettatori. Lì assistetti alla performance di un sestetto di archi elettronici, a un olocine in modalità kabuki, a una danza di spade e fuoco, a un triangolo erotico e a un concerto di spontanee odi musicali.

O meglio, scivolai dall’uno all’altro, sorseggiando da questo e da quello senza mai bere nulla fino in fondo; note e movimenti, costumi e gesti, parole e viste si fusero in un’astrazione frammentata delle arti humaine, nella frenetica danza dello spirito in gabbia attraverso le forme di maya, quanto meno così mi sembrò in quello stato di stordimento vincolato dal tempo.

Le torce fiammeggianti che passavano di mano in mano formando archi, il serico rotolare di carne su carne, le corde tirate che vibravano di parole umane, i gesti simulati di paura, amore e rabbia, la grazia matematica di corpi che si muovevano attraverso lo spazio... tutto pareva rivelarsi come ombre del vuoto, il pauvre panoply (povero sfarzo) del tentativo dell’uomo di trascendere l’universo dello spazio e del tempo attraverso la purezza transmateriale della forma astratta.

Eppure al di là di quella nobile espressione di arte umana, la più alta espressione degli sforzi del nostro spirito di trascendere il regno di tempo e forma, giaceva ciò che non poteva essere compreso dall’artificio dell’uomo. Dal nulla siamo nati, verso il nulla andiamo: l’universo che conosciamo non è altro che il vuoto che si ripiega su se stesso e la forma non è altro che il velo finale dell’illusione.

Tocchiamo ciò che giace oltre, soltanto in quei rari e fugaci momenti in cui la realtà della forma si dissolve... attraverso le molecole e le cariche, la perfezione della trance meditativa, la perdita orgasmica dell’ego, i picchi trascendenti dell’arte e forse l’istante della morte.

Vraiment, non sono forse la storia dell’uomo dai dipinti nelle caverne alla nostra attuale era stellare, le nostre scienze e arti, le religioni e le filosofie, le culture e i nobili sogni, gli atti eroici e quelli più oscuri niente altro se non la danza dello spirito attorno a quel vuoto centrale, lo sforzo di trascenderlo e la mortale paura di esso?

Soltanto ora, con i macchinari del Salto, tramite l’estrema espressione della padronanza della matrice cui il nostro spirito è legato, abbiamo alla fine spinto la nostra volontà al di là dei vincoli della massa-energia di maya in quel regno privo di forma.

Soltanto allora, mentre vagavo dalla chimera di un’interpretazione all’altra, ognuna tentativo di trascendere e illusione con cui negarlo, cominciai a comprendere l’esattezza del nome che i Piloti davano all’innominabile: il Grande e Unico, ciò che giaceva al di là perfino del nostro vuoto quotidiano.

Allucinazione? Ossessione? Anomia? Oppure la visione assoluta davanti alla quale i nostri spiriti indietreggiano? Non potevano costituire tutte la stessa cosa?

Dopo qualche tempo, passai da quel luogo delle arti al vivarium dove in precedenza il mio spirito era stato colpito da fitte di paura esistenziale. Lì, in compagnia di alberi irrazionali, di uccelli che volavano liberi, di insetti e di rane che passavano dallo stimulus direttamente alla risposta senza l’intervento intermedio della consapevolezza, speravo di perdermi nel mandala vivente dell’evoluzione di forme meno torturate.

Invece, per volere del fato, vi trovai il frequentatore più esotico dell’uccelliera humaine del Dragon Zephir, Maddhi Boddhi Clear, l’unico uomo a bordo la cui ossessione corrispondeva alla mia, una caricatura affine al mio spirito.

Era seduto da solo su una panca di pietra in parte sgretolata, e fissava il tramonto artificiale che stava rendendo più scuro l’illusorio rosa e viola del cielo, portandolo alla imminente apparizione del vuoto stellato, come se volesse catturare il momento in cui l’illusione si dissolveva nell’autentica visione della notte. Quel pesce pilota della cultura fluttuante sembrava perduto in privata contemplazione del suo regno segreto; mi sentii sia riluttante a intromettermi nella sua solenne meditazione sia attratto proprio dalla concentrazione che il suo volto mostrava.

Fu lui a rivolgermi la parola. — Ah, Capitano Genro, anche tu cerchi la vista delle nude stelle?

Restai un po’ sconcertato per quell’approccio che così si accostava al nucleo del mio umore segreto, così distante dal modo di parlare degli Onorati Passeggeri con il Comandante. — Quelle chose! — risposi. — Quando sono in servizio sul ponte le vedo anche troppo. Sono gli Onorati Passeggeri come te che possono trovare la vista esterna pictoresque, per non dire scoraggiante.

Egli mi fissò con i suoi occhi scuri. — Non mi scoraggiano — disse — anche se ammetto che i miei compagni viaggiatori tendono a lasciare questo luogo quando l’illusione cede alla fine il passo a una visione meno occlusa. Quanto meno sotto quell’aspetto trovo in te un fratello.

Infatti, mentre le ombre si allungavano e il sole inviava gli ultimi raggi color carminio attraverso il fogliame, mi accorsi che i passeggeri si affrettavano, un po’ a disagio, verso l’uscita, come gli uccelli diurni si ritiravano sulle cime degli alberi. Ecco Mori a braccetto con Rumi, che lanciava un’occhiata nella nostra direzione e restava a occhi sbarrati per il nostro incontro, mentre si faceva strada verso un sentiero nelle vicinanze.

— Non vuoi sederti qui vicino a me e veder venire fuori le stelle? — mi invitò Maddhi.

Esitai un istante, di certo la vista del Comandante del Dragon Zephir in compagnia di quel personaggio mistico sarebbe diventata argomento di conversazione, per non dire di pettegolezzi, all’interno della cultura fluttuante; non potevo tuttavia negare che provavo un certo desiderio di cercare consiglio presso di lui su questioni che altrimenti sarebbero rimaste inespresse.

Mentre ero lì, bloccato fra il mio vero desiderio e i vincoli sociali della mia figura di Comandante, avvistai Lorenza che camminava presso la riva del laghetto, con una serie di ammiratori dalle vesti sgargianti, raggruppati attorno. Diede casualmente un’occhiata dalla nostra parte e inarcò le sopracciglia, strizzò gli occhi e storse la bocca con un’aria di disgusto; si voltò, quindi, e disse qualcosa ai compagni che sollevò un cinguettio di risate e un malcelato e fugace lancio di occhiatine verso di noi, indubbiamente a mie spese.

Por que no? — risposi a Maddhi, in modo che anche Lorenza sentisse. Mi sedetti di fianco a lui, sbandierando la mia indifferenza davanti a tutti: se ero il responsabile della nave non lo ero forse anche della mia anima?

— Posso parlarti francamente? — domandai, un po’ scioccamente.

— Sarebbe difficile impedirtelo.

Ridemmo entrambi con allegria, anche se non privi di riserve.

— A parte gli scherzi, Comandante, credo di sapere già cosa vorresti chiedere e conosco la difficoltà di strutturare la domanda nei limiti della cortesia e del buon gusto. Permettimi di sollevarti dal problema: “Tu che sfoggi un nome così fiorito sei un pellegrino, un profeta o un impostore? Noi Che Siamo Già Andati ti parlano veramente nei sogni, in stato di trance e nella cuspide sessuale, o si tratta soltanto di una frode per convincere amanti, altrimenti poco disponibili, a un abbraccio troppo maturo?”.

Risi di nuovo, questa volta scaricando la tensione del disagio. — Non l’avrei messa esattamente così, ma...

— Ma vorresti che rispondessi, nicht wahr? — disse Maddhi con sguardo serissimo.

Io annuii in silenzio. Gli ultimi raggi obliqui del tramonto artificiale gli tinsero gli occhi di rosso sangue, scolpendogli i lineamenti con ombre in chiaroscuro; un gioco di luce, un cambiamento di voce e, tutto a un tratto, uno spirito più profondo sembrò parlare da quella figura un po’ teatrale.

— Se mi permetti, ti risponderò con la storia del mio nome. — Maddhi fissava l’oscurità mentre parlava come se non volesse assolutamente perdere il momento in cui l’illusione planetaria cedeva il passo alla vista dallo schermo del nudo vuoto. Forse anche quell’atteggiamento aveva un intento teatrale.

— Mi chiamo Maddhi Boddhi Clear; come certamente avrai immaginato ho scelto tutti e tre i nomi liberamente, lasciando il mio pedigree nelle nebbie di un passato da lungo tempo svanito. Non l’ho fatto in omaggio a qualche personaggio, ma al momento satorico che mi permise di mettere piede sul sentiero da me scelto.

“Nacqui moltissimo tempo fa su un pianeta che non nominerò. Basti dire che vivevo in povertà e che la frode fu il mio mezzo per sfuggire da essa; in gioventù, così come nella maturità, il mio charme fisico fu tenuto in grande considerazione sia da uomini che da donne e io lo utilizzai senza scrupoli o vergogna per il vantaggio pecuniario del momento.

“Così venni a trovarmi su un pianeta privo di nome di Noi Che Siamo Già Andati come compagno corteggiatore di una donna matura ma di grande ricchezza. Il suo corpo era da lungo tempo decaduto perché il mio potesse desiderarlo, ma il suo spirito era tale che ogni performance di arti tantriche che mi trovai a esprimere potrebbe decisamente essere definita un atto d’amore, se questi sentimenti sono concessi in tale attività.

“Non sapevo cosa lei cercasse su quel mondo di antichi misteri al tramonto della sua vita, ma sapevo che era una ricercatrice di quegli esseri ineffabili la cui essenza ero allora troppo giovane per capire: pensavo in effetti che la sua conoscenza e uso di molecole e droghe e i suoi eccessi sessuali derivassero da una fame della carne e non dello spirito.

“Quando mi rivelò la sua vera meta, scandalizzato, inizialmente rifiutai, finché con lacrime, discorsi e lusinghe che si libravano appena al di là della mia capacità di comprendere e, forse, per la sottile influenza del luogo stesso, venni persuaso a cedere.

“Disseminati sul pianeta, c’erano gli ultimi manufatti di Noi Che Siamo Già Andati; cubi neri illusoriamente semplici, o altari, in cui giacevano i dispositivi da cui i nostri scienziati hanno tratto il Propulsore del Salto. La maggior parte di essi hanno cessato di funzionare: i pochi attivi che restano sono strettamente sorvegliati dai custodi del museo planetario.

“La ricchezza al servizio della vera ossessione può tuttavia comperare tutto e così ci fu consentito un periodo, da soli sotto il cielo alla presenza di un altare ancora funzionante. E lì avvenne il fatto.

“Nudi sotto le stelle, ingerimmo qualche arcana mistura di sostanze da lei preparate e quando l’aria sembrò pregna dei fantasmatici spiriti di quella razza priva di corpo, quando il sangue sembrò bollirci nelle vene, lei si distese sull’altare dell’ignoto.

“Come si sa, quei dispositivi non sono sintonizzati sul sistema nervoso della nostra specie; quando mi stesi su di lei e cominciai a mettere in atto le mie abilità erotiche lei venne trasportata immediatamente nell’estasi orgasmica. Non una volta, non due, ma un numero imprecisato di volte raggiunse picchi orgasmici: i suoi gridi e spasmi si fusero in un singolo e infinito plateau di estasi, troppo estremo per essere definito soltanto piacere.

“Nel momento in cui non potei più prolungare quella condizione, mentre il mio essere cercava di stabilire una connessione fallica sconosciuta al maschio con il suo stato di grazia ultraterrena, morse una capsula di veleno e, in quell’istante, era una Già Andata. Lasciandomi qui a raccontare la sua storia.”

Da qualche parte, nell’oscurità del vivarium deserto, una singola rana gracidò il proprio canto disperato. Uccelli dormienti fecero frusciare le foglie nel sonno. Sopra di noi brillava il milione di occhi dell’abisso stellare, ognuno un’oasi di pallida e fragile luce in quel mare nero di non essere, una chiazza casuale di materia disseminata nel vuoto. Maddhi distolse lo sguardo da quella espressione della profondità dell’infinito per fissare me, da essere umano a essere umano, da uomo a uomo.

— Cosa provai nel momento della sua benedetta morte? Mi parlò qualcosa dal grande al di là? La droga? Il mio picco orgasmico? Un ultimo bacio finale di addio? Quien sabe?

Sospirò profondamente e dolorosamente. — Una cosa però non la dimenticherò mai... nel momento della sua morte, mentre il mio essere maschile riversava la propria essenza in ciò che lei stava lasciando, fissai l’ultimo istante di vita animata che si muoveva sul suo volto. Mai, prima o dopo di allora, ho visto una beatitudine così perfetta e serena.

Alzò le spalle, sorrise mestamente, sembrò indossare di nuovo il suo personaggio quotidiano con un conscio atto di volontà. — Così la mia esistenza si trasformò. Pellegrino? Profeta? Impostore? Tutto e di più. Da quel giorno a oggi, la mia vita è stata tutta rivolta allo sforzo di assaggiare ciò che non ho potuto seguire. Sono diventato profeta, sperando di potere attirare profeti più grandi. Impostore per i ricchi, cercando così di finanziare i miei viaggi da pellegrino...

— Ma ti parlano davvero le voci dal Grande e Unico in sogno e al picco dell’abbraccio sessuale? — domandai guardandolo ora con occhi solidali.

Ero sbalordito del fatto che la mia ossessione avesse toccato anche il cuore di un altro.

Egli alzò le mani in un gesto di autoironia. — Quien sabe? Ho studiato a lungo, ho sognato in ore di veglia la soddisfazione del mio desiderio negato, ho bramato a lungo una tale comunione al di là e all’interno della carne. C’è qualcosa che mi parla davvero dal vuoto o si tratta soltanto del mio desiderio? Uso questa visione per attirare le donne nel mio abbraccio o è piuttosto il contrario? Dopo tutti questi anni, sono una persona sincera oppure un farabutto che cerca di guadagnare agiatezza?

— Non lo sai nemmeno tu?

Maddhi sembrò ripiegarsi su se stesso, sotto gli occhi impietosi del cielo, tuttavia parve emergere una terza persona, un uomo anziano e stanco che affrontava la fine di una lunga ricerca infruttuosa.

— C’è una cosa che in effetti so bene, mio Comandante del Vuoto — disse in tono sincero. — Cerco un sentiero che non ho ancora trovato. E so che esiste.

So? Oppure credo? — chiesi senza un intervallo di riflessione e mi dispiacqui subito per il brivido di dolore che gli vidi passare sul volto e quindi svanire.

— Io so che Noi Che Siamo Già Andati... siamo Già Andati. So che lei li ha seguiti, forse tramite l’aiuto dei loro strumenti e della mia grazia fallica. E avverto in te, Genro, un fratello, un uomo che ha guardato attraverso la finestra del Salto e ha visto quello che c’è di là, anche se soltanto nello specchio degli occhi di una donna, nicht wahr...?

Sobbalzai, apertamente sorpreso e sentendomi colpevole. I nostri sguardi si incrociarono, eravamo fratelli in quello e non potevo negarlo.

— Oltre a ciò, non siamo ridotti a dover credere secondo logica, io e te? — disse Maddhi. — Noi Che Siamo Già Andati non sembra fosse una razza divisa in generi maschile e femminile. Dove sono andati, sono andati tutti. Inoltre, questa prigione di massa-energia in cui noi ci troviamo chiusi non brulica di altre razze sorelle lasciate indietro, anche se tutta la nostra scienza dichiara che lo spirito sapiente dovrebbe ergersi a coronamento di ogni biosfera. La giustizia è più di quello che ci possiamo aspettare dalla evoluzione casuale, ma non è la stessa logica a dichiarare che noi, poveri maschi umani, non siamo gli unici disperati sapienti condannati a essere tenuti per sempre all’oscuro e lasciati indietro?

— Credi davvero che per noi sia possibile...?

Il concetto non riusciva a formarsi nella mia mente, figuriamoci poi in parole sulle mie labbra. In che termini la sua ossessione e la mia erano uguali? Soltanto in quel luogo sans parole o forma. Ma mentre scrutavo negli occhi di Maddhi vidi lo specchio dei miei, deformati dal tempo, carichi di conoscenza, eppure bramosi di scoprire il mistero finale al di là del velo del vuoto.

— Deve esserci un sentiero anche per noi — disse Maddhi Boddhi Clear. — Altrimenti...

“Altrimenti siamo perduti?” pensai e capii che il fremito dello stesso dubbio passava nel cuore di lui.

— D’altra parte, ci inorgogliamo del fatto che la nostra disgrazia sia unica nello schema universale, nicht wahr? — disse rompendo l’intensità del momento con umorismo noir.

Alzò le spalle, distolse lo sguardo fissando in alto nell’eterna notte infinita. — In quindici miliardi di anni lo spirito si sviluppò da meno di polvere — disse. — In altri quindici miliardi questo universo di stelle non tornerà a essere meno di polvere? Da dove è arrivato? Cosa ci sarà quando sarà sparito? Di certo, mio buon Comandante, non siamo abbastanza paranoici da credere che questi paradossi esistano soltanto per il castigo dei figli maschi della Terra, vero? Sarebbe un rapporto allucinatorio su scala cosmica! Se esiste un sentiero attraverso il quale lo spirito può trascendere questo mesto schema di cose, vraiment, deve esistere per tutti.

“O per nessuno” pensai senza osare dirlo. Rimanemmo così seduti per qualche tempo in silenzio: due creature pensanti appollaiate su una lastra di pietra presso un laghetto, che si muovevano nel loro mondo-bolla attraverso il grande abisso. Avvolta attorno a noi, la visione del vuoto che apparentemente conteneva tutto, l’utero del tempo che ci dava la vita. Anche quello era soltanto un velo di sogni, una bolla di illusione rispetto a qualcosa di più grande che si trovava oltre?

Fu in quello stato che il mio spirito affrontò l’ora dell’appuntamento finalmente giunta, e io mi ritrovai a percorrere i corridoi non come un buffone in una farsa ma come un sonnambulo. Non sobbalzai al rumore di passi in arrivo né evitai la vista di Onorati Passeggeri o equipaggio.

Fu la lucidità di visione che rese tutto il resto un’ombra o la mia ossessione aveva annebbiato la puissance del regno quotidiano? Anche adesso, mentre questo altro Genro è qui seduto al terminus del sentiero del suo spirito attraverso il tempo, non saprei dirlo. La mia nave sembra condannata, il mio dovere tradito, il mio onore perduto, eppure, benedetto o maledetto dalla conoscenza di ciò che avvenne in seguito, mi sarei allontanato da quel sentiero?

Per puro caso pochi furono i testimoni di quella mia marcia da zombie e nessuno vide lo spettro che ero entrare nella cabina del Pilota, nonostante non avessi fatto nulla per evitarlo.

Dominique non finse sorpresa alla mia apparizione: mi stava aspettando, sollevata sui cuscini del letto con i capelli ben pettinati come se l’appuntamento fosse stato programmato da tempo e io fossi in ritardo

La visione sembrò divenire più nitida, la nebbia dissolversi; in quell’incontro proibitissimo la charade era terminata visto che, non essendo mai iniziato il gioco dei personaggi, non poteva essere vinto né perduto.

So, cher liebchen, ci troviamo di nuovo — disse con un leggero sorriso sulle labbra cianotiche.

— Come entrambi sapevamo sarebbe accaduto.

Vraiment, non sono la tua femme fatale? — chiese lei seccamente. — Siedi qui vicino a me e non temere, mon pauvre petit, la belle dame non è sans pietà.

Senza una risposta di tipo verbale, mi trovai steso sul letto accanto a lei, tanto da potere sentire il profumo acido della malaise metabolica, da scorgere gli occhi venati di rosso e le croste agli angoli delle labbra. Era quella la mia femme fatale? Venni preso da una repulsione protoplasmatica per ciò che attirava il mio spirito. Che genere d’uomo ero per scappare dalla braccia della bella Lorenza e cercare un abbraccio così malsano? Eppure... eppure...

Eppure sentii il mio fallo traditore sollevarsi, mentre il solito nauseabondo serpente penetrava lungo i chakra della mia spina dorsale.

— Sai quello che hai fatto? — le dissi alla fine.

Per un istante i suoi occhi sembrarono scrutarmi profondamente dentro e poi si vetrificarono in una immagine speculare del mio stesso vuoto interno, il suo volto pallido si stilizzò in una maschera priva di vita attraverso la quale filtrava uno spirito oscuro che ci animava entrambi.

— Ho risvegliato ciò che per te sarebbe stato meglio fosse rimasto addormentato — mi disse con voce chiara, spoglia di ogni rimorso. Con quello stesso spirito privo di emozioni e romanticismo appoggiò una mano fredda e appiccicosa sulla innegabile prova. Istintivamente mi ritrassi a quel tocco, ma non si trattava di altro che di una folle bugia psicosomatica. Il serpente si allungò nella mano impietosa di lei, il suo corpo kundalinico mi riempì la spina dorsale, stabilendo una connessione elettrica tra il mio fallo e la mia mente.

Lei afferrò la mia erezione in pugno. — Cosa provi adesso, Comandante? Questo non è l’amour, nicht wahr? — Io gemetti mentre lei mi massaggiava deliberatamente la carne al limite del dolore fisico. Il suo sguardo non mostrava passione. — Non temere la verità, Genro — mi disse. — So perfettamente che tu non bruci di passione per la bellezza di Dominique Alia Wu. Né io provo ardore della carne per il mio Comandante del Vuoto. Aber (ma) entrambi cerchiamo la consumazione dello stesso desiderio, liebchen e, in quello, i nostri spiriti si toccano.

— Consumazione che soltanto tu hai trovato.

Un tremore di momentanea ironia humaine le balenò negli occhi; le labbra le fremettero con una strana sfumatura che denotava senso di sconfitta o paura, cosa che non mancò di toccare ciò che restava del mio cuore umano. Per un momento sembrò che condividessimo qualcosa di più del desiderio congruente.

— Consumazione che effettivamente tu non hai trovato — disse — e che desideri comprendere.

— Che nella mia follia cerco di controllare — mormorai e sentii la bocca del serpente che si impossessava del mio cervello mentre la mia anima alla fine ammetteva tutto.

Dominique mi toccò una guancia con mano tremante. — Ho svegliato ciò che avrebbe dovuto dormire, povera creatura — disse nuovamente.

— E non era tua intenzione?

— Io servo uno scopo che ha un intento in sé — rispose lei. — Rispetto a te, mon cher, non avevo alcuna intenzione.

— E adesso?

— Adesso, forse, sono infettata di coscienza humaine. Quien sabe? Ormai, però, siamo fratelli di ricerca, viaggiamo insieme anche se ognuno resta da solo.

— Due pazzi, al di fuori della società — dissi, e così facendo sentii la tensione alleggerirsi, passare a un altro regno, dove il danzatore osava andare al di là della danza.

Così come lei aveva esposto il mio vero stato karmico alla propria autopercezione, non senza una mia collusione, allo stesso modo ne liberò anche la proclamazione priapica dal camouflage del suo nascondiglio sociale, non senza il mio inevitabile aiuto.

— Devo farti provare il fantasma di ciò che desideri come meglio posso? — mi chiese, afferrando la mia carne surriscaldata con una mano priva di sensualità. — Oh, liebchen, se potessi darti di più... — proseguì con un sospiro.

— Adesso, quando mi trovo sul ponte — sussurrai — quando il mio dito incombe sul comando di Salto, mi sento così, Dominique, mi sento come se... — Rabbrividii in uno spasmo di autorepulsione, incapace di proseguire.

Il mio Pilota però mi fece superare quel momento con una mano improvvisamente tenera, piazzandomi un dito sulle labbra e dicendo parole di conforto. — Ach, mein Genro, non immagini che questa sia la perversa passione di uno che capisce! Tu vorresti essere con me nel Grande e Unico, no? So, mein pauvre petit (mio povero piccolo), ti ci porterò nell’unico modo in cui posso. Immagina che stia facendo per te quello che tu fai per me, e non vergognarti. Chi sono le ombre di questa nave per asserire che ciò che facciamo non è un atto d’amore, verdad?

Sentii la carne cedere sotto la mano di lei, lo spirito cedere alla carne, ed entrambi cedere al momento in sé, all’infinito e irrazionale presente, al di là del regno morale di future azioni o di giudizi passati. In effetti chi poteva dire che quello non fosse un atto d’amore? Tramite l’inadeguata carne, Dominique non stava forse cercando di ripagarmi per ciò che io facevo per il suo spirito nel Circuito di Salto? Non era soltanto una crudeltà del tempo che non potessimo fonderci in un istante di congruenza temporale? Non era forse una grazia trascendere il nostro fato legato al tempo tramite un mutuo atto di altruistica volontà? Se questo non è amore, quella parola allora non ha significato: lo credevo a quei tempi e continuo a crederlo adesso.

Chiusi gli occhi del volto e aprii l’occhio della mente alle sue parole: — È scuro e vellutato nel modulo del Pilota, liebchen: non c’è né luce né suono né dolore. Si fluttua come in un utero, sans gravità, sans sbalzi di temperatura, sans tutto. Non ci sei né tu né esso, visto che ti sei fuso nella perfetta oscurità priva di forma...

Ondate di energia si mossero tranquillamente su per la connessione kundalinica fra i nostri nexus carnali e l’oscurità dietro i miei occhi. Sotto le sue cure tantriche, praticai lo yoga del distacco sensuale, ripulendo gli occhi dalla vista e focalizzando il sensorium sul suono delle sue parole e sull’elettricità del suo tocco. Lentamente ma stabilmente, il ritmo aumentò, portandomi al limite dell’orgasmo e tenendomi lì sul dolce filo di rasoio, mentre fluttuavo nell’oscurità priva di forma e tempo.

— E poi, all’improvviso sei lì! Dal nulla al Tutto, dall’oscurità all’infinita luce bianca!

Spasmi lampeggianti mi ustionarono la spina dorsale per esplodere in brillanti schegge dietro gli occhi, trafiggendomi il centro del piacere del cervello, galvanizzandomi il sistema nervoso con una scarica incandescente...

— Oh, quel momento, liebchen, in cui l’oscurità esplode nella luce e tu sei tutto e non lo sei, e c’è il Grande e c’è l’Unico ed è per sempre, al di là del velo che trattiene lo spazio e il tempo...

Le fibre del mio corpo si contrassero in un freddo e glorioso tsunami finale di estasi priva di forma, di modalità, di emozione riversando il mio spirito attraverso il mio fallo nel vuoto vulvale!

— ... ben presto, purtroppo, finisce tutto mentre reti di oscurità fratturano la luce riportandola alla forma, nel vortice di maya, trascinandoti nella danza di spazio e tempo...

Lentamente la mia vista si aprì su Dominique, che mi fissava con un sorriso tirato ma non crudele, una consapevole comunione della non conoscenza del non conoscibile, un ghigno di perdita empatica.

Tu sabes, liebchen? — mi chiese dolcemente. — Per te non è altro che conoscere l’ombra che le povere parole e la carne possono darti; per me è gustare vraiment il Grande e Unico, e poi essere di nuovo ricacciata nel regno delle ombre.

Giacqui lì, supino, sentendomi lurido e malconcio: eppure, anche in quelle estreme profondità postcoitali, capii che l’affare valeva il suo prezzo, che per toccare tali altezze bisognava mettere in gioco tutto, che lo scopo dello spirito era veramente quello di servire soltanto se stesso.

— Svegliarsi qui, lentamente, in agonia per pagare il prezzo... — mormorai, afferrandole una mano e accarezzandole i capelli.

— I dolori del corpo vengono alleviati dal Guaritore con medicine — mi disse. — Aber, doversi staccare dal Grande e Unico, quello, amico mio, è un dolore per cui non esiste balsamo.

— Così i nostri spiriti si toccano in esilio in questo regno ombra — risposi. — E si confortano a vicenda come meglio possono.

Lei mi baciò delicatamente sulle labbra. Il suo volto pallido venne trasfigurato dal primo sorriso che mi toccò realmente il cuore. — Ah, mein liebe Genro — sospirò. — Il tuo Pilota ha incontrato un Comandante il cui spirito comprende.