14
Il racconto di questa storia si sta approssimando alla fine; presto, anche troppo presto, dovrò mettere da parte questo cristallo di parole che contiene il passato e affrontare le estreme conseguenze della mia azione nel tempo presente. Mentre si avvicina il momento in cui dovrò lasciare questa cabina per affrontare gli Onorati Passeggeri e l’equipaggio in uno stato tutt’altro che sereno, credo che queste confessioni abbiano un po’ alleggerito il mio fardello, non tanto tramite l’antica tradizione dell’autoflagellazione dovuta ai sensi di colpa, quanto per avermi consentito di guardare al di là delle personificazioni, attraverso la spietata chiarezza del senno di poi e, così facendo, diventando niente di meno del prodotto integrato del karma assimilato.
In un tale stato di chiara compostezza svincolata dal tempo, posso ora comprendere la sagacia, o quanto meno la bassa astuzia, di ciò che, da una prospettiva più tipicamente razionale come quella di Argus o del Maestro Hiro, deve essere apparsa come una pazzia autodistruttrice. Infatti l’ordine del Comandante della nave al suo Secondo Ufficiale di proclamare pubblicamente di non essere stato trovato matto corrispondeva, naturellement, a produrre esattamente l’impressione opposta nell’intera comunità, con il risultato di minare la sua autorità.
Anche se un tale pronunciamento da parte di chiunque avrebbe quasi certamente esacerbato la paranoia della cultura fluttuante, ordinando di farlo ad Argus invece che al Guaritore stesso, avevo reso noto che la mia idoneità al comando era stata sfidata, che il Guaritore della nave mi aveva trovato a posto e che, di conseguenza, quella questione era chiusa per ordine del Comandante e accettata come tale da parte del suo Secondo Ufficiale. E così, dal momento di quell’annuncio a ora, in questa nave condannata e senza Pilota, non è stata più avanzata alcuna sfida alla mia autorità, a dispetto della crescente convinzione che io fossi posseduto da oscuri demoni. Avendo debellato la nozione della mia inabilità a eseguire il mio dovere, in quello stadio e in modo così lampante, avevo separato la definizione della mia sanità mentale di Comandante dagli atti eseguiti al di fuori di quel ruolo ufficiale. Che io fossi irrevocabilmente al comando era divenuto assiomatico. Come Achab, avevo reso me stesso oggetto di spaventoso mistero la cui stessa oscurità ne potenziava il carisma, frutto dell’immaginazione di un destino inevitabile.
Naturellement, tale lucidità di coscienza non aveva nulla a che fare con le azioni che stavo compiendo; in effetti, in quel momento non sarei potuto essere più indifferente alla percezione sociale della mia immagine, visto che la mia principale preoccupazione era di racchiudermi in solitudine per riuscire ad affrontare il mio essere tormentato.
A dire il vero, infatti, io ero tormentato dalle percezioni, e dal sospetto che faceva loro da corollario, che secondo un’ottica sociale ero dato per pazzo, anche se considerato da un punto di vista più assoluto ciò di cui mi si accusava di soffrire era un eccesso di intuizione. La morale sociale richiede una matrice comune di mutua realtà a cui relazionare pensiero e azioni, e l’illusione di una oggettiva estetica etica richiede almeno la convinzione che la realtà assoluta sia più che una contraddizione in termini.
Io ero tuttavia passato a un regno di percezioni in cui tutto quello che si poteva asserire avesse una esistenza oggettiva era l’enigma di caos ignoto dal quale sorgevano i nostri quotidiani concetti relativi. L’unico fenomeno della danza di maya che toccava qualsiasi terreno assoluto era il Salto stesso. Soltanto tramite quello strumento si apriva il velo, rivelando la traccia del Grande e Unico nel trasferimento della nave attraverso di esso.
Allora la mia mente non aveva forse accettato, tramite una forma di ragionamento, ciò che il mio spirito poteva cercare ma non toccare? Io non avevo forse compreso che, nel senso più assoluto, quel Vuoto al di là del vuoto era reale e che io stesso esistevo soltanto come ombra in un mondo di ombre?
Quella convinzione mi crebbe dentro mentre eseguivo le mosse del rituale del successivo Salto, scambiando rigidi ordini e frasi prive di emozione con Mori e Argus che restarono, come me, impenetrabili a ogni emozionale ammissione della tensione che si respirava sul ponte.
In retrospettiva, non penso di aver potuto non notare l’odore di ozono psichico che aveva pervaso la nave mentre passavo dalla mia cabina al ponte, né i saluti carichi di disagio che ricevetti all’entrata né la nuova, sottile tensione nel countdown del Salto stesso. Semplicemente, piuttosto, non mi degnai forse di rilevare queste cose perché anche quella non era altro che una mera recita-ombra?
Tambien credo ora di essermi dovuto accorgere per forza dell’implicazione estrema di questa logica, anche se, attraverso qualche comodo meccanismo di protezione psichica, riuscii a nasconderla a me stesso.
Questo sta a dire che già allora capii che da ciò che era diventata la nostra comune weltanschauung, l’impietosa indifferenza di Dominique a tutto eccetto che alla propria meta assoluta, non poteva essere giudicata contraria a un qualunque sistema di semplice morale umana. Se soltanto il Grande e Unico era realmente vero, allora era assoluto, e qualsiasi estetica etica che ne negava la verità rappresentava un fallimento formale.
Per usare un linguaggio più terribilmente schietto, avevo raggiunto il punto da cui non si poteva più tornare indietro, ma soltanto andare oltre, anche se non osavo ammetterlo con me stesso.
Au contraire, cercavo di usare il rituale del Salto per negare quella realtà interna non riconosciuta, per meccanizzare l’esperienza, per purgarla della sua carica erotica.
In effetti, mentre procedevo con le mosse in uno scollegato stato di trance come un antico bracciante che si muoveva al ritmo del collettivo canto di lavoro, la realtà esterna non produsse alcuna connessione con il mio regno interiore finché Argus non pronunciò le parole: “Coordinata vettoriale di sovrapposizione in console”.
A quel punto, repentinamente, realtà interna ed esterna si fusero in una focalizzazione congruente sul brillante sensore rosso situato fra decisione e meccanismo, percezione e morale, Comandante e spirito... il sensore di comando sotto la punta del mio dito.
Tutto si riduceva a quell’azione o alla sua negazione. Il dovere imponeva che io toccassi quel punto lucente e scaricassi la coordinata vettoriale di sovrapposizione nel computer del Circuito di Salto, assicurando così il passaggio sicuro della mia nave attraverso il Salto stesso per tornare poi nel mondo degli uomini. La realizzazione della tentazione imponeva soltanto che io omettessi di volere tale negazione.
Non potrei mai rivivere quel momento senza la consapevolezza del suo reale significato.
Mentre raggiungevo quel raggelante satori, il mio dito si abbassò come un martello per riflesso, quasi a evitare l’orrenda responsabilità di quella scelta cosciente. — Inserisco la coordinata vettoriale di sovrapposizione nel computer del Circuito di Salto — sospirai sollevato.
Così facendo eressi l’aura del Campo di Salto ed effettuai il Salto stesso senza alcuna connessione psichica con quegli atti. Nel momento del Salto, poi, non sentii assolutamente nulla.
Adesso infatti sapevo che le mie fantasie erano fallaci e vuote se non avevo il coraggio o la mostruosità morale di agire: mere masturbazioni, quando il mezzo della vera mutua realizzazione mia e di Dominique era subordinato al mio comando.
Ormai, naturellement, avevo da lungo tempo superato il punto di inevitabilità mentre scivolavo lungo la curva geodesica della mia vita in direzione del mio attuale destino, ma l’accettazione di una tale conclusione rappresentava ancora un anatema per il Comandante del Dragon Zephir, il Genro che era stato, ancora fedele al suo dovere.
Così, con un atteggiamento di negazione lentamente erosiva, mi imposi di relegarmi in isolamento, sia dalla tentazione e dall’irresistibile influsso di un qualsiasi incontro con Dominique, sia dal milieu di conseguenze sociali che per me era divenuto una recita-ombra, in cui il mio ruolo era quello dell’Olandese Volante della festa.
Come il fantasmatico Olandese, mi rintanai nella mia cabina o meglio, intimidito dalla mia stessa malsana compagnia, vagai per i corridoi della nave in una fase ectoplasmatica che non permetteva alcun contatto con gli esseri protoplasmatici.
“Tutto il resto è aspettare” aveva detto anche troppo spesso Dominique. Adesso provavo il vero vuoto implicito in quelle parole, uno stato in cui nessun evento era significativo, in cui nessuna figura si ergeva dal terreno per marcare il lento procedere del tempo.
Venni quindi ridotto a misurare il suo passaggio tramite strumenti convenzionali, diventando osservatore di orologi e orari, effettuando un countdown mentale del Salto successivo mentre aspettavo che le lancette si muovessero e i numeri cambiassero. Ventiquattro ore al prossimo Salto e Dominique veniva trasferita dall’infermeria alla sua cabina. Sedici ore e, ormai, il suo coma doveva essere passato a un sonno più normale e la consapevolezza doveva lentamente riaffiorare dal sogno del Grande e Unico. Quindici ore, a quel punto dovevo ormai essere diretto verso la sua cabina...
Dei luoghi dove avevo precedentemente passato le ore in modo meccanico ho soltanto un grigio ricordo, ma il momento in cui mi resi conto che stavo compiendo la scelta di non presentarmi all’appuntamento ormai quasi regolare con Dominique mi si incise con dolorosa chiarezza nel tracciato mnemonico.
Mancavano esattamente quindici ore al successivo Salto e io riesco a ricordare quell’ora con precisione assoluta perché stavo consumando un pasto solitario nella mia cabina, fissando un meccanismo per il countdown che avevo regolato con il Salto al punto zero, guardando cambiare i numeri. Mentre lo facevano, provai un gran gelo negli arti, quello che stavo masticando mi si impastò in bocca e, per la prima volta da quando Dominique mi aveva presentato la sua estrema realtà e la mia terribile tentazione, avvertii i deboli fruscii del serpente kundalinico che si srotolava.
Ricordi sensoriali dei nostri precedenti incontri erotici vennero scatenati da quella battuta persa nel nostro ritmo e, con essi, il ricordo dello stato d’essere prodotto dagli interventi descrittivi ed erotici di lei e, con esso, la brama di riaverli, trascendendo la morale di desideri inferiori. Con tale brivido di irrazionale tentazione, però, arrivò anche la comprensione che quel dolente pulsare di terminazioni nervose non era diretto alla carne di Dominique Alia Wu ma, attraverso di essa, a ciò che si trovava oltre, allo stato che avevo negato a entrambi quando il mio dito aveva, per riflesso, scaricato la coordinata vettoriale di sovrapposizione nel computer.
Volevo assolutamente fare quella cosa. Non potevo più negare la realtà di quella terribile brama. Non ero più in grado di fingere che i possenti componenti della mia psiche, i quali potevano essere definiti il mio spirito essenziale, non smaniassero di commettere quell’atto a dispetto di ogni altra considerazione. Ero terrorizzato dalla presenza di quel mostro dentro di me; allo stesso tempo disprezzavo il codardo che crocifiggeva l’impulso più elevato del proprio spirito a favore di un codice etico.
Nonostante tutto, ero bloccato dai vincoli sia della determinazione irrigidita dalla negazione della mia volontà di Comandante sia da una equazione karmica di puissance ben maggiore. Proprio come il mio ruolo, in quella transazione, di Comandante del Salto, si era rivelato sia motore di estasi sia estrema negazione della propria realizzazione più elevata, così percepivo adesso che gli esseri che venivano negati eravamo sia io sia Dominique. Sapevo quindi di non poter cercare l’illusione del mio vero desiderio nella sua carne più di quanto lei non potesse illudersi con la mia.
Fra di noi, adesso, era possibile soltanto un vero atto comune, ed era l’atto di sublime criminalità che io detestavo e al tempo stesso cercavo, l’unico evento significativo rimasto nel repertorio del nostro destino.
Le nostre vite, da quel momento in poi, dovevano restare separate se tale enormità non fosse avvenuta, doveva essere recuperato lo status quo precedente e io avrei dovuto andare avanti come se l’incontro casuale sul traghetto spaziale e tutti gli eventi conseguenti non avessero mai avuto luogo.
La mia sopportazione si fondava su una presa di judo mentale decisamente inverosimile; tale era l’assurdità a cui il mio calculus morale si era ridotto nel suo combattimento col fato. Un momento dopo l’altro, un’ora dopo l’altra, mi tenni a bada con quel falso mantra già condannato a fallire.
Non mi passò mai per la mente, mentre guardavo il tempo scorrere lento, che la volontà di un altro non mi avrebbe mai concesso una simile negazione, che il fatto di non essermi presentato dopo la solita ora avrebbe fatto commettere a Dominique un qualche gravissimo atto.
Dieci ore e tredici minuti prima del successivo Salto e mentre i numeri cambiavano, sentii bussare e gridare fuori dalla porta della mia cabina.
Era Lorenza, vibrante di rabbia, con gli occhi sbarrati e le mascelle serrate. — Se non sei un pazzo, Genro Kane Gupta, allora sei sin dubbio il peggiore Capitano del Vuoto che io abbia mai visto! — gridò con voce stridula. — Hai dei doveri nei confronti dei miei Onorati Passeggeri oltre che verso le tue macchine! Le pubbliche disarmonie fra di noi possono essere ricondotte a una ripicca personale e, a dispetto di ogni apparenza, la tua sanità mentale è stata certificata dal nostro staff medico, ma questo avvenimento dimostra che hai completamente perso il controllo del comando!
— Di che stai parlando, Lorenza? — chiesi seccamente. — Sei tu quella che sta dicendo sciocchezze.
— Quel tuo animale di Pilota! Come un pazzo hai concesso a quell’essere i diritti culinari di un ufficiale, le hai addirittura tenuto compagnia durante un pasto e, come risultato, adesso lei ha l’arroganza di voler partecipare alla nostra festa!
— Cosa?
— Si sta trattenendo proprio adesso nel grand salon, tentando di attaccare discorso con gli Onorati Passeggeri e rifiutandosi di andarsene a causa dei suoi diritti in qualità di ufficiale della nave.
— Non certo con il mio permesso — le dissi.
— In ogni caso, le devi ordinare di andarsene. I miei clienti sono in fibrillazione e il danno alla mia reputazione come Domo penso che sia già stato più che sufficiente per un singolo viaggio!
Incapace di calmare Lorenza, seguii i suoi passi nervosi verso quello che capii anche troppo bene essere uno scenario di scontro organizzato da Dominique a mio uso e consumo. Non c’era un’altra persona a bordo che lei considerasse più di un’ombra e nessuno scopo animava le sue azioni se non l’Unico. Avrebbe invaso il grand salon con il fine di irritare Lorenza o i suoi Onorati Passeggeri esattamente come avrebbe evitato di farlo come forma di considerazione della loro tranquillità. Sin dubbio, quello che voleva era ciò che era riuscita a ottenere: costringermi a incontrarla.
Quando raggiungemmo il grand salon, Dominique era seduta da sola a un tavolinetto da caffè proprio davanti all’entrata, dove la balconata a spirale ascendente cominciava la sua salita verso il vivarium; era quindi fuori dalla folla e allo stesso tempo appollaiata due metri sopra di essa, alla prima bassa curva della rampa.
Mentre ci fermavamo un istante sul pianerottolo rialzato che dava sulla festa, le increspature che quella apparizione avevano creato erano visibili nella disposizione logistica degli ospiti. La distribuzione degli Onorati Passeggeri all’interno dei livelli della stanza scolpita era appiattita come un’ameba, che fluttuava attorno all’invisibile ostacolo della sfera d’influenza di Dominique.
Dominique percepì quindi il nostro ingresso da quella posizione privilegiata sottostante rispetto a noi. — Buon abendzeit, Genro — gridò forte, al di sopra di tutte le teste che affollavano il grand salon. — Aspettavamo tutti il tuo arrivo!
La stanza sprofondò nel silenzio mentre le teste ruotavano avanti e indietro fra Dominique e l’oggetto dei suoi saluti, mentre io restavo nudo sulla scena.
— Perché sei venuta qui? — le strillai di rimando, con una voce che nel suo vigore non era meno teatrale.
— Stai contribuendo a questo spiacevole spettacolo — mormorò Lorenza e, afferrandomi saldamente per un polso, mi trascinò quasi giù per i gradini e fuori da quelle luci di una ribalta altamente sgradevole.
— Devi far allontanare quell’essere senza ulteriori discussioni — sibilò Lorenza mentre ci facevamo strada attraverso la folla in direzione di Dominique. La calca di corpi mi si aprì davanti come se temesse un contagio e io mi trovai a essere oggetto di una pletora di timorosi sguardi in tralice.
Si era già formato un semicerchio di spettatori sotto il balconcino dove si trovava il tavolo di Dominique, creando un palco sottostante sul quale io avrei dovuto recitare, mettendo in risalto la sua presenza. Non c’era modo in cui avrei potuto evitare di contribuire ulteriormente allo spettacolo di Dominique; certainement, al momento non ero in grado di far allontanare quella creatura senza provocare ulteriori discussioni.
Dominique indossava una semplice camicia da notte gialla. Aveva i piedi scalzi, i capelli scompigliati, gli occhi incavati e arrossati e mostrava ancora sulla pelle i segni evidenti lasciati dai macchinari del Circuito di Salto. Era la rappresentazione evidente del prezzo postcoitale dell’incontro col Grande e Unico e mi parlava come se non fosse stato presente nessun altro essere di qualche importanza.
— Dove sei stato, piccolo? — mi disse dall’alto. — Come puoi ben vedere quando ho sentito la mancanza della tua compagnia, ho pensato di venirti a cercare qui, nell’acquario dei pesci tropicali. Non c’è bisogno che ti dia ulteriore prova di quanto ti tenga in considerazione, nicht wahr?
— Dominique! Come hai potuto?
Mai in vita mia avevo assistito a un momento di esibizione pubblica di tale enormità, fornita con tanta arroganza come se giungesse da un regno Olimpico, a un tale sprezzo per l’ambiente sociale, a un tale atto di terrorismo psicologico, a un tale mare di volti attoniti, a una tale sensazione di nuda insanità paragonabile soltanto all’incubo infantile di apparire senza mutande in mezzo a una folla.
— Con il Pilota?
— ... il suo amour segreto...
— ... folle verdad...
— ... spiega il suo cafard...
— ... quel orrore...
Il brusio si diffuse in increspature crescenti, quindi rimbalzò contro le pareti più esterne per riempire il grand salon con un balbettio stridulo, scandalizzato, terrorizzato, sconcertato. I corpi turbinarono e vorticarono mentre la folla si serrava. Lorenza, tirando indietro il corpo quasi avesse percepito un improvviso cattivo odore, mi ringhiò dietro lanciandomi uno sguardo incredulo.
Dominique mi fissò dall’alto, gli occhi iniettati di sangue, due tunnel gemelli di immagini opposte che si sovrapponevano; opachi e insondabili, stanchi e brucianti di energia febbrile, chiari, neri e infiniti come il vuoto che c’era dietro. — Guardali, Genro — declamò con voce di teatrale e sprezzante sdegno. — Guarda le ombre che piroettano e danzano. Guarda come si terrorizzano quando scuoti le sbarre della loro gabbia!
— Basta! Basta! — le gridai, sentendomi soffocare per il miasma di rabbia e paura che riempiva l’aria.
— Il potere di fermare la danza è soltanto tuo, mon cher — disse pacatamente Dominique, inchiodandomi con la verità del suo sguardo inflessibile.
— Genro Kane Gupta, hai condotto un affaire d’amour con questo essere? — gridò Lorenza. — Come Domo di questa nave, pretendo una risposta. Se un tale mostro è al comando, abbiamo tutti il diritto di saperlo.
Il silenzio cadde come un sipario alle spalle della figura di Lorenza che affrontava il miscredente con le mani sulle anche e gli occhi infuriati.
— Diglielo, Genro — disse Dominique con un sorrisetto. — Dille il tanto o il poco che vuoi. Non ha alcuna importanza.
Io mi sentivo psichicamente paralizzato, raggelato nell’interfaccia fra personaggio ed essere, logica ed emozione, realtà sociale e impulso interno. Ero letteralmente incapace di rispondere visto che nulla riusciva a concettualizzarsi dal mio estremo caos interiore.
— Questa è una cosa di grande importanza — disse una voce familiare e Maestro Hiro, accompagnato dal Guaritore Lao, si fece strada a gomitate attraverso la calca portandosi al fianco di Lorenza. — Argus Edison Gandhi, sei qui? È richiesta la tua presenza.
Un momento dopo, Argus emerse dalla folla per unirsi alla falange dei miei giudici, che mi guardavano tutti con freddo e inorridito disprezzo.
— Maestri dello staff medico sono stati dichiarati inabili allo svolgimento dei loro compiti per avere parlato con i Piloti, cosa sulla quale io e te, mein Capitano, abbiamo avuto occasione di discutere — disse Hiro. — Se sei la sgradita vittima di un tale cafard, devi essere posto sotto controllo medico e devi demandare il comando al tuo Secondo Ufficiale. Sono disposto a mettere a rischio la mia reputazione per un’azione simile, se necessario, e sono certo che i presenti saranno d’accordo.
Un mormorio gutturale di assenso salutò le sue parole, un profondo suono ferale sfumato del subsonico della paura. Una sensazione stranamente anomala cominciò a penetrarmi nelle ossa, un freddo e chiaro contrappunto alla nauseante impotenza della mia posizione.
— Au contraire, non tutti i presenti sono d’accordo — replicò Dominique in tono sardonico. — E visto che io non lo sono, questa follia deve dichiararsi finita.
Nel silenzio mortale che seguì, Dominique – pallida, scalza, fragile creatura con i capelli arruffati e in camicia da notte – sembrò parlare sfoderando una autorità regale, la sua voce chiara, tagliente e scintillante come una nuda lama.
— Io sono il Pilota di questa nave finché non saremo arrivati a Estrella Bonita, nicht wahr? visto che non ce ne sono altri. Anche Genro Kane Gupta sarà il vostro Comandante fino ad allora, visto che non ne accetterò un altro. Vieni, Genro, vieni qui vicino a me, al posto che ti compete.
In mezzo ai furiosi mormorii di tutti gli astanti, salii sulla balconata come se fossi in trance e mi posi di fianco al tavolo di Dominique, guardando una folla che voleva la mia testa. Per quanto quella scena potesse risultare sbalorditiva, da quel punto di osservazione privilegiata i freddi tentacoli della calma che mi avvilupparono le ossa cominciarono a creare una connessione con il midollo spinale e mi sembrò di osservare quella confusione dall’alto della cima di una montagna.
— Per il Salto è necessario un Pilota sereno, disponibile e volontario, verdad? — disse Dominique, dirigendo lo sguardo sul Maestro Hiro. — Dillo loro, Maestro dei miei macchinari terreni!
Hiro la fissò di rimando, con il tipico terrore confuso di un uomo civile e urbano che si trovasse ad affrontare una bestia selvaggia.
— Dillo loro! Se esiste una resistenza nel mio spirito, non ci sarà Salto. Se io non mi offrirò volontariamente, questa nave resterà incagliata qui per eterni anni luce. Se una mano diversa da quella di Genro toccherà il sensore di comando, vi prometto che non accadrà nulla. A questo proposito la mia volontà ha un valore assoluto. Puoi negarlo, Maestro Hiro?
Hiro la guardò in modo truce per un istante, quindi le polarità si invertirono e fu lui a distogliere lo sguardo davanti a occhi più sapienti.
Allo stesso modo gli sguardi degli altri passarono dall’ira incandescente e dalla cieca paura a un’opaca e fumante evasività, formando una crosta sul quel flusso vulcanico con la cenere del destino congelato. Una generale traccia di nervosismo sembrò agitare la stanza. Dal mio punto di vista sulla balconata riuscii a vedere la parte estrema della folla sfaldarsi, mentre figure dallo spirito abbattuto si trascinavano verso altri luoghi. Lorenza, Hiro, Argus e Lao sembrarono fluttuare indietro, come se volessero perdersi in mezzo alla folla ormai battuta e terrorizzata.
— Genro Kane Gupta è il Sovrano del vostro destino così come io sono il Pilota del vostro Fato — dichiarò enfatica Dominique. — Così è scritto e così sarà.
Volgendosi poi lentamente verso di me mi fissò con intensità ma disse dolcemente con un sorriso affettato: — Tu sei il Comandante del Dragon Zephir, cher liebchen, ti prego, fammi il favore di congedare questi incivili. — La sua espressione si indurì come se volesse sfidarmi ad applicare la mia puissance come aveva fatto lei, per suggellare la nostra presenza lì sul trono del Grande e Unico, insieme.
— Questa seduta pubblica è terminata — dichiarai in tono di comando. — Come Comandante di questa nave, non tollererò ulteriori interferenze con la mia autorità.
Lanciai un’occhiata truce a Dominique con il massimo dell’ira che riuscii a esprimere. — Per quanto riguarda te — dissi — tornerai subito nella tua cabina.
Gli occhi di Dominique si fecero opachi e insondabili, specchi divertiti che mi restituivano un riflesso della mia ira distorta in un intimo scherzo. — Certainement, liebchen — disse, tanto forte da poter essere sentita da tutti. — Tu sei come sempre il Comandante e io sono ai tuoi ordini.
Guidando la traballante Dominique davanti a me come una bambinetta dai passi incerti, uscii con lei dal grand salon con la velocità che ci fu consentita dallo scoppio di isteria che esplose nella nostra ampia scia e non mi degnai di rivolgerle la parola finché non giungemmo nell’environ quasi deserto del corridoio centrale, dove l’afferrai per un braccio e, quasi trascinandola in direzione della sua cabina, le domandai: — Perché hai stimato necessario commettere una simile atrocità?
— Per impartirti una lezione che dovevi imparare, caro — rispose lei, secca. — Per strappare via il velo finale.
— Rivelando cosa? — chiesi io di rimando.
— Rivelando ciò che è già noto.
— Che io e te siamo stati amanti? — dissi, sbalordito.
— Noto a te, Genro, non a quelle povere ombre. Per me tu sei l’unico altro che ha importanza.
— È forse una bizzarra dichiarazione d’amore?
— È una considerazione sulla nostra configurazione karmica, caro — disse lei, interrompendosi per guardarmi con un’espressione apparentemente priva di qualsiasi barlume di tenerezza. — Non hai ancora accettato la verità?
— La tua verità? — domandai. — La verità che ti ha fatto distruggere la mia carriera?
— Abbandonare tutto il resto, liebchen. Sai che è il prezzo da pagare.
— E adesso che mi hai costretto a pagarlo, non ho altra scelta che continuare fino alla fine, è così?
— Questo — disse lei — era ciò che si sapeva già.
La guardai con espressione truce. I nostri sguardi si bloccarono in un estremo scontro di volontà, ma mentre il mio spirito sprofondava nelle infinite profondità delle sue orbite, mi trovai costretto ad ammettere che quel combattimento esisteva soltanto all’interno della mia stessa anima.
— Non sei stato tu a venire per primo nella mia cabina? — disse lei insinuante. — Non sei stato tu a decidere di tornare più di una volta? Non sei stato tu a camminare sullo scafo della nave così da rendere realizzabile questo momento?
— Non sei stata tu a sedurmi portandomi a compiere ogni passo di questo cammino?
— Certainement — ammise serenamente Dominique. — Era mio destino farlo, così come era il tuo venire sedotto. Non faremmo ciò che facciamo se non fossimo quelli che siamo, no? E noi siamo il Pilota del Grande e Unico e il Comandante del Dragon Zephir, ed entrambi sappiamo quello che vogliamo. Insieme abbiamo inoltre la possibilità di ottenerlo. Non hai ancora trovato il coraggio di ammettere la natura del tuo essere?
— Ammetto la vera natura del mio desiderio — le dissi. — Ammetto di avere il potere per soddisfarlo. Ammetto che mi sono quasi del tutto convinto che null’altro sia reale. Ma, a differenza di te, Dominique, questa singola realtà, puissant per quanto possa essere, non definisce interamente la natura del mio essere.
— Ah no? — domandò lei freddamente. — Cos’altro c’è?
— Il regno del sociale, le responsabilità del dovere, il...
— Giochi-ombra in un regno-ombra — disse lei perentoria, sfidandomi con lo sguardo a negarlo. — Non ti hanno fatto questa impressione appena pochi minuti fa?
Nel mio silenzio riuscii a leggere la risposta nel lieve sorriso che le fece contrarre le labbra. Non riuscivo tuttavia ancora ad accettare me stesso come lo specchio di quello che vedevo nei suoi occhi, niente di più e niente di meno.
— Gli spiriti di altri esseri umani — dissi con maggior convinzione. — Non meno reali dei nostri.
— E non di più, Genro — ribatté subito lei. — Tu parli di violare gli spiriti di altri umani, ma loro non hanno violato il mio e il tuo? Ti sono saltati addosso, no, come un branco di cani su un animale sconosciuto e per che cosa? Per non avere compiuto il tuo dovere? Nein! Per avere avuto contatti con un paria. Per avere cercato una visione al di là dei confini del loro guscio. Per cose che rappresentano il giusto territorio del tuo solo spirito.
Storse il naso e indicò con il capo, carica di disprezzo, lungo il corridoio in direzione del grand salon. — Questa è la lezione che ho cercato di impartirti con la mia piccola sceneggiata — disse. — Che obbligo morale pensi di avere rispetto a quelli che volontariamente si rifiutano di aprire gli occhi e ti ritengono matto perché tu vedi?
— E tu? — la aggredii in preda a una furiosa rabbia interiore. — Io per te sono più di un’altra ombra, Dominique? Un altro mezzo per raggiungere l’unico scopo che, come tu sostieni, è uno scopo in sé?
— Tu sei l’unica altra persona che per me conti, Genro — rispose lei. — Così come io sono l’unica altra persona che conta per te.
— Perché ognuno ha bisogno dell’altro per realizzare il proprio desiderio...
— Sì.
— Niente di più? — domandai, studiando la forma del suo volto, la superficie mutevole degli occhi, alla ricerca di una qualsiasi nuova risposta emotiva.
— Non c’è nulla di più elevato e quindi non può esserci niente di più.
— È un sofisma — commentai.
— Mi chiedi se provo per te l’amour humaine, la caritas del trasporto personale? — disse con minore sicurezza. — Ho abbastanza caritas da non erigere alcuna falsità fra di noi. E la verità, liebchen, è che questa è una domanda cui non so rispondere. Noi siamo quello che siamo e il nostro karma è inspiegabile. Potrebbe non essere abbastanza per te, mio caro, ma per me è tutto. Se questo è un sofisma autogiustificante, mea culpa, mea maxima culpa.
Raggiungemmo la porta della sua cabina. Lei mi lanciò un’occhiata interrogativa.
— Mi concederesti i tuoi favori perfino adesso? — chiesi con una certa incredulità. — Dopo questa scenata offensiva? Anche se ti nego ciò che tu vorresti in cambio?
— Forse ti dà la misura dell’affetto che provo per te, mon liebchen — rispose lei con un certo calore, ma non senza ironia. — Ti posso dare tutto ciò che è nel mio povero potere, sans riserva di reciprocità e chiedo soltanto che tu faccia altrettanto. Non è questa l’essenza del vero e altruista amour humaine?
— Non lo so più — dissi, aprendo la porta della cabina e facendola entrare. Io rimasi sull’uscio per un lungo momento a fissare Dominique che mi guardava. Fra noi erano accadute molte cose, ma nessuna di esse si sarebbe potuta chiamare semplicemente amore. In effetti, entrare nel suo boudoir adesso avrebbe avuto come unico risultato un ulteriore atto di fantasia masturbatoria in cui l’immagine dell’estasi sarebbe divenuta un ricordo beffardo del vero desiderio, l’unica autentica condivisione di cui il destino ci aveva reso capaci. Anche quella era diventata quindi una insignificante ombra.
— Non vuoi entrare? — mi invitò alla fine Dominique.
Scossi la testa. — Non ha più alcun senso.
Lei annuì. — Adesso fra noi c’è soltanto verità — affermò.
— Oppure assolutamente nulla.
Gli occhi di lei si spalancarono allarmati. — Non dirai sul serio, ne — disse con voce tremante. — Ti sei soltanto nascosto davanti alla tua mancanza di coraggio di fare ciò che doveva essere fatto...
Vraiment, dal suo punto di vista era indubbiamente così, ma in realtà io non avvertivo alcuna connessione dei nostri spiriti, nessuna comunione di emozioni al di là di una passione condivisa per quello che non veniva nominato Grande e Unico se non come ultimo e definitivo scherzo.
— Forse — dissi — ci sono cose che nella tua infinita saggezza devi ancora capire. — La lasciai quindi lì in piedi, nell’arco della porta, a lottare per digerire quell’ambiguo cibo per i suoi pensieri.
In verità, il significato delle mie parole rappresentava un enigma per me quanto doveva esserlo per Dominique: io sapevo soltanto che il nostro era un amore privo di ogni caritas, una forza della natura, una passione noir che condivideva soltanto lo stesso oggetto, e, certainement, non lo si poteva descrivere come generatore di nobiltà di carattere nel senso comune del termine. Eppure...
Non avevo fatto nemmeno trenta passi nel corridoio che le mie oscure riflessioni vennero interrotte dall’apparizione di Maddhi Boddhi Clear, che si affrettava lungo il passaggio verso di me come un demone all’inseguimento, con la bianca criniera che gli formava un’aureola attorno al volto turbato ma determinato.
— Capitano Genro — disse afferrandomi quasi per un gomito. — Devo parlarti e penso che anche tu adesso debba parlare con me.
Tentai di guardarlo con distaccata perplessità nonostante lui mi fissasse serio negli occhi. — Come mai? — chiesi.
— Non hai bisogno di fingere con me, Capitano, perché siamo spiriti fratelli — mi disse. — Non inseguiamo la stessa meta?
— Davvero?
I suoi lineamenti si rabbuiarono e lui si mostrò seccato. — Non ti ho forse rivelato il più oscuro dei miei segreti? — mi domandò con voce leggermente piagnucolante. — Il Pilota di questa nave non è forse la tua amante? Immagini che un uomo come me non possa comprendere il significato intrinseco di una tale connessione, avendone provato l’equivalente psichico sul pianeta di Noi Che Siamo Già Andati? Possiamo parlare liberamente, io e te, come entrambi non potremmo fare con nessun altro.
Vergognandomi per la sua intensità e per la terribile ma innegabile verità delle sue parole, ammorbidii la mia espressione. — Benissimo, mon ami — mi arresi, non senza provare un certo sollievo — forse dovremmo parlare.
Avevamo ormai raggiunto una zona maggiormente abitata e quelli che andavano avanti e indietro attraversando il corridoio fra il Grand Palais e il modulo degli alloggi fuggirono dal nostro cammino come granchi impauriti: in modo timoroso, obliquamente, e chiaramente raggelati.
— Andiamo nel mio alloggio — disse piano Maddhi. — Anche troppe questioni rigorosamente private sono già state rese pubbliche.
L’alloggio di Maddhi era disseminato di pile di cristalli di parole, antichi libri fatti di fogli, fialette di sostanze arcane, olocubi e dipinti mandalici e il suo letto mostrava prove di un recente utilizzo amorous. Prendendo le sedie, ci sedemmo davanti alla piccola tavola da pranzo, per quanto fosse stracolma di pipe, calici da vino e un assortimento di detritus di cultura.
— Parliamoci chiaramente, mein Captain — esordì Maddhi. — Sei stato coinvolto in una relazione sessuale con un Pilota, come ormai è universalmente noto, e tale unione rivela in te un amico ricercatore dell’estremo momento.
— Parli per enigmi... — protestai a disagio.
— Ti prego, non svicolare, Capitano del Vuoto! — ribatté lui, tagliente. — Chi meglio di me può capire che una tale unione è il punto di massima vicinanza a cui noi uomini mortali possiamo arrivare rispetto a ciò che soltanto la mia amante morente e il tuo Pilota hanno raggiunto? Non puoi negarmi in faccia che entrambi sappiamo quello che tu veramente cerchi di gustare nel suo abbraccio! Io, che ho infruttuosamente cercato quell’ombra in tutta la carne femminile possibile...
Forse lo fissai con una espressione troppo scoperta dovuta alla stanchezza dello spirito e a una certa pietà, o forse era semplicemente scontato che i suoi occhi incavati per l’età vedessero anche troppo chiaramente attraverso la mia facciata difensiva.
— Visto che sai tutto — dissi — quale sarebbe lo scopo di questa conversazione?
— Ti sbagli, io non so tutto, amico mio — fu la sua risposta. — Vraiment, sei tu che sai più di me. Sei tu che hai provato la verità sessuale di un Pilota, impresa che non avrei mai nemmeno osato concepire, un sogno impossibile. Quanto meno era ciò che pensavo. Devi raccontarmi tutto. Devo assolutamente sapere quello che hai trovato al centro di tale estasi e come l’hai raggiunta.
— Quello che ho trovato — dissi amaramente io — è stata soltanto un’altra ombra e, per quanto riguarda il come il nostro rapporto sia stato concepito contro ogni tradizione o ragione, faresti meglio a interrogare Dominique.
— Lei ha sedotto te? — esclamò Maddhi. — Quelle chose! Tutto quello che ho sempre sentito dire di tali creature mi aveva condotto a credere che nessuna cercasse o ottenesse appagamento dall’abilità fallica di un uomo.
— Questo, ahimè — dissi — è proprio vero.
Maddhi sbarrò gli occhi a quelle parole, quindi li restrinse in due fessure. Per una volta, mi esaminò con calma serena e comprensiva, come se mi invitasse cortesemente ad approfittare dell’orecchio di uno spirito fratello, mettendosi al mio servizio invece di strapazzarmi per venire illuminato. Così facendo, naturellement, raggiunse proprio tale scopo.
— Io e Dominique non condividiamo un mutuo appagamento della carne — dissi, abbassando di qualche grado il mio sguardo. — Attraverso le arti tantriche orali e altri mezzi non copulatori lei simula l’esperienza autentica nel mio spirito mentre spinge il mio corpo all’orgasmo — esalai, sentendomi poco virile e sudicio. — Lei evita qualsiasi altro appagamento che non sia quello del Salto.
Maddhi tuttavia non mostrò né pietà né repulsione davanti alla mia ammissione: au contraire, sul suo volto lessi soltanto una inaspettata espressione di conferma. — Ovviamente — disse — deve essere così.
— Deve?
— Naturellement. Tu parli come un uomo cui sia stato rivelato che la sua cuspide erotica non è altro che una insoddisfacente ombra di ciò che si trova al di là della nostra portata; non deve essere ancora peggio per una persona che sia veramente, anche se per fugaci momenti, Già Andata?
Maddhi si interruppe, corrugando la fronte. — Ma perché il tuo Pilota avrebbe concepito questa relazione? — domandò, perplesso. — Di certo non per tenerezza di cuore. Le sue azioni non possono servire altro scopo che l’Unico...
Quel momento sembrò restare sospeso a lungo. Che cosa sapevo io di quell’uomo? Che viveva come un organismo parassita della cultura fluttuante. Che cercava l’ineffabile, la cui magnifica espressione aveva colto negli occhi di una amante morente. Che nulla di quello che avevo sentito dire da lui fino a quel momento era stato recepito come ammissione di disfunzione mentale o atto nefando. Che non c’era nessun altro a bordo eccetto Dominique con cui avrei potuto ammettere anche soltanto l’esistenza di quelle problematiche estreme.
Era abbastanza?
Au contraire, da quale altra persona mi sarei mai potuto aspettare di più?
— Com’è iniziata la relazione, se per caso o per calcolo, seduzione o questioni feromoniche, è questione controversa — dissi pacatamente. — Forse è scaturita da qualche maligna arguzia e si è evoluta in una specie di affetto demoniaco, forse il contrario. In ogni caso, in realtà, hai ragione amico mio. Dominique vuole un servigio da me, un servigio che... che...
Cominciai a balbettare. Come potevo anche solo esporre una cosa del genere? Il semplice fatto di confidare un tale pensiero a un altro essere umano non ne avrebbe rivelato l’atrocità anche ai miei occhi tramite il riflesso inorridito dei suoi?
Ma perché temo di rivelare questa cosa a me stesso?
Mi resi improvvisamente conto che un’altra parte della mia psiche osservava quel pensiero muoversi attraverso la mia mente presente. Forse perché a quel punto mi sarebbe stato impedito di soccombere alla tentazione?
Senza indulgere ulteriormente nella dialettica interiore, fu quell’aspetto satorico che parlò, sicuro che io non avrei commesso alcun atto che non avrebbe potuto sopportare di essere portato alla luce del sole.
— Cerca una mia collusione in un Salto alla Cieca — buttai fuori.
Maddhi strabuzzò gli occhi, facendoli quasi roteare nelle orbite; restò a bocca spalancata; in un certo senso la sua espressione mostrò proprio quell’immagine di sdegnato orrore che mi ero aspettato di vedere. Dietro quella maschera, tuttavia, avvertii che c’era dell’altro, qualcosa che stava già superando il riflesso morale socialmente programmato.
— Questo prevederebbe che io non scaricassi la coordinata vettoriale di sovrapposizione nel computer del Circuito di Salto — proseguii imperterrito, ma non senza provare un certo allentamento della tensione mentre sputavo fuori il rospo. — La nave verrebbe trasferita nel non essere del Salto insieme al Pilota come al solito, ma nessuno dei due tornerebbe in questo regno del quotidiano, e finiremmo o tutti morti o Già Andati nel Grande e Unico, l’esistenza del quale noi poveri maschi mortali possiamo soltanto dedurre tramite logica o fede.
L’espressione di Maddhi si fece realmente illeggibile. La muscolatura del suo volto si rilasciò, i suoi occhi sembrarono rivolgersi verso l’interno, la sua bocca parve sul punto di farfugliare fra sé. — Comprendi il significato di questa sprach tecnica? — gli domandai.
— Ovviamente... — mormorò Maddhi biascicando. Poi ripeté con maggior vigore: — Ovviamente! — Quindi, sorprendentemente, mi mostrò un volto raggiante.
— Oh, mein Captain, sapevo che era arrivato il momento che noi ci parlassimo in tutta sincerità — esclamò. — Ciò che giaceva nascosto ora ci è chiaramente rivelato!
— Davvero?
— Jawohl! È così che hanno fatto! Non hanno mai considerato quello che noi chiamiamo il Circuito di Salto come un propulsore stellare. Forse quel pensiero non è mai balenato loro nella mente. Sono stati i nostri scienziati umani che, studiando quello che erano a malapena in grado di comprendere, hanno travisato la purezza dello scopo dell’estremo strumento di Noi Che Siamo Già Andati, riducendolo a un mero sistema propulsivo, una bestia dal fardello karmico. Per Noi Che Siamo Già Andati, però, l’unico modo di Saltare era Saltare alla Cieca!
Mi batté una mano sulla spalla. — Ma non capisci cosa significhi tutto ciò? — domandò costernato davanti alla mia espressione sconcertata.
— Questa è niente di meno che la risposta all’estrema domanda, la rivelazione che ho cercato per tutti questi lunghi decenni — spiegò. — Ecco perché non abbiamo mai incontrato l’abbondanza di sapienti che ci aspettavamo nei nostri viaggi stellari e come la nostra intera specie potrebbe alla fine seguire Noi Che Siamo Già Andati nel più elevato dei regni!
Lo osservai in piena confusione mentale, ma una parte di me stava già cominciando a comprendere il significato delle sue parole.
— La maggior parte delle specie sapienti che sopravvive abbastanza nella propria storia per raggiungere il livello necessario di conoscenza deve per forza scoprire il mezzo per produrre il fenomeno trascendente che noi chiamiamo Salto. Forse per effettuare da soli questa scoperta occorre uno stato molto più avanzato di conoscenza e saggezza di quanto la nostra specie non avesse raggiunto quando si imbatté prematuramente nella chiave dello sviluppo del Salto. Di conseguenza noi, nella nostra giovanile ignoranza, ne abbiamo ricavato un propulsore stellare, mentre nel corso generale dell’evoluzione galattica quel segreto avrebbe dovuto essere scoperto da civiltà più antiche, in grado di comprenderne appieno lo scopo.
— Che non ha altro scopo se non in se stesso... — sussurrai mentre lo scenario mi si apriva davanti.
— Proprio così — approvò Maddhi, leggendo correttamente la mia espressione. — È il grandioso e nobile paradosso dell’universo di massa-energia... che fuori dalla sua stessa sostanza evolve la generalità dello spirito sapiente e, da quella sapienza, i mezzi per trascendere la stessa matrice che le ha dato i natali. La tua Dominique ha compreso il Circuito di Salto per come lo aveva concepito il destino evoluzionistico e, in questa estrema incarnazione, la piena esperienza non dovrebbe venire limitata da alcuna specificità biologica.
— E come prova di questo abbiamo la penuria di altre specie sapienti, la maggior parte delle quali sono Già Andate!
Maddhi annuì eccitato. — Anche noi abbiamo sempre avuto il mezzo per Andare tutti insieme — disse. — Ma lo abbiamo nascosto con il nostro macchinario propulsivo, ancorando noi stessi a maya tramite un atto di volontà distorta. Tutti noi possiamo Saltare liberamente nel Grande e Unico, ma occorre il coraggio dello spirito di essere disposti a Saltare alla Cieca!
— Vuoi dire... pensi...?
— Certamente — asserì Maddhi Boddhi Clear con decisione, visto che ormai fra noi non esistevano più finzioni o ambiguità. — Ti sono stati dati la conoscenza e il potere per fare ciò che devi, mein Captain. Devi raccogliere il coraggio per farlo per noi tutti. Devi.
— Non sarebbe meglio arrivare su Estrella Bonita e lì informare la comunità scientifica di questa scoperta? — Balbettai stupidamente. — Perché, se non lo faremo, questa conoscenza non sparirà forse dall’universo con la nave?
Maddhi sbuffò con disprezzo. — Informare la comunità scientifica di cosa? — disse. — Se questa conversazione venisse riportata, verremmo entrambi giudicati pazzi, nicht wahr? Tu non comanderesti mai più una Nave del Vuoto e Dominique Alia Wu verrebbe immediatamente radiata come Pilota. Puoi forse negarlo?
Abbassai la testa quasi impercettibilmente, perché non potevo certo negare la verità delle sue parole. In effetti non potevo nemmeno negare che la probabilità che mi venisse assegnato un altro comando alla fine di questo viaggio fosse comunque minima alla luce degli eventi avvenuti a bordo, che avevano già proiettato una pesante ombra pubblica sulla mia sanità mentale.
— Vedo che il tuo spirito è preoccupato sul da farsi, amico mio — disse piano Maddhi. — Ma una conoscenza insita nell’esistenza stessa non può mai andare perduta. Forse il complesso della nostra specie non sarà pronto ad accettarla ancora per generazioni a venire. A quel punto, tuttavia, io, tu e i passeggeri di questa nave saremo ormai spirati invano. Per noi l’unica cosa che può andare perduta è questa occasione. Per noi l’unico momento è adesso. Devi afferrare il momento, perché non te ne verrà mai garantito un altro.
Scossi la testa con una profonda stanchezza dell’anima. — Come posso credere — domandai lamentoso — di avere il diritto di decidere su questioni così estreme per conto degli ignari passeggeri di questa nave?
— Credi quello che ti pare rispetto al diritto di decidere, Genro — disse lui, con una sfumatura di spietata consapevolezza che assomigliava anche troppo a quella di Dominique. — Il destino ha posto il potere di decidere nelle tue mani e soltanto nelle tue. E non usarlo, anche quella è una decisione che ti ossessionerà per sempre, nicht wahr?
Sospirai. Abbassai la testa. Non riuscivo a sopportare altro. In effetti non mi restava altro da sopportare che fosse pesante come quell’ultimo carico morale.
— Non voglio sentirne più parlare — dissi a Maddhi senza biasimo o rancore — non c’è più niente da sapere.
Egli annuì. — Di conoscenze — commentò — ne abbiano finalmente abbastanza. Non resta altro che agire.