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Il periodo racchiuso nei limiti temporali dei successivi tre Salti mi sembra una non linearità soggettiva, misurata dagli eventi piuttosto che dalla durata: tutto pare esistere simultaneamente davanti agli occhi del ricordo.
Naturellement, mangiai, dormii ed eseguii tutti i miei compiti. Perforce mi intrattenni anche con gli Onorati Passeggeri e l’equipaggio come un uomo socialmente consapevole.
Quelle concessioni alla mondanità esistevano in un flusso temporale alieno alla successione causale di eventi significativi attraverso cui lo spirito misura il tempo. Come il respiro è demandato ai centri cerebrali della corteccia, così le finezze della socialità erano demandate ai sistemi periferici della mia mente.
In effetti gli eventi importanti erano deformazioni del tempo lineare, esperienze compresse che sopraffacevano la distanza temporale, quanto meno nell’illusione del desiderio soggettivo.
Quanto suona circonvoluta e arcana questa apologia mentre la riascolto, col suo autentico significato che incombe appena al di là della mia stessa comprensione! Vraiment, sto ancora fingendo, o forse non sono in grado di stilare una versione coerente.
La realtà abbellita è che la mia piena attenzione si risvegliava soltanto al momento del Salto e nel completamento deformato dal tempo dell’atto che avveniva nel boudoir di Dominique; l’intervallo di tempo era dominio delle ombre in cui il mio spirito dormiva.
Come sia apparso questo Comandante pupazzo agli altri attori sul palco è una cosa che ancora adesso posso soltanto ricordare sotto forma di semplici dati.
Vennero consumati sette o otto pasti: sei di essi furono avvenimenti sociali ai cui discorsi devo per forza avere preso parte. Ho vaghi ricordi di molti nobili pasti preparati artisticamente e accompagnati da vini d’annata di savor appropriato. Ci fu un grand banquet dato da Lorenza, in cui fui oggetto di scherno per il mio incontro con Maddhi, così come di battute abilmente velate da parte di Lorenza di natura più sconvenientemente erotica. Ci fu un pasto con Argus e Mori in cui si parlò della situazione della nave. Altri pasti furono consumati secondo svariate modalità ma, nel mio ricordo, sono tutti confusi in balbettii di sprach.
Mi venne presentato da Maestro Hiro un rapporto sullo stato del carico umano in elettrocoma, che ricordo bene perché l’uomo mostrò preoccupazione per la mia salute. Mi vennero fatte proposte erotiche da un numero insolitamente alto di Onorati Passeggeri, offerte che io rifiutai cercando di farne il meno possibile una questione personale e fingendo stanchezza o accampando la scusa di impegni da assolvere.
In molte occasioni venni intrappolato in conversazioni di intensità ermetica che, se fossi stato in un altro stato mentale, avrebbero stimolato la mia curiosità, ma da quel periodo la mia memoria riesce a estrarre soltanto rare schegge intellettuali. Un discorso di Rumi Jellah Cohn sulla dialettica fra l’universalità dell’impulso artistico e la diversità delle forme culturali. Una donna che parlò di indistinti messaggi che pareva fossero stati ricevuti dalla galassia di Andromeda, provenienti da milioni di anni indietro rispetto al nostro passato non relativistico. Un racconto scurrile su una Domo che aveva concepito un’infatuazione per il Secondo Ufficiale della sua nave, il quale aveva cercato di minare l’autorità del Comandante a vantaggio delle ambizioni della sua innamorata.
Al momento, così come ora, mi sembrò tutto una danza di automi, una commedia ombra in cui dormii durante la recita della mia stessa parte. Solo un imperativo sembra avere lasciato una traccia nella mia memoria: con grande forza di volontà cercai di evitare Lorenza, Maestro Hiro e Maddhi Boddhi Clear, gli unici umani a bordo che, in modo diverso, potevano avere compreso la mia fuga.
Se si può affermare che un essere in quello stato avesse una percezione analitica, mi sembrò che soltanto con l’astrazione potevo sopportare i buchi temporali fra i Salti e la discontinuità fra la soddisfazione di Dominique e l’ombra della mia. In effetti, l’universo di spazio e tempo in sé si era ridotto a una sgradevole intrusione fra i momenti di percezione di ciò che giaceva oltre.
Per quanto poi riguarda i brevi momenti di gloria e la donna con cui li condivisi, come se io e Dominique fossimo amanti, non corrispondevano affatto a una definizione classica di amore. Non ci fissavamo negli occhi, né facevamo passeggiate insieme. Certainement, tutto il sentimentalismo romantico e i sacramenti del quotidiano non macchiarono la purezza della passione transhumaine che condividevamo.
Ci sono determinati asana tantrici in cui il lingam eretto penetra la yoni restando immobile per la durata della trance di meditazione. Se partner che inseguono una ricerca interiore solitaria eseguono un atto d’amour, allora forse anche io e Dominique eravamo amanti, visto che nonostante la nostra configurazione tantrica fosse differente, la meta e lo spirito erano uguali.
Certainement, nel flusso temporale lineare le nostre performance discontinue erano altruistici atti d’amore: sul ponte io servivo il suo spirito e nel suo letto lei serviva la mia carne; mai, in quell’incontro dal tempo deformato, yoni e lingam davano ciò che ricevevano.
Non era forse un legame umano fra di noi quel balzo di fiducia attraverso il tempo? Non eravamo due anime nell’isolamento magnetizzato dalla stessa polarità?
Lei era il Pilota del mio circuito kundalinico, come io ero il Comandante del suo. Ma nell’accordo della nostra mutua vibrazione io rappresentavo la nota minore. Quello che il Comandante acquisiva non era prezioso nemmeno la metà di quello che dava, e adesso sento che, perfino allora, la vile nota dell’invidia rappresentava un pulsante sottofondo.
E così, mentre i nostri incontri trascendenti il tempo si fondevano in un contesto in cui l’evento era compreso nell’archetipico ora, mentre risento questo cristallo di parole mi accorgo delle battute stonate che avrebbero alla fine incrinato il tutto.
Siedo sul mio trono di potere sotto un baldacchino di stelle, apparentemente come sempre e, mentre il familiare rito del Salto procede, l’ormai familiare corrente elettrica comincia a scorrermi nella schiena, mentre ricordi di déjà vu e anticipazione si avvolgono attorno all’illusorio presente.
Fisso il vuoto stellato, gli occhi di Dominique, l’oscurità dietro le mie stesse palpebre chiuse mentre le sue labbra avvolgono il mio lingam, e sento che un canale di feedback si apre fra quella creatura dell’ossessione e l’uomo dormant che c’è in me.
— Pilota nel Circuito.
Ora lei avrebbe cavalcato il turbine e io sarei stato il suo cavallo, tramite il Circuito di Salto la mia volontà avrebbe servito lo scopo per cui la mia carne era disdegnata.
— ... controllo della lista effettuato e tutti i sistemi pronti per il Salto.
Nel Salto io ero padrone della sua estasi e nella carne Dominique era padrona del mio godimento; però lei non era anche servitrice della mia carne e io schiavo del suo spirito?
— Comandante? Capitano Genro? Il controllo è stato fatto.
— Benissimo, assumi la tua posizione, Man Jack — dico con serena distrazione e Mori si reca al suo posto con quell’espressione di perplessità che sembra mostrare costantemente.
— Posizione e vettore della nave verificati e registrati — dichiara Argus, con voce acuta e perentoria come sempre. — Coordinata vettoriale di sovrapposizione calcolata, Comandante, in console.
Quella equazione erotica non era veramente l’ideogramma in cui eravamo legati, e non era un’ingiustizia, uno squilibrio nella scala universale? Se Maddhi non avesse...
— Capitano Genro, la coordinata è in console, pronta per essere scaricata! — ripeté Argus quasi gridando; lo schiaffo della sua voce e la sfumatura di disprezzo nei suoi occhi mentre mi guardava infransero la cristallina temporalità generale, riportandola in uno sgradevole e troppo specifico ora.
— Ti senti bene, Comandante? — domandò Argus senza alcuna delicatezza. — Soffri di qualche malaise?
— Tu occupati della tua console, Interfaccia — risposi bruscamente con una ersatz irosa da Comandante. — Scarico la coordinata vettoriale di sovrapposizione nel computer di Salto adesso. Per favore, attiva gli ultimi due sensori di comando.
Con espressione cupa, Argus eseguì i propri compiti e gli ultimi due sensori di comando sulla mia console divennero rossi. — Aura di Salto eretta — annunciai limitando la durezza delle parole anche se poi premetti il sensore di comando con una veemenza difficile da capire.
Come un festaiolo che si sveglia il giorno dopo una solenne sbronza multimolecolare chiedendosi quali enormità nasconda il buco che ha nella memoria, mi trovai a osservare le tracce lasciate dagli ultimi tre giorni passati nel mondo causale. Quella disarmonia sul ponte si era forse alimentata mentre la mia attenzione si staccava dal mio ruolo di Comandante? Avevo camminato come un sonnambulo durante il lavoro così come avevo fatto in mezzo alla cultura fluttuante?
Già allora capii che l’oggetto della mia ira non erano i membri del mio equipaggio né lo era Dominique. Nondimeno, mentre il dito si piegava sul comando di Salto come una molla di acciaio in tensione, la figura tantrica di altruismo si trasformò in invidia impotente.
Risuonarono le tre note del Salto, riverberandosi nella schiena, mentre il dito si irrigidiva in una vendicativa lancia fallica. Le mie labbra si contorsero in un ghigno silenzioso mentre affrontavo il mio cavaliere del vuoto, sereno nella oscurità di cristallo al di là dei miei poteri maschili.
— Salto — dissi con un voce gutturale. — Salto, maledizione, Salto. — Mentre premevo il sensore rosso del Salto, smaniavo per sentire quel momento orgasmico impalato nella mia stessa carne in esplosione.
In un augenblick il momento arrivò e passò. All’esterno della nave le stelle erano differenti e io stavo sul ponte come un folle, osservato con disagio dai membri dell’equipaggio a occhi sbarrati.
Lo sconcerto di Mori sembrò innocente e privo di critica, ma Argus mi esaminò attentamente mentre me ne stavo ansante e sudato, cercando di riprendermi, sul mio seggio di Comandante.
— Capitano Genro, sei sicuro di stare bene? — mi domandò. — Non sarebbe opportuno un consulto con il nostro Guaritore?
— Sono in perfetta salute e in possesso delle mie facoltà — replicai freddamente. — Apprezzo comunque la tua preoccupazione.
— Volevo soltanto dire...
— Non importa, Interfaccia; lasciamo perdere — dissi con tutta l’autorevolezza che riuscii a fingere. Fissai il mio sguardo con quello del mio Secondo Ufficiale donna, imponendole di riconoscere l’autorità del mio comando, la potenza che desideravo strenuamente provare.
Un istante dopo, Argus distolse lo sguardo da quello che vide e in quel momento riuscii forse a illudermi di avere recuperato in qualche misura il mio potere maschile. Ma si trattava soltanto del pouvoir del Comandante, non della puissance dell’uomo.
Lasciai il ponte in uno stato mentale un po’ meno dissociato; non che il mio spirito avesse deviato dalla sua focalizzazione interna, ma eventi quotidiani di una certa importanza si erano imposti alla mia attenzione costringendomi ad agire. Per la prima volta in tre giorni di viaggio avevo realmente indossato il mio ruolo e avevo gestito un’emergenza psicologica del comando che andava al di là della routine quotidiana.
È vero, lo avevo fatto soltanto quando la mia autorità era stata attaccata frontalmente; era vero tambien che era stata la mia prolungata distrazione a provocare la sfida di Argus. Nonostante tutto, quell’evento era avvenuto, e aveva aperto i miei occhi offuscati dal vuoto davanti agli effetti che mi ero lasciato in scia nel mio percorso da sonnambulo.
In retrospettiva, cominciai allora a capire che, mentre il mio spirito aveva vagato per altri regni, la sua animata assenza dalla mia persona non era forse passata del tutto inosservata a quelli che avevano incontrato la risultante creatura per questioni lavorative o sociali. Il mio Secondo Ufficiale l’aveva tanto percepito da sfidare la mia autorità non soltanto come Comandante, ma come uomo correttamente funzionante e perfino la giovane Man Jack si era accorta della strana natura del mio comportamento.
A dire il vero, temevo un incontro col Maestro Hiro o il Guaritore Lao perché non confidavo affatto di riuscire a superare un eventuale esame medico.
Eppure, proprio mentre lasciavo il ponte con una certa determinazione a recuperare l’autorità del comando, proprio mentre ammettevo la necessità strategica di evitare un’indagine da parte dello staff medico, non dubitai affatto della realtà assoluta al di là del velo del mondo terreno, né mi sembrò una follia inseguirla.
Altra cosa erano invece i domini in cui mi trovavo disgiunto dall’ideale stato spirituale. Il mondo-bolla della cultura umana non era altro che una parata ombra attraverso lo spazio vincolato dal tempo; quello che giaceva appena al di là di esso, giaceva anche appena al di là della mia portata, che mi fluttuava davanti sbeffeggiandomi nelle tenere cure di Dominique. Ancora una volta provai empatia per quel primo pesce coi polmoni che era uscito dall’oceano verso l’aria aperta e sconosciuta; io boccheggiavo nell’interfaccia fra il basso e l’altissimo, incapace di proseguire, riluttante a tornare indietro. A differenza però di quel primo anfibio, io possedevo il dualismo mentale e la riflessività dello spirito per comprendere che, per potersi evolvere, un organismo deve prima sopravvivere. Chez moi, questo significava sopravvivere come Comandante della nave e, quando entrai titubante nel grand salon, mi chiesi che cosa vi avrei trovato. Quanto era avanzata l’erosione della mia figura sociale mentre il suo spirito essenziale era sparito?
Il grand salon era parecchio frequentato, come sempre durante un Salto. Simili a pesci tropicali allegramente colorati in una barriera corallina tutta anfratti, gli Onorati Passeggeri di ogni specie e razza stavano fluttuando fra i livelli, gli angolini e le nicchie della grande stanza scolpita in turbinanti branchi e banchi.
Mentre mi trovavo sul pianerottolo di ingresso, con la visuale aperta che comprendeva l’intera massa come se fossi sul picco di una montagna, un certo odore psichico sembrò penetrare nei recessi del mio cervello: la volgarità della eccessiva ricchezza, il proclamato artificio del profumo sovrabbondante, l’ozono di circuiti che sfrigolano al limite del sovraccarico. Isole di luce sfumata da varie tinte evidenziavano le scene dell’archetipica cultura fluttuante, come se un qualche pittore classico avesse esposto una serie di tele della festa. Qui c’erano amanti stesi insieme su una chaise illuminata da un roseo chiaroscuro; lì una scena con Maddhi Boddhi Clear in mezzo a un gruppo di figure femminili avvolte in un opaco bagliore dorato; là una donna sottile che suonava un sandovar, stagliata contro un colore bianco brillante; i bevitori, gli avventurieri amorosi e gli intossicati incarnavano quei teatrali scenari barocchi.
Ecco la vida real della cultura fluttuante che viaggiava fra le stelle, l’essenza distillata della più grande epoca umana; ecco ricchezza, arte e bellezza, scienza, curiosità e intrigo: perché mai io ero riluttante a esserne il Capo, a recitare il mio ruolo da protagonista? Perché allora rimasi lì fino a divenire nuovamente un bizzarro spettacolo per quelle ombre sgargianti?
Sar Medina Gondo, con ampi svolazzi del fluente abito bianco ricamato d’oro, ascese dalla festa per recuperarmi come un grande uccello materno.
— Ah, gut Comandante, sei stato decisamente elusivo — mi disse prendendomi per un braccio e conducendomi come un trofeo giù per le scale, davanti a tutti, senza mai smettere di chiacchierare di questo e quello con una voce forte e squillante.
— Vedo che Rumi e il tuo piccolo Terzo Ufficiale si tengono ancora in disparte, però da altri viaggi effettuati con quella malandrina posso assicurarti che non durerà. Ovviamente noi viaggiatori sofisticati sappiamo che rougue d’amour siate voi ufficiali delle Navi del Vuoto e, nicht wahr, puoi dirlo anche tu; anche tu sei apparentemente divenuto indifferente al fascino della grande Lorenza, lasciando altri cuori a sperare...
Mi lanciò una furtiva occhiata d’amour mentre mi offriva un calice di vino da un vassoio, i suoi lunghi capelli biondi pettinati in onde dorate, gli occhi verdi scintillanti chiari e vacui come cristallo fine.
Quando non ricambiai il suo sguardo, lei proseguì in fretta, trascinandomi in giro per il grand salon e simulando una rapita conversazione con un infinito monologo di bon mot banali.
— Oh, mon cher, ecco Ali Barka Baraka: è di certo la creatura più ricca che si trovi a bordo, dicono che possegga un intero sistema planetario dove i magnati dell’economia si riuniscono per eccedere ai vizi più innominabili; anche se purtroppo non sono mai stata invitata lì, una volta ho condiviso una camera dei sogni con un suo amante che mi ha raccontato le storie più sconvolgenti. A proposito, penso che tu ne abbia sentite di decisamente gustose dal nostro buon Maddhi...
Per caso o per fortuna, mi trascinò nel centro di un gruppo che si era radunato attorno a Maddhi Boddhi Clear.
— Che diamine, parlano tutti del vostro piccolo tete-a-tete insieme nell’oscurità, miei cari: hai finalmente convertito un compagno della tua stessa folle genia, Maddhi, però certamente, nicht wahr, non tramite i tuoi soliti mezzi...
Maddhi, che non si faceva certo imbarazzare, mi lanciò un’occhiata fraterna e rispose in stile fiorito e raffinato. — La mia eterosessualità è un flagello leggendario nella galassia, chere Sar, come tu hai avuto occasione di provare; essa supera di gran lunga i gusti della carne verso regioni ahimè al di là della tua conoscenza. Per quanto riguarda il Comandante del Dragon Zephir, lo giudico uno spirito simile, un compagno pellegrino sulla stessa via.
A quel punto si alzarono battute e allo stesso tempo risate trattenute da parte di quelli che erano raccolti attorno a noi, il cui numero sembrava essersi moltiplicato.
— Allora è questa la causa della distrazione del nostro Comandante — disse una voce scaltra. — Come Maddhi, egli ascolta delle voci che ha nella testa.
Le risate si fecero rauche e prolungate e, con suo grande disagio, Maddhi non fu in grado di trovare un’efficace risposta, il che non significa che non la cercò. — Anche lui come Maddhi Boddhi Clear, non ha i tappi nelle orecchie.
Questa risposta, tuttavia, suonò banale all’orecchio critico già mentre lui la lanciava, e fu comunque gridata in un turbine di futili battute, in cui svanì senza lasciare traccia.
Mi trovai in mezzo a un branco di pappagalli riottosi e dal piumaggio sgargiante, che starnazzavano, ridendo coi loro cervellini da uccelli per sciocchi interventi, striduli schiamazzi che negavano la vita e che mi svolazzavano attorno alla testa. Alla mia mente che arrossiva non si presentò alcuna risposta né potei fuggire e quindi fui costretto a rimanere lì, come un buffone, finché le risate non si furono smorzate.
Anche se mi trovavo chiaramente a essere vittima del loro scherno mi sembrò che ci fosse una burla ancora più grossa di cui erano loro il bersaglio, l’enigma cosmico che le loro risate cercavano di velare. Quelle battute non erano forse il loro modo di rendere superficiale ciò che era sgradevolmente profondo?
Ahimè, quella analisi è la razionalizzazione che spetta a chi viene esposto al pubblico ludibrio e io certamente ero carico di rabbia; verdad ci volle la pietà della affettuosa Mori per cavarmi dai pasticci: mi chiamò in disparte mentre ancora le orecchie mi ronzavano, col pretesto di qualche inesistente questione tecnica di cui discutere.
Però, anche quando lasciai la mia salvatrice alla bivalente compagnia della sua innamorata e tentai di fondermi nuovamente e anonimamente nella festa, sentii uno stridente, nauseante e più forte odore di alchimie nascoste e sgradite che si mescolavano nell’aria psichica all’interno dello scenario. Sotto tutta quella gaiezza e quella complessità barocca giaceva una cosa semplice e accuratamente negata: al di là del sottile strato di metallo che ci circondava, c’era un vuoto infinito e privo di umorismo. Lazzi e risate parevano il riverbero di voci di orfani nella notte.
L’imbarazzante e sgradevole scena presso Maddhi non mancò tuttavia di una compensazione pratica: venendo salvato da Mori ero stato anche tolto dalle grinfie di Sar. Decisi, per quanto possibile, di non tornare al centro dell’attenzione e di evitare la compagnia di chiunque il cui stile o intento fosse di spingermi in primo piano.
In effetti pensai anche di lasciare la festa per recarmi in un luogo più solitario, per potervi passare il tempo fino all’incontro con Dominique, lontano da quella pazza folla. Ma, stranamente, proprio il mio disagio nel grand salon rendeva difficile, sia a livello psicologico sia a livello pratico, allontanarmi. Di quali pettegolezzi sarei stato oggetto se mi fossi ritirato dal luogo della mia impietosa messa alla berlina per rifugiarmi in solitarie meditazioni? Il mio andare e venire non poteva diventare oggetto di attenzione pubblica, mettendo in pericolo il segreto dei miei folli incontri con il Pilota della nave?
Certainement, in qualità di Comandante non mi potevo permettere di sfuggire alla conversazione con i miei Onorati Passeggeri, e in qualità di uomo mi rifiutavo di scappare come una creatura priva di carattere davanti allo sbeffeggiamento di quegli striduli buffoni.
Così, come una farfalla, svolazzai di fiore in fiore, senza mai posarmi stabilmente, indugiando nelle periferie e gustando tuttavia le delizie del giardino.
Nonostante tutto, fui oggetto di non poca attenzione e non soltanto di quella che abitualmente si rivolge al Comandante nelle sue apparizioni in società. Ero costantemente conscio di sguardi furtivi alle mie spalle del genere che avrebbe condotto a un’autodiagnosi di paranoia, se non avessi colto in flagrante alcuni osservatori girando di scatto la testa. Anche se non incontrai altri assassini verbali nascosti nell’ombra, il mio stato mentale sembrò il soggetto di acuti esami effettuati tramite oziose conversazioni. In particolare le mie difficoltà con Lorenza parevano essere fonte di infinito pettegolezzo.
— Come mai la nostra Domo non partecipava al nostro banchetto?
— Lorenza ha organizzato un pasto favoloso, Genro, strano che tu non ci fossi.
— È sembrata più che disponibile a condividere camere dei sogni con tutti noi.
— Oh, Comandante, hai un amore segreto, ne? Di certo il comportamento di Lorenza rivela l’atteggiamento di una donna rifiutata!
— O sei forse tu, pauvre Genro, che hai perduto i favori di Lorenza? È questa la causa della tua malaise? Se è così permettimi di suggerirti uno stratagemma d’amour che non ha mai fallito...
— Certainement, mon cher, ci sono altre più che disponibili a strapparti dalla tristezza. Devi soltanto guardarti attorno... o guardare me negli occhi.
E così via all’infinito, mentre vagavo in un crescente disagio che stava lentamente trasformandosi in rabbia. Infatti, mentre loro mi assalivano, io cominciai a giudicarli e, nella mia visione, non erano figure meno ossessionate del Comandante che loro consideravano oggetto di speculazione psicologica.
Anche se la mia ammessa distrazione poteva avvolgermi nell’enigma e la disarmonia fra Comandante e Domo poteva essere la causa di questa preoccupazione sociale, il vero significato trascendeva il loro coraggio di tentare di comprendere. Di conseguenza, mentre la loro percezione era annebbiata dall’ignoranza autoimposta, la mia era affilata dalla chiarezza dell’occhio interiore.
Da quel punto di vista tutta quella allegria sembrava sciocca e surriscaldata: una specie di città fantasma che scintillava nel pieno del deserto. Come viaggiatori nel deserto, essi non dimoravano forse nel loro miraggio, avvolgendosi attorno la loro illusione nella vuota e terribile notte? La struttura della loro realtà era così fragile che una singola coscienza esterna, una solitaria increspatura del loro stagno era sufficiente a sollevare le acque sociali in cavalloni spumeggianti.
— Oh, ecco che torna lo spirito vagante!
Mi stavo versando del vino nel calice da una caraffa, stando al momento da solo in una nicchia illuminata di azzurro, una specie di piccola grotta da scogliera marina scavata nella roccia sporgente, in una bolla di relativa solitudine, quanto meno era ciò che pensavo.
Lì, però, mi trovò Lorenza in compagnia del suo entourage. Due dei suoi la stavano sorreggendo o meglio lei si appoggiava languidamente a loro. Aga Henri Koram, il servo dispensatore di intrattenimenti erotici, col petto nudo e una cotta di maglia d’ottone, la teneva alla vita come un sacco di bottino, mentre lei appoggiava un braccio attorno al collo di un tipo biondo e sottile che indossava teli in seta color rosso vino fissati artisticamente in modo tale da simulare una tunica da nobile. Lorenza stessa non indossava altro che un corto sarong, con uno spacco che esponeva l’interno delle cosce, fermato con una spilla di legno e un collare di fiori dorati e incastonati di pietre preziose che le stringeva la gola. Il corpo le brillava di sudore o forse di gel e gli occhi azzurro-ghiaccio suggerivano l’effetto di sostanze stupefacenti e l’annebbiamento dato da pratiche voluttuose.
Alle loro spalle, come lo sfondo di un fregio erotico, c’era una mezza dozzina di Onorati Passeggeri vestiti per feticistiche fantasie di diversi stili e modalità che si appoggiavano l’uno all’altro e mi guardavano con occhi dalle palpebre pesanti.
— Salve Lorenza — dissi un po’ irrigidito. — Vedo che ti godi lo spirito della festa.
A queste parole seguirono delle risatine da parte del suo seguito: non pochi di essi erano drogati, e tutti erano ubriachi.
— E tu, pauvre Genro, i tuoi piaceri sono stati soddisfatti? — farfugliò Lorenza con voce impastata. — O vuoi unirti al gruppo?
La fissai negli occhi vacui. — Mi sembri ben scortata al momento — risposi. — Che bisogno avresti di me?
— Davvero! — commentò lei con una improvvisa freddezza che raggelò gli astanti. Il momento restò sospeso come una nuvola temporalesca. Negli occhi di lei sembrarono balenare dei fulmini. Tutti quelli nelle vicinanze si bloccarono al culmine dell’attenzione.
— Oh, ma certo, cher, c’è sempre posto per uno in più — insisté Aga con ingenua allegria, a dispetto del personaggio che aveva scelto di interpretare, tutto carne nuda e catene.
A quelle parole la tensione esplose in risate cui tutti si unirono, tranne Lorenza.
— Che ne dici, mio galante Comandante, non è un’occasione della quale puoi mostrarti all’altezza? — chiese Lorenza in tono sfottente, che zittì il chiacchiericcio come una frustata.
— La questione è, cherie — ribattei fulmineo — se tu sarai in grado di rimanere eretta ancora a lungo.
Ancora una volta tutti trattennero il respiro per la mia secca risposta, l’aria era simile a quella respirata dai gladiatori nell’arena: gli astanti osservarono quel battibecco con intensa e affamata bramosia.
— A me basta restare supina, ne, il resto non spetta a te?
Sentii le orecchie bruciare e l’inguine farsi umido e freddo. Il pubblico rise a disagio.
— Temo che la nostra Domo abbia superato i limiti della cortesia — disse Aga disgustato, togliendo il braccio dalla vita di lei.
— Oh, le cortesie sono finite da un pezzo fra me e il Comandante — insistette Lorenza, con il volto annebbiato ma lo sguardo gelido come cristallo. — Verdad, Genro? Indubbiamente ci sono molti altri che hanno attirato il tuo interesse principale. E ci sono altri, molti altri, che saranno da me onorati al tuo posto.
Aga si allontanò indignato e colpito nel suo orgoglio maschile, ma Lorenza non lo notò nemmeno e non fece altro che stringersi di più al secondo accompagnatore. — A meno che tu non sia diventato un acido celibe, come sostiene la onnisciente Sar.
— O forse c’è un’altra le cui grazie superano le tue — replicai velenoso, dimenticando la prudenza nella mia vergognosa rabbia. — Un così improbabile miracolo va al di là della tua egocentrica immaginazione?
— Dimmi chi è, allora, e raccontaci la sua storia! — suggerì Lorenza con la sinuosità di un serpente. — Fai vedere questa bellezza per il diletto di noi tutti. Non tenere un tale tesoro tutto per te!
— E se non sbandierasse l’amour in modo teatrale come fa qualcun altro di mia conoscenza?
Lorenza mi fissò gelida negli occhi e io la guardai altrettanto freddamente. Anche se la mia mascolinità irrisa gridava vendetta contro le sue battute, la mia corteccia cerebrale si schiarì di colpo facendomi comprendere che quella scena era andata troppo in là.
Anche Lorenza sembrò avere raggiunto uno stato di relativa chiarezza cerebrale o quanto meno parve avere visto ciò che c’era nei miei occhi: smise di fissarmi facendo ballonzolare teatralmente la testa, fingendo di accorgersi tutto a un tratto del suo stato intossicato.
— Credo di non essere completamente in me, amici — disse con voce un po’ troppo strozzata. — Troviamo un posto dai cuscini ben imbottiti e lasciamo il Comandante alla sua ectoplasmatica compagna d’anima.
Così dicendo si allontanò seguita dal suo entourage e io restai ancora qualche tempo nella mia nicchia ombreggiata a guardarli vagare come relitti galleggianti, a diffondere il pettegolezzo di questa mia ultima sgradevole dipendenza da una mistica malsana, come spuma sollevata dal vento.