L'uomo che allevava i gatti
Mia zia mi aveva detto che il padre di Daxiang era stato tutta la vita un buono a nulla. Nei mesi invernali, mentre gli altri chiusi in casa intrecciavano sandali di paglia per guadagnare qualche soldo, suo padre andava bighellonando con due enormi gatti tra le braccia.
Il giorno in cui nacque Daxiang raccontò la zia - un reggimento di artiglieria dell'Esercito di liberazione faceva esercitazioni di tiro nei terreni alcalini che si trovavano dietro al villaggio. Colonne di fumo nere e bianche si alzavano dal terreno incolto, in mezzo a un frastuono assordante, che faceva vibrare le finestre di carta.
Quando aveva sette anni attaccò lite con me; mi graffiò una guancia con le unghie e mi morse un orecchio, facendomi uscire un bel po' di sangue.
Mia zia lo colse sul fatto e lo rimproverò: - Daxiang! Razza di gatto selvatico!
Che ti salta in mente di mordere la gente?
Lui non disse niente, rimase immobile, gli occhi socchiusi, a leccarsi le labbra con la punta della lingua, come un gatto che si lecchi via dal muso il sangue di un topo. In quel momento, un gatto nero sgusciò dalla rimessa dove si trovava la macina di casa nostra, teneva in bocca un topo così grande che il peso gli faceva abbassare la testa. Vedendolo, gli occhi di Daxiang si spalancarono di colpo e mandarono un fascio di luce verde. Portò una mano al petto, si tese e, in un attimo, volò davanti al gatto e gli sottrasse il topo. Il gatto reagì con uno strano miagolio, simile a un pianto, e gli mostrò i denti, ma, vedendosi vinto, tornò stizzito verso la rimessa, camminando rasente il muro.
Mia zia, che mi stava curando il morso con un impacco di pula di granturco, fermò la mano e rimase a bocca aperta, incapace di articolare suono. Non riuscivamo a staccare gli occhi da Daxiang, che teneva il topo in mano e aveva dipinto sul viso un sorriso misterioso, un misto di stupidità e di crudeltà.
In seguito, lasciò il villaggio insieme a suo padre per andare nel nord-est e non si sentì più parlare di loro. Due anni prima che entrassi nell'esercito, un vecchio del villaggio, un povero diavolo un po' tocco, ritornò dopo essere stato a lungo nel nord-est. Un giorno, mentre sedevo accanto a lui a intrecciare stuoie per la brigata, gli domandai se sapeva qualcosa di Daxiang. Il vecchio, con uno sguardo offuscato, mi rispose che il padre era morto e Daxiang era stato divorato da un ozelot. Quando gli chiesi che aspetto avesse un ozelot, il vecchio fu molto confuso, disse che era una bestia feroce, un po' più grossa di un gatto ma un po' più piccola di un cane e che persino le tigri e gli orsi la temevano.
A dire il vero, la notizia della morte di Daxiang non mi toccò più di tanto, giusto il suo strano sorriso crudele, ma più probabilmente ebete, tornò a fissarsi nella mia memoria.
Il vecchio reduce dal nord-est morì appena un anno dopo il suo rientro, e fu seppellito nel cimitero a ovest del villaggio. - Quando le foglie cadono, tornano alle radici, - sentenziò la gente del villaggio. È difficile lasciare il paese d'origine, e per quanto uno sia povero, finisce sempre per farvi ritorno.
Un altro anno, all'inizio dell'inverno, l'esercito venne al villaggio per fare nuove reclute. Gli ufficiali calzavano stivali di cuoio e indossavano cappotti foderati di pelliccia di capra. Interrogati dalla gente, risposero che venivano dalla provincia dello Heilongjiang. Allora mi tornarono in mente le storie misteriose sul nord-est che mi aveva raccontato il vecchio tocco, in particolare quella di Daxiang mangiato dall'ozelot. Immaginavo la belva mentre leccava con la sua lingua rasposa le ossa di Daxiang! Un urlo terribile... doveva aver tremato la foresta intera...
All'epoca la vita nel villaggio era molto dura. I giovani volevano arruolarsi nell'esercito ed erano pronti a tutto pur di riuscirvi.
Poiché mia zia due anni prima aveva sposato Xie, soprannominato il Butterato, che era il capo della milizia, non ebbi alcuna difficoltà a farmi arruolare.
Non ricordo quanto tempo durò il viaggio verso il nord, nel treno sovraffollato i giorni si susseguivano alle notti. Quando giungemmo al limitare di una grande foresta, l'odore degli alberi ci assalì e la neve ci ferì gli occhi. Il vento fischiava e per tutta la notte sentimmo risuonare nella foresta gli ululati dei lupi.
Un ufficiale, sapendo che al villaggio allevavo i maiali, mi destinò ad allevare i cani lupo. Ne approfittai per rubare le salsicce a loro destinate. Fui ammonito, ma era più forte di me, quando le vedevo diventavo pazzo, non riuscivo a trattenermi dal mangiarle. Ancora oggi non ho il coraggio di pensare a quelle salsicce né al loro profumo... Mentre le mangiavo, due immagini si alternavano davanti ai miei occhi: in una, Daxiang si gettava come un fulmine sul gatto per sottrargli il topo e sorrideva in modo crudele, o forse demente... Nell'altra, l'ozelot, come una gomma che cancella le parole da un foglio, leccava le ossa di Daxiang, cancellando il suo sorriso...
Il muso vigile e feroce dell'ozelot era impresso nella mia mente con una tale precisione che mi sembrava di averlo visto davvero.
Poiché non riuscivo a correggere quella spiacevole abitudine, fui trasferito in cucina e incaricato del cibo per i maiali. Un giorno, l'istruttore politico e il cuoco andarono in montagna a parlare di certi loro affari privati. Tornarono con tre gattini selvatici.
Tre ozelot! Avevano il pelo tigrato grigio e nero - il nero particolarmente brillante - e le orecchie dritte, leggermente più a punta di quelle di un gatto domestico.
Per il resto erano identici a tutti gli altri gatti.
La storia di Daxiang mangiato da un ozelot crollò.
Alcuni giorni dopo arrivò l'ordine di smobilitazione per i soldati più anziani. Il capocuoco era il primo della lista. Avendo passato cinque anni nell'esercito, era girata la voce che sarebbe stato promosso furiere.
Era un soldato zelante, e si era messo in testa di rifare la mia educazione ideologica. L'ultimo nome della lista era il mio: venivo smobilitato dopo appena due anni. Senza dubbio a causa delle salsicce!
Non mi restava che rassegnarmi.
Almeno per due anni avevo avuto cibo garantito, ed ero stato rivestito dalla testa ai piedi, sotto e sopra, con tanta di quella roba che mi sarebbe bastata per il resto dei miei giorni! Due anni nell'esercito significavano che la mia vita non era stata spesa invano! Io la pensavo così.
Sfortunatamente il capocuoco non fu dello stesso avviso. Appena vide il suo nome sulla lista svenne. Il medico militare dovette fargli una lunga applicazione di agopuntura prima che rinvenisse. E quando si riprese, cominciò a piangere e a smaniare. A un certo punto, prese un coltello da cucina e tagliò la testa a due gattini. Ne mise uno sul tagliere (il gattino, pensando che volesse giocare, miagolava e gli grattava la mano con la zampetta), sollevò la lama e urlò come un pazzo: - Istruttore! Va a farti fottere! - Il coltello si abbassò con un lampo e la testa del gattino rotolò a terra. Il coltello si conficcò nel tagliere, dal tronco della bestiola sgorgò sangue nero.
Strabuzzò gli occhi, la coda si drizzò un attimo, poi ricadde lentamente. Il secondo gattino fu spinto sul tagliere pieno di sangue accanto al cadavere del fratello, e piangeva come un folle. Il capocuoco, la bocca deformata da una smorfia, gli occhi iniettati di sangue, liberò il coltello dal tagliere, lo sollevò e inveì: - Istruttore! Va a farti fottere! - Pronunciate queste parole, il coltello si abbatté. La testa del gatto rotolò e il sangue gli schizzò sul petto. Tutti accorsero, compresi il capitano della compagnia e l'istruttore, richiamati dal baccano.
Il capocuoco si sedette sui talloni, due lacrime gli scorrevano giù mentre storcendo la bocca implorava: Istruttore, capitano, tenetemi... non voglio rientrare...
Approfittando della confusione misi il gatto che era sfuggito al massacro in una scatola di cartone per portarlo con me al villaggio. Né il massacro dei gatti, né i pianti e le preghiere furono d'aiuto al capocuoco. Venimmo portati alla stazione sullo stesso camion; con un viso da funerale salì su un treno a carbone diretto a casa.
Si diceva che il suo villaggio fosse ancora più povero del mio.
Per evitare che i miagolii del gatto attirassero l'attenzione degli inservienti del treno, che mi avrebbero multato, il sergente mi aveva regalato una scatoletta di pesce sotto spirito, per ubriacare la bestiola e farla dormire. Nel caso si fosse svegliato sarebbe bastato dargli un po' di pesce. Il sergente era del mio stesso villaggio e diceva che i topi erano diventati una vera piaga, mentre c'era grande carenza di gatti.
Benché alla favola di Daxiang mangiato da un ozelot non credessi più dopo aver visto i gattini, pure quando mi trovai faccia a faccia con lui, incontrandolo per caso per strada, il mio cuore ebbe un tonfo. Ci misurammo con diffidenza prima di salutarci. Ci scrutammo in viso, poi ci squadrammo da capo a piedi e alla fine pronunciammo ciascuno il nome dell'altro.
Era molto cresciuto dall'ultima volta che l'avevo visto, ma l'espressione del viso non era cambiata, e quando non parlava riappariva lo stesso misterioso sorriso, stupido e crudele.
- Kaba mi aveva detto che eri stato mangiato da un ozelot! - Kaba era il vecchio tocco tornato dal nord-est.
- Un ozelot? - disse con una smorfia.
Persino i topi dei campi avevano invaso il villaggio, correvano a piacimento per le strade con le guance gonfie, piene di fagioli e grano. Solo la vista di un gallo li faceva scappare, e allora si rifugiavano nelle crepe dei muri, nei covoni di fieno o nelle loro tane di cui erano piene le strade.
- Hai mai visto un ozelot? - mi chiese.
Gli dissi che ne avevo portato uno dal nord, si trovava da mia zia, ancora addormentato sotto l'effetto dell'alcol!
La notizia eccitò la sua curiosità, voleva che lo portassi subito a casa di mia zia per mostrarglielo.
Ma io prima volevo vedere casa sua.
Aveva comprato il vecchio fabbricato dove prima si facevano le riunioni della brigata, quando bisognava stabilire i punti-lavoro per ciascun membro. L'edificio aveva quattro stanze, i muri di malta e le finestre con le grate di legno. Due file di mattonelle blu e una di mattonelle rosse bordavano in alto le pareti della casa. Due grossi gatti stavano stesi sul kang e tre gattini giocavano attorno a loro. Decine di pelli di topo erano inchiodate alle pareti. Sul letto, accanto al cuscino, c'era un libro: fogli gialli come la terra rilegati da un filo nero, e sulla copertina goffi caratteri neri, «Incoraggiamo i gatti a sterminare i topi», si leggeva. Incuriosito, mi misi a sfogliare il libro, ma non vi trovai niente di scritto, solo qualche scarabocchio. Forse nelle altre pagine c'erano delle spiegazioni, ma mentre osservavo i disegni, Daxiang me lo strappò dalle mani.
- Ti proibisco di toccare questo libro! - mi ammonì severo.
Arrossii, o almeno così mi sembrò, e gli chiesi in tono imbarazzato: - Che c'è. È giusto un vecchio libro! Di che hai paura?
A quel punto sembrò lui a disagio, e accarezzando il volume disse: - È un libro di mio padre.
- L'ha scritto tuo padre?
- No, l'ha avuto dal monaco Wu.
- Il guardiano della pagoda?
- Non lo so.
Conoscevo la pagoda, era abbandonata da molti anni e l'erba spuntava a ciuffi dalle crepe fra i mattoni. Di fronte c'era una capanna, dove aveva vissuto un monaco daoista. Indossava una tunica nera, e spesso, a capo scoperto e con i lembi della tunica fissati alla cintura, zappava con ardore la terra davanti alla pagoda.
- Attento a non immischiarti con gli spiriti maligni! - dissi.
In risposta esibì il suo sorriso ebete e crudele, mise il libro in una cassa e la chiuse con un grosso lucchetto di rame. Mormorò qualcosa e i cinque gatti si alzarono inarcando la schiena, fissando con occhi sbarrati la sua bocca.
Un brivido mi percorse la spina dorsale, fruscii di remote foreste giunsero fino alle mie orecchie. Stavo per dire qualcosa quando un grande topo, bianco come la neve e con gli occhi rossi, precipitò da una trave con uno scricchiolio e cadde in mezzo ai gatti. Era talmente stordito che non tremava neppure. Sul suo muso sembrava disegnarsi lo stesso sorriso ebete e crudele di Daxiang.
Daxiang afferrò il topo e lo esaminò a lungo: - Per questa volta ti lascio andare!
Mormorò ancora qualcosa e i gatti raddrizzarono la schiena miagolando pigramente. Gli adulti tornarono a dormire e i gattini ricominciarono a mordersi la coda e a giocare. Il topo bianco a un tratto si rianimò: sgusciò dalle mani di Daxiang, si arrampicò sul muro e sparì di nuovo fra le travi del tetto. Polvere vecchia di anni cadde dall'alto facendomi pizzicare le narici.
Ero sbalordito. Lo strano sorriso di Daxiang mi apparve ancora più enigmatico. In un attimo, tutto in quella stanza mi sembrò appartenere a un altro mondo: i gatti, i vecchi e polverosi dipinti augurali del Capodanno... mi guardavano dall'alto, con occhi onniscienti e nell'oscurità ridevano gelidi di me.
- Che trucchi sono questi? - chiesi a Daxiang.
Il suo sorriso scomparve e con un tono serio mi rispose: - Senti, amico! Qui tutti si specializzano in qualcosa per far soldi. Perché non lo facciamo anche noi? Mettiamo su un allevamento di gatti!
Un allevamento di gatti! Una proposta certo singolare, ma non priva d'interesse, chissà se non poteva rivelarsi un affare.
- Non hai portato un ozelot dal nord?
La sera stessa gli diedi l'ozelot, e lui si sfregò le mani per l'entusiasmo.
Poco tempo dopo mia zia mi invitò ad andare a casa sua a bere qualcosa.
Al terzo bicchiere, il viso di mio zio si era fatto rosso e luccicava sotto la luce della lampadina. Mi riempì il bicchiere, poi riempì il suo e posò la brocca sul fornello per tenere il vino in caldo.
Si schiarì la voce e disse: - Nipote, sembra ieri, ma è già un mese che sei tornato. Passi le giornate a trascinarti a destra e a manca, e sei senza lavoro. A tua zia e a me dispiace doverti parlare così, ma non sei più un ragazzino. Pranzi qui ogni giorno e va bene! Niente da dire, ma i vicini cominciano a prenderti in giro. Le cose sono cambiate da due anni a questa parte: un tempo i nullafacenti erano mantenuti dal villaggio e anche se uno non lavorava non perdeva punti-lavoro. Ma oggi chi non lavora non mangia. Noi vorremmo capire che intenzioni hai: vuoi lavorare in campagna o andar fuori a cercare un impiego?
Questo discorso mi mise molto a disagio. Bevvi un sorso per riprendermi e risposi: - Avete ragione, non sono più un ragazzino e non è giusto che approfitti così del vostro buon cuore, non siete nemmeno i miei genitori e, anche se lo foste, non si può vivere alle spalle della famiglia. Vi prometto che vi rimborserò di tutto quello che avete speso per me.
- Tuo zio non vuole metterti alla porta e non siamo al punto di contare i pasti, lo sai bene! - intervenne mia zia.
- Capisco.
- Perfetto! Avevo paura che tu fraintendessi il senso delle mie parole. Parlaci dei tuoi progetti.
- Ne ho parlato in questi giorni con Daxiang, abbiamo deciso di metterci insieme ad allevare gatti.
I topi galoppavano sul controsoffitto di carta.
- Perché allevare gatti? - chiese mio zio.
- Il villaggio è invaso dai topi, noi venderemo o affitteremo gatti...
Stavo per spiegare il nostro progetto più in dettaglio, ma mio zio cominciò a sogghignare.
- Ma che mi tocca sentire! Come ti viene in mente di metterti con quel pazzo? Daxiang segue le orme di quel buono a nulla di suo padre! Ma tu, tu vieni da una famiglia onesta! esclamò mia zia.
- È vero che al giorno d'oggi c'è un fiorire di attività di tutti i tipi, ma di allevatori di gatti non ne avevo ancora sentito parlare! Fareste meglio a mettervi a costruire i robot, voi due! - ironizzò lo zio.
- Io e tuo zio ci abbiamo pensato su. Mandarti a lavorare i campi appena tornato dall'esercito probabilmente non sarebbe un bene. I giovani che lasciano l'esercito sono tutti uguali, non vogliono tornare a fare i contadini. Negli ultimi giorni gli altoparlanti hanno comunicato ai quattro venti che una società edile del distretto assume operai. Pagano sette yuan al giorno per un operaio non specializzato, tolti i pasti, ti resterebbero fra i tre e i cinque yuan. In due o tre anni potresti mettere da parte due, tremila yuan!
Sono largamente sufficienti a trovarti una donna e a metter su famiglia.
Quanto a me, mi sentirò libero dall'impegno preso con i tuoi genitori!
L'indomani, quando rividi Daxiang, lo informai della mia decisione di andare a lavorare nell'impresa edile e che quindi non avrei potuto mettere su con lui l'allevamento di gatti. Mi rispose freddamente: - Fai come ti pare!
In seguito non ebbi molte occasioni di incontrare Daxiang. Quando la società edile ci diede le ferie, andai a trovarlo al villaggio.
I battenti della logora porta erano chiusi, sopra c'era scritto col gesso: «Allevamento di gatti e caccia ai topi» e accanto, in caratteri più piccoli: «Uno yuan a topo» La porta era sprangata, lui non c'era.
Provai comunque a chiamarlo, ma il cortile mi restituì l'eco delle mie grida, come se mi fossi trovato in fondo a una vallata. Mi avvicinai e incollai l'occhio a una delle fessure della porta. Il cortile era deserto, vi stagnava qualche pozzanghera prodotta dalla pioggia notturna. Il topo bianco che avevo già visto vi correva liberamente; attaccata al muro c'era una pelle di topo.
La vicina, la vecchia Sun, mi venne incontro. Sotto i capelli bianchi, gli occhi le brillavano come due fuochi fatui. Veniva avanti appoggiandosi a un bastone nodoso di legno di frassino. Una striscia di pelle bianca appariva all'altezza delle sue caviglie avvizzite.
- Cerchi Daxiang per dare la caccia ai topi? Non c'è.
- Non mi riconosci, nonna? Sono il figlio di Zhao, sono venuto a far visita a Daxiang.
La vecchia, con una mano sul bastone e l'altra a visiera sugli occhi per osservarmi meglio, disse: - Tutti vogliono chiamarsi «Zhao», dite tutti di essere figli di Zhao! Ma che ci ricavate, miele, olio di sesamo?
Capii che anche questa vecchia era un po' tocca.
Con un'agilità non comune per la sua età, si girò e mi disse da sopra la spalla: - Daxian. È un bravo ragazzo. Da quando è diventato ricco mi compra sempre il miele, non come voi! Voi mi davate il veleno, io però mi sono ben guardata dal mangiarlo! Qualche anno fa avete provato ad avvelenare i topi e invece avete ucciso tutti i gatti!
Non crediate di passarla liscia!
A casa parlai di Daxiang con la zia e lei mi disse: - Quel pazzo. È il diavolo in persona!
- Non dire così, - l'interruppe lo zio. - Certo non è una persona comune, ho sentito dire che si è arricchito nei quarantotto villaggi a sud del fiume Mo!
Nel 1985 cominciarono a girare voci di ogni genere sul conto di Daxiang.
Per quanto mi riguardava, me l'ero cavata abbastanza bene: ero riuscito a farmi impiegare nella residenza dei quadri del distretto e facevo bollire l'acqua alla loro mensa. Mi ero sposato e il ventre di mia moglie non aveva tardato ad arrotondarsi.
Sfortunatamente il desiderio che avevo di un maschio restò tale: mi diede una bambina!
Dopo la sua nascita, ottenni un mese di permesso per assistere mia moglie.
Uno di quei giorni Daxiang venne a farmi visita. Si sedette nel cortile, e non entrò in casa. Era dimagrito, ma i suoi occhi brillavano; parlava in modo oscuro, non privo però di una certa logica: - Congratulazioni, fratello! Sei stato benedetto dal Cielo! Stelle nel cielo, la terra è in armonia! Non ho avuto tempo di preparare un brodo di pollo per tua moglie; mangio topi a sud; non c'è niente di meglio che correre sulle strade per mantenersi in forma. Ma la vita è breve! Tieni, prendi questi duecento yuan, ci comprerai dei vestiti per mia cognata e mia nipote.
Mi mise in mano una busta rossa e se ne andò. Non ebbi nemmeno il tempo di rifiutare, era già diventato un'ombra che scivolava sotto il chiaro di luna.
Il suono straziante di un flauto si alzò verso il cielo. Era Daxiang?
Qualche giorno più tardi mi recai a Ma, un villaggio del distretto vicino, per comprare dei medicinali nell'erboristeria, nota per essere la migliore di tutta la regione. Giunto in un piccolo borgo non lontano dal villaggio, vidi una folla, donne uomini vecchi bambini, correre scontrandosi l'un l'altro in direzione del villaggio. Incuriosito, scesi dalla bicicletta e chiesi che cosa stesse succedendo. Mi risposero che uno sciamano stava per sterminare tutti i topi del posto facendo sì che si gettassero nello stagno e vi affogassero.
Trasalii e pensai subito che doveva trattarsi di Daxiang. Seguii quella gente spingendo la bicicletta fino allo stagno, contornato da una grande folla variopinta. Un uomo alto e magro stava sotto un salice; indossava un mantello nero, la sua capigliatura sembrava formata da spirali di fumo nero. Mi calai il cappello di paglia sugli occhi e, reggendo la bicicletta, mi unii alla folla che attorniava lo stagno, nascondendomi dietro un tipo corpulento, per evitare che Daxiang mi riconoscesse.
Sulle prime pensai che potesse anche non essere lui, ma quando vidi gli occhi di quell'uomo che, quando si perdevano nell'infinito, sembravano due pozze di luce stellare e, quando mettevano a fuoco, facevano pensare a due ammassi di aria glaciale che stessero per riversarsi nello spirito della gente, non ebbi più dubbi. Non poteva che essere lui. Fosse il suo sguardo a fuoco o sfocato, c'era infatti sempre quel sorriso, a me così familiare, stampato sul suo viso.
Dietro di lui erano accucciati otto gatti.
Un vecchio dalla barba brizzolata, forse il capo del villaggio, si avvicinò a Daxiang e gli disse con voce roca: - Vedi di fare del tuo meglio. Se ci riesci avrai uno yuan per ogni topo catturato, sigarette e a mezzogiorno ti offriremo un buon pasto. Se no... la stazione di polizia non è lontana, giusto l'altro ieri hanno arrestato una vecchia per esorcismi!
Daxiang non rispose, ma accentuò il suo terribile sorriso che restava tanto impresso nella memoria delle persone. Il vecchio indietreggiò e si confuse nella folla.
Daxiang prese un gong da dietro i gatti e lo batté con forza tre volte.
Il gong emise un suono straziante e il mio cuore si contrasse. Allungai il collo per vederlo meglio. Era a piedi nudi, con una palandrana ornata da strane scritte e un centinaio di code di topo cucite sopra, che frusciavano quando muoveva le maniche. Sollevò il gong e prese a batterlo più veloce, oscillando il corpo in modo da far dispiegare il mantello come fossero enormi ali da pipistrello. I gatti si misero a danzare al suo comando, ora in modo disordinato ora al passo, ma sempre sotto la guida dell'ozelot, che sembrava essere il capo incontrastato.
Non vedevo l'ozelot da due anni, era cresciuto enormemente e se non fosse stato per le orecchie a punta e la brillantezza del pelo tigrato, non lo avrei riconosciuto. Le sue dimensioni superavano quelle degli altri gatti, era proprio come l'aveva descritto il vecchio tocco tornato dal nord-est: - Un po' più grosso di un gatto e leggermente più piccolo di un cane.
Avevo la sensazione che l'espressione dei gatti, e dell'ozelot in particolare, fosse in stretto rapporto con il sorriso di Daxiang.
L'osmosi era perfetta. Condividevano la stessa natura, erano compenetrati, sembravano appartenere alla stessa categoria oscura, ancora sconosciuta agli uomini e per questo da loro considerata un misterioso fenomeno spirituale.
Quando danzavano all'unisono, i gatti sembravano otto stelle in orbita attorno a Daxiang. La luce del sole faceva brillare il loro pelo, i salici baciavano lo stagno in cui crescevano rigogliose le lemne, mentre le libellule scivolavano silenziose nell'aria. I gatti stiravano il corpo rendendolo lungo e sottile, le teste e le code si toccavano, come fosse un'unica fascia di seta scintillante.
La danza circolare di Daxiang e dei gatti durò quanto due intere fumate di pipa. Quando le gente ne era ormai ammaliata, il suono del gong si interruppe. L'uomo e i gatti si fermarono in una posa teatrale. Il caldo era soffocante e il viso di Daxiang era coperto da uno strato di sudore oleoso. Il pubblico aveva gli occhi inchiodati su di lui. Pronunciò un fiotto di parole confuse e incomprensibili e due macchie di saliva bianchissima gli si formarono agli angoli della bocca. Sentendo l'incantesimo di Daxiang, i gatti ricominciarono a muoversi mandando miagolii terrificanti. Sollevavano alte le zampe e le poggiavano lentamente, come otto mandarini traditori con le scarpe a suola alta che camminassero su e giù sul palcoscenico dell'Opera di Pechino.
La folla si stava spazientendo: i raggi del sole picchiavano su una marea di teste nere. Nessuno però osò proferir verbo. Cominciai a preoccuparmi per Daxiang: i topi del villaggio sarebbero stati così stupidi da uscire dalle loro tane e precipitarsi nello stagno?
A un tratto i gatti smisero di miagolare e si disposero in fila davanti a Daxiang, l'ozelot in testa.
Guardavano verso nord, la schiena inarcata, la coda dritta ad asta di bandiera, i baffi all'insú, sbuffi di vapore uscivano dalle bocche. I loro occhi mandavano una luce verde, e le pupille, sottili fenditure a forma di mandorla, somigliavano a fili d'oro.
Il sudore mi si gelò addosso, visioni presero a danzare davanti ai miei occhi mentre una cacofonia di campane mi risuonava nelle orecchie.
In stato di trance, vidi un branco di cavalli galoppare nella tundra ghiacciata, greggi di capre rinsecchite e gialle fuggire disperate fra i ciuffi d'erba... Dovetti fare uno sforzo per tornare in me, e mi trovai di nuovo davanti agli otto gatti che continuavano il loro numero.
Daxiang prese il flauto di bambú che teneva attaccato alla cintura e cominciò a suonare una lunga melodia, lugubre e lamentosa. Gettando uno sguardo di traverso sugli spettatori, notai che tenevano la testa incassata nelle spalle e che gocce di sudore freddo imperlavano i loro visi.
Non ricordo quanto tempo passò, ma a un certo punto un frastuono si levò alle spalle della folla. Le note del flauto si fecero più alte, simili al verso di un'oca selvatica, e, ancora più terrificante, si levò il miagolio dei gatti.
Qualcuno nella folla si girò e gridò: - Eccoli!
La folla si aprì per lasciare un passaggio attraverso il quale si precipitarono migliaia di topi di tutte le misure e di tutti i colori, che accorsero mandando squittii acuti.
Tutti trattennero il respiro, incassando il collo tra le spalle.
Daxiang, perso nella melodia, teneva gli occhi chiusi. I gatti avevano rizzato il pelo e con aria minacciosa fissavano l'orda dei topi. Ma questi, per nulla spaventati, si gettarono uno dopo l'altro nello stagno, completamente inebetiti, facendo a gara per non restare indietro. Una volta in acqua si dibatterono con furia, arando dei solchi sulla superficie coperta di lemne dello stagno. Dopo si inabissarono, tenendo i musi fuori dall'acqua per respirare, poi anche quelli scomparvero.
Il flauto tacque e i gatti si sgranchirono camminando su e giù.
Daxiang stava in piedi sotto il sole cocente, la testa china, simile a un albero secco.
L'acqua ridivenne calma, la gente tornò in vita ma nessuno osò parlare.
Il vecchio dalla barba brizzolata avanzò zoppicando verso Daxiang e lo salutò con rispetto, chiamandolo «signore»
Allora Daxiang aprì gli occhi e il sorriso luminoso che si irradiò dal suo viso mi riempì di emozione.
Inforcai la bicicletta e presi a pedalare come un pazzo, sentivo il mio corpo vuoto e privo di forza. Giunto in un campo di arachidi, gettai la bicicletta da un lato, senza darmi nemmeno la pena di chiuderla con il catenaccio, mi lasciai cadere a terra e sprofondai nel sonno. Mi svegliai che il sole stava tramontando, i campi in lontananza sembravano imbrattati di sangue, l'odore acre dei cereali mi afferrò alla gola. Tornai a casa portando la bicicletta a mano.
Ripensai agli avvenimenti della mattina come fossero stati un sogno.
Giunto al distretto, raccontai quel che avevo visto e parlai degli strani poteri di Daxiang. Sulle prime nessuno volle credermi, ma poi, visto che avevo le prove di quel che dicevo, cominciarono ad essere meno scettici.
All'inizio dell'inverno, le autorità del distretto vicino vennero nel nostro a svolgere indagini su Daxiang, ma il Segretario del Partito, Mo, rispose in modo evasivo.
Poi venne a cercarmi alla mensa, per capire che cosa fosse successo a Daxiang e io gli raccontai tutto quel che sapevo.
La storia fece molto scalpore: i responsabili della municipalità mandarono degli ispettori a investigare sul caso. In sei mesi Daxiang divenne famoso in tutta la regione.
Al momento della mietitura, il silo numero uno del distretto venne infestato dai topi. Le autorità locali decisero di fare appello ai poteri magici di Daxiang. La notizia si sparse in un lampo. La televisione locale decise di riprendere l'avvenimento, ci sarebbe stato anche un giornalista del giornale provinciale. Vista la risonanza dell'evento, vollero assistervi anche certi alti papaveri.
Il giorno stabilito, il bacino antincendio del silo venne riempito d'acqua fino all'orlo. Una fila di tavoli coperti da una stoffa bianca venne sistemata lungo il bacino e sopra vi furono disposte sigarette e tazze per il tè. Le autorità locali si sedettero lì, fumando e bevendo tè con alcuni personaggi dall'aria molto importante.
A metà mattina, un furgone nero entrò nel cortile. Ne scese Daxiang: portava scarpe di pelle e un vestito blu scuro di taglio occidentale, sembrava molto a disagio. Io cercai il suo sorriso misterioso.
Ci vollero dieci minuti buoni per tirare fuori dal furgone gli otto gatti: erano molto nervosi, soprattutto l'ozelot.
Alla fine, l'operazione ebbe inizio.
Il cameramen centrò la faccia di Daxiang con un riflettore e il suo sorriso vacillò, come un pezzo di carta nel fuoco. Quando il riflettore si posò sui gatti, questi si misero a miagolare pieni di terrore.
Lo spettacolo fu un fallimento totale, un coro di ingiurie si levò dal pubblico.
Un uomo con gli occhiali che sedeva a lato del bacino si alzò. È stata tutta una farsa! - disse freddamente e se ne andò stizzito.
Mo, il Segretario del Partito, gli corse dietro con il viso imperlato di sudore.
Sul mio viso il sudore era ancora più copioso.