Il fiume inaridito

 

 

 

Una luna enorme, grondante di rosso, si innalzava a est del villaggio nel crepuscolo della pianura immensa. Le case, tinte del rosso lugubre della luna, sparivano dietro un velo sempre più spesso di nebbia e di fumo. Il sole era appena tramontato e una lunga nuvola purpurea aleggiava ancora all'orizzonte. Piccole stelle gracili tra il sole e la luna mandavano bagliori intermittenti. Il villaggio scivolava lentamente nel mistero, non un abbaiare, non un miagolio, né grida di anatre o di oche, solo il silenzio.

La luna si levava, il sole tramontava.

Un bambino sgusciò fuori da una porta fatta di ramaglie e in quel momento una stella si spense nel cielo. La sagoma del bambino, come l'ombra di uno spettro, galleggiò leggera nell'aria e ondeggiò sull'argine del fiume dietro al villaggio. Sotto l'argine, l'erba secca e le foglie ingiallite dei pioppi e dei salici sembravano ansimare. Il bambino avanzò lentamente, accompagnato dal debole suono dell'erba secca calpestata e delle foglie morte frantumate, e saltò a piccoli passi sull'argine. Si accovacciò, il corpicino sparì nell'ombra che lo avvolgeva.

Il mattino dopo sembrava una piccola rana raggomitolata nel letto del fiume, e immersa in un sonno profondo.

La gente del villaggio, che lo osservava facendo cerchio attorno a lui, per la maggior parte ignorava quanti anni avesse, e pochi conoscevano il suo nome. I suoi genitori avevano lo sguardo vuoto, simile a quello dei pesci, e si mostravano incapaci di rispondere alle domande degli altri. Era un bimbo magro, dalla pelle scura, aveva la bocca larga, il naso schiacciato, l'occhio vivo e brillante di chi ignora cosa sia la malattia. Non aveva rivali nell'arrampicarsi sugli alberi.

Ma quel mattino il suo viso era seppellito tra i germogli delle zucche e furono le sue natiche a salutare l'affacciarsi del sole. I visi aridi come il deserto, gli abitanti del villaggio riuniti attorno al cadavere fissavano le piccole natiche più chiare del resto del corpo. Erano coperte di ferite, e di luce solare.

Le guardavano come se si trattasse di un bel viso di bimbo, come se stessero guardando me.

Stava accovacciato sull'argine, le mani strette nell'incavo delle gambe piegate, il mento sulle ginocchia puntute. Aveva l'impressione che il cuore gli corresse per il corpo come un topo: ora l'aveva in gola, ora nello stomaco, ora negli arti. Il corpo si era trasformato in una tana, dove il cuore, diventato ora un ratto, si muoveva in tutta libertà. La luna continuava a salire grondante di luce.

Un vapore che non era né fumo né nebbia si levava dal villaggio, coprendo a poco a poco le case. La cima del pioppo, l'albero più alto del paese, forava la massa informe del vapore. Faceva pensare a un ombrello, il cui tronco fosse il manico e il vapore la calotta, o a un cappello, o anche a un baldacchino o a un fungo velenoso. Gli altri alberi del villaggio erano ripiegati su se stessi, non osando sfidare il pioppo che puntava con superbia la cima verso il cielo. A una ventina di metri d'altezza c'era una biforcazione e lì, in una massa confusa di ramoscelli, abitavano gazze e corvi che si azzuffavano tutto il giorno e pigolavano alla luna quando sorgeva luminosa.

Forse, quand'era accovacciato nell'ombra, un grido simile a un singhiozzo era uscito dalla sua gola secca. Forse, in quel momento, si era ricordato di quanto era appena accaduto.

 

Indossava una tunica troppo larga per lui, era scalzo e si trovava davanti all'unica grande casa di mattoni del villaggio. Una deliziosa bambina dagli occhi neri come le pedine di lacca del weiqi7 abitava nella casa.

La bambina gli domandò: - Xiao Hu, sei capace di arrampicarti sul pioppo?

Lui la guardò stupito, storse la bocca in una smorfia e arricciò il naso.

- Non sei capace, eh. È così, non te la senti!

Xiao Hu si morse le labbra.

- Saresti capace di andarmi a prendere un ramo? Voglio quello, lo vedi? Quello dritto e liscio, così potrò farmi un fucile e dopo giocheremo alla guerra. Tu farai la spia e io il soldato dell'Esercito di liberazione.

Xiao Hu scosse energico la testa.

- Lo sapevo che non ne eri capace, non sei per niente una piccola tigre8, ma piuttosto una piccola scrofa! - insistette lei arrabbiata. - D'ora in poi non giocherò più con te.

Guardò con i suoi occhi neri e splendenti la bambina, le labbra imbronciate come se stesse per scoppiare a piangere. Strofinò i piedi per terra e disse: - D'accordo, salgo.

- Sul serio? - chiese lei felice.

Xiao Hu annuì con vigore e si tolse la tunica scoprendo la pelle bruna.

- Fammi la guardia, - la esortò. - I miei mi hanno proibito di arrampicarmi sugli alberi.

La piccola prese i vestiti e fece cenno di sì con la testa: poteva contare su di lei.

Strinse il tronco fra i piedi. Uno strato di spessa pelle li ricopriva permettendogli di aderire perfettamente alla corteccia argentata. Si arrampicò con l'agilità e la naturalezza di un gatto. La bambina, con i vestiti in mano e il viso rivolto al cielo, osservò il pioppo piegarsi lentamente verso di lei. Sbalordita seguì con lo sguardo il bambino scalzo e a torso nudo il cui peso faceva inclinare il grosso tronco del pioppo ad arco, tanto che sembrava in procinto di scagliarlo in cielo. Fu scossa dai brividi. Poi l'albero tornò a drizzarsi nella luce crepuscolare di fine autunno, i rami bianchi scintillanti catapultati verso l'alto sferzarono l'aria azzurrina. I rami più piccoli fitti e sottili danzarono nel cielo limpido come il ghiaccio. Le poche foglie rimaste, benché appassite, conservavano la loro tinta bluastra e frusciavano lievi assecondando il movimento dei rami. La bambina, soggiogata dai magici movimenti del pioppo, fissava la schiena del compagno, simile a un pesciolino nero e luccicante come le ali di un corvo, che continuava ad arrampicarsi sempre più in alto.

- Scendi, presto, Xiao Hu, l'albero sta per cadere, - gridò.

Il bambino aveva raggiunto la rada cima del pioppo, dove volteggiavano gazze e corvi, simili a uno sciame d'api o di farfalle.

- L'albero sta per spezzarsi! gridò la bambina sovreccitata, ma Hu si arrampicò più veloce. L'aria mossa dalle ali delle gazze e dei corvi gli spazzò il collo, e un brivido gli percorse la schiena. Le grida della bambina lo riportarono alla realtà, si rese conto che i rami si erano fatti sottili e morbidi e si piegavano pericolosamente, il cielo girava inclinato, simile a una lastra di ghiaccio. Il muscolo di una gamba prese a sussultargli, era visibile a occhio nudo. Sentì di nuovo le grida della bambina.

- Xiao Hu, scendi, presto! L'albero si piega, cadrà sulla nostra casa, romperà le tegole del tetto e la mamma ti picchierà!

Trasalì per la paura, incollò il corpo all'albero e fissò lo sguardo in basso. Improvvisamente fu preso dalle vertigini, rendendosi conto con terrore di quanto fosse salito in alto. Il pioppo sovrastava tutti gli alberi del villaggio, come un cigno in mezzo alle papere. Una sensazione di piacere immenso l'aveva colto mentre si arrampicava. Il suo sedere dominava tutte le case del villaggio, e persino il sole, che declinava rapidamente assumendo la forma di un uovo di anatra. Guardò i tetti delle capanne in lontananza, la pioggia aveva imputridito e compresso la paglia, lasciando uno strato di muschio cresciuto durante l'estate e macchiato da escrementi di uccelli. La strada principale spariva sotto una spessa coltre di polvere, un'automobile verde attraversò il villaggio sollevando una nube di pulviscolo grigio che impiegò un bel po' ti tempo a posarsi. Quando l'aria tornò limpida, vide un cagnolino giallo che era stato investito dalla vettura e vacillava sulla strada trascinando gli intestini nella polvere, come una lunga corda.

Il cane avanzava senza un lamento, sembrava rassegnato alla sua sorte. Il tepore emanato dal suo pelo si allontanò gradualmente, e mentre camminava si trasformò in un coniglio, poi in un topo giallo fino a scomparire del tutto. Attorno a sé sentì il suono che produce il vento soffiando nel collo delle bottiglie vuote, senza però riuscire a localizzarlo. In basso si dispiegava il mondo degli uomini dove il caldo e il freddo si distribuivano sulle cose.

Lì in alto, sul suo albero, non faceva né caldo né freddo, ma lui tremava di paura, come una cicala intirizzita avvolta tra le foglie. Osservò la cacca di un uccello cadere a picco sulla casa di mattoni. La bambina continuava a gridare, ma lui non la sentiva più. Guardava sgomento il cortile della casa, che non avrebbe mai potuto vedere se non fosse salito sull'albero, e anche se la bambina dagli occhi neri come il carbone lo veniva spesso a cercare per giocare, i suoi genitori gli avevano ripetuto infinite volte che non doveva andare a giocare a casa di Xiao Zhen. La bambina lì sotto era Xiao Zhen? Non ne era sicuro. Per via del suo sguardo sempre perso nel vuoto, lo consideravano un po' tonto. Osservò il cortile: all'interno c'era un corridoio molto ampio, un «muro degli spiriti» nascondeva l'entrata e lungo questo crescevano alcune rose che, perse le foglie, mostravano solo steli rosso porpora. I suoi occhi furono abbagliati dalla luce riflessa dai raggi delle ruote di due biciclette parcheggiate nel cortile.

Un uomo corpulento uscì dalla casa e orinò rumorosamente contro il muro.

Scorgendone il viso sanguigno, il bambino si spaventò al punto da stringersi ancora di più al tronco dell'albero, non osando nemmeno respirare.

Quell'uomo una volta l'aveva preso per l'orecchio e gli aveva chiesto davanti a tutti: - Quante zampe ha un cane, Xiao Hu? - Mordendosi gli angoli delle labbra aveva risposto: - Tre! - Tutti erano scoppiati a ridere. Suo padre e suo fratello erano tra la folla; il fratello era diventato rosso per la rabbia, mentre il padre imbarazzato aveva riso insieme agli altri. Suo fratello avrebbe voluto picchiarlo, ma il padre si era intromesso: - Al Segretario piace divertirsi con lui, vuol dire che gli siamo simpatici e che ha un po' di considerazione per la nostra famiglia - Suo fratello l'aveva lasciato andare e prendendo una focaccia di patate dolci annerita gli aveva chiesto incollerito: - Cos'è questa?

Stringendo i denti il bambino aveva risposto: - Merda di cane!

- Xiao Hu, sbrigati! - urlò la bambina ai piedi dell'albero.

Lentamente riprese a salire verso la cima. Le gambe gli tremavano violentemente. Un fumo denso e biancastro uscì improvvisamente dal camino della casa di mattoni e si infiltrò tra i rami in direzione dei nidi. Sporche piume vi si rotolavano dentro, gli uccelli neri con le ali tinte di rosso dai raggi di sole si affollarono attorno a lui mandando richiami assordanti. Con una mano afferrò il ramo robusto e lo tirò con tutte le sue forze verso il basso: l'albero vacillò, ma il ramo non cedette.

- Tieni duro! - gridò la bambina. L'albero è solido, ondeggia solo per farti paura.

Tirò il ramo con forza e questo si piegò ad arco. Sentì un formicolio al braccio e le dita intorpidite. Il ramo non si spezzò, e lui a un tratto perse la presa. Le gambe gli tremarono ancora più forte e la testa ricadde verso il basso. La bambina aveva sempre il viso rivolto in alto a guardarlo. Volute di fumo ribollivano, montando verso la cima dell'albero come onde. Il suo corpo era gelato, due capelli gli si rizzarono rumorosamente sulla nuca, ancora una volta si rese conto di quanto era salito in alto. Il ramo liscio restava orgogliosamente al suo posto, quasi a volerlo sfidare. Serrò le gambe al tronco, allungò le braccia e lo tirò con energia verso il basso; il ramo cigolò e urtò contro gli altri. Vi si appoggiò con tutte le sue forze e tutto il suo peso, dimentico dei piedi, che però erano ancora aggrappati al tronco. più il ramo si piegava più sentiva un odio nascere dentro di sé, mandò un grido soffocato e vi si appese con tutto il corpo. Il ramo cedette. Si spezzò con un rumore secco, un nervo saltò nella sua testa, e il suo essere affondò in una specie di voluttà. Spiccò il volo con leggerezza, accompagnato dal lungo ramo. Attorno a lui ruotavano l'aria limpida, le volute di fumo bianco e la luce arancione del crepuscolo.

A un tratto vide uscire di corsa dalla casa di mattoni, divenuta improvvisamente piatta, una donna che indossava una giacca imbottita a fiori. La sentì lanciare un grido simile a un nitrito.

La bambina lo guardava con gli occhi sgranati, le sembrava attaccato all'albero come un frutto maturo.

Doveva essere una sensazione molto piacevole, lo invidiava, anche a lei sarebbe piaciuto attaccarsi all'albero. Poi all'improvviso tutto mutò. Il bambino e il ramo cadevano lentamente, il corpo di lui si svolgeva come un rotolo di seta marrone, mentre il ramo che lei stessa aveva indicato lo sferzava con un suono sordo. Avanzò di un passo, tenendo sempre i vestiti del bambino, quando a un tratto sentì il ramo frustarle la guancia e il rotolo di seta abbattersi su di lei. Era duro come una roccia e a colpirlo avrebbe certo mandato un suono simile a un chiodo che viene piantato.

Il bambino si rialzò stordito, varie parti del corpo gli dolevano, ma a parte questo sembrava illeso. Vide subito la bambina stesa sotto il ramo, gli occhi neri socchiusi, un filo di sangue blu le colava dall'angolo della bocca. Le si inginocchiò accanto, infilò la mano attraverso le foglie del ramo e le sfiorò dolcemente il viso. Era duro, come un pallone troppo gonfio.

La donna con la giacca imbottita a fiori volò dietro la casa e lo ingiuriò: - Piccolo mascalzone! Credi che andrai in Paradiso? Come hanno fatto i tuoi a generare un simile selvaggio? Mi hai rotto un ramo, e io adesso ti rompo una costola!

Ciò detto si slanciò come una furia sul bambino inginocchiato per terra pronta a calciare, ma il suo piede si bloccò a mezz'aria: lo sguardo le si riempì di stupore mentre torceva la bocca in una smorfia. Piombò accanto alla bambina e gridò piangendo: - Xiao Zhen, mia Zhenzi, bimba mia, che ti succede?

 

Un gatto tigrato si arrampicava sull'argine, calpestando silenziosamente l'erba secca con le zampe di velluto. Impaurito si fermò davanti a lui, i suoi occhi lanciarono lampi verdi, soffiò mostrando i denti e drizzò la coda come un'antenna. Il bambino lo guardò intimorito. Il gatto non se ne andò, sentiva l'odore acre del sangue emanato dal suo corpo. Non potendo più sopportare quello sguardo fosforescente, si alzò con fatica.

La luna era adesso molto alta nel cielo, ma appariva opaca e come grondante d'acqua. A occidente le stelle brillavano simili a diamanti.

Il villaggio era completamente nascosto dentro una cappa di fumo e nebbia. Non aveva bisogno di girarsi per sapere che il pioppo era il solo albero di tutto il villaggio a emergere dalla nebbia, come un albero isolato in mezzo a un'inondazione.

Arricciò il naso pensando al pioppo.

Cautamente girò attorno al gatto minaccioso e con passo malfermo scese verso il fiume: aveva un colore grigio argento, non sembrava acqua, ma sabbia fine. La siccità durava da tre anni, erba bruciata e ramoscelli morti si ammucchiavano nel letto del fiume. Il gatto alle sue spalle miagolò diretto a lui, ma ormai non gli prestava più attenzione. I piedi nudi calpestarono la sabbia calda lasciando le impronte dei passi. Il calore della sabbia penetrò la pianta dei piedi e risalì lungo il suo corpo, da principio come una massa informe, poi si diffuse come i fili di una ragnatela lungo il midollo spinale fino al cervello.

Aveva perso coscienza del suo corpo, era diventato un ammasso indefinibile, un'ombra imprendibile, un bruciore pungente.

Quando cadde in una fossa nella sabbia, la luna tremò e fece cadere sul suo dorso nudo un leggero chiarore, simile a sangue. Crollò esausto, i raggi della luna gli bruciavano il dorso come un ferro incandescente. Un odore di cotiche di maiale arrosto colpì le sue narici.

 

La donna con la giacca imbottita non lo picchiò, piangeva la carne della sua carne. I lamenti terribili della donna gli provocarono un brivido di angoscia che lo penetrò fin nelle ossa, capì di essere lui il colpevole.

L'uomo dalla faccia sanguigna gli saltò addosso, un ronzio risuonò nelle sue orecchie, poi tutto ritornò perfettamente calmo. Aveva l'impressione di trovarsi sotto una campana di vetro, all'esterno una folla tumultuosa, allarmata e caotica si agitava come uno sciame di vespe, come se dovessero spegnere un incendio o come soldati in procinto di lanciarsi alla carica. Aprivano la bocca per urlare, ma lui non sentiva niente. Vide avanzare due gambe enormi, un paio di lucide scarpe di cuoio rovesciato arrivarono dritte sul suo petto. Sentì il gracidio di una rana all'interno dello stomaco e, mentre ancora una volta il suo corpo volava dolcemente in aria, un liquido acre gli salì in gola. Mandò un unico singhiozzo e subito dopo ripensò al piccolo cane giallo che avanzava trascinandosi le budella nella polvere della strada. Come mai il cane non si lamentava? Si pose molte volte la domanda. Le scarpe di cuoio gli facevano fare continue capriole. Da un momento all'altro anche lui avrebbe trascinato le sue budella che si sarebbero sparse sulla terra gialla.

Il ramo di pioppo che era riuscito con tanta fatica a staccare prendeva di nuovo il volo insieme a lui, flessibile al pari di una cinghia di cuoio fischiava come un vento forte e rimbalzava in aria. Un fresco odore di linfa rifluì agli angoli delle sue labbra, il corpo compì un'ultima giravolta poi con la bocca morse la polvere e si immobilizzò.

 

La terra sabbiosa si andava lentamente raffreddando, e la temperatura del suo corpo si abbassava con quella della terra. Steso a pancia sotto, faccia a terra, fini granelli di polvere gli entravano nelle narici.

Avrebbe voluto muoversi, ma non sapeva dove fosse il suo corpo: si concentrò alla ricerca dei quattro arti e alla fine ritrovò il contatto con le braccia. Le stirò il più possibile, sentì scricchiolare le vertebre cervicali, come se il collo si spezzasse. Ricadde pesantemente carponi, la bocca piena di terra e la lingua così dura che non poteva più muoverla. Alla fine riuscì a girarsi dopo aver inghiottito per tre volte la polvere. Fissò allora il firmamento con una tristezza infinita; la luna si inclinava già verso sud e gli illuminava le gambe rosse di sangue.

Il cielo oscurandosi aveva preso una bella tinta argentata, la sabbia del fiume scintillava di schegge d'oro che sembravano trafiggerlo come piccoli coltelli. Chiese aiuto alla luna solitaria. L'astro lo illuminava: la sua faccia cerea e l'ombra che proiettava lo terrorizzarono. La sentì profondamente estranea, e chiuse gli occhi per liberarsi dalla visione. Era concentrato a pensare alla luna, quando il viso del padre gli apparve attraverso la luce livida.

Solo quel giorno aveva scoperto chi era suo padre: aveva gli occhi gonfi, con pupille che somigliavano a due minuscole pere messe a macerare in acqua salata. Anche in ginocchio era molto alto. Forse le scarpe di cuoio avevano preso a calci anche lui, forse. Inginocchiato suo padre supplicava: - Segretario, la prego, non si abbassi per dei poveracci come noi, darò io una lezione a questo bastardo.

Dieci cani come lui non valgono la sua Xiao Zhenzi. Darei la mia carne perché sua figlia fosse sana e salva...

Il Segretario si girò verso di lui con un sogghigno. Gli occhi mandavano fiamme.

Il fratello lo trascinò fino a casa.

I talloni disegnarono due scie sulla terra dura. Camminarono a lungo prima di uscire dall'ombra del pioppo.

L'ombra delle gazze e dei corvi gli spazzarono il viso come un piumino leggero.

Il fratello lo gettò nel cortile e gli sferrò una pedata urlando: - In piedi! Non fai che metterci nei guai! - Steso per terra non osava muoversi, il fratello continuò a prenderlo a calci.

- Alzati in piedi! Vai forse fiero della tua impresa?

Riuscì miracolosamente a mettersi in piedi e indietreggiò passo passo verso un angolo del cortile dove si arrestò, fissando con terrore il fratello ossuto e longilineo.

Questo furibondo si rivolse alla madre: - Possa morire. È un vero flagello.

Per colpa sua non potrò mai più entrare nell'esercito.

Triste, il bambino guardava la madre, lei non lo aveva mai picchiato.

Gli si avvicinò con il viso bagnato di pianto. Lui la chiamò col cuore stretto, le lacrime si mescolavano al moccio.

Ma la madre lo aggredì come una furia: - Razza di tartaruga! Piangi? Pensi di intenerirmi con le tue lacrime?

Anche se ti ammazzassi di botte non sfogherei l'odio che provo!

Senza togliersi il ditale, gli diede uno schiaffo terribile sull'orecchio.

Il bambino lanciò un urlo. La madre restò un attimo sbalordita davanti a questo grido che non aveva nulla di umano, poi si inchinò, prese un ramo da un covone d'erba e lo frustò in pieno viso. I passeri posati sul muro di cinta del cortile, spaventati dal rumore secco dei colpi, si lanciarono come proiettili nella luce del crepuscolo. Il bambino si appoggiò con forza contro il muro e guardò sfilare davanti ai suoi occhi gli archi rossi che disegnava il ramo...

 

Nel villaggio risuonò il fievole chicchirichì di un gallo. Il bambino emerse dal coma. Era intirizzito dal freddo e sentiva un pezzo di ghiaccio al posto dello stomaco. La luna declinava a ovest, la Via Lattea era cosparsa di brandelli di onde, simili alle tegole di una casa. Si girò, poteva finalmente muoversi senza difficoltà, il suo corpo rotolava come un tronco di legna da ardere. Non sapeva che stava rotolando lungo un pendio, verso un misero mucchio di patate dolci. I tuberi dai contorni purpurei mandavano un lieve odore amaro, lucciole grosse come noccioli di giuggiole si arrampicavano sulle patate, e gli volavano negli occhi e nelle orecchie.

 

Il padre arrivò barcollando, e la madre, con ancora in mano il ramo diventato liscio per i colpi, si spostò lentamente da una parte.

- Alzati! - ruggì il padre. Il bambino si fece ancora più piccolo.

Si raggomitolò su se stesso, facendo frusciare le foglie delle patate dolci. La luce lunare bagnava la terra, il fiume era coperto da uno strato di brina, qua e là ciuffi d'erba si ergevano come fortezze. Un liquido acre gli salì di nuovo in gola, aprì la bocca suo malgrado e vomitò dei piccoli grumi, simili a farina, che si fermarono agli angoli della bocca, ricordavano lo sterco dei gatti. Fu preso dal panico, ed ebbe un vago presentimento.

Era una ragazza dalle sopracciglia lunghe e fini e riposava sulla stuoia, il viso simile a un petalo viola. Il pianto di quelli che la vegliavano si alzava come un canto. Era molto bella: da viva somigliava a un fiore e da morta ancora di più. Spinto dalla folla era entrato nella stanza vuota, una cintura rossa pendeva ancora dalla trave. Il viso della morta era sereno, indifferente alle persone che le si stringevano attorno. L'uomo dal viso sanguigno, Segretario del Partito della brigata, arrivò per renderle l'estremo saluto, gli occhi bagnati di lacrime; tutti si scostarono rapidamente per lasciarlo passare. Il Segretario si fermò accanto al corpo della ragazza, gli sembrò di scorgere su quel viso un sorriso incantevole.

Le sopracciglia scolpite come code di rondini fremevano. Si accasciò al suolo, il corpo madido di sudore.

Tutti piangevano l'infelice destino della giovane. Quando era in vita nessuno si era occupato di lei, solo ora, da morta, attirava l'attenzione, si era mosso persino il Segretario del Partito! La morte non costituiva dunque un fatto brutto. Il bambino l'aveva trovata molto seducente.

Seguendo la folla caotica era uscito dalla stanza e presto si era dimenticato e della ragazza e della morte. Ed ecco che ora la ragazza, la morte, e gli sembrava ci fosse anche il cagnolino giallo, avanzavano lungo il letto del fiume cosparso di luce argentea, e venivano verso di lui, senza odio né rabbia. Sentiva già il rumore dei passi e distingueva le loro grandi ali nere.

La visione delle ali nere gli fece comprendere la sequenza degli eventi che lo riguardavano, si vide calpestare la fredda rugiada e camminare su e giù nell'acqua del fiume, dove scivolavano banchi di anguille sottili come vermicelli. Le scostò con forza e sprofondò in una stanza nera come la fuliggine. Il vento del nord soffiava senza tanti complimenti tra le crepe delle pareti, nelle tane dei topi e dentro il camino. Irato, guardava questo mondo dorato, nel freddo inverno la luce del sole penetrava attraverso la finestra di carta, illuminando un cumulo di polvere sottile sul kang. Il suo corpo zuppo era caduto sul kang, la polvere lo ricopriva. Disperato piangeva il gelido mondo umano. Siamo nati poveri! - gli disse il padre. E queste parole aumentarono la sua sensazione di gelo, il suo corpo si raggomitolò, si rimpicciolì coprendosi di rughe come un baco da seta.

 

Il pomeriggio del giorno prima, appoggiato tremante al muro del cortile, guardava il padre che passo dopo passo avanzava verso di lui. La luce del crepuscolo illuminava la sua alta figura e il viso angosciato. Lo vide avanzare zoppicando, un piede in una scarpa, l'altro nudo. Tenendo la scarpa nella mano sinistra, afferrò con la destra il collo del figlio, lo sollevò lentamente e poi lo lasciò cadere con forza. Il bambino si sentì sollevato in aria per la terza volta.

Si rialzò completamente stordito, il padre gli sembrava ancora più grande, l'ombra smisurata riempiva il cortile.

Il padre e il fratello, simili a figurine di carta ritagliata, tremavano nel tramonto rosso sangue.

La spessa suola della vecchia scarpa cucita da sua madre colpì prima la testa, facendogli incassare il collo tra le spalle. Poi i colpi caddero sulla schiena con frequenza ineguale e la suola si assottigliò in una nuvola di polvere.

- Bastardo! Neanche se ti ammazzassi di botte sfogherei l'odio che provo! La mano, mentre parlava, non si era fermata un secondo, e quel che restava della suola produceva sulla sua schiena appiccicosa un rumore sempre più forte. Non riusciva più a controllare la rabbia, il cuore gli si era fatto duro come una palla di cannone. Provò il desiderio di dire qualcosa, desiderio che si fece più forte man mano che i colpi si abbattevano su di lui; sentì la propria voce lacerarsi in un urlo: - Stronzo!

Il padre rimase di sasso, la scarpa cadde al suolo senza rumore. Gli occhi del padre si riempirono di lacrime verdi e le vene del collo si torsero come vermi. Il bambino strinse i denti e gridò di nuovo: - Lurido stronzo! Il padre soffocò un grido, poi prese da una delle travi della grondaia una corda di canapa dura che bagnò nella giara dove venivano preparate le verdure in salamoia, la tirò su lentamente e allargò le braccia per farla sgocciolare; ne colò dell'acqua disgustosa. - Levagli i pantaloni! ordinò al fratello. Questo si avvicinò nuotando in un fascio di luce smorta e tremando dalla testa ai piedi. Si arrestò davanti al bambino, evitò il suo sguardo e guardando il padre mormorò: - Papà, non glieli togliere... - Il padre rifiutò con un gesto categorico: - Ti ho detto di toglierli, non possiamo permetterci di rovinare i pantaloni - Lo sguardo del fratello sfiorò rapidamente il viso pietrificato del bambino, poi il petto simile a una lisca di pesce, e infine si fissò sui pantaloni. Quindi si inchinò. Il bambino sentì un'aria ghiacciata passargli tra le gambe, i pantaloni scivolarono come una nuvola e si fermarono ai suoi piedi. Il fratello gli afferrò la caviglia sinistra e sfilò una gamba dei pantaloni, poi ripeté l'operazione con la caviglia destra e li sfilò completamente. Il bambino si sentì scorticato vivo e guardando indietreggiare l'ombra del fratello urlò di nuovo: - Lurido stronzo!

Il padre brandì la corda, che danzò in aria descrivendo delle curve, si irrigidì di colpo avvicinandosi alle natiche del bambino ed emise un rumore secco. Il bambino mandò un gemito: l'ingiuria divenutagli ormai familiare gli sfuggì fra i denti stretti. Il padre gli inferse quaranta colpi di frusta senza interruzione, e lui ripeté per quaranta volte lo stesso insulto. All'ultimo colpo, la corda non si raddrizzò e cadde floscia sulle sue natiche; anche il suo grido si trasformò in un flebile lamento di dolore. Ansimando il padre gettò a terra la corda che aveva cambiato colore ed entrò in casa. La madre e il fratello lo seguirono. - Perché non ammazzi di botte anche me? - lo apostrofò la madre piena di rabbia. Non ci tengo a vivere. Forza, falla finita con tutta la famiglia già che ci sei. La morte è più dolce della vita. Tutta colpa di quell'imbecille di tuo padre, sapeva benissimo che sarebbero arrivati i comunisti, che bisogno aveva di comprare quell'ettaro di terra paludosa, dove nemmeno i conigli sarebbero andati a fare i loro bisogni? E così siamo stati classificati contadini medio-ricchi e da allora viviamo una vita da cani!

- E tu perché hai voluto sposare un contadino medio-ricco? All'epoca i contadini poveri non mancavano certo! - ritorse il figlio maggiore. La madre scoppiò in lacrime e anche il padre si mise a piangere. La corda strisciava come un verme; qua formava un nodo, là si arrotolava come un guscio di lumaca. Al bambino venne la pelle d'oca, i suoi muscoli si tesero; approfittando di questa forza residua si alzò in piedi, rimase pensieroso qualche secondo in mezzo al cortile immerso nella luce crepuscolare, poi fece un salto verso la porta di ramaglie e sgusciò fuori attraverso una delle fessure...

 

Poco prima dell'alba si svegliò, ma non ebbe nemmeno la forza di alzare la testa per guardare la luna e il fiume lividi. Sull'argine risuonarono i lamenti della madre: - Il mio povero bambino, il mio povero bambino... - Le grida produssero dolore e bruciore nelle parti ancora sensibili del suo corpo. Provò la gioia di chi ha placato l'odio con la vendetta. Mandò un urlo terribile, la bocca del suo stomaco fu stretta da un bruciore, sentì un rumore di carta secca che viene stracciata e subito dopo un vento intollerabilmente gelido lo assalì. Udì persino il rumore del suo corpo che cadeva in una caverna gelida, dove da acqua semighiacciata si sollevarono alcune schegge di ghiaccio che lo pietrificarono.

In quell'istante sorse un sole rosso vivo e venne svegliato da un canto che non aveva più niente di umano.

Sembrava un uragano che soffiasse attraverso una foresta millenaria e trasportasse in un turbine i rami secchi, le foglie morte e tutto il putridume depositati nel letto del fiume. Quando l'uragano passò, cadde un silenzio strano e opprimente. Il sole spuntò lentamente da dietro la montagna, una musica calda si levò ad accarezzargli le natiche striate dai colpi. Una scintilla si accese nel suo cervello, gialla, poi rossa, infine verde, sempre più piccola. Vacillò qualche secondo, poi si spense.

Quando lo trovarono era già morto...

I genitori avevano lo sguardo vuoto, simile a quello dei pesci. I visi degli abitanti del villaggio erano aridi come il deserto, fissavano le sue natiche illuminate dal sole come se si trattasse di un bel viso di bimbo, come se stessero guardando me.

L'Uomo Che Allevava I Gatti: E Altri Racconti
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