Appena sollevavo il coperchio, saliva arditamente in superficie: le corte e goffe zampe remavano nell'acqua con meravigliosa agilità, puntando in diagonale verso l'alto. La membrana attorno al guscio gialloverde ondeggiava come una gonna. Una volta in superficie, faceva il giro del recipiente, graffiandone la parete con gli artigli. Nei suoi occhi verdi leggevo rabbia e preoccupazione. La giara era riempita a metà e lo smalto color ocra che copriva la parete rendeva impossibile la fuga.

Dopo aver nuotato un po', stanca, rientrava nel guscio e senza rumore scivolava come un'ombra verso il fondo.

L'acqua nella giara tornava calma e liscia, i sedimenti che aveva smosso si depositavano sul fondo, coprendo di uno strato grigiastro la sua corazza gialloverde. Se non fosse stato per i suoi occhi, simili a due stelle, sarebbe stato impossibile capire che sul fondo c'era una tartaruga.

Quando la tartaruga riposava immobile, la vedevo trasformarsi in uno spirito. Il suo sguardo aggressivo possedeva una forza d'attrazione incredibile. Mi trasmetteva informazioni che riuscivo a percepire ma che mi era impossibile esprimere a parole. Una forza color rosso scuro attraversava l'acqua e penetrava nel mio corpo. Da un lato cercavo di respingerla, dall'altro l'assorbivo con tutte le mie forze. Percepivo i suoi pensieri che non erano né particolarmente elevati né particolarmente banali: erano più o meno come i pensieri degli uomini.

Il giorno fatale arrivò. In realtà non venne ammazzata, ma le fu riservato un trattamento ancora più atroce.

Mio padre versò nella giara due mestoli d'acqua, vi aggiunse una manciata di erbe medicinali, quindi, servendosi di un paio di pinze, la tirò fuori. L'animale, stretto tra le pinze, mandò un verso straziante nel tragitto dalla giara alla pentola sul fornello. Mio padre la gettò nella pentola senza la minima esitazione. La tartaruga si dibatté, la membrana che la circondava ondeggiava come una gonna.

Il fuoco crepitava sotto la pentola, fili di vapore salivano dai bordi.

Sentivo la tartaruga che ancora si muoveva, grattando con gli artigli la parete della pentola.

Una volta cotta, mio padre la mise in un piatto di ceramica e forzò mia madre a mangiarla.

Mia madre sollevò le bacchette e diede un paio di colpi sul guscio, che rimbombò come un tamburo.

Mandò giù un boccone, si afferrò il collo e vomitò.

Mio padre la sgridò con tono severo: - Fai uno sforzo, mangiala!

Con gli occhi pieni di lacrime, mia madre riprese le bacchette e portò alla bocca un pezzo della gonna gelatinosa della tartaruga. La sollevò fino alle labbra, ma poi la riposò subito nel piatto.

Approfittai di quell'attimo per allungare la mano e afferrare il pezzetto di gonna, e la inghiottii in fretta.

Il tratto dalla bocca allo stomaco divenne caldo.

Mio padre mi colpì la testa rasata con le bacchette facendola rimbombare come un tamburo.

 

Quella mattina, il cammello del vecchio Sun scomparve. Sun raccontò che si era alzato all'alba per dargli da mangiare, ma aveva trovato solo un pezzo di corda attaccata alla mangiatoia. La fuga di quello strano animale fu fonte di agitazione nel villaggio, così come tre anni prima era stata fonte di agitazione il suo arrivo... Un cammello nel lavoro dei campi non rendeva come un bue e non valeva un mulo nel tirare i carri, ma il vecchio aveva continuato ad allevarlo.

Ora il cammello era scappato! Alla notizia il mio cuore fu sommerso da una gioia irrefrenabile. Sentivo che sarebbe successo qualcosa, ma non sapevo bene cosa!

All'ora di pranzo, sulla strada si sentì il suono del gong. Lasciai cadere immediatamente le bacchette e mi precipitai fuori. Mia madre, ormai vicina al termine della gravidanza, mi fece non so che raccomandazione, ma io nemmeno mi voltai. Andai dritto dietro il pagliaio e presi il mio tesoro: il guscio della tartaruga lucidato e un sasso verde pisello (la pietra era a forma di cuore spuntato) Battendo il guscio di tartaruga con il sasso, corsi verso il suono del gong.

A casa mi era sembrato che il rumore venisse dalla strada, ma una volta fuori, lo sentii provenire dall'aia.

Vidi da lontano il cammello, ma ancora prima di vederlo sentii il suo odore.

Ero così eccitato che mi girava la testa.

Quando vidi il cammello capii che lo stavo aspettando da anni.

Sull'aia la gente faceva cerchio attorno a un vecchio dall'aria familiare, ma che in effetti mi era del tutto sconosciuto e suonava il gong girando in tondo. Sembrava molto vecchio, settanta, ottant'anni, difficile dirlo. La bocca sdentata e le labbra rientrate facevano venire in mente un ano flaccido. Dal suo braccio pendeva una correggia di pelle legata a una catena, a capo della quale stava attaccata una scimmia macilenta dal pelo verde, alta una trentina di centimetri. La scimmia seguiva il vecchio nel giro, a tratti camminando e a tratti a quattro zampe. Aveva un'aria buffa.

Il vecchio scandiva le parole come se recitasse i sutra: - Avvicinati veloce, ora avanza lentamente... Fai un inchino a questi signori... così ci applaudiranno... e con le monete guadagnate compreremo le focacce...

La scimmia l'inchino non lo faceva, ma mostrava i denti e faceva smorfie di continuo.

Su un lato dell'aia era parcheggiato un grande carro con le ruote di legno, il cammello era legato a una stanga.

Sul carro c'era una grande cassa di legno il cui coperchio sollevato mostrava una marea di accessori da teatro di tutti i tipi. Una ragazza di una ventina d'anni stava appoggiata alla balaustra: indossava un paio di pantaloni di seta rossa svasati, e una tunica di seta verde con bottoni neri simili a farfalle che partivano dal collo fino alla vita. Una spessa treccia le pendeva dalla nuca. Il suo viso somigliava alla luna piena, aveva le sopracciglia nere, lunghe ciglia e denti bianchissimi. Un'aria malinconica aleggiava sul suo viso.

Sul carro c'erano altri due ragazzi, press'a poco della mia età: un maschio e una femmina, magri e pallidi, sedevano per terra con aria stanca.

Non c'erano orsi neri, né porcospini dagli aculei ispidi, né galli a tre zampe, né uomini con la coda.

Non era il circo che aspettavo.

La folla diventava sempre più numerosa. I due ragazzi si alzarono all'unisono, si aggiustarono la cintura ed entrarono in scena facendo una capriola dietro l'altra. Quando facevano il ponte mostravano la pelle tesa del loro ventre.

La ragazza con i pantaloni rossi si esibiva in esercizi con la spada: nei momenti più veloci del suo numero, il corpo non si distingueva più, si vedevano solo due fiamme: una rossa e una verde.

Io vedevo aprirsi davanti a me la strada della vita.

 

La strada era tortuosa, attraversava acquitrini, varcava dolci colline...

Seguivo le tracce delle ruote del carrozzone profondamente impresse nel terreno argilloso, marciavo sulle orme del cammello. In tasca avevo i miei due talismani: il guscio di tartaruga e il sasso a forma di cuore.

Nella palude il vento soffiava sulle lunghe canne selvatiche, piegandole e facendole assomigliare a onde verde giada. Ad un tratto sentii un odore familiare. Il cammello, era il cammello! Il cammello che il vecchio Sun aveva perso uscì lentamente dal canneto e si tenne sullo stretto sentiero fangoso. Avevo l'impressione di non aver mai avuto paura di quel cammello, d'essere unito a lui come il bovaro alle sue vacche. Era come ritrovare un amico in un paese straniero, come due amanti che si rincontrano dopo una lunga separazione. Mi precipitai verso di lui e con un salto abbracciai il suo collo lungo, solido, sinuoso.

Un liquido caldo sgorgò dai miei occhi. Non erano lacrime.

L'Uomo Che Allevava I Gatti: E Altri Racconti
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