24

Pam guidò fino a casa di Zoe, parcheggiò, quindi prese Lulu in braccio e andò fino alla porta, ma una volta là si bloccò. Poteva affrontare la realtà, si disse, oppure voltarsi e andarsene. Ma andarsene non era più un'opzione possibile.

Suonò il campanello e attese, ripensando alla mail che Zoe le aveva mandato e sperando che fosse stata sincera nell'augurarle il meglio. Zoe aprì la porta e la guardò stupefatta.

«Pam... come mai sei qui?»

Lei la guardò cercando i segni della gravidanza. Zoe aveva le guance un po' più piene, ma la maglia morbida che indossava non evidenziava nessun ventre in crescita.

«Ho pensato che dovevamo parlarci» ammise, «ma adesso che sono qui non so cosa dirti. A parte che vorrei essere la persona che tu credevi. Prima. Insomma, vorrei che fossimo di nuovo amiche.»

Zoe sembrava poco convinta. «Lo dici per me o per Steven?»

Quindi sapeva che non si parlavano. Ma certo, Steven gliel'aveva sicuramente detto.

Pam non aveva mai pensato di diventare una di quelle madri che si risentono se i loro figli hanno una vita amorosa. Ricordò in un lampo i tempi in cui Steven correva da lei perché era la sola che potesse curarlo e consolarlo. Ma quei giorni appartenevano al passato: Steven era un uomo adulto con un cuore da adulto. E lo aveva dato a Zoe.

«Posso dire che lo faccio per entrambi?» rispose sottovoce.

Zoe sorrise. «Apprezzo la tua sincerità. Vieni, entra.»

Attraversarono la casa e uscirono nel patio. Pam vide Mason sdraiato al sole, accanto a una grande fioriera di legno, depose Lulu a terra e la cagnetta trotterellò verso il gatto per ispezionarlo. Mason aprì pigramente un occhio, poi lo richiuse. Lulu lanciò un'occhiata alla padrona, si avvicinò cautamente un altro po' e poi si sdraiò sul prato accanto al felino.

«E io che mi aspettavo un dramma» confessò Zoe. «Alla faccia di cani e gatti che non vanno d'accordo.»

«Lulu è molto socievole. Ci vuol altro per scuoterla...»

Le due donne si sedettero su due poltroncine all'ombra. «Come stai?» domandò Pam. «Nausee mattutine o cose del genere?»

«In realtà no. Per qualche giorno ho provato fastidio nel sentire certi odori, ma poi anche quello è passato e va tutto bene.» Alzò una mano con le dita incrociate. «Faccio gli scongiuri perché continui così.»

«Hai passato il periodo peggiore» la rassicurò Pam. «Dopo le prime dodici settimane, gli ormoni si stabilizzano e io ho sempre pensato che erano troppo occupati a far crescere il bambino per perder tempo con me.»

«Mi piace l'idea!»

Pam esitò ancora un istante e infine decise che l'unica mossa giusta era parlare chiaramente. «Ci ho pensato a lungo» esordì. «Se sposerai Steven e poi divorzierete, lui non avrà alcun diritto sul bambino. Pur avendolo allevato e amato, dovrà allontanarsi da lui. E se sarà una bambina che lo adora e di cui lui non potrà fare a meno? Se passeranno insieme... diciamo quattordici anni, e poi lui la perderà? Ne sarà devastato.»

Zoe inspirò a fondo. «Purtroppo Chad non rinuncerà mai ai suoi diritti genitoriali, perciò Steven non potrà adottare il bambino.»

Pam lo immaginava, ma la conferma era una delusione in più. «È anche di questo che mi preoccupo. Che lui soffra perché Chad sarà sempre il padre legittimo.» Sospirò e continuò: «Ricordo quant'era elettrizzato John quando gli dissi che ero incinta per la prima volta. Vivemmo tutto insieme lui e io. Avevamo creato una nuova vita ed era una gioia che potevamo condividere. Steven non avrà nemmeno questo».

Zoe si asciugò le lacrime. «Tu vuoi che io lo lasci, ma io non credo di poterlo fare.»

Pam esitò di nuovo. La risposta più semplice era sì, doveva lasciarlo, ma aveva vissuto abbastanza da sapere che non esistono risposte semplici. «No... vorrei tu capissi che per quanto potrai amare il tuo bambino io ho amato Steven di un amore altrettanto profondo, ma per più tempo. Tanti anni di più. Ti guardo e vedo una giovane donna a cui voglio bene, ma sono molto spaventata.»

«Tanto spaventata da metterti fra noi?»

«Ci ho già provato» ammise Pam, «però non ha funzionato. Ho cercato di tenere mio figlio al sicuro, ma non funziona nemmeno questo. Perciò adesso devo accettare la vostra volontà.» Si voltò verso Zoe. «Sono felice che tu lo ami, ma è tutto il resto che mi preoccupa. Ti ho giudicata male, e ti chiedo scusa. Mi dispiace anche di aver cercato di convincere Steven a lasciarti. Però non mi scuserò mai se mi preoccupo per lui, perché questo fa parte del mio compito.»

«Certo. Sei sua madre.»

«Possiamo far pace anche se fra noi c'è tutto questo?» domandò Pam.

Zoe sorrise tra le lacrime. «Credo che dobbiamo almeno provarci.»

Zoe passò il pomeriggio cercando su Internet vernici atossiche e mobili per neonati, perché dopo la visita di Pam non avrebbe potuto concentrarsi sul lavoro. Verso le quattro uscì in giardino e guardò le fioriere, con le piccole piante appena messe a dimora e già in crescita. Poi si poggiò la mano sul ventre e pensò che tra qualche settimana avrebbe avvertito i primi movimenti della vita che stava crescendo dentro di lei.

Pam non aveva torto. Era la verità, sgradevole ma inoppugnabile. Non aveva torto a fare domande, a preoccuparsi, a proteggere Steven. Le sue erano tutte ottime ragioni. Se tra lei e Steven le cose continuavano come adesso, la conclusione logica era che si sarebbero sposati. E poi? Il bambino che lui avrebbe cresciuto fin dalla nascita non sarebbe mai stato suo. Se poi fosse successo il peggio e loro avessero divorziato, Steven avrebbe potuto sperare soltanto in qualche rara visita. Perciò lui rischiava per amor suo molto più di quanto facesse lei. Ma forse stava correndo troppo, pensò. In fondo, il loro rapporto era ancora nuovo. Il bambino in arrivo aveva complicato tutto, eppure lei non riusciva a volergliene.

Strano come tutto fosse cambiato così rapidamente... Sei mesi prima stava rompendo con Chad e si domandava come sarebbe andata avanti senza di lui. Adesso aveva una nuova prospettiva di lavoro, un bambino in arrivo e un uomo meraviglioso che l'amava!

Sentì qualcosa che le sfiorava il polpaccio e guardando in basso vide il suo gatto. «E te, Mason, certo. Ho anche te.»

Lui rispose con un miagolio, come per dirle di non dimenticarselo.

«Pensi che il bambino ti piacerà?»

Mason chiuse e riaprì lentamente gli occhi verdi e lei decise di interpretarlo come un sì. Ridacchiò e una voce dietro di lei disse: «Che cosa c'è di così divertente?».

Zoe si voltò e vide Steven avvicinarsi con due grosse borse della spesa, da una delle due spuntavano dei fiori.

Corse verso di lui e dopo aver preso una delle borse, si drizzò sulla punta dei piedi e lo baciò. «Sei arrivato presto!»

«Lo so. Continuavo a pensare a te, così ho piantato tutti in asso ed eccomi qua.» Sollevò la borsa che teneva in mano. «Qui ci sono gli ingredienti per un'insalata mista e per una macedonia, tutto biologico. Poi ho portato del pollo allevato a terra, e la ricetta di una marinata che mi ha mandato mia madre con un messaggio. Dice che è deliziosa.»

Cinse le spalle di Zoe e la guidò dentro casa. «Ce l'avevo con lei e perciò non le ho ancora parlato da quando è tornata, e lei di punto in bianco mi manda la ricetta di una marinata. Sono un figlio orribile!»

«Ma no, mi stavi proteggendo, e io te ne sono grata.»

«Ti amo, Zoe. Che altro avrei dovuto fare?»

Davvero, che altro?

In cucina, Zoe depose la sua borsa della spesa sul ripiano, poi recuperò quella di Steven e la posò accanto all'altra. Infine lo prese per mano e lo condusse al tavolo.

«Dobbiamo parlare. Ci sono alcune cose che devo dirti.»

Lo sguardo di lui non aveva lasciato la sua faccia. «Mi devo preoccupare?»

«No, stai tranquillo. Voglio solo che siamo sicuri delle nostre decisioni.»

Si sedettero così vicini che le loro ginocchia si sfioravano. Zoe guardò la bella faccia di lui, i tratti definiti, l'espressione seria. Era un uomo calmo, intelligente e premuroso. Amava la sua famiglia e il suo paese, e si adoperava per il bene dei suoi impiegati. In sostanza, era una bravissima persona.

«Io ti amo» esordì.

Lui sorrise. «Ah, davvero?»

Lei annuì, ma quando Steven fece per abbracciarla scrollò la testa. «No, lasciami finire. Ti amo e mi considero fortunata per averti trovato.» Alzò una spalla. «O meglio, è stata una fortuna che tua madre ci abbia messi insieme. Tu sei un uomo fantastico... ma in effetti il bambino complica le cose.»

«Non ho problemi con il bambino.»

«Lo so, ne abbiamo parlato tante volte e ti credo. So che con il cervello capisci bene ciò che sta accadendo, ma non so se lo capisci con il cuore. Perciò devo essere certa che tu sia disposto a fare tutto questo perché mi ami e non perché vuoi fare l'eroe.»

Temeva che Steven si arrabbiasse o respingesse le sue parole, ma lui, essendo Steven, si limitò ad annuire.

«La tua osservazione è giusta» disse. «Di solito sono quello che vuol fare l'eroe, ma questa volta no. Sono qui solo per te, Zoe. Se le cose tra noi procedono, so che correrò dei rischi. Ma sono disposto a correrli.»

Lei inspirò a fondo. «Sono disposta a rischiare anch'io» dichiarò. «Darò a Chad il programma di visite prima che il bambino nasca. So già che non rinuncerà assolutamente ai suoi diritti genitoriali, perciò tu non potrai adottare il bambino. Ma se noi... be', non sto dicendo che dobbiamo, ma se noi, insomma, portiamo avanti le cose... penso che dovremmo preparare anche noi una specie di programma.»

Poi tacque, perché non sapeva come dire quel che voleva dire. Anche perché, santo Dio, lui non le aveva ancora mai chiesto di sposarla. Si sentì arrossire. Sarebbe stato tanto strano alzarsi di colpo e proporre di mettere il pollo a marinare?

Steven le carezzò una guancia. «Vuoi dire che se ci sposiamo possiamo fare qualcosa di molto simile, cioè un programma di visite prenuziale.» Sorrise. «Non sei l'unica a fare ricerche online.»

Zoe fu travolta da un'ondata di sollievo. «Proprio così, un programma di visite.»

«Mi sembra una buona idea.» Lui si chinò a baciarla. «Ti amo, sai.»

«Ti amo anch'io.» Poi lui la baciò di nuovo. «Ma quanto siamo bravi?»

«Siamo i migliori!»

A Pam restava l'ultima tappa del suo percorso di scuse. Era andata a trovare Zoe, aveva parlato con Steven, doveva ancora affrontare Miguel.

Così, traendo ispirazione dalle giovani donne coraggiose che conosceva, gli aveva mandato un messaggio in cui suggeriva di trovarsi in un locale sul lungomare per bere qualcosa insieme. Miguel aveva accettato, e adesso lei era lì che entrava in un elegante bar per incontrarsi con un uomo. E non uno qualsiasi. Un uomo complicato, molto attraente, che l'aveva baciata.

Non credeva di essere pronta per stare con qualcuno, ma non era nemmeno disposta a rinunciare a lui. E questo le provocava un lieve batticuore.

Miguel era già seduto a un tavolo d'angolo accanto alla vetrata, e appena la vide si alzò con un sorriso. «Pamela, come sei bella. È un tale piacere vederti.»

Ah, la sua voce... non era leale che avesse quella voce bassa, morbida come la seta, che le procurava dei brividi lungo la schiena.

Dopo che si furono entrambi seduti, lui chiamò il cameriere. «Posso fare io?» le domandò.

Pam annuì e lui ordinò due Margarita con ghiaccio, naturalmente preparati con la sua tequila.

Per quell'incontro si era preparata con molta cura. Aveva scelto un abito rosso scuro, più aderente di quelli che portava di solito, con l'orlo al ginocchio. Aveva preferito dei tacchi non troppo alti, in modo da non barcollare camminando; aveva messo in piega i capelli e si era truccata con attenzione, poi si era spruzzata una lieve nuvola di profumo. E nonostante tutto era così nervosa che temeva di vomitare da un momento all'altro. Non sarebbe stato un bello spettacolo!

«Ho parlato con Zoe» esordì per eliminare subito l'argomento scuse. «Le ho detto che avevo sbagliato a mettermi tra lei e Steven, ma le ho anche spiegato che mi preoccupavo di quel che poteva accadere in futuro... Però la decisione non spetta a me e l'ho finalmente capito. Non posso proteggere mio figlio da tutto. Devo fidarmi di lui e pensare che farà la scelta più giusta.»

«E lei come l'ha presa?»

«Conosci tua figlia. È stata estremamente cortese e comprensiva.»

Miguel sorrise. «Lo speravo, ma non si può mai essere sicuri. Perciò va tutto bene?»

«Sì, almeno credo. Non lo so... va tutto bene?»

«Ah, Pamela» disse lui studiandola. «Sei una donna così interessante.»

Interessante. Interessante? No! Lei voleva essere affascinante e misteriosa... Un articolo sul prodotto interno lordo era interessante.

«Ti spavento ancora?»

«Ah, be', io... tu...» Pam si schiarì la gola. «Sì.»

«Anche tu spaventi me.»

«Davvero?»

Il sorriso riapparve. «Sei più complicata delle donne a cui sono abituato. E poi c'è sempre il fatto che sei la moglie di John.»

«Te lo sei ricordato.»

«È impossibile dimenticarlo.»

«Ma io non posso cambiare quello che sono.»

«Puoi cambiare un po'. Lo abbiamo appena visto, ma capisco quello che intendi e ammiro la tua fedeltà. In un certo senso io provo lo stesso per Constance. Era una donna speciale, farà sempre parte della mia vita e insieme abbiamo avuto Zoe... come tu hai avuto i tuoi figli. E quindi, a che punto siamo?»

Il cameriere arrivò con i loro Margarita, Miguel aspettò che Pam prendesse la sua coppa e poi la sfiorò con la propria. «Propongo di brindare alle possibilità di quello che potrebbe accadere.»

«Alle possibilità» rispose lei bevendo un sorso.

«E all'ottimo sesso» aggiunse Miguel.

Il cocktail le andò di traverso e cominciò a tossire, poi si riprese, depose la coppa e lo fissò. «Parli sul serio?»

«Mai stato più serio in vita mia» replicò lui ammiccando.

Nella mente di lei passarono mille pensieri, no, un milione. Paura, confusione, ansia, e un piccolissimo brivido di trepidazione. Era sola da due anni e non avrebbe mai smesso di amare John, ma era pronta ad accettare che il mondo continuava a girare e che la trascinava nella sua orbita.

«Dovrai usare un profilattico» affermò compunta. «Si dice che gli ultracinquantenni siano tra i più affetti dalle malattie veneree.»

Miguel si appoggiò allo schienale della poltroncina e scoppiò in una profonda, allegra risata che sembrava provenire direttamente dallo stomaco.

Lei sorrise, quasi compiaciuta.

«Ah, Pamela, sai stupirmi in mille modi» disse lui sollevando di nuovo la sua coppa. «A noi.»

«Sì, Miguel, a noi.»

I suoni della partita di baseball trasmessa dalla TV si sovrapponevano alle conversazioni, alle risate e ai latrati di Lulu e Mariposa, che giocavano a rincorrersi fuori e dentro casa abbaiando a più non posso. Jen aveva ormai rinunciato a controllare l'andamento della festa e aveva deciso di abbandonarsi al flusso degli eventi.

Era il Quattro Luglio, una giornata calda e limpida che si sarebbe trasformata in una notte perfetta per i fuochi d'artificio. Il barbecue organizzato da Jen e Kirk sarebbe durato fino al tramonto, dopodiché gli ospiti si sarebbero spostati sulla spiaggia per ammirare i fuochi.

«Adesso chiedo ai ragazzi di portare fuori il tavolo della cucina» disse Pam. «Lo mettiamo sotto gli alberi e lo usiamo per il buffet.»

«Perfetto. Nella dispensa ci sono i piatti di carta.»

«Di carta?» domandò Pam inarcando le sopracciglia.

«Sì, sono quelli biodegradabili.»

Jen capiva lo stupore di sua madre, perché non le erano mai piaciuti i piatti di carta, i party rumorosi, i cani che correvano per casa. O almeno così era stato. Ma per migliorare la sua vita aveva imparato a lasciar perdere, a rilassarsi. Le ci era voluto un bel po' per capire che, se non cercava di controllare il mondo intero, gran parte delle sue ansie svaniva.

Be', non del tutto. C'erano ancora notti in cui si svegliava di soprassalto con il cuore in gola e l'orribile sensazione di non riuscire a respirare, ma erano eventi sempre più rari. Ogni giorno affinava le sue capacità: si concedeva quindici minuti di calma, prendeva le medicine necessarie, curava il suo aspetto. A volte, per affrontare la vita serviva davvero tutto l'aiuto possibile.

Kirk e Steven portarono fuori il tavolo, Pam lo coprì con una tovaglia di tela cerata e vi dispose la pila di piatti di carta, mentre Jen toglieva dal frigorifero il vassoio di hamburger crudi e lo portava fuori.

«Carne!» esclamò Kirk. «Mangiamo carne perché siamo uomini veri!» Prese il vassoio dalle mani di Jen, poi la baciò. «E vere donne» aggiunse.

Desire era seduta all'ombra, con Zoe e Miguel. Lucas passò portando Jack in spalla, come un sacco. Il piccolo strillava e rideva, deliziato.

«Attento» lo avvertì Jen accennando al gruppetto, «o qualcuno ti soffierà la ragazza.»

«Miguel è troppo preso da Pam» rispose Lucas. «Lo sappiamo tutti.»

Proprio così. Era evidente che i due, benché discreti, erano passati a un livello più intimo, ma Jen non voleva approfondire. Che fosse il fratello a preoccuparsi del sesso della loro madre, se ci teneva.

E a proposito di Steven, le cose con Zoe andavano magnificamente. Pam si era calmata e aveva accettato quel che era inevitabile, perciò erano tutti felici e contenti.

Sì, pensò Jen sorridendo fra sé. Kirk amava il suo lavoro e lei si era adattata all'idea. Adesso facevano l'amore regolarmente, come se il momento esplosivo in cui si erano ritrovati avesse spazzato via tutto quello che li aveva allontanati l'uno dall'altra.

Tornò in cucina a prendere gli hot dog e Steven la seguì.

«Posso chiederti un favore?» le domandò.

«Ma certo.» Gli porse il vassoio ed entrò nella dispensa per prendere i panini, e quando tornò in cucina lui aveva deposto il vassoio sul tavolo e la fissava serissimo. «Che succede? Stai male? Ci sono problemi con il bambino?»

«Rilassati... sembri la mamma.»

«C'è di peggio. Allora, di che si tratta?»

«Ho bisogno di aiuto.» Steven si guardò alle spalle. «Non dire niente agli altri, ma voglio comprare un anello per Zoe.» Sorrise imbarazzato. «Un anello di fidanzamento.»

«Cosa?» strillò lei. Poi abbassò la voce. «Scusa... Quindi le chiederai di sposarti?»

«Proprio così.»

Jen gli gettò le braccia al collo. «Magnifico! Sono felice per voi! Certo che verrò a comprare l'anello con te. Ma sappi che per sposarsi Zoe aspetterà che il bambino sia nato.»

«Te l'ha detto lei?»

«No, ma lo so. È una cosa da ragazze.» Lo strinse a sé. «Il mio fratellino che si sposa... sei proprio cresciuto!»

«Grazie.» Poi la guardò serio. «Non devi dirlo a nessuno, parlo sul serio. Forse a Kirk... Prometti!»

«Giuro.»

«Bene.» Steven sorrise. «Sono proprio felice.»

«Anch'io.»

Lui prese il vassoio e i panini e li portò nel patio.

Rimasta sola in cucina, Jen si abbandonò a un balletto di gioia. Quando si voltò, vide Jack che le sorrideva e accennava al frigorifero. Lei si accucciò davanti al figlio. «Ehi, ometto, hai sete? Cosa vuoi bere? Dillo a parole, per favore.»

Chiedere di usare le parole era quello che consigliavano gli esperti e lei lo faceva decine di volte al giorno, ma senza risultati.

Jack guardò il frigorifero, poi sorrise di nuovo. «Latte, mamma. Peffavoe.»

Lei cadde a sedere e lo fissò, mentre il suo cervello ripeteva la frase. Suo figlio aveva detto latte. Aveva detto mamma. Aveva detto per favore! Non proprio correttamente, però lo aveva detto.

Jen avrebbe voluto abbracciarlo, stringerlo fino a soffocarlo, gridare al mondo: Mio figlio mi ha parlato! Ma una vocina le suggeriva di non farne un affare di stato, così sorrise e si alzò in piedi. «Vada per il latte.»

Riempì la sua tazza salvagoccia e gliela porse.

«Gassie.»

«Non c'è di che, tesoro.»

E insieme uscirono dalla cucina per unirsi alla festa. Trоvа quеstо e tutti gli аltri libri grаtis mоltо primа nеl sitо dа cui vеngоnо cоpiаti. Cerchi cоrtеsеmеntе mаrаpcаnа su Gооglе e trоvеrà la bibliоtеcа, complеtаmentе grаtuitа, più fornitа dеl web. Lа аspеttiаmо!