15
Zoe si sentì mancare il respiro e per un attimo pensò di averlo immaginato. Ma era proprio lui.
«Che ci fai qui?» esclamò, domandandosi quanto fosse arrabbiato e quanto avrebbe gridato. Ma lui non sembrava arrabbiato. Forse un po' confuso e basta.
«Non puoi lasciarmi con una telefonata» rispose Steven entrando in casa. «Voglio che tu me lo dica in faccia e mi spieghi il perché.»
Zoe avrebbe giurato di non avere più lacrime, invece altre le riempirono subito gli occhi rotolandole poi lungo le guance. «Non volevo» singhiozzò. «Ma ho dovuto farlo.»
Lui si guardò intorno. «Ti tengono in ostaggio e ti libereranno solo se mi lasci?» domandò. Il suo tono era tutt'altro che divertito. «Suvvia, Zoe, nessuno ti costringe a far niente e io merito di meglio. Che è successo? Credevo che tra noi andasse tutto bene, che ci fosse qualcosa di bello. Mi sbagliavo?»
Dunque voleva essere razionale, pensò lei. Non era arrabbiato, non voleva cedere all'emozione e le poneva domande da persona matura. Da adulto.
Chiuse la porta e andò a sedersi sul divano; lui la seguì e scelse la poltrona di fronte. Zoe si sentiva morire per l'umiliazione, ma ormai non poteva evitare di confessargli la verità. Tanto prima o poi l'avrebbe scoperta comunque.
«Faccio un'iniezione ogni tre mesi, come anticoncezionale» esordì.
Lui aggrottò la fronte. «E questo che cos'ha a che vedere con noi?»
Lei deglutì. Doveva dire tutto e subito, pensò. E fare in modo di non essere sulla sua traiettoria, per non essere travolta quando lui fosse corso via. «Due mesi fa ho fatto sesso con Chad, dopo che ci eravamo lasciati. È stata una stupidaggine, un errore, ma è successo. Poi, qualche giorno fa mi ha telefonato il mio ginecologo e ho scoperto che l'ultima partita di iniezioni era difettosa. In sostanza non ero protetta come pensavo.» Alzò il mento per farsi forza. «E adesso sono incinta. Aspetto un bambino da Chad.»
Strinse le labbra perché non aveva altro da dire, e a ogni modo lui non sarebbe stato lì per ascoltare. Ma mentre il silenzio si prolungava, guardò Steven e vide che non accennava a muoversi.
«E allora?» chiese lui.
«Allora cosa?»
«Perché vuoi rompere con me?»
Lei intrecciò le mani in grembo. «Aspetto un bambino dal mio ex. Non lo avevo programmato, poco ma sicuro, eppure eccomi qui. Incinta.»
«E hai intenzione di tornare con lui?»
«Cosa? No! Non lo farò mai! Ma prima o poi dovrò dirglielo, e dovrò averci a che fare per tutta la vita.» Il suo stomaco si contrasse e lei si domandò se stava per vomitare. Inspirò a fondo un paio di volte.
«Quindi hai deciso di tenere il bambino.»
Zoe annuì. «Il dottore ha detto che potevo interrompere la gravidanza, ma io ho deciso di no. E non voglio neanche darlo in adozione. Avrò il bambino e... basta.» Lei stessa aveva ancora qualche difficoltà ad afferrare il senso della sua decisione. «Mi dispiace» mormorò e abbassò la testa, imponendosi di non mettersi di nuovo a piangere.
Steven si alzò e andò a sedersi accanto a lei. «Una situazione difficile.»
Lei tirò su con il naso.
«Stai bene?»
«No, sto malissimo. Sono confusa, spaventata e ho rovinato tutto. Mi piaceva quel che stavamo costruendo insieme. Pensavo che fosse...» Non lo sapeva definire, però sapeva che tra loro c'era stato qualcosa di speciale. «Speravo che la nostra fosse una storia felice.» Doveva essere coraggiosa, forte, e sarebbe stata ricompensata... un giorno o l'altro. «Ora non sei obbligato a restare con me.»
«Ignorerò quest'ultima frase» disse lui con calma. «Vediamo se ho capito. Hai scoperto di essere incinta, ma sei sicura che il bambino sia di Chad?»
«Si vedeva dall'ecografia. Sono incinta di due mesi.»
«E hai fatto sesso con lui una volta.»
Lei annuì con forza e alzò una mano come per prestare giuramento. «Giuro, quella volta e basta. Ed è stata una tale idiozia! Non hai idea di quanto lo rimpianga. Ma comunque sia, non tornerò mai con Chad.»
«Ti credo. Dunque hai deciso di avere il bambino e di trovare un qualche accordo con il padre.»
«Sì, terrò il bambino, ma quanto al resto non ho idea di come farò.»
«E hai rotto con me perché pensavi che non volessi più starti accanto.»
Zoe cercò di ricacciare indietro le lacrime. «Sì.»
A quel punto Steven si alzò, fece qualche passo e poi si voltò a guardarla. «Perché non mi hai detto semplicemente la verità?»
«Non l'ho detta a nessuno perché non so come fare. Sono imbarazzata, sconvolta, piena di vergogna.»
«Lo capisco, ma voglio chiederti un favore.»
Lei lo guardò, in attesa.
«Dammi il tempo di sbagliare prima di decidere che sono da scartare.»
«Che vuoi dire?»
«Hai pensato che, dopo aver saputo che sei incinta, non sarei più voluto stare con te. Hai deciso al posto mio. Ma non puoi sapere che cosa penso... dannazione, non lo so nemmeno io. Però quello che so è che non voglio sparire così all'improvviso. Devo riflettere su tutto per capire che cosa voglio fare, perciò ho bisogno di tempo.»
Zoe non riusciva a crederci. «Quindi non scappi via?»
«Non ancora.»
«E può darsi che tu non lo faccia per niente?»
Lui sorrise. «Può darsi che io riesca a gestire questa faccenda. Non lo so ancora, è complicato, ma non è del tutto fuori questione.»
Zoe si ordinò di non sperare troppo. Se in seguito Steven avesse deciso di averne abbastanza, la delusione sarebbe stata ancora più cocente. Ma si sentiva un po' meglio, nonostante tutto. «Va bene. Prenditi tutto il tempo necessario.»
Steven tornò a sedersi sul divano. «Hai detto che per ora non lo sa nessuno. A chi lo dirai, dopo di me?»
«A mio padre, penso. E poi a Jen.» Pensò a Pam e immaginò che probabilmente non sarebbe stata comprensiva quanto suo figlio.
«A mia madre lo dirò io» dichiarò lui come se leggesse nei suoi pensieri. «Ma aspetterò qualche giorno.»
«Ti ringrazio. E poi dovrò dirlo a Chad. Non sarà un compito facile.»
«Posso esserci anch'io, se vuoi.»
«Sei gentile, ma è una cosa che devo affrontare da sola.»
Lui prese la sua mano e la strinse brevemente. «Sei una donna forte.»
«Non è vero... sono un disastro, non faccio che piangere e sono già in crisi di astinenza da caffè e alcol!»
«Vuoi che andiamo a mangiare qualcosa?»
«Sì, mi piacerebbe molto.»
Lui le sorrise. «Anche a me.»
Jen passò i primi tre giorni della convalescenza di Lucas cercando di stare con lui il meno possibile. Un'impresa difficile, considerando che viveva in casa loro e lei era quella che doveva curarlo. Ma continuava a rimuginare sul giudizio che aveva dato di lei e della sua vita, giudizio probabilmente distorto a causa dei calmanti. Tuttavia, ogni volta che si giustificava con se stessa le sorgeva il dubbio che Lucas avesse ragione.
Nonostante tutto, alla fine della prima settimana avevano stabilito una sorta di routine. Lucas faceva colazione con lei e Jack e, malgrado il timore che dicesse parolacce o si comportasse male di fronte al bambino, Jen dovette ammettere che il suo ospite era paziente e affettuoso. Gli parlava, giocava con lui, gli leggeva delle favole, e Jack lo adorava al punto che più di una volta aveva insistito per lasciargli il suo amatissimo orsacchiotto come compagnia per la notte.
In quei giorni Jen aveva fatto online qualche ricerca sulla depressione e gli attacchi di ansia. In due soli anni aveva vissuto parecchi eventi stressanti o impegnativi: era rimasta incinta, aveva perso il padre, aveva dato alla luce un figlio, aveva traslocato e suo marito aveva cambiato lavoro. Una notevole pressione per chiunque. Nei suoi giorni migliori si ripeteva che ne sarebbe uscita. In quelli più bui temeva che sarebbe scivolata lentamente nella pazzia.
Per quanto strano, uno dei vantaggi di ospitare Lucas era che gli attacchi di panico erano diminuiti. Forse perché sapeva che c'era qualcun altro in casa, o forse perché lui era una distrazione. Restava il fatto che lei superava la maggior parte delle giornate senza quella terribile sensazione di essere a un passo dalla morte.
Trascorrevano molto tempo all'aria aperta, nel sole tiepido di fine aprile. Jack guidava la sua macchinina su e giù per il patio o giocava sul prato. Lucas stava seduto all'ombra, parlando ogni tanto. Aveva ripreso colore, non dormiva più tutto il giorno, ma faceva un sonnellino più o meno alla stessa ora in cui lo faceva Jack, cosa che Jen trovava molto divertente.
Quel giorno, seduta sul prato al sole, osservava Jack che giocava con alcuni camion giocattolo e con dei blocchi di legno. Caricava i blocchi sui camion, poi li spingeva attorno a lei e scaricava i blocchi dall'altro lato.
«Hai le costruzioni nel sangue, ragazzo mio» osservò Lucas. «Come tuo zio e tuo nonno.»
«Come sai di mio padre?» domandò lei.
Lui ammiccò. «Oh, io so parecchie cose.»
Il che significava che Kirk gliene aveva parlato. Jen si domandò che cos'altro gli avesse detto, ma preferì non indagare. Conoscendo Lucas le avrebbe detto la verità e lei non era sicura di volerla ascoltare.
In quel momento il cellulare di Lucas squillò, lui lo prese dalla tasca della tuta e diede un'occhiata allo schermo. Jen pensava che si trattasse dell'infermiera che confermava la sua visita giornaliera, ma quando lui rimise il telefono in tasca senza rispondere capì di essersi sbagliata.
«Era Caitlyn?» domandò.
Lui mise il broncio. «Lasciami in pace.»
«Dovresti permetterle di venire a trovarti.»
«Sei tu che hai detto: "Niente donne".»
Già, lo aveva detto. «Dille di venire. Solo...» Diede un'occhiata a Jack. «... non fate rumore.»
«Quindi possiamo farlo, ma in silenzio?»
Lei arrossì. «Non voglio che Jack sia traumatizzato.»
«Non avevo intenzione di tenerlo in camera. Inoltre, per il momento non sono certo in grado di pensare a quello. La vedrò più in là, o magari per niente.»
«Ma non ti manca? È la tua ragazza...»
«È una donna con cui esco, c'è una bella differenza.»
Questo era vero. E proprio per la mancanza di legami significativi nella vita di Lucas lei aveva insistito perché venisse a stare da loro.
«Non mi dà fastidio che venga a trovarti» disse. «Ci sono altre ragioni per frequentare una donna, mica solo quella.»
«Non così tante» replicò lui. «Escluse le persone presenti, naturalmente.»
Lei rise. «Oh, certo, perché io sono una compagnia così elettrizzante.»
«In effetti, quando non immagini il peggio in ogni situazione, sei piuttosto divertente.»
Jen stava per ribattere, ma intuì che Lucas la stava provocando e non voleva dargli la soddisfazione di abboccare. «Ho fatto qualche ricerca online» disse con calma. «Può darsi che soffra di ansia cronica.»
«Ma davvero?»
Il suo sarcasmo la irritò e stava per ribattere quando Lucas la stupì dicendo: «Sono stato scortese, ti chiedo scusa. È un riflesso condizionato, ma questo non mi giustifica».
Lucas che si scusava? Con lei? «Non importa... davvero.»
«Importa eccome. Potrei giocarmi la carta del povero ferito, ma sarebbe ridicolo.» La guardò in faccia. «Tu hai un problema, Jen. Forse in parte è mentale, ma sicuramente c'è anche un malessere fisico, qualche valore sballato o cose del genere. Dovresti vedere uno specialista.»
Lei aveva sentito soltanto in parte è mentale e nient'altro. «E immagino che tu abbia un nome da consigliarmi?» sbottò.
«In effetti ce l'ho.»
Jen aprì la bocca, poi la richiuse. «Scusa?»
«Ci sono degli specialisti che aiutano i nostri ragazzi quando hanno subito dei traumi o passano dei periodi stressanti. Essenzialmente si tratta di combinare i medicinali tradizionali con degli integratori particolari.»
«Sono già stata da una pazza che voleva riempirci di integratori, grazie tante. E non ho nessuna intenzione di farmi analizzare i capelli.»
«Meno male, perché questi dottori non fanno niente del genere. Fanno solo parecchie analisi del sangue, poi parlano con il paziente e mettono insieme un programma personalizzato.» Lucas indicò la casa con un cenno della testa. «Sul cassettone in camera c'è il mio portafoglio, e dentro c'è un biglietto da visita con un numero. Chiamali, vedrai che ti saranno utili. Sono abituati a trattare con i poliziotti e le loro famiglie, quindi capiranno che cosa stai passando.»
«Sei molto gentile. Grazie.»
«Non c'è di che. Adesso vai a telefonare, a Jack bado io.»
Lei esitò ancora un attimo, infine si alzò. «Torno subito.»
«Quando avrai finito, puoi andare a comprarmi dei sigari.»
Jen levò gli occhi al cielo. «Nemmeno per sogno!»
«Devi imparare a divertirti un po'!»
«E tu devi accettare i tuoi limiti. Ti hanno sparato solo dieci giorni fa e stai ancora prendendo un bel po' di calmanti. Goditeli finché puoi. Sigari! Ma figuriamoci.»
«Guastafeste.»
«Puniscimi... oh, dimenticavo, sono troppo vecchia.»
Lui rise. «Potrei fare un'eccezione.»
«Che bugiardo!»
Il suo telefono squillò di nuovo e Jen disse: «Avanti, rispondi e dille di venire a trovarti. Preferisco avere in casa lei piuttosto che un sigaro puzzolente».
«E se poi facciamo rumore?»
Lei si diresse verso la porta della cucina. «Ti ignoro. Ti ignoro completamente.»
Il cielo coperto si adattava perfettamente all'umore di Zoe. La temperatura era abbastanza fresca, perciò lei aveva deciso di indossare una felpa rosa con l'immagine di Minnie, sperando che una topolina in tacchi alti le risollevasse il morale. Ma sfortunatamente c'erano dei problemi che nemmeno Minnie era in grado di risolvere.
Zoe si sedette su una panchina accanto alla giostra. Era un giovedì pomeriggio, ma al parco c'erano parecchie persone. Quasi tutte mamme con bambini.
Finora lei non ci aveva mai fatto troppo caso: mamme e bambini facevano parte del panorama. Aveva cominciato a frequentare il parco con Jen dopo la nascita di Jack, che prima era stato portato nella carrozzina e poi nel passeggino. In seguito Jack era cresciuto e adesso poteva andare in giostra su uno dei cavalli. Jen lo assicurava con le cinture, poi lo osservava con ansia a ogni giro. Zoe l'aveva sempre considerata iperprotettiva, ma adesso si domandò come si sarebbe sentita la prima volta che suo figlio fosse salito sulla giostra.
Aspettò un attimo, ma non provò alcuna emozione. Era un po' come pensare a che cos'avrebbe provato se fosse vissuta in un villaggio africano che era appena stato dotato del primo pozzo di acqua potabile. Poteva solo immaginare, fingere sensazioni che però non erano vere perché non le aveva mai provate.
Si toccò il ventre. Non le sembrava che ci fossero grandi cambiamenti nel suo corpo: forse i seni erano un po' più sensibili e a volte si sentiva leggermente gonfia, ma per il resto era quella di sempre. Almeno dall'esterno. All'interno, invece, ospitava qualcosa della dimensione di un fagiolo, che avrebbe cambiato la sua vita per sempre.
Incrociò le braccia sul petto, sperando di trovare un po' di conforto in Minnie, poi si alzò vedendo arrivare Jen. Quando le aveva mandato un messaggio chiedendole se potevano vedersi, l'amica stranamente le aveva proposto il pomeriggio, nell'ora in cui Jack faceva il sonnellino. E adesso, cosa ancora più insolita, non era accompagnata dal figlioletto.
«Ciao» la salutò Jen con un abbraccio. «Tutto bene? Hai detto che volevi parlarmi.»
E così era, perché annunciarle la sua gravidanza al telefono a Zoe era parso di cattivo gusto.
«Dov'è Jack?» domandò più che altro per prendere tempo. Poi si sedette di nuovo sulla panchina.
Jen prese posto accanto a lei. «Non ci crederai... stento a crederci io stessa.» Fece una pausa teatrale. «L'ho lasciato a casa con Lucas.»
«Cosa?»
«Lo so, è incredibile... Ma sta facendo il sonnellino, Lucas con lui se la cava benissimo e dice che è perfettamente in grado di farlo alzare dal sonnellino. Ho avvertito Jack prima di uscire e lui era tranquillissimo.»
«Stiamo parlando di Lucas? Lo stesso uomo che esce con le ventenni ed è stato ferito dieci giorni fa?»
«Proprio lui» confermò Jen con un sorriso. «E ti stupirò ancora di più, ma ti confesso che sta cominciando a piacermi. Sotto la scorza dello sbruffone si nasconde una bravissima persona. E poi si è preso due pallottole al posto di Kirk, perciò sarò in debito con lui per sempre.» Sembrava sul punto di aggiungere qualcos'altro, poi scrollò la testa. «Ma adesso basta parlare di me. Che succede? Che cosa devi dirmi?»
Zoe sollevò un piede e si cinse il ginocchio con il braccio. Era inutile girarci attorno, perciò doveva sputare il rospo e basta. «Circa due mesi fa ho fatto sesso con Chad. Lo so» continuò alzando una mano, per prevenire ogni critica, «è stata una stupidaggine ed è solo colpa mia. Lo avevo lasciato, ma mi sentivo sola e ci sono cascata. E in fondo non sarebbe stato grave se la settimana scorsa non mi avesse telefonato la segretaria del mio ginecologo per avvertirmi che l'ultima partita di iniezioni che uso come anticoncezionale era difettosa.» Guardò l'amica negli occhi. «Sono incinta.»
Jen la fissò. «Oh, Dio.»
«Lo so... Ho fatto l'ecografia e sono di due mesi.»
Jen impallidì. «Quindi sei incinta di Chad? Oh, Dio... Chi altri lo sa? L'hai detto a Steven? Stai bene?»
«Sì, e non lo so.» Poi, vedendo l'espressione confusa di Jen, specificò: «Diciamo che sto bene, ma sono ancora sotto shock e sto cercando di accettare l'idea. Steven lo sa e non è scappato via, cosa che al posto suo avrei fatto subito. Può anche darsi che tra qualche tempo lo faccia, ma per ora sta riflettendo».
E di questo lei gli era molto grata, anche se ogni volta che suonava il telefono temeva che fosse lui che la chiamava per dirle di aver cambiato idea. Finora non era successo, ma Zoe si domandava se fosse un bene o il segno che Steven stava solo rimandando l'inevitabile.
«E mia madre lo sa?»
Zoe fece segno di no. «Steven si è offerto di dirglielo.»
«E lei non la prenderà bene» commentò Jen con una smorfia.
Anche Zoe lo temeva. Aveva sempre pensato a Pam come a un'amica, ma visto che la faccenda coinvolgeva Steven era probabile che le cose cambiassero.
«Incinta» mormorò Jen. «E hai intenzione di tenere il bambino?»
«Sì, voglio tenerlo.» Zoe fece una pausa. «Potrei abortire, ma non mi sembra giusto. Non c'è ragione per cui io non possa crescere un figlio da sola.»
«E Chad?»
«Non gli ho ancora detto niente. Prima o poi glielo dirò, ma in ogni modo non dovrà agire fino a quando il bambino non sarà nato. E io non vorrei che fosse coinvolto per niente... in un mondo perfetto sparirebbe e basta.»
«Pensi che potrebbe succedere?»
Zoe abbassò la testa. «Magari fossi così fortunata. Ho anche pensato di dare il bambino in adozione, ma non credo che Chad sarebbe d'accordo.» Poi guardò l'amica. «Che cosa pensi di tutto questo? Sei molto arrabbiata con me?»
Jen la abbracciò. «Ma no, perché dovrei essere arrabbiata? Sai che ti voglio bene!» Poi si scostò e le sorrise. «Forse non dovrei dirlo, ma sono superfelice che tu abbia un bambino. Finora sono stata l'unica delle mie amiche a diventare mamma, e sarà bello condividere questo con te. Potrò dirti tutto su come affrontare la gravidanza e come trattare un neonato. Voglio aiutarti il più possibile.»
Per il momento non aveva bisogno di tante informazioni, pensò lei, ma era un sollievo sapere di avere un valido sostegno.
«E adesso che farai?» domandò Jen.
«Lo dirò a mio padre. E poi mi farò coraggio e lo dirò anche a Chad. Non è una prospettiva delle più allettanti.»
«Pensi che vorrà essere coinvolto nella vita del bambino?»
Zoe guardò fuggevolmente in direzione della giostra. «Oh, ne sono sicura. Chad ha un sacco di difetti, ma adora i suoi bambini. Certo, può darsi che ami solo quelli che ha già e che voglia ignorare il mio... Il che sarebbe fantastico.» E avrebbe semplificato enormemente le cose. «Appena torno a casa, voglio cercare online tutte le informazioni sulla rinuncia ai diritti genitoriali.»
«Ma se invece non rinuncia, dovrà contribuire al mantenimento del figlio» puntualizzò Jen. «Il che potrebbe spaventarlo e farlo sparire, se è questo che vuoi.»
Zoe alzò una mano. «L'ho dimenticato del tutto, giuro. Niente mi renderebbe più felice che cancellarlo dalla mia vita.» E crescere il bambino da sola, senza l'interferenza di Chad.
«Allora incrocerò le dita» promise Jen. «E fammi sapere come posso aiutarti. Può darsi che Lucas conosca un buon avvocato se si dovesse arrivare a questo. O magari mia madre, che frequenta un sacco di gente.» Poi abbracciò di nuovo l'amica. «Lo so, adesso sembra tutto così complicato, però ti assicuro che quando avrai il tuo bambino capirai che ne valeva la pena.»
Zoe restituì l'abbraccio e si augurò che fosse davvero così, poi lasciò il parco e salì in macchina. Ma arrivata all'incrocio che l'avrebbe portata a casa, svoltò a destra anziché a sinistra e dopo circa due chilometri si fermò davanti alla casa di suo padre.
Lo chiamò al telefono e Miguel rispose subito. «Zoe! Stavo proprio pensando a te... come stai?»
Lei aveva intenzione di rispondere che stava bene. Ed era vero, stava benissimo, e... Poi d'improvviso i suoi occhi si riempirono di lacrime. «Oh, p... papà» fu tutto quello che riuscì a balbettare.
«Che c'è? Dove sei? Hai avuto un incidente?»
«No, va tutto bene, solo che... Posso venire a parlarti?»
«Ma certo che puoi. Anzi, vengo a prenderti, dimmi dove sei!»
«Qui fuori.»
Zoe udì un clic e due secondi dopo la porta d'ingresso si aprì e Miguel si precipitò verso di lei con Mariposa alle calcagna. Arrivato alla macchina, lui aprì la portiera di scatto e la fece uscire. «Che ti succede? Sei ferita?»
Lei si abbandonò al pianto e si aggrappò a suo padre. Lui era sempre stato grande, forte, pronto ad aiutarla. E lei sperava che lo fosse anche adesso, ma aveva il terrore di dirgli quel che le stava succedendo. E se si fosse arrabbiato, se l'avesse respinta?
Il cuore le diceva che era impossibile, eppure il terrore pareva più forte del buonsenso.
Mariposa continuava a saltare su e giù abbaiando, come se si preoccupasse anche lei. Infine Zoe si scostò e la prese in braccio, poi si avvicinò di nuovo al padre. «Facciamo un abbraccio di gruppo» disse stringendosi a lui.
Dopo un poco lo lasciò, tirò su con il naso e si asciugò le lacrime con il dorso della mano. Mariposa le leccò la guancia, offrendole un po' di consolazione canina.
«Tranquillo, sto bene.»
«Allora entriamo in casa.»
In soggiorno, Zoe si lasciò cadere sul divano con Mariposa al suo fianco, e Miguel avvicinò una poltrona e si sistemò di fronte a lei.
«Adesso dimmi che è successo» le ordinò.
E per la terza volta Zoe raccontò la storia di Chad, della stupidaggine di aver fatto sesso con lui, delle iniezioni anticoncezionali difettose.
«Mi dispiace tanto, papà» sussurrò. «Ma sono incinta.»
Suo padre grugnì. «Tutto qui? Credevo che fossi in punto di morte!»
«Sono in perfetta salute, ma... avrò un bambino.»
Miguel si spostò per sedersi accanto a lei. «Ehi, un bambino è una bellissima cosa. Anche tu lo eri, e guarda che cosa sei diventata.»
Zoe scoppiò a ridere e si appoggiò alla spalliera del divano e confessò: «Sono spaventata, papà, e molto confusa. Non voglio affrontare tutto questo, ma lo devo fare...».
«Però stai bene?»
«Sì, benissimo. Niente nausee mattutine, nessun fastidio. Mi sento stupida, questo sì, ma non è colpa del bambino.»
«Non hai fatto niente di male» protestò lui.
«Ho fatto sesso con Chad, e sapevo benissimo che non avrei dovuto. Tra noi era finita, ma lui mi ha telefonato e io... io ho ceduto. E adesso, per quel momento di debolezza, sto pagando un prezzo esagerato.»
«Tutto si risolverà. Chi altro lo sa?»
«Jen e Steven, a Chad non l'ho ancora detto.»
«Devi farlo al più presto.»
«Lo so, ma vorrei tanto evitarlo. Un conto è avere questo bambino da sola, un altro dover trattare con lui...» E per sempre, aggiunse tra sé. Comunque andassero le cose, avrebbero dovuto frequentarsi per tutta la vita. Una prospettiva orribile.
«Dovresti sposarlo.»
Zoe guardò suo padre inorridita. «Cosa?»
«Lui ti ha messa incinta. Quindi sarebbe la cosa più giusta da fare.»
«Ma nemmeno per sogno! E poi tu lo detesti, quando abbiamo rotto hai detto che era sempre stato un disastro ed eri felice che ci fossimo lasciati!»
«È vero, ma adesso sei incinta. C'è una bella differenza.»
«Ma non siamo nell'Ottocento! E io non ho nessuna intenzione di sposare Chad.» Zoe rabbrividì. «Se come fidanzato è stato orribile, come marito sarebbe ancora peggio.» Guardò il padre con gli occhi ridotti a due fessure. «E non azzardarti a dirmi che avrei dovuto pensarci prima.»
«Non lo farei mai. Voglio solo che tu sia felice, Zoe, e fare la mamma single è un compito molto duro.»
«La mamma ce l'ha fatta, però.»
«Tu non eri una neonata e io ero sempre presente.»
«Avrò anch'io il tuo aiuto e quello di molti altri. Andrà benissimo.» Sposare Chad, pensò indignata, ma per l'amor del cielo! «Ti preferivo quando pensavi che fossi in punto di morte.»
«Ti chiedo scusa, non avrei dovuto suggerirlo. Come posso esserti d'aiuto?»
«Non dirmi più che devo sposare Chad. A parte questo, sii il mio papà e basta. Sono confusa, spaventata, e avrò un bambino. È già un discreto fardello da portare.»
«Hai ragione, lo è.» Miguel sospirò. «E non posso nemmeno offrirti un Margarita!»
«Non parlarmene. Ho dovuto rinunciare anche al caffè, una cosa terribile.»
Lui ridacchiò, poi guardò affettuosamente la figlia. «Un bambino... diventerò nonno!»
Zoe ridacchiò a sua volta. «E quindi addio alle ragazze giovani!»
«Ho detto loro addio anni fa» replicò lui con un gesto della mano. «Invece, l'idea di essere nonno... mi piace!»