16
Pam gettò il cellulare sul divano. Non sentiva Miguel da tre giorni: prima si mandavano messaggi regolarmente, ma d'improvviso lui era scomparso e lei non sapeva che cosa pensare. Stava male? Aveva conosciuto un'altra donna? Non che loro due uscissero insieme nel vero senso della parola, perciò non le sarebbe dovuto importare niente se vedeva un'altra. Però doveva ammettere che stare in sua compagnia le piaceva molto, più di quanto immaginasse.
Ma quel che era peggio, si sentiva strana. Sottosopra. Un po' confusa. Come non si sentiva dall'età di sedici anni quando aveva una cotta spaventosa per un ragazzo che non la vedeva nemmeno. Era troppo vecchia per provare qualcosa del genere... Forse si era presa l'influenza.
Si alzò e andò in cucina a controllare la salsa di spinaci e formaggio che aveva messo a scaldare nel forno. Steven l'aveva chiamata per dirle che sarebbe passato da lei, e Pam aveva supposto che si trattasse di una questione legata alla ditta. Gli aveva proposto di fermarsi a cena, ma lui aveva detto che era impegnato e quindi lei aveva preparato uno spuntino. Mise su un piatto dei nachos e su un altro un po' di frutta tagliata a cubetti. Sapeva che Steven andava in palestra e si sforzava di mangiare sano, ma dubitava che si ricordasse di mangiare anche la frutta.
Poco prima delle cinque il figlio arrivò e lei notò subito che non aveva con sé la solita valigetta. «Ciao... non mi hai portato dei documenti da firmare?»
«No, non si tratta di lavoro.»
Pam inarcò le sopracciglia. «Ah, no?» E allora come mai era lì?, pensò.
Steven la baciò sulla guancia. «In ufficio va tutto bene, stai tranquilla.» Poi prese tra le braccia Lulu, che abbaiava e saltellava ai suoi piedi, e l'accarezzò sotto il mento. «Come stai, tesoro? Mi piace la tua maglietta!»
Era una minuscola T-shirt color lavanda, con una scritta che la proclamava: Pupa bollente. Forse non era politicamente corretta, ma a Pam piaceva lo stesso.
Precedette il figlio in cucina, gli prese una birra dal frigorifero e si versò un bicchiere di vino bianco. «Avrai un po' di fame» disse indicando il tavolo.
Steven occhieggiò i piatti. «Ma non era necessario» protestò.
«Mi fa piacere, e ogni tanto è bello cucinare per qualcuno.» Pam si sedette e Steven esitò un attimo prima di sedersi a sua volta.
«Allora, che novità ci sono?» domandò lei sorseggiando il vino. Il tempo e la pratica ormai le permettevano di capire al volo i suoi figli. Quel che Steven doveva dirle non era terribile, però lo rendeva nervoso. Se non si trattava di lavoro, che poteva essere?
Ma certo, voleva parlarle di Zoe, pensò cercando di non sorridere apertamente. Si erano innamorati, facevano sul serio, e lui voleva comunicarglielo.
Era successo abbastanza in fretta, pensò ancora Pam, ma non era sorpresa. Sembravano fatti per stare insieme e lei lo aveva capito fin dall'inizio. E adesso che Zoe aveva chiuso con quell'orribile Chad, non c'era più alcun ostacolo. Forse Steven voleva un fidanzamento ufficiale... a lei sarebbe piaciuto un altro matrimonio in famiglia. Zoe non aveva la mamma, e lei avrebbe potuto aiutarla. Anzi, avrebbe adorato organizzare la cerimonia con la futura nuora...
«Si tratta di Zoe» esordì lui.
Pam aspettò pazientemente. «Ti ascolto.»
«Mi piace molto» continuò lui.
«Sono contenta. È bella, intelligente, gentile. E lei e Jen sono amiche da anni.»
«Sì, questo lo so...» Steven la guardò e lei notò ancora una volta quanto somigliasse a John. Ah, se suo marito fosse stato con loro, pensò con nostalgia, sarebbe stato felice di quel che stava succedendo.
«Credo che potrebbe essere la donna giusta» continuò lui.
«Ma è un po' presto, non credi?» obiettò lei senza potersi trattenere. «La conosci abbastanza? Sai che Zoe mi piace, ed è amica di Jen da una vita, ma prima di buttarti dovresti essere davvero sicuro...»
Steven sogghignò. «Oh, mamma, è rassicurante sapere che certe cose non cambiano mai!»
«Non credo di capire a che cosa ti riferisci.»
«Oh, io credo di sì. Tu adori immaginare il peggio di ogni situazione. Se non altro sappiamo da dove vengono le pazzie di Jen!»
«Io non sono affatto pazza» protestò lei.
«Lo so, lo so» si affrettò a precisare lui. «Dico solo che scegli sempre la versione più catastrofica delle cose, mentre il più delle volte va tutto a finire bene.»
Pam strinse le labbra e non rispose.
«Per quel che vale, con Zoe ho intenzione di procedere con calma» riprese Steven. «Ma voglio farti sapere che lei per me è importante.»
Il che era molto bello, pensò lei, ma c'era dell'altro. «Che cos'è che non mi dici?»
Steven fece una pausa. «È incinta.»
«Cosa?» esclamò Pam. Lulu alzò la testa dalla sua cuccia, come presagendo una crisi. «Ma non è possibile! L'avete fatto fin dal primo giorno? E poi, scusa, non usi un profilattico?»
«Mamma, stai calma. E ascoltami.»
Ma lei non gli diede retta. «Incinta! Sei sicuro?» Non era possibile, pensò. Questa fretta avrebbe rovinato tutto!
«Il bambino non è mio.»
Pam si interruppe interdetta. Non era suo? E allora di chi... «È di Chad? Quindi è andata a letto con Chad... Ma quando? Non si erano lasciati? Allora ti ha tradito!»
«Mamma, calmati» la esortò Steven gentilmente. «E lasciami finire prima di saltare a conclusioni affrettate.»
«E come posso non saltare a...» Pam strinse le labbra. «E va bene, parla.»
«Circa due mesi fa, Zoe e Chad sono andati a letto insieme. Solo quella volta.» Steven continuò, spiegando che l'iniezione anticoncezionale di Zoe era difettosa e che per questo lei si era ritrovata incinta.
Pam ascoltò in silenzio come Steven le aveva chiesto, ma ogni frase la colpiva come uno schiaffo.
Ricordò in un lampo che Zoe le aveva raccontato di aver fatto sesso con il suo ex, ma all'epoca lei non ci aveva badato. Solo che adesso le cose erano diverse. Zoe usciva con suo figlio ed era incinta di un altro... era del tutto inaccettabile!
«Vuole tenere il bambino?»
Una domanda ridicola, si disse non appena l'ebbe formulata. Naturale che volesse tenerlo, altrimenti non ci sarebbe stato bisogno di farlo sapere a nessuno.
«Sì.»
E in quel momento nella mente di Pam si affacciò un altro orribile pensiero. «Non vorrai restare con lei, vero? Per questo mi hai detto che Zoe ti piace? Non puoi continuare a vederla!»
«Mamma...»
«No, Steven, stammi a sentire. Ti metteresti solo nei guai. Non puoi occuparti del figlio di un altro... hai idea di quanto sia difficile? Chad sarà sempre presente, giorno dopo giorno, non potrai evitarlo, e non sarai mai il padre del bambino. Sarà sempre Chad a decidere e tu dovrai fare quel che vuole lui. E poi, se Zoe è andata a letto con lui una volta, come sai che non lo farà di nuovo?»
«Mamma!»
«Sto solo dicendo che evidentemente non lo ha dimenticato come tutti credevamo. Come possiamo sapere che non tornerà con lui?»
«Non ci tornerà mai.»
«È quel che dice adesso... questa storia non mi piace, Steven. Non va bene. Tu meriti di meglio!» Correva un tale pericolo, pensò ansiosa. Come faceva a non capirlo? Avrebbe sofferto terribilmente. Zoe e Chad avrebbero avuto tutto il potere e lui sarebbe rimasto senza niente in mano...
Steven la guardò fisso. «Credevo che Zoe ti piacesse» mormorò.
«Infatti mi piace, ma adesso è tutto diverso. Tu sei mio figlio!» Pam aveva la sensazione che Steven non la stesse ascoltando – o se lo faceva non capiva del tutto le sue parole. «Parlo sul serio. Non hai bisogno di tutti questi problemi. Allontanati da lei finché sei in tempo. Lasciala. Troverai un'altra. Ci sono tante belle ragazze intelligenti che sarebbero felici di stare con te e...»
L'espressione di lui si indurì. «Smettila, mamma. Dico sul serio. Apprezzo il fatto che tu stia dalla mia parte, ma è meglio che eviti di dire qualcosa di cui potresti pentirti.»
«Che significa?»
«Che non voglio rinunciare a Zoe. Dicevo sul serio, prima. Penso che tra noi ci sia qualcosa di speciale e voglio vedere che cos'è.»
«Anche se lei aspetta il bambino di un altro? Anche se non sarai mai davvero il padre di quel bambino? Anche se tra lei e Chad c'è un passato?»
«Sì.»
«Commetti un grave errore, Steven, e non riesco a credere che tu non lo capisca. Conosco tante persone che hanno divorziato e poi si sono risposate, e non è mai una cosa facile. Ci vuole tanto tempo per riadattarsi. Può toccare anche a te... perché vuoi esporti a questo? Perché non vuoi ripensarci?»
«Perché no.» Steven si alzò. «Sapevo che l'avresti presa male. Speravo di sbagliarmi, ma vedo che invece avevo ragione. Solo che speravo in un minimo di sostegno... e invece mi sbagliavo anche su questo.»
«Steven!»
Lui posò la birra sul tavolo, uscì dalla cucina, e prima che Pam potesse fermarlo, aprì la porta d'ingresso e se andò.
Jen versò le pillole dal flacone sul palmo della mano, le esaminò un momento, poi scrollò le palle e le inghiottì con un sorso d'acqua. La specialista che Lucas le aveva consigliato, Alana, l'aveva ascoltata con attenzione, poi le aveva prescritto una serie di analisi del sangue e in attesa dei risultati le aveva dato dei blandi medicinali contro l'ansia e degli integratori vitaminici. Niente di troppo forte, facilmente reperibile nel negozio bio vicino a casa sua.
Alana aveva anche insistito perché ogni giorno Jen bevesse almeno due litri d'acqua, scrivesse cinque cose di cui era grata e si concedesse un quarto d'ora da sola, in una stanza tranquilla. Non per meditare, aveva specificato vedendo che Jen alzava gli occhi al cielo. Solo per stare in silenzio ad ascoltare se stessa.
Quelle istruzioni non erano particolarmente complicate da seguire e non sembravano nemmeno rivoluzionarie, eppure, dopo qualche giorno, Jen cominciava già a sentirsi meglio, più controllata, meno ansiosa. Sapeva che le medicine avrebbero richiesto un po' di tempo per risultare completamente efficaci, ma intanto si godeva l'effetto placebo, che sembrava funzionare.
Rimise in frigorifero il succo d'arancia e cominciò a sparecchiare. La colazione era diventata un pasto importante: Lucas poteva stare tutto il giorno a digiuno, ma gli ci voleva una colazione sostanziosa. Dal canto suo, Kirk mangiava volentieri le uova in qualsiasi modo fossero cucinate, e Jack era felice di stare con i grandi, perché ormai Jen lo faceva sedere sul seggiolone al loro stesso tavolo.
Lucas era bravissimo con Jack e amava tenergli compagnia, come in quel momento. I due erano nella veranda, Lucas leggeva il giornale e il piccolo giocava con uno dei suoi camion. Jen poteva tenerli d'occhio entrambi dalla cucina.
Kirk si avvicinò per salutarla prima di uscire, vestito in giacca e cravatta. «Devo andare, sono già in ritardo» disse. «Stamattina in tribunale, oggi pomeriggio incontro con gli assistenti sociali.»
Lei gli lisciò il bavero della giacca. «Buon divertimento.»
Lui la baciò, poi la condusse nella dispensa. «Come va?» domandò a bassa voce. «Sono passate due settimane... Lucas sostiene che va tutto benissimo, però tu che mi dici?»
Jen sorrise. «Va bene, sul serio. Mi piace averlo attorno. Ammetto che all'inizio ero un po' preoccupata, ma adesso che può muoversi da solo mi è di grande aiuto con Jack, ed è una compagnia molto piacevole.»
Forse Lucas era un po' troppo sincero, a volte brutale, ma di solito aveva ragione. E il suo consiglio di rivolgersi ad Alana era stato prezioso.
Kirk la baciò di nuovo. «Devo preoccuparmi che voi due andiate troppo d'accordo?»
Lei rise. «Lucas non è il mio tipo, lo sai bene. E comunque per lui sono troppo vecchia.»
Suo marito ridacchiò. «Potrebbe fare un'eccezione...»
«Ma figuriamoci.» Jen gli mise le mani sulle spalle. «Non hai niente di cui preoccuparti, te lo assicuro. Mi sento molto meglio, e questo mi basta.»
«Bene. Ci vediamo stasera.»
Kirk se ne andò, Jen finì di rassettare la cucina e poi andò a rifare i letti. Quando tornò, raggiunse Lucas e Jack in veranda.
Il pavimento di piastrelle era ricoperto da un tappeto rustico, e le poltroncine di midollino con i cuscini colorati davano all'ambiente un che di tropicale. D'estate le ampie finestre potevano essere smontate completamente per aumentare lo spazio. Jack era seduto sul tappeto, mentre Lucas era in una sdraio vicino alla vetrata.
Jen si sedette su una poltroncina poco lontano. «Oggi hai appuntamento dal dottore» gli ricordò.
Lui grugnì. «Non ci voglio andare.»
«Una reazione molto matura. Dobbiamo uscire tra un'ora.» Jen guardò i pantaloni della tuta e la T-shirt, che Lucas indossava abitualmente per comodità. «Vuoi che ti aiuti a cambiarti?»
«Non sono un bambino» ribatté lui. «Posso benissimo vestirmi da solo.»
«Stamattina qualcuno è di cattivo umore» commentò lei. Di solito Lucas era tranquillo e, anche quando le spiegava dove stava sbagliando, non perdeva mai la calma. «Temi che il dottore ti dica di cominciare la fisioterapia?» gli domandò. «Posso accompagnarti in macchina, non è un problema.»
Lui le scoccò un'occhiata gelida. «Sono perfettamente in grado di guidare.»
Come no, pensò lei. La gamba di Lucas era ancora rigida, non sarebbe mai riuscito a entrare nella sua ridicola macchina sportiva. Ma se pensava di poter guidare, voleva anche tornare a casa sua?
Jen pensò a tutto quello che adesso Lucas poteva fare da solo. L'infermiera non veniva più ogni giorno per le medicazioni, lui non aveva più bisogno dell'aiuto di Kirk per fare la doccia e ormai le sue medicine erano ridotte al minimo. E allora che cosa lo infastidiva così tanto?
«Vuoi tornare a casa tua o temi che io ti butti fuori?» gli domandò ancora. Tanto valeva essere diretta come Lucas lo era con lei.
«Tutt'e due le cose.»
Strano, pensò Jen. Per la prima volta aveva l'impressione che lui non fosse del tutto sincero. Certo, se avesse voluto andarsene, l'avrebbe fatto senza indugiare... quindi le restava una sola cosa da fare.
Si alzò e si avvicinò alla sdraio dove lui era seduto. «Lucas, mi piace averti qui. Lo ammetto, dapprima ti ho invitato a stare da noi solo perché mi sentivo in debito con te, ma adesso è diverso. Con Jack sei bravissimo, e anche se esprimi i tuoi consigli in modo un po' brusco hai sempre ragione. Quindi puoi restare quanto vuoi. Dico sul serio.»
Lui trattenne un sorrisetto. «Senza sigari e senza donne? Non credo proprio.»
Lei rise. «Fino a quando non diventeranno un problema urgente, non mi preoccuperei. Sei un aiuto prezioso per Jack e per me, se resti mi fa piacere.»
«Grazie.» Lucas si schiarì la gola e continuò: «Come mai non sei ancora tornata al lavoro? Sarebbe ora, che cosa aspetti? Tuo figlio non ha niente che non vada».
Jen si irrigidì e la sua sensazione di benessere svanì di colpo. «Dovresti migliorare le tue buone maniere» replicò.
«Guarda che hanno sparato a me, non a te.»
«Ti giochi la carta del povero invalido da troppo tempo.»
«Rispondi alla mia domanda.»
Lei fu tentata di ribattere che non era obbligata, ma poi si rese conto che era più facile parlare dei suoi problemi con lui che con chiunque altro.
«Sono ancora troppo preoccupata per Jack.»
Lui sbuffò. «Devi smetterla.»
«Non posso. È mio figlio.»
«Gli stai sempre addosso. E lui non parla perché tu anticipi ogni suo desiderio. E quali sono gli altri motivi?»
Sarebbe stato così sbagliato prenderlo a schiaffi?, pensò lei. «Non voglio mandarlo al nido. Ne ho visti un paio e sono terribili... ho chiesto a mia madre se era disposta a occuparsi di lui ogni giorno, ma lei non ha reagito bene.»
«Ma non mi dire. Cioè, non ha voluto rinunciare alla sua vita per badare a tuo figlio? Pazzesco. Dovresti disconoscerla. A che serve avere una madre se poi si comporta così?»
«Il sarcasmo non ti si addice.»
«Il sarcasmo si addice a tutti» ribatté lui. Poi la sua voce si addolcì. «È arrivato il momento, Jen. Torna alla vita normale, ti piacerà.»
L'irritazione di lei svanì, rapidamente come era apparsa. Soprattutto perché in quel momento Lucas le ricordava suo padre, al punto che avrebbe voluto gettarsi fra le sue braccia per essere rassicurata. Ma Lucas non avrebbe capito e non era suo padre, perciò lei respinse quell'impulso e si scostò.
«Fammi sapere se hai bisogno di aiuto per cambiarti» disse avviandosi verso la portafinestra.
«Nemmeno per sogno.»
«E vedi di essere pronto tra un'ora.»
«Altrimenti che succede?»
Jen sorrise. «Credimi, è meglio non provocarmi.»
«Non mi fai paura» sogghignò lui. «Non dimenticare che ti conosco... sei solo chiacchiere, ragazza mia.»
Lei rientrò in casa. Sapeva che Lucas non aveva voluto offenderla, ma le sue ultime parole le bruciavano. Aveva ragione, lei era solo chiacchiere? E se era davvero così, come poteva non tentare di cambiare?
Zoe stava cominciando a pensare che avrebbe dovuto stampare dei cartelli per spiegare a tutti che era incinta del suo ex. Un testo semplice e chiaro, magari un'illustrazione, poi l'avrebbe caricato su Vistaprint ed ecco fatto, avrebbe potuto smettere di raccontare sempre la stessa storia a tutti quanti.
Il che avrebbe potuto funzionare con tanta gente, ma non con Chad, pensò cupamente. Chad doveva sentire la storia direttamente da lei, e infatti gli aveva chiesto di passare dopo il lavoro.
Aveva trascorso tutto il pomeriggio a riflettere su quel che gli avrebbe detto. Non semplicemente i fatti, ma l'ordine in cui li avrebbe presentati, perché questo contava parecchio. In un mondo perfetto, Chad avrebbe tranquillamente rinunciato ai diritti genitoriali, così lei non avrebbe mai più dovuto vederlo. Ma conoscendolo, e sapendo quanto amava i suoi figli, Zoe non ci sperava troppo. Però poteva darsi che non volesse altri figli e che per evitare di pagare il mantenimento del bambino in arrivo fosse disposto a sparire dalla sua vita.
L'avvocato a cui si era rivolta le aveva detto però che questo era abbastanza improbabile. Secondo le leggi della California, rinunciare ai diritti genitoriali non era facile come appariva nei film. Di solito, i padri che sfuggivano alle proprie responsabilità erano minorenni, spesso degli adolescenti. Lo stato disapprovava vivamente i padri adulti che cercavano di dimenticare i propri doveri.
Zoe continuava a camminare avanti e indietro, controllando l'orologio ogni cinque minuti. Chad le aveva detto che sarebbe arrivato verso le cinque e un quarto, e lei si era domandata se preparare una specie di aperitivo. Ma poi si era detta che dopo aver sentito le notizie – e la sua proposta di rinunciare ai diritti genitoriali – Chad non si sarebbe certo fermato a mangiare i salatini.
Quando finalmente arrivò, Zoe lo fece entrare in soggiorno e gli indicò il divano.
«Che succede?» domandò Chad sedendosi.
Lei si sedette il più lontano possibile. Aveva la nausea, non sapeva se per l'ansia o per la gravidanza, ma decise di mettere subito le cose in chiaro. «Non voglio che torniamo insieme» esordì, pur domandandosi se non avrebbe dovuto cominciare in un altro modo.
Chad si alzò. «Non voglio stare a sentire queste stronzate» disse. «L'ho già capito, Zoe. Tu vuoi una relazione impossibile, come nelle favole, e questo non fa per me. Quel che avevamo era perfetto, ma tu sei troppo testarda per ammetterlo.»
«Aspetta... Forse non avrei dovuto cominciare così. Siediti, per favore. Quel che devo dirti è importante.»
Lui si sedette a malincuore e la guardò truce.
Zoe trasse un gran respiro. «Sono incinta.»
Lui la guardò fisso per un poco. Strinse la mascella e finalmente domandò: «Sei sicura?».
Lei gli raccontò dell'iniezione difettosa e concluse: «Ho fatto l'ecografia. Aspetto un bambino».
«Ed è mio?»
Zoe si impose di non arrabbiarsi. Lei e Chad si erano lasciati, quindi la domanda era comprensibile. «Sì. Capisco che tu voglia avere una conferma, ma preferirei aspettare che il bambino sia nato, in modo da poter fare il prelievo con un tampone salivare. Ogni altro genere di test in questo momento sarebbe troppo invasivo.»
Chad si voltò per un momento, poi tornò a guardarla. «E quindi vuoi tenere il bambino?»
Lei annuì e aspettò, ma lui non aggiunse altro. Sembrava calmissimo, il che era una sorpresa. Zoe si aspettava grida e accuse di ogni genere. «So che nessuno dei due voleva qualcosa del genere» cominciò in tono controllato. «È uno shock, e capisco che tu abbia bisogno di tempo. Io ho intenzione di tenere il bambino, non c'è altra opzione per me. Ma tu hai già due figli che ami molto, e se vuoi rinunciare alla responsabilità genitoriale di questo figlio per me va bene. Ho un avvocato che può occuparsene e...»
«No» disse Chad fermamente. «No, non voglio rinunciare.» Si alzò e si passò i palmi delle mani sui jeans. «Devo riflettere, devo capire che cosa fare. Certo non me l'aspettavo...» Fece due o tre passi in direzione della cucina, poi tornò indietro. «Diavolo, Zoe. Un bambino...»
Lei si strinse nelle spalle.
«Devo pensarci» ripeté lui. «Ti chiamerò fra qualche giorno.»
Anche lei si alzò in piedi. «Ma certo, non c'è nessuna fretta. Sono solo di due mesi e mezzo e per ora non c'è molto che possiamo fare.»
«D'accordo, ti chiamerò» ripeté lui. Si avvicinò alla porta, poi si voltò a guardarla. «Tu stai bene?»
«Sì, benissimo.»
Chad annuì, aprì la porta e se ne andò. Zoe rimase lì ancora un momento, nel caso che lui tornasse, ma quando sentì il motore della sua macchina andò in cucina.
Mason, seduto sul davanzale della finestra, la guardò chiudendo e riaprendo gli occhi, il suo modo per domandare come fosse andata.
«Non so che dire» ammise lei. «Non si è messo a strillare, il che è una buona cosa, ma non credo che rinuncerà ai suoi diritti. Quindi saremo costretti a sopportarlo per tutta la vita.»
Mason scese dal davanzale per venire a strusciarsi contro le sue gambe, e lei lo carezzò sotto il mento prima di prenderlo in braccio. Il gatto cominciò subito a fare le fusa.
«Sì, anch'io ti voglio bene» gli disse lei.