XIX.
A un tratto si alzò e andò a sedere accanto al finestrino.
— Perdonatemi — riprese, e fissando gli occhi al finestrino, rimase così in silenzio per qualche minuto.
Poi sospirò faticosamente e di nuovo venne a sedersi di faccia a me. Il suo viso era diventato addirittura un altro, gli occhi facevano pena e una certa strana cosa, quasi un sorriso, gl'increspava le labbra. — Sono un poco stanco, ma seguiterò a raccontarvi. Abbiamo ancora molto tempo, non è peranco giorno. Già — cominciò di nuovo, accendendo una sigaretta. — Essa era ingrassata dacchè non aveva più figli, e quella sua malattia, il soffrire continuo per via dei bambini, era passata... non si può dire passata, ma pareva che essa avesse ripreso coscienza dopo un'ubriacatura e si ricordasse, e comprendesse che esiste tutto l'universo di Dio con le sue gioie, che essa aveva dimenticate, nel quale non sapeva più vivere, l'universo di Dio che essa non comprendeva affatto. «Purchè non sparisca tutto ciò! Il tempo passa e non torna indietro». Così mi pareva che essa pensasse o piuttosto sentisse, ed era impossibile che pensasse o sentisse diversamente; l'avevamo allevata nell'idea che una cosa sola conta nel mondo: l'amore. Si era sposata, aveva conosciuto qualcosa di questo amore ma non soltanto era lontano da ciò che si era promesso, da ciò che aveva atteso, ma era stata una delusione, una sofferenza: e poi qual tormento inatteso, i figli! Questo tormento l'aveva sfinita. Ed ecco, in grazia dei servizievoli dottori, essa aveva appreso come si possano evitare i figli. Se ne era rallegrata, aveva fatto la prova e s'era rimessa a vivere per la sola cosa che le importava: l'amore. Ma l'amore con un marito inquinato dalla gelosia e da ogni sorta di difetti non era più per lei. E si mise a fantasticare di un altro amore, puro, nuovo: o almeno io così pensavo di lei. Ed ecco, cominciò a guardarsi intorno, come aspettando qualcuno. Io lo vedevo e non potevo far di meno d'esserne turbato. Continuamente accadeva che mi rivolgesse la parola con l'intervento di altri, cioè parlando con le persone presenti ma indirizzando il discorso a me; senza pensare che un'ora prima aveva detto il contrario, metà sul serio, metà scherzando, esprimeva arditamente l'idea che l'interessamento per i figli è un inganno, che non val la pena di sacrificare tutta la vita ai figli, quando si è giovani e si può godersi la vita. Si occupava meno dei bambini e non con l'ansietà di prima, ma si occupava sempre più di sè stessa, della sua apparenza, sebbene lo nascondesse, dei suoi piaceri ed anche del suo sviluppo intellettuale. Si rimise con entusiasmo al pianoforte che da tempo aveva interamente abbandonato. Da ciò ebbe principio ogni cosa.
Di nuovo si voltò verso il finestrino e guardò fuori con occhi stanchi, ma subito, con un visibile sforzo su di sè, continuo:
— Già, comparve quell'uomo… — Esitò e per due volte fece quel suo solito verso col naso.
Vedevo che gli era penoso nominare quell'uomo, ricordarlo, parlare di lui. Ma fece ancora uno sforzo e come se avesse tolto via un ostacolo che lo tratteneva, continuò risolutamente:
— Ai miei occhi, secondo il mio apprezzamento, era un uomo spregevole. E non lo dico per l'importanza che ha avuto nella mia vita, ma perchè realmente era tale. Del resto l'esser lui un mascalzone è una prova di quanto mia moglie era irresponsabile. Se non lui, sarebbe stato un altro: la cosa doveva accadere! —. Di nuovo tacque. — Sì, era un musicista, un suonatore di violino, non un musicista di professione, ma mezzo professionista, mezzo mondano.
Il padre era un proprietario, vicino di mio padre. Lui, il padre, si rovinò, e i figli, erano tre maschi, si situarono alla meglio: uno soltanto, il minore, questo qui per l'appunto, fu mandato dalla sua madrina a Parigi. Là fu messo al conservatorio, perchè aveva talento per la musica, e ne uscì violinista e suonava nei concerti. Era un uomo… —. Evidentemente voleva dir qualcosa di brutto riguardo a lui ma si trattenne e disse in fretta: — Non so che vita facesse laggiù, ma so soltanto che in quell'anno comparve in Russia e si presentò da me.
Occhi languidi, tagliati a mandorla, labbra rosse, sorridenti, baffetti impomatati, pettinatura all'ultima moda, un viso banalmente bellino, quel che le donne chiamano «non brutto», debole di complessione ma non deforme, con le natiche particolarmente sviluppate, come le donne e come, si dice, abbiano gli Ottentotti. Si dice pure che gli Ottentotti siano molto sensibili alla musica. Scivolava nella familiarità quando poteva, ma furbo e sempre pronto a fermarsi appena si sentisse respinto, con una certa riservatezza, una certa dignità esteriore, con quella particolare sfumatura parigina, stivaletti con bottoni e cravatte dai colori vivaci, ecc., che gli stranieri acquistano a Parigi e che per la sua speciale novità fa sempre effetto alle donne. Nei modi una gaiezza artificiale ed esteriore. Quella maniera, sapete, di parlar sempre per allusioni, senza che il discorso avesse un filo, come se voi doveste sapere tutte quelle cose, ricordarvele e poter riempire le lacune.
Ecco colui che con la sua musica fu cagione di tutto. Al tribunale la causa fu impostata sul presupposto della gelosia. Niente affatto, non fu così: o per meglio dire, fu e non fu così. In tribunale fu deciso che io ero un marito ingannato e che avevo ucciso difendendo il mio onore oltraggiato (così dicono nel loro gergo). E perciò mi assolsero. Io, al tribunale, mi sforzai di chiarire il senso del fatto, ma essi capirono che io volessi riabilitare l'onore di mia moglie.
I rapporti di mia moglie con questo musicista, qualunque essi fossero, non hanno importanza per me e non ne ebbero neppure per lei. Ha importanza invece ciò che vi ho raccontato, la mia depravazione. Tutto accadde perchè fra noi c'era il terribile abisso di cui vi ho parlato, l'orribile tensione di un odio reciproco, a cagione del quale ogni motivo era buono a produrre una crisi. Gli alterchi fra noi negli ultimi tempi erano diventati qualcosa di spaventevole, ed erano particolarmente penosi perchè si alternavano con accessi di bestiale passione.
Se non fosse venuto lui sarebbe venuto un altro. Se non ci fosse stato il pretesto della gelosia ce ne sarebbe stato un altro. Io insisto su questo, che tutti i mariti che vivono come vivevo io, debbono o menare una vita dissoluta, o dividersi, o suicidarsi o uccidere la propria moglie come ho fatto io. E se ciò non accade è una rara eccezione. Io, prima di finirla come la finii, fui più volte sull'orlo del suicidio ed essa anche tentò di avvelenarsi.