CAPITOLO 32
SETTEMBRE 1968
Il figlioletto di Gina, Jonathan, nacque quattro settimane dopo il loro arrivo alla fattoria. Cinque mesi più tardi Louisa diede alla luce una femminuccia. La chiamò Rhiannon, come la zia.
Rhiannon colse tutti di sorpresa, soprattutto Gina. Qualche giorno dopo la sua nascita, mentre lei e Louisa erano sedute fuori al caldo sole autunnale con i loro figli, Gina fece la domanda che Louisa aveva temuto come la peste.
«Dimmi pure di farmi gli affari miei, se ti va» esordì, «ma sono obbligata a chiedertelo. È davvero di Ray?»
Louisa scrutò le colline nebbiose, oltre i campi su cui pascolavano le pecore. «Sì, è di Ray.» Fece un lungo respiro fissando Gina. «Il colore della pelle l’ha preso da me, non da suo padre. Avrei dovuto dirtelo anni fa, ma avevo paura.»
«Da te?» La confusione di Gina si toccava con mano.
«Ti ricordi quando, da bambine, ti dissi che mio padre era americano?»
Gina annuì. «Mi dicesti che assomigliava a Dean Martin.»
«Lo so.» Louisa abbassò la testa. «Perdonami, ma era una bugia: avevo paura che non avresti voluto essermi amica se ti avessi detto la verità.»
«Dunque tuo padre non era americano?»
«Sì, che lo era: un americano nero.»
Nel silenzio sceso fra loro, non si sentiva altro che il belato delle pecore e il distante latrato di un cane della fattoria più a valle.
«Ma tu… tu… non sembri…» balbettò Gina.
«Lo so» disse Louisa. «Volevo che tu pensassi che ero come te, con un padre dai tratti italiani o spagnoli. I genitori di Ray pensavano che mio padre fosse portoricano. La gente arrivava alle proprie conclusioni e io lasciavo fare, purché non intuissero mai che ero una…» Si morse il labbro. «Una mulatta.»
Gina batté gli occhi. «Perciò tua madre…?» Si strinse nelle spalle con aria mortificata.
Louisa fece una breve risata vuota. «In tempo di guerra ha avuto una storia con un soldato americano nero. A parte che non si può realmente chiamare una storia.»
«Cosa vuoi dire?»
«Probabilmente è stata l’avventura di una notte.» Chiuse gli occhi ripensando agli uomini senza volto che ancora infestavano i suoi sogni. «Non ricorda neanche il suo nome.»
«Oh, Lou!» Gina le strinse la spalla. «Ne sei sicura? Come lo sai?»
Louisa le raccontò dell’incidente avvenuto più di un decennio prima, quando aveva messo sul grammofono il disco di Nat “King” Cole. Descrisse la reazione isterica della madre e il suo sguardo assente quando le aveva chiesto come si chiamasse suo padre. «Deve averla proprio usata a puntino» mormorò. «Probabilmente l’ha fatta ubriacare a un ballo e l’ha spinta in un vicolo per una sveltina.» Scosse brevemente la testa con aria sprezzante. «Lo sai che le voglio bene, Gina, ma come ha potuto mettersi in una situazione simile? Da bambina mi faceva infuriare che non mi raccontasse di lui, ma adesso capisco che non c’è da stupirsi che si sia chiusa a riccio. Si vergognava troppo per parlare di quello che era successo!»
Gina aggrottò la fronte. «Tempo fa mi hai detto di avere un fratello che è morto…»
Louisa annuì.
«Era… voglio dire, tua madre era già sposata prima? Prima che arrivassi tu?»
«Sì.» Louisa alzò gli occhi al cielo. «Con mio padre. Era in guerra e quando è tornato a casa mi ha trovata.»
Gina la fissò a bocca aperta.
«Incredibile, vero? Mi sono spesso domandata perché mi abbia adottata, ma non oso chiedere. Non potrei sopportare di metterlo in imbarazzo.»
«È un uomo adorabile, tuo padre.» Gina aveva uno sguardo comprensivo e insieme confuso.
«Credo sia stato molto più facile per lui, quando vivevamo qui» disse Louisa volgendo gli occhi alla fattoria. «Eravamo nascosti dal grande mondo crudele. Nessuno in questi paesini aveva mai visto una persona nera. Credo che mi confondessi piuttosto bene. Ovviamente, quando ci siamo trasferiti a Wolverhampton, è cambiato tutto.» Riferì l’incidente con la donna del negozio all’angolo, che si era rifiutata di venderle la cioccolata.
Gina fece schioccare la lingua. «Ogni tanto noi venivamo maltrattati in quanto italiani, ma mai cose brutte come quella che è capitata a te.»
«Ti ricordi di Beverley Samuel? Come la trattavano gli insegnanti?»
Gina annuì.
«Allora vedi perché non volevo che nessuno sapesse?»
L’altra annuì, un sorriso malizioso sul viso. «Credo che questo spieghi anche il tuo strano gusto nel vestire!»
«Lo so.» Louisa si strinse nelle spalle. «Una follia, vero? Perfino con questo caldo!» Si tirò il colletto del maglione. «Ma l’ho sempre fatto, fin da quando quella donnaccia mi ha dato della negra. I vestiti, il trucco… Per tutti questi anni ho cercato di far credere alla gente che sono bianca. E adesso è arrivata questa piccolina e mi ha rovinato la piazza!» Sfiorò le dita divaricate di Rhiannon.
«È bellissima, Lou.»
Louisa ebbe un moto di sconforto. Deglutì una volta, due, ma non riuscì a ribattere.
«Te lo immagini cos’avrebbe detto Ray se fosse stato ancora vivo e l’avesse vista?» continuò Gina. «Non avrebbe mai creduto che fosse sua.»
Louisa scosse la testa trattenendo le lacrime.
«C’è una cosa che non capisco.» L’amica si allungò verso di lei accarezzando la pelle color mogano di Rhiannon. «Voglio dire, Tom… Lui è come te, ha l’aria un po’ italiana…» Scrutò il viso di Louisa.
«Ti stai domandando come mai lui e io siamo simili e Rhiannon così scura?»
Gina annuì. Ascoltò affascinata Louisa ripetere l’avvertimento che le aveva dato Eva quando era incinta di Tom.
«Dio, Lou, sarai stata terrorizzata quando l’hai partorito. Cos’avresti detto a Ray?»
«Dopo quello che mi aveva fatto Trefor, ero in condizioni tali che vivevo alla giornata.» Batté gli occhi mentre le immagini le tornavano alla mente con violenza. «Avevo degli incubi tremendi» mormorò. «Una volta sognavo che il bambino assomigliasse a Trefor e quella dopo che aveva la pelle nera ma non un volto.»
«Non so come tu sia rimasta sana di mente.»
«Con il senno di poi non lo so nemmeno io. È come se fosse entrato in azione una sorta di istinto di sopravvivenza. Tutto ciò che sapevo era che non avrei permesso a nessuno di portarmi via Tom.»
«È questo che volevano tua madre e tuo padre?»
«All’inizio papà avanzò l’ipotesi di darlo in adozione. È l’unica volta che mi ha fatta arrabbiare. Non potevo fare a meno di domandarmi se avesse chiesto a mia madre di liberarsi di me. Quando tornò dalla guerra, intendo.»
«Be’, qualunque cosa sia successa all’epoca, è ovvio che adesso stravede per te e che venera Tom in tutto e per tutto.» Gina la scrutò in viso. «Riguardo a Rhiannon, hanno detto qualcosa? Fatto magari qualche commento sul suo colore?»
«A dire il vero no.» Louisa aggrottò la fronte. «Papà ha pianto quando l’ha vista, ma perché era felice, tutto qui. La mamma era un po’ taciturna. Anche lei aveva le lacrime agli occhi. Non so a cosa stesse pensando. Non ho voluto chiedere. Ho sempre avuto tanta paura di turbarla.»
«E Tom? Cos’hai intenzione di dirgli se inizia a fare domande?»
Louisa ci pensò un momento. Non poté non ricordarsi del giorno in cui lei aveva iniziato a interrogare la madre sul colore dei capelli di David nella foto sulla mensola del camino. «Non lo so» sospirò. «Credo di non volerci pensare.»
«Non credi che questa sia l’occasione ideale per ricominciare tutto da capo?» disse Gina. «Per smetterla di fingere ed essere semplicemente te stessa? Perché non ti togli quel cappello e quel maglione e non ti godi un po’ di sole?»
«Oh no, non potrei mai farlo!» Louisa si tirò le maniche sui polsi. «Tom ha appena iniziato ad andare in una nuova scuola. Immagina quanto sarebbe più difficile se gli altri ragazzini scoprissero che sua madre è nera!»
«Allora cosa vuoi fare?» domandò Gina. «Nascondere Rhiannon come se fosse un segreto inconfessabile?»
«No, certo che no!» Avvampò in viso. «Sarebbe piuttosto complicato, in una piccola comunità come questa… E la levatrice lo sa già.» Rhiannon piagnucolò nel sonno e Louisa le accarezzò i capelli neri e ispidi. «No, non ho intenzione di nasconderla, ma non ho neppure intenzione di sfoggiarla davanti al cancello della scuola. Spiegherò le cose a Tom quando sarà più grande. Credo che a sei anni sia un tantino piccolo, non credi?»
Gina annuì. «Ma lo sai cosa penserà la gente, vero? Che Tom e Rhiannon abbiano due padri diversi: che sia stata tu ad avere una relazione extraconiugale con un nero.»
«Non necessariamente.» Louisa si strinse nelle spalle. «Potrebbero pensare che Rhiannon sia stata adottata.» Diede un calcio a un mucchietto di paglia che il vento aveva trasportato nell’aia. «E comunque, possono pensare quel che vogliono. Sono solo sette mesi che Tom ha perso il padre. T’immagini quanto sarebbe spaesato se sua madre diventasse di colpo una persona diversa? Pelle scura, pettinatura afro… E in un posto come questo, per giunta!»
«Credo tu abbia ragione» sospirò Gina. «Ma è come una bomba a orologeria, non pensi? Che nel frattempo continua a ticchettare e che, se non stai attenta, ti scoppierà in faccia.»