CAPITOLO 26

APRILE 1962

Gina alzò al massimo il volume del giradischi e agguantò Louisa, che se ne stava appollaiata sul bordo del letto. Mentre Sam Cooke cantava a squarciagola Twistin’ the night away, l’amica si scatenò in uno shimmy mentre lei la osservava, spegnendo una sigaretta immaginaria con la punta della scarpa sinistra, un tentativo simbolico di partecipare.

«E dai, Lou!» gridò Gina. «Cos’hai che non va? Pensavo ti piacesse!» Allungò la mano sul letto e abbassò la musica. «Lui non ti ha scaricata, vero?»

Louisa scosse la testa.

«Allora che problema c’è? Avanti, dimmelo! Che succede?»

Louisa si accovacciò sul letto e fissò il poster di Cliff Richard appeso alla parete nella camera dell’amica. «Credo di essere incinta.»

La musica lasciò il posto al rumore della puntina che grattava nel solco. Un suono luttuoso. Per te i balli sono finiti.

«Di’ qualcosa, per l’amor di Dio.»

«Oh, Lou, ti prego, dimmi che stai scherzando.»

«Non sto scherzando.»

«Vuoi dire che sei andata fino in fondo con lui?»

«Sapevo che non avresti approvato. Ecco perché non te l’ho detto.»

Gina si lasciò cadere sul letto accanto a lei. «È che pensavo non fossi poi così pazza di lui! Perché gliel’hai permesso, Lou?»

«Non lo so.» Si morse il labbro. «Forse volevo solo provare che effetto faceva.»

«Quante volte?»

Louisa si strinse di nuovo nelle spalle, fissando il soffitto.

«Dio, Lou! Cos’hai intenzione di fare?»

«Non lo so!» ribatté lei con voce tremante e rotta dall’emozione, bagnando di lacrime il copriletto di ciniglia rosa.

«Dovrai dirglielo.» Gina la cinse con un braccio. «Sarà obbligato a sposarti, no?»

Senza replicare, Louisa frugò affannosamente nella manica in cerca di un fazzoletto.

«Tu vuoi sposarlo?»

«Se lui mi vuole.» Tirò su con il naso. «Perché no?»

«Se lui ti vuole?» Gina balzò in piedi. «E cosa mi dici di quello che vuoi tu?»

«Be’, affrontiamo la realtà. Nessun altro mi vorrà, non credi?»

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Qualche ora dopo Louisa era sul furgone di Ray. Sfrecciavano sulla stessa stradina di campagna che avevano imboccato la prima notte. Sembrava diversa alla luce morente della serata primaverile. Su un lato, al di là della staccionata, brucavano le pecore, e accanto al cancello dove si era fermato Ray c’era un mucchio di paglia in una mangiatoia metallica arrugginita. Sembrava uno scenario del tutto bucolico e innocente, finché non si vedevano i resti avvizziti di un profilattico abbandonato nel fango ai margini del prato. Perché Ray non ne aveva usato uno?

La stava portando a una fiera in un campo nei dintorni. Lei non se la sentiva di andarci, ma non aveva neanche voglia di parlare. Sperava che in mezzo al rumore e alla gente sarebbe stata al sicuro e non avrebbe lasciato trapelare i pensieri che l’assillavano. Negli ultimi tre mesi aveva provato e riprovato le parole per dirglielo. Ma ogni volta che apriva la bocca per farlo, la richiudeva con forza, terrorizzata delle conseguenze, della rete che le si stava stringendo addosso.

Ray aveva appena pagato, insistendo che facessero almeno due giri su ogni giostra della fiera. Mentre la loro automobilina si avviava per la seconda volta sulla pista degli autoscontri, dalle casse tuonava l’ultimo successo di Elvis Presley, I can’t help falling in love with you. Non posso fare a meno d’innamorarmi di te. Ray cantava assieme a Elvis, sterzando con una mano e strizzandole la spalla con l’altra.

Louisa trasalì quando un’altra automobilina li urtò. Lui era al settimo cielo e lei stava per rovinargli la vita. Era tutta colpa sua. Era stata lei a sedurlo. Certo, Ray era stato abbastanza propenso, ma lei sapeva che al primo appuntamento si sarebbe accontentato di un bacio della buonanotte. E se si fossero limitati a quello, se avessero aspettato… adesso avrebbe potuto provare dei sentimenti diversi per lui?

Si udì un gran fracasso quando l’automobilina li tamponò, facendoli schiantare contro la barriera. Louisa avvertì una nausea improvvisa. Scese di corsa dalla macchina e scavalcò la barriera ignorando le grida di Ray.

«Perché hai fatto così?» le domandò boccheggiante quando la raggiunse poco dopo. «Avevamo ancora cinque minuti!»

«Non mi sento bene» mormorò lei. «Tutti quei colpi e quegli urti…»

«Oh, scusami, tesoro!» I suoi occhi azzurri erano pieni di preoccupazione. «Vuoi andare a sederti da qualche parte?»

Non c’era posto su cui sedersi se non in mezzo all’erba, così Ray si sfilò il cappotto stendendolo a terra per lei, quindi la cinse con un braccio e la tenne stretta a sé. A poca distanza da loro la ruota panoramica girava e girava, costellando i loro visi di luce colorata. Sul campo risuonavano le note di Dream Baby di Roy Orbison.

«Ti amo, Lou…»

Ray le strofinava il naso fra i capelli, e a Louisa vennero le lacrime agli occhi. Era la prima volta che glielo diceva, e si rese conto che lui si aspettava che ribattesse che anche lei lo amava.

«Ray» esordì, «cè una cosa che devo dirti.»

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«Sposarla?» Eddie Melrose fissava intensamente il ragazzino allampanato che se ne stava lì sul suo tappeto nuovo di zecca, nel suo soggiorno nuovo di zecca. Ray era paonazzo, il che rendeva ancor più evidente il suo ultimo sfogo di brufoli. Il calore della nuova stufa a gas dei Melrose gli aveva afflosciato la banana bionda sulla testa. Aveva un aspetto disastroso, Louisa lo sapeva, ed era dispiaciuta per lui.

Era così che si sarebbe sempre sentita? Sarebbe riuscita a dirgli che lo amava, pensandolo sul serio? All’improvviso si vide con il grembiule, che gli preparava la cena. Giorno dopo giorno, anno dopo anno. Era così che sarebbe stato? Avvertì una fitta di panico sempre più intensa.

«Scusami, figliolo» replicò Eddie, livido in faccia come Ray, «non posso proprio darti una risposta finché non ne avrò parlato con mia figlia. Perciò, se non ti dispiace…» Tenne aperta la porta e fece uscire il ragazzo. «Tu resta qui, per favore» disse a Louisa che si apprestava a seguirlo nell’ingresso. «Puoi tornare questa sera» gridò poi dietro a Ray. «A quel punto avrò una risposta per te.»

Louisa udì la porta sbattere. Per un attimo la casa fu del tutto silenziosa.

Eddie tornò nella stanza con la fronte imperlata di sudore. «Tua madre lo sa?»

«No, papà.» Louisa prese a fissare i ghirigori sul tappeto immacolato. La casa nuova. I suoi genitori erano talmente orgogliosi di quel nuovo inizio. E adesso lei stava per rovinargli la vita.

«Ti farò una domanda diretta, Lou, e voglio una risposta diretta.» Non le sfuggì il tono impaurito del padre. «Questo… questo Ray ti ha messa incinta?»

Lei annuì, gli occhi incollati al tappeto.

«Io lo uccido!» Eddie balzò in piedi. «Io lo uccido, quel piccolo bastardo, maledizione!»

«Papà, te ne prego!» Corse da lui cercando di prenderlo per il braccio. «Non è stata colpa sua!»

«Cosa?» Si divincolò da lei. «Vuoi dire che tu…?» Eddie non concluse la frase, incapace di dar voce ai suoi pensieri. «Oddio, Lou!» Indietreggiò e si lasciò cadere sulla poltrona ancora avvolta nella plastica. «Pensavo ti avessimo educata meglio di così!»

«Ed è così! L’avete fatto!»

Lo sguardo del padre era troppo da sopportare. Ma lei non poteva dirglielo, non poteva spiegargli cos’era successo. La verità lo avrebbe distrutto.

«Ti prego, papà, non essere arrabbiato!» Le vennero le lacrime agli occhi e, nell’asciugarsele, vide che anche lui stava piangendo.

«Tu lo ami?»

«Io…» Trattenne un singhiozzo.

«Perché se non lo ami non devi per forza sposarlo. Lo sai, vero?»

«Co… cosa stai dicendo?»

«Potresti dare il bambino in adozione.»

«Cosa?» Louisa rimase a bocca aperta e lo guardò dritto negli occhi, domandandosi se in passato avesse detto le stesse parole a sua madre.

«Lo ami?» ripeté Eddie.

Lei annuì una volta, due. Non si fidava a parlare, sapeva che era se stessa che cercava di convincere.

Eddie sospirò asciugandosi gli occhi con la manica della camicia. «Allora faremmo meglio a dirlo a tua madre.» Si prese la testa fra le mani. «Dio solo sa l’effetto che avrà su di lei.»

Louisa lo seguì alla porta. Si sentiva stranamente sollevata. Come se, rivelando quel segreto, avesse rimediato a tutti i mesi in cui aveva taciuto mentre guardava i genitori spendere quel denaro sporco. E adesso avrebbe sposato Ray e avuto il figlio di lui. Il figlio di lui. Non si sarebbe permessa di credere nient’altro.

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«Louisa ha una cosa da dirti» esordì Eddie mentre Eva si sfilava le scarpe e si sedeva con una tazza di tè al tavolo della cucina.

«Sto per sposarmi, mamma» mormorò lei.

«Cosa?»

«Sto per sposarmi con Ray dellOdeon. E avremo un figlio.» Quelle parole le uscirono a raffica, come se stesse elencando la lista della spesa, senza prendere fiato e senza emozione alcuna.

La madre rimase raggelata, la tazza di tè bloccata a metà strada tra il piattino e la bocca.

«Di’ qualcosa, mamma» la implorò Louisa. «So che non è quello che volevate tu e papà, ma…»

«Un figlio?» Louisa batté le palpebre. «Stai per avere un figlio?»

«Sì.» Louisa trattenne il respiro.

«Ma hai diciassette anni!» La madre fece vagare gli occhi sgranati per tutta la stanza.

«So di avere bisogno del vostro consenso. Ray è venuto stamane a chiederlo a papà.»

Eva fissò lo sguardo agitato su Eddie. «E tu hai acconsentito?»

«No, amore.» Aveva l’angoscia scritta in faccia. «Gli ho detto di tornare stasera quando avessimo avuto modo di discuterne.»

Eva si rivolse a Louisa. «E i tuoi esami? Volevi diventare un’insegnante!»

«Non l’ho mai detto, mamma. È quello che volevate tu e papà. Io…»

«Da come parli sembri aver già preso la tua decisione!» la interruppe Eva. «Lui lo sa? Questo… Ray?»

«Sa cosa? Che vado ancora a scuola? Certo che lo sa!»

Dal viso della madre intuì che non era quello che voleva dire. Louisa rimase pietrificata. Trefor aveva forse detto qualcosa? Aveva scritto ai suoi genitori?

«Sa cosa?» ripeté.

Eva esitò. «Del… tuo vero padre. Del fatto che è… insomma, lo sai.»

Louisa fissò Eva con attonito stupore. Era la prima volta in sei anni che sua madre parlava di lui.

«Perché diavolo avrei dovuto dirglielo?» Il suo era un tono spavaldo e insieme incuriosito. «Tu vuoi che lui lo sappia?» Avrebbe voluto aggiungere: “Perché tu non hai mai voluto che io lo sapessi!”. Ma si fermò. Non voleva ferire sua madre, così come non aveva voluto ferire suo padre.

«È che non voglio che ci siano eventuali… lo sai.» Eva fece una pausa, deglutendo il tè. «Eventuali sorprese.»

Luisa si accigliò. «Cosa vuoi dire?»

«Lui si rende conto che il bambino potrebbe essere…?»

«Potrebbe essere cosa?»

«Di colore.» Eva strinse le labbra sino a farle diventare esangui. «Scuro di pelle, comunque. Più scuro di te.»

«Più scuro di me?» La voce di Louisa riecheggiò dalle pareti della cucina. «Come potrebbe essere più scuro di me? Ray ha i capelli biondi e gli occhi azzurri!»

«Sì, ma non funziona sempre così» disse Eva sommessamente.

«Cosa intendi? Tu come lo sai?»

Eva esalò un lungo respiro, gli occhi fissi sul tavolo. «Quando ero incinta di te andai da un medico» mormorò. «Mi consigliò di metterti in un orfanotrofio. Disse che, se ti avessi tenuta, avrei conosciuto solo infelicità, poiché il colore della pelle sarebbe saltato fuori per generazioni e generazioni.» Prese la tazza di tè cullandola fra le mani. «Mi avvertì che avrei potuto avere un figlio chiaro di pelle che avrebbe potuto generare un…» balbettò fissando nella tazza. «Un figlio nero.»

«Allora perché mi hai tenuta, mamma?» domandò Louisa, le labbra tremanti.

«Io…» Con voce rotta dall’emozione, Eva si alzò di scatto; il tè traboccò dal bordo della tazza e macchiò la tovaglia. «Vedi solo di dirlo a Ray, d’accordo?»

Louisa udì i passi della madre rimbombare sulla scala. Si girò a guardare il padre e vide che era sbiancato. Si rese conto che, fino a quel momento, lui non aveva mai sentito nulla di tutto ciò.

«Cosa posso fare, papà?» La sua voce era piccola piccola, come quella di una bambina.

«Non lo so, tesoro.» Eddie si lasciò cadere sulla sedia che Eva aveva liberato. «Affrontiamo una cosa alla volta, va bene?»

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Quando alle sei in punto Ray arrivò, non era solo. Louisa aprì la porta e, sulla soglia assieme a lui, trovò il padre e la madre del ragazzo.

«Sembra una straniera» disse la signora Brandon quando Ray le presentò. «È inglese?»

Ray pareva imbarazzato quanto Louisa. «Non far caso a mia madre» disse sottovoce. «È un po’ scioccata, tutto qui.»

«È una gran lavoratrice, però, Edna!» Il padre di Ray diede un colpetto sulla testa di Louisa mentre le porgeva il cappotto. «Se si prodiga per Ray anche solo la metà di quanto si prodiga per la gente che viene all’Odeon, sarà un uomo felice!»

Louisa li fece entrare in soggiorno; non sapeva come comportarsi con il suo capo adesso che stava per diventare suo suocero.

«Sua moglie non è in casa?» domandò il signor Brandon dopo essere stato presentato a Eddie.

«Non si sente bene.» Eddie alzò lo sguardo al soffitto. «Sta facendo un sonnellino.»

«Non mi sorprende, con tutto questo sconvolgimento!» Edna Brandon si lasciò cadere su una delle poltrone avvolte nel polietilene, contemplando la casa arredata di recente e il suo mobilio moderno. «Molto bello, senz’altro» disse alzando un sopracciglio. «Vi siete appena trasferiti, vero?»

Eddie annuì.

«E prima dove abitavate?»

«In Sycamore Street.»

Il sopracciglio si alzò di un altro centimetro. «E la vostra Louisa…» Pronunciò il nome come se fosse un frutto esotico di cui non aveva mai sentito parlare. «L’avete adottata, vero?»

Louisa scoccò un’occhiata a Ray. Se fu sorpreso dalla domanda della madre, non lo diede minimamente a vedere.

Eddie esitò, ma solo per un istante. «Sì, è vero.»

«E i genitori?»

«Il padre è americano.»

Louisa vide suo padre lanciare un’occhiata cospiratoria alla madre di Ray. Si domandò cosa stesse architettando.

«Oh, capisco» ribatté la signora Brandon, annuendo lentamente.

«Uno di quegli ispanici, immagino» intervenne il signor Brandon.

«Di lui non sappiamo granché» replicò Eddie. Si alzò e raggiunse il mobile bar scambiando un’occhiata con Louisa. «Allora, vi preparo un drink?» Guardò raggiante i genitori di Ray. «Un bicchiere di sherry, signora Brandon? O magari preferisce un Babycham?»

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Louisa e Ray si sposarono a fine maggio, quattro settimane prima che lei compisse diciotto anni.

L’Ufficio del Registro di Wolverhampton era grigio e per niente romantico. E il corsetto elastico che Eva le aveva comperato nel reparto biancheria intima di Beatties non impediva all’abito bianco di satin di sollevarsi sul davanti.

«La sposa maggiolina non si gode il mosto e l’uva settembrina» mormorò la madre di Ray mentre erano di fronte all’ufficiale di stato civile, insinuando che (come diceva il proverbio) le spose di maggio non arrivavano a settembre. Erano a pochi metri di distanza e la donna doveva sapere che Louisa avrebbe sentito.

«Sei bellissima, Lou» disse Ray prima di baciarla.

Louisa chiuse gli occhi e ricambiò il bacio, sperando che in testa le esplodessero i fuochi d’artificio e i violini attaccassero a suonare. Ma non sentiva altro che l’ululato di una sirena della polizia sulla strada. «Andrà tutto bene, Ray, vero?» domandò con labbra tremanti.

«Sì, tesoro.» L’abbracciò stringendola a sé. «Certo che sì!»