CAPITOLO 12
Bill non riusciva a dormire. Era sdraiato supino sulla branda dura a fissare nel buio, rimuginando sulle infinite possibilità che aveva di fronte. Era una situazione senza speranza. Come avrebbe potuto offrire a Eva e al bambino un futuro qualunque, quando neanche lui sapeva se ne aveva uno?
La mattina seguente andò a cercare il cappellano, uno dei pochi bianchi nell’esercito americano di cui sentiva di potersi fidare. Padre Corrigan si era battuto invano per farlo testimoniare davanti alla corte marziale nel processo di Jimmy ed era stato accanto al condannato il giorno della sua impiccagione.
Bill esitò fuori della porta, frenato da un coacervo di emozioni. Senso di colpa, vergogna. Rabbia e frustrazione. Paura perfino, malgrado odiasse ammetterlo, anche con se stesso. Fece un respiro profondo e bussò.
Vedendolo, il cappellano sorrise. «Buongiorno, Wilbur» disse. «Come va?»
In seguito, Bill non avrebbe saputo dire se fosse stato per via del sorriso o per aver sentito pronunciare il nome con cui lo chiamava sempre sua madre, ma il discorso che si era preparato con cura andò a farsi benedire. Venne tutto fuori alla rinfusa.
«Aspetta un minuto, figliolo» disse il sacerdote alzando una mano per interromperlo. «Vedi di sederti, d’accordo?» Bill si morse il labbro e fece come gli era stato detto. «Tieni.» Padre Corrigan gli porse un pacchetto di Lucky Strike. «Prendine una.»
C’erano tre mozziconi di sigaretta nel portacenere quando Bill ebbe terminato di spiegare. «Vede, padre» disse, «non posso sposarla perché è ancora sposata. E anche se potessi, dove potremmo andare? Non c’è un solo posto in Louisiana in cui potremmo vivere, un nero e una bianca.»
«Se fosse nubile» intervenne il cappellano sfregandosi il mento, «le avresti chiesto di sposarti, a questo punto?»
Bill si accigliò e distolse lo sguardo. «Accidenti, non lo so. Come ho già detto, nel posto da dove vengo io i matrimoni come questo non si fanno, e lei, padre, lo sa.»
«Non dovreste mica per forza tornarvene in Louisiana, però, non pensi? Quando la guerra sarà finita potreste sistemarvi ovunque. Cosa vi impedisce di andare a nord? New York, Illinois… in qualche posto dove sia legale sposarvi.»
Bill sospirò fissando il soffitto. «Quando la guerra sarà finita?» Scosse la testa. «Quando la guerra sarà finita potrei essere morto. A che serve fare progetti per il futuro?»
«Hai ventun anni, Wilbur, come puoi parlare di morire?»
Bill balzò in piedi e raggiunse a passo spedito la finestra, nascondendo il viso. «Per via di Jimmy!» La voce rauca lo tradì. «Jimmy aveva solo sei mesi più di me, e guardi cosa gli è successo! Non ha mica combattuto in prima linea, no? Non ci si è neanche avvicinato.» Fece una pausa mentre fissava il gruppetto di soldati che passavano davanti alla finestra. «È questa la sensazione che ho dentro, padre» mormorò. «Jimmy non è vissuto per vedere suo figlio e io non credo che vivrò per vedere il mio.»
Padre Corrigan lo raggiunse e gli mise le mani sulle spalle. «Non puoi pensarla così» disse scrutandolo dritto negli occhi. «Devi guardare oltre questa guerra. Per il tuo bene, e per quello della tua ragazza e del bambino.»
«Io voglio, ma non ci riesco proprio.» Bill si prese il viso fra le mani. «Cosa devo fare?»
Il cappellano aggrottò la fronte. «Be’, non puoi mandare Eva negli Stati Uniti, questo è certo. Non finché non avrà la prova di essere vedova a tutti gli effetti… E questo potrebbe non succedere fino alla fine della guerra. Ma una cosa puoi farla.»
«Cosa?»
«Puoi mandare il bambino oltreoceano tramite la Croce Rossa.» Sorrise nel vedere lo sguardo sconcertato di Bill. «Non preoccuparti, non saresti certo il primo. L’hanno già fatto almeno una dozzina di soldati americani. Bianchi, lo ammetto, ma non c’è ragione per cui non possa farlo anche tu.»
«Cosa? Lei dice di mandare il bambino senza la madre?»
«Sì. Tutti i casi di cui ho sentito parlare riguardavano donne sposate che avevano avuto una relazione con dei soldati americani e non sapevano se tenere il figlio o restare con i loro mariti. Non appena il bambino è svezzato, un’infermiera della Croce Rossa lo porta dall’altra parte dell’Atlantico sulla prima nave disponibile.»
Bill lo fissava incredulo. «E cosa succede dall’altra parte?»
«Se ne prendono cura i parenti del padre, di solito la nonna.»
Bill mugugnò. «Non potrei mai farlo! Se lo immagina cosa succederebbe a mia madre se accogliesse in casa un bambino metà nero e metà bianco?»
«Non hai dei parenti altrove?»
Bill si grattò il mento. «Be’, c’è mia zia Millie a Chicago…» Si accigliò. «Ma aspetti un minuto… Chi le dice che Eva lascerà andare il bambino?»
«Be’, potrebbe non farlo» replicò il cappellano. «Io dico solo che se vuoi fare la cosa giusta per il bambino e se hai paura di non poter sopravvivere alla guerra, questo è l’unico modo per assicurarti che tuo figlio sia accudito.»
Bill strinse gli occhi valutando le parole del religioso. «Credo lei abbia ragione» disse infine. «Pare l’unico modo.»
Rimase a letto sveglio una seconda notte, pensandoci e ripensandoci; pianificando la lettera che avrebbe scritto a sua zia e quella che avrebbe dovuto scrivere anche alla madre e alla sorella. Quando le prime luci dell’alba rischiararono il cielo al di là della sua finestra, aveva calcolato quasi tutto, perfino la somma di denaro che avrebbe dovuto mandare a Chicago ogni mese per provvedere al bambino fin quando fosse durata la guerra.
Quello che non poteva calcolare era la parte riguardante Eva. Se avesse approvato il piano, il che non era assolutamente sicuro, si sarebbe trasferita a Chicago alla fine del conflitto? Sarebbe stata disposta a lasciarsi la famiglia alle spalle per iniziare una nuova vita in un nuovo Paese? Ovviamente avrebbe dovuto portare con sé l’altro suo figlio, il maschietto. Cercò d’immaginare come sarebbe stato: loro due che passeggiavano per Michigan Avenue, una donna bianca e un uomo nero, con un bambino bianco e uno mulatto. A New Orleans sarebbe stato linciato senza dubbio. A Chicago sarebbe andata diversamente?
Un raggio di sole cadde sul cuscino. Bill si tirò sulla testa il lenzuolo militare grigio e chiuse con forza gli occhi.
Impiegò una settimana intera a trovare il coraggio di riferire a Eva la proposta di padre Corrigan. Scelse il momento con cura. La portò a pranzo nel tranquillo ristorantino periferico in cui erano stati per il loro primo, vero appuntamento. Meglio così che dirglielo quando erano da soli, pensò; meno probabilità di un’altra scenata straziante.
«Mandare il bambino in America? Senza di me?»
Bill aveva sottovalutato l’effetto del suo discorso. Neanche se lui avesse tirato fuori una pistola e sparato al soffitto Eva sarebbe potuta sembrare più allibita, più oltraggiata. Lasciò cadere sul piatto la forchettata di purè di patate che stava per mettersi in bocca.
«Lo so che sarà dura.» Bill allungò la mano sul tavolo per prendere quella di lei. «Ma non vedo cos’altro possiamo fare.» Provò a spiegarle quel che aveva detto il cappellano, ma Eva non volle sentire ragioni.
«Sul serio ti aspetti che spedisca nostro figlio dall’altra parte dell’Atlantico con una sconosciuta?» Questa volta non parlò sottovoce. La donna alla cassa si girò a guardarla mentre Eva si alzava. «Pensavo che mi volessi bene! Che volessi bene a tutti e due!» Gettò il tovagliolo sul tavolo, schivò la cameriera che si avvicinava e si diresse alla porta.
Bill non vedeva altro che gli occhi puntati su di lui. La cameriera, la cassiera e le altre coppie in sala. La loro ostilità lo paralizzava. Per quella cruciale manciata di secondi gli parve di essere tornato a New Orleans, in una stanza piena di bifolchi e solo come un cane. Distolse lo sguardo, posando gli occhi sul posto abbandonato da Eva. Sulla sedia vide aleggiare il viso disperato e implorante di Jimmy che gridava di terrore, supplicandolo di aiutarlo.
Fissò gli occhi sulle briciole di toast sulla tovaglia, la testa pulsante. Doveva uscire di lì. Parlare con lei. Lanciò un’occhiata alla porta. Adesso avevano smesso di guardarlo. Poteva farcela. Poteva uscire. Mentre si alzava in piedi, intravide Eva dalla vetrina del locale. Per metà correva, per metà camminava verso un autobus fermo ad attendere.
Eva non vide Bill correrle dietro, né cercare invano di afferrare l’asta metallica dell’autobus a due piani mentre faceva una volata sulla strada. Era seduta in testa alla vettura, dietro l’autista, il viso nascosto agli altri passeggeri. Quando il controllore arrivò a riscuotere il denaro del biglietto, lei glielo porse senza neanche alzare lo sguardo.
Mezz’ora dopo era seduta al tavolo della cucina di Cathy, un fazzoletto zuppo stretto in mano. Era riuscita a tenersi tutto dentro finché l’amica non aveva aperto la porta di casa. A quel punto aveva spiattellato ogni cosa tra singhiozzi e parole smozzicate.
«Come ha potuto… suggerire una cosa simile?» disse tirando su con il naso, mentre Cathy versava l’acqua calda nella teiera.
«Probabilmente perché ha paura» replicò l’altra senza alzare lo sguardo.
«Paura? Di cosa?»
«Di tutto.» Cathy posò la teiera sul tavolo e si sedette di fronte a lei. «Di colpo si è reso conto di cos’ha fatto. Diventerà padre. È una cosa piuttosto sconvolgente per un uomo che non è neanche sposato.» Passò a Eva il bricco del latte. «E sta per andare in guerra. Fin da quando è arrivato in questo Paese è stato consapevole che una mattina avrebbe potuto svegliarsi e scoprire di essere diretto in Francia o in Olanda o Dio sa dove. L’hai detto tu stessa che è convinto di morire.»
Eva fissò nella tazza di tè. «Ma non morirà, Cathy. Lo so che non morirà.»
Cathy le rivolse uno sguardo diffidente. «Be’, spero tu abbia ragione, ma devi provare a vederla dal suo punto di vista. Sta solo cercando di assicurarsi che tu non resti sola a tirare su il bambino.»
«Preferirei farlo da sola che mandarlo a mezzo mondo di distanza per farlo allevare da qualcuno che neanche conosco!»
«Ma pensaci un attimo» obiettò Cathy. «Come puoi provvedere a David e al bambino senza un uomo che ti sostenga? Specie se tua madre dovesse sbatterti fuori di casa, il che, stando a quanto hai detto, parrebbe piuttosto probabile.»
«Oh, non lo so» ribatté Eva stringendosi nelle spalle. «Mi troverei un altro impiego, credo. In qualche modo me la caverei.»
«Come farai a trovarti un impiego con un bambino cui badare?» Cathy si appoggiò allo schienale della sedia, le braccia conserte. «Adesso, con il lavoro di guerra e gli asili del Servizio Volontario Femminile, va tutto benissimo, ma cosa credi succederà quando sarà finita e torneranno gli uomini? A quel punto non ci saranno tutti questi posti di lavoro, non credi?»
«Parli come se stessi dalla sua parte!»
«No, certo che no, sto solo cercando di metterti in guardia sulla situazione che si prospetta. So quanto è dura cercare di sopravvivere con la pensione di vedova. Se non fosse per il mio lavoro, non so come farei a mettere assieme il pranzo con la cena. Spero solo in Dio di poter continuare a lavorare finché Michael non sarà abbastanza grande da lasciare la scuola e portare qualche soldo a casa.»
«Quindi cosa stai dicendo? Che dovrei dare via il bambino? Mandarlo via ancor prima che lui sappia chi sono?» Eva aveva i lucciconi agli occhi.
«Probabilmente sarebbe solo per un breve periodo» disse Cathy. «Quando la guerra sarà finita e sarai in grado di dimostrare di essere vedova, tu e Bill potrete sposarvi e ti trasferirai in America.» Fece una pausa. «Lui ha detto che ti sposerà, no?»
«Non esattamente, no.» Si portò la tazza alle labbra ingoiando il tè ancora troppo caldo. «Non vuole parlarne perché è convinto che non sopravvivrà.»
«È questa la vera ragione?»
Eva evitò lo sguardo schietto di Cathy. «Io… non lo so.»
«Motivo di più per mandare il bambino dai parenti di lui, allora, direi.»
Eva si rabbuiò. «Perché?»
«Be’, la penserà diversamente quando la guerra sarà finita, no? Adesso per lui è dura, la pressione psicologica è troppa. Ma se torna negli Stati Uniti e il bambino è lì ad aspettarlo… be’, dovrebbe essere piuttosto disumano a non volere anche te laggiù.»
Era buio quando Eva se ne andò con David addormentato nel passeggino. Lo spinse lungo le poche strade silenziose che separavano casa di Cathy dalla sua, prima di imboccare il vicolo che la costeggiava lateralmente. Puntò la torcia nel cortile e manovrò delicatamente il passeggino nello spazio ristretto accanto alla porta. La luce si riversò all’esterno mentre lei entrava di spalle in cucina. Tirò dentro il passeggino e si girò subito per chiudere.
Sua madre era seduta a tavola, le braccia appoggiate sulla tovaglia di cinz verde. Nella stanza non c’era nessun altro e non si sentiva il sottofondo della filodiffusione. Eva si domandò cosa ci fosse che non andava.
«Mamma?» La raggiunse sfilandosi il cappotto. «Che succede?»
«Oggi pomeriggio non eri con Cathy, vero?» sibilò la donna.
«Sì, invece, sono uscita da casa sua dieci minuti fa!» Eva aveva il cuore in gola.
«Ma non sei stata lì tutto il pomeriggio, giusto?»
«Cosa vuoi dire?» Si aggrappò allo schienale di una sedia.
«L’ho strappato a Dilys a forza di minacce. Mi ha detto che ti vedevi con un americano.» Pronunciò quella parola con disgusto, mentre si alzava. «E come se non fosse già abbastanza grave, quando sei uscita da casa di Cathy ti ho seguita, sgualdrina che non sei altro!» Cercò di schiaffeggiarla con il dorso della mano, ma lei la schivò spostandosi di lato. Sua madre perse l’equilibrio facendo cadere una sedia davanti a sé.
Prendendo al volo l’occasione, Eva aprì la porta, sollevò il passeggino e lo portò fuori.
«Dove pensi di andare?»
«Via di qui!» gridò lei da sopra la spalla. Si fermò per una frazione di secondo per cercare la torcia nella borsetta.
«Non ti azzardare a scappare da me, signorina!»
Eva avanzò sbandando, senza più pensare alla torcia, tanto era smaniosa di andarsene. Urtò con il passeggino le pareti del vicolo. Non era sicura di riuscire a difendere la sua storia con Bill. Non senza lasciarsi sfuggire del bambino in arrivo. Mio Dio, pensò mentre imboccava la strada vacillando, se glielo dicessi mi ucciderebbe.
«Eva! Torna qui!»
Udì la porta di casa sbattere, dei passi riecheggiare nel vicolo. Accelerò l’andatura. Mentre attraversava la strada sentì il rumore di un’auto. Ma non vide le luci. Doveva essere nella strada successiva. Salì con il passeggino sul marciapiede e girò l’angolo, dirigendosi di nuovo verso casa di Cathy. Batteva i denti. Aveva i brividi e sudava al tempo stesso.
All’improvviso udì uno stridio di freni che inchiodavano. Poi il silenzio. Infine, per tutta la strada, si sentì riecheggiare un suono agghiacciante. Il grido di un uomo. Chiedeva aiuto.