CAPITOLO 7

Mentre scendevano le scale, la teneva così stretta da farle girare la testa.

«Bill! Che stai facendo?» Nel rifugio antiaereo la voce di Eva aveva un suono strano, stridulo e riecheggiante. Di colpo aveva paura.

«Scusami, tesoro: spero di non averti fatta agitare!» La mise a terra, poi tirò fuori la torcia dalla tasca. Trovò un gancio e, quando ve l’appese, il sottile fascio di luce diffuse un chiarore inquietante sulle pareti grigie.

Dalla porta aperta Eva sentiva ancora l’orchestra da ballo della Civic. «Cosa…» Prima che potesse proferire parola, Bill le aveva preso la mano con la destra e l’aveva cinta in vita con la sinistra.

«D’accordo, ecco cosa devi fare» le disse con un sorriso, muovendole la mano a tempo di musica. «Guarda i miei piedi: piede destro avanti, tallone sinistro su… e poi da capo!»

«Cosè questo?» Rise, mentre lui la faceva ruotare.

«Be’, di certo non è il fox-trot!» le rispose guardandola negli occhi per poi afferrarle le mani e farsela scivolare tra le gambe. «Non credo abbia un nome» proseguì riprendendo fiato mentre lei riemergeva a bocca aperta e senza parole. «Non un nome ufficiale, intendo. Ma in Louisiana lo chiamano “jitterbug”.»

Eva urlò quando lui la sollevò da terra con uno strattone, facendosi inforcare in vita dalle sue gambe. «Bill! È una cosa folle!»

«Non ti piace? Mi fermo se vuoi.»

«No!» E riprese a strillare quando lui le fece piegare la testa all’indietro e lei sfiorò il pavimento con i capelli. Non era come ballare. Più come… Boccheggiò per ritrovare il fiato. Cos’aveva in mente Bill? Era sceso lì, nel rifugio antiaereo, con l’intenzione di ammorbidirla per…?

«Tieniti forte!»

Con un urlo lui la sollevò e se la fece volare sulla spalla sinistra, voltandosi poi con destrezza per farla ruotare quando i piedi di lei toccarono terra. La musica si affievolì ed Eva si aggrappò a Bill senza fiato. Dalla sala da ballo giunse il rumore degli applausi e un pezzo più lento attaccò.

«Credo ti meriti un po’ di riposo» le disse lui accarezzandole i capelli che ondeggiavano delicatamente alla luce della torcia, «anche se riconosco che te la sei cavata piuttosto bene per essere una principiante.»

«Dovrebbe essere un complimento?» Gli fece un sorriso ironico.

«Ma sì, signora.» Bill scese con la mano dalla spalla per strizzarle il braccio. «Ehi, dove ti sei fatta dei muscoli così?»

«Sei invidioso?» Sorrise. «Un gentile omaggio delle Grandi Ferrovie Occidentali.»

Bill si arrestò e la guardò da una certa distanza. «Non sarai mica una di quelle ragazze che ho visto sistemare le rotaie alla stazione?»

Lei annuì, domandandosi cosa gli stesse passando per la testa. Aveva l’aria sdegnata, quasi arrabbiata.

«Perché?» Aggrottò la fronte. «Ti hanno costretta a farlo?»

«No.» Rise. «Non mi hanno costretta. Avrei potuto fare altro, se avessi voluto.»

«Be’, perdonami se ti sembro scemo» le disse, «ma perché scegliere un impiego come quello? Voglio dire, nel posto da dove vengo io li fanno fare alla gente di colore… agli uomini, cioè, non alle donne!»

Eva prese un respiro e si sedette su una delle panche di legno addossate alle pareti del rifugio. «È una lunga storia» disse.

«Be’, io ho tempo, se tu ce l’hai.» Bill si accomodò al suo fianco, la fronte increspata da una ruga di curiosità.

«Mio padre lavorava nelle ferrovie» disse mordendosi il labbro. «Faceva il segnalatore. È morto un paio d’anni fa. La nostra casa è stata bombardata e…»

«Caspita, non avrei dovuto domandare.» Bill sospirò e guardò a terra.

«No, non importa.» Eva deglutì a fatica, domandandosi se sarebbe mai riuscita a parlarne senza farsi venire un nodo in gola. «Ci siamo dovute trasferire qui, in una nuova casa, ed era troppo lontana dal posto in cui lavoravo. E comunque il mio vecchio impiego… tutto d’un tratto mi è parso piuttosto inutile. Dicevano di aver bisogno di donne che facessero dei lavori da uomini. Pensavo sarebbe stato un bene lavorare nelle ferrovie, come faceva papà. Non so come mai, ma credo mi dia la sensazione che sia ancora qui con noi.»

Bill le prese la mano ed Eva fissò la parete. Pensava a tutte le cose che non poteva raccontargli. Di come per esempio sposare Eddie fosse stato un antidoto alla perdita del padre. E di come, la prima settimana nella squadra di operaie alla ferrovia, avesse pianto ogni mattina. Pianto per papà, pianto per Eddie e pianto per David, consegnato tutto frastornato e impaurito alle maestre d’asilo in divisa.

Sentì le dita di lui accarezzarle le sue e si girò a guardarlo. «Scommetto che anche tu senti la mancanza della tua famiglia, vero? Essendo così lontano da casa, intendo.»

«Credo di sì» disse lui. «Almeno di mia madre e della mia sorellina. Mio padre… non l’ho mai conosciuto.»

«Oh.» Eva esitò. «È…?»

«No, non è morto» rispose subito Bill. «Be’, non lo so per certo, ma non credo lo sia. Stando alle ultime notizie che ha ricevuto mamma, vive a Chicago.»

Lo guardò negli occhi. Aveva pronunciato quelle parole con indifferenza. Troppa, pensò. «Dev’essere stata dura per te» disse, «crescere senza un padre.»

Lui fece spallucce. «Quello che non hai mai avuto non ti manca.» Ma nel suo sguardo di sfida balenava qualcosa. Si teneva qualcosa dentro, proprio come aveva fatto lei.

La riprese fra le braccia, poi la baciò sul collo e scese lentamente con la mano lungo la schiena. Eva inarcò la spina dorsale, stringendosi a lui, bramandolo con tutto il corpo. Se adesso Bill avesse provato a spingersi oltre, nell’intimità e al buio del rifugio, lei avrebbe avuto la volontà di resistere? Sentì le dita di lui scivolare sotto la camicetta.

«Bill» mormorò, «io…»

Lui si ritrasse. «Scusami, pensavo…»

Seguì un silenzio imbarazzato. Cosa pensava?, si domandò Eva. Che lei era una facile? Era così che gli americani vedevano le ragazze inglesi? Pronte a concedersi per una tavoletta di cioccolato e un pasto al ristorante? Avrebbe voluto prendergli la mano, baciarlo di nuovo, ma se l’avesse fatto adesso, che razza di messaggio gli avrebbe trasmesso?

La musica venne in suo soccorso. Subito dopo quello che doveva essere stato l’intervallo, arrivò un altro brano americano che lei non aveva mai sentito. Bill balzò in piedi.

«Questa la conosci?» La tirò su. «È Drum Boogie!» Raggiante, scrutò il suo viso perplesso. «Avanti, balliamo!»

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Quella notte Dilys entrò furtivamente in camera di Eva mentre lei si svestiva. Lo specchio le catturò entrambe, una rossa di capelli, l’altra mora, così diverse da sembrare due estranee, non sorelle.

«Dove sei stata?» sibilò Dilys. «Pensavo andassi al cinema

«Shh! Sveglierai David!» Eva lanciò un’occhiataccia alla sorella e un’altra alla culla in cui il bambino dormiva con le braccia allargate sopra la testa, come un bagnante che prendeva il sole.

«Sei andata alla Civic? Ci sei andata, vero?»

Eva percepì una punta d’invidia nel tono di Dilys. «No, a dire il vero non ci sono andata» sbottò mentre si infilava la camicia da notte.

«Be’, da qualche parte sei andata, me ne rendo ben conto.» Dilys strinse gli occhi. «Ucci ucci sento odor di americanucci!» Afferrò la borsetta di Eva e la svuotò sul letto. «Oh, cos’è questo?» Raccolse con malagrazia un pacchettino squadrato avvolto nel cellophane e lo scosse.

«Tu, piccola…!» Eva cercò di riprenderselo, ma Dilys saltò sul letto tenendolo fuori dalla sua portata.

«Calze di nylon! Oh oh! Cosa direbbe Eddie?»

Eva prese il pacchetto dalle mani di Dilys e con l’altra mano le mollò un ceffone sul braccio. «Non azzardarti a venire qui a ficcare il naso in quelli che non sono affaracci tuoi!»

Si udì un piagnucolio dalla culla.

«Ecco, guarda cos’hai fatto!» Eva allungò le mani fra le sbarre del lettino, accarezzando i capelli di David finché il piccolo non richiuse gli occhi.

«Scusami» mormorò Dilys, sbirciando ansiosa il nipotino. «Sono solo invidiosa, tutto qui. Stasera avevo una gran voglia di vedere Anton. Sono sicura che era alla sala da ballo… con un’altra.» Le tremò il labbro e una lacrima cadde sulla coperta.

«Oh, Dil!» Eva sgusciò dall’altra parte del letto per mettere un braccio sulle spalle della sorella. «Senti, mi dispiace, non avrei dovuto inveirti contro a quel modo. Dai, ti prego, non piangere.»

«Ma non è giusto!» Dilys si asciugò il naso gocciolante con il dorso della mano. «Si troverà un’altra. Lo so!»

«Tieni.» Eva tirò fuori il fazzoletto dal guazzabuglio di oggetti sparsi sul letto. «Soffiati il naso, riprenditi e ascoltami.»

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Bill spinse la vetusta bicicletta su per la collina fino alla caserma. Era mezzanotte passata e sulla strada di campagna c’era un silenzio spettrale, nessun rumore a parte lo sporadico fruscio di un animale in mezzo ai cespugli che costeggiavano la via.

Finì quasi contro la Bentley. Era parcheggiata sul limitare di un campo e la carrozzeria nera si confondeva con l’ombra di un albero.

Fu il rumore che veniva da dentro l’auto a metterlo in allarme: il cigolio regolare e cadenzato delle fodere di cuoio e un inequivocabile gemito profondo. Si fermò di colpo in mezzo alla strada, non sapendo cosa fare. E se fosse stato un ufficiale? Non poteva rischiare di essere visto passare con la bicicletta, di ritorno da una zona proibita.

«Bill!»

«Cosa diavolo…?» Trasalì quando sentì sibilare il proprio nome dal finestrino dell’auto.

«Sono io, Jimmy, bastardo che non sei altro!»

«Cavolo, fratello, cosa stai facendo? Mi hai quasi spaventato a morte, per la miseria!»

Jimmy rise, abbottonandosi la camicia. «A te cosa sembra?» Accennò con il capo al sedile posteriore. «Philippa e io facevamo conoscenza.»

Bill udì una risatina soffocata e il rumore di una zip che si alzava.

«Ci annoiavamo un tantino a Bridgnorth» disse Jimmy sporgendosi dal finestrino. «Così Philippa si è offerta di portarmi a fare un giro in auto. È una vera bellezza, non credi?»

«Stai parlando della signora o dell’auto?» ribatté Bill ironicamente.

«Figlio di…» ridacchiò Jimmy, cercando di dare una manata sulla testa dell’amico, senza però riuscirci. Accennò con il pollice alla bici. «Sei andato fino a Wolverhampton con quell’affare?»

«Sissignore!»

«Fratello, sul culo avrai delle vesciche grandi come meloni! Spero che lei ne valesse la pena.»

Bill si tappò la bocca.

«Allora?» insistette Jimmy. «La valeva?»

«A differenza tua» sibilò Bill, «io non sento il bisogno di condividere i dettagli della mia vita privata!»

«Peccato» disse Jimmy. «Pensavo potessimo scambiarci le nostre impressioni…»

«Te lo sogni!» Bill gli voltò le spalle, ripuntando il manubrio della bicicletta verso la strada.

«Ehi, non andartene!» gli gridò dietro l’altro. «Dammi solo un minuto per salutare Philippa e risalgo la collina con te. Voglio conoscere il tuo segreto!»

«Quale segreto?»

«Hai passato una notte intera in una città bianca senza che ti facessero il culo a strisce. Dove siete andati? Al cimitero?»

Bill continuò a camminare, mentre Jimmy scompariva di nuovo nell’auto per dare un prolungato addio alla sua ragazza. Aveva quasi raggiunto la cima della collina quando udì il motore accendersi. Girò la testa e vide la Bentley uscire con cautela dal sentiero fangoso e imboccare la strada. La luna spuntò da dietro una nuvola, illuminando il viso della ragazza che si sporgeva dal finestrino per mandare un bacio a Jimmy. Poteva essere il viso di una bambina.

«È abbastanza grande per guidare?» domandò Bill quando il compagno lo raggiunse.

«Cavolo, non lo so.» Jimmy sorrise. «Che età bisogna avere in questo Paese? Ma senz’altro sa il fatto suo… sul sedile anteriore e su quello posteriore!» Diede un’occhiata maliziosa a Bill. «Avanti, dimmelo: hai fatto sesso o no?»

«Come ho già detto, non sono affaracci tuoi!»

«Spero non mi stia dicendo che hai fatto tutta quella strada per niente, eh?»

Bill fissò il sentiero davanti a sé, rifiutando di abboccare all’amo.

«La rivedrai?»

«Sì, se vuoi proprio saperlo» replicò, mentre un sorriso gli si disegnava agli angoli della bocca. «La porto fuori domenica prossima. E tu? Tu e Philippa avete in programma un altro giro in macchina?» Guardò Jimmy di sottecchi. «Meglio che stai in campana, fratello. Non credo che a suo padre farebbe troppo piacere se beccasse il tuo culo nero sui suoi lustri sedili in pelle!»

«Ma rende il tutto più eccitante, non trovi?» mormorò il compagno mentre superavano furtivi la guardia che sonnecchiava all’ingresso del campo militare. «Farlo con una ragazza bianca, intendo.»

Bill si fermò di colpo per rivolgere all’amico un lungo sguardo contrariato. «Se è quello che pensi» replicò, alzando la mano per toccarsi il livido sbiadito sotto l’occhio, «non sei meglio del figlio di puttana che mi ha fatto questo!»

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Erano sedute all’ombra della pensilina dell’autobus, in attesa.

«Dovrebbe essere lui, credo» disse Dilys balzando in piedi nel sentire il motore di un’auto. Si mise a correre sulla strada, agitando smaniosamente le braccia quando la macchina comparve.

Eva guardò il soldato olandese saltar fuori e sollevare di peso la sorella per abbracciarla forte. Alla luce del giorno sembrava un po’ più giovane, sui 22 o 23 anni. Ancora troppo vecchio per Dilys, però. Si domandava se anche lui l’avrebbe pensata così, quando l’avesse vista senza il trucco con cui si era impiastricciata il viso per il ballo.

Con la coda dell’occhio scorse Bill girare l’angolo a piedi. Mentre andava ad abbracciarlo, si accorse che Dilys si era girata e li guardava con evidente curiosità.

«Adesso puoi rimetterti gli occhi nelle orbite» disse alla sorella dopo aver dato un lungo e lento bacio a Bill. Non le aveva mentito riguardo a lui, le aveva semplicemente lasciato trarre le sue conclusioni su chi le avesse regalato le calze di nylon. Dopo quell’iniziale frecciata, Dilys non aveva più accennato a Eddie, anzi sembrava felice che la sorella avesse ripreso a uscire. Ora, vedendo il viso sconcertato di lei, Eva ebbe una strana sensazione, la stessa che aveva provato davanti alla Civic Hall, quando delle persone si erano girate a guardare Bill che l’abbracciava sui gradini. Era come non mettersi la biancheria intima sotto il vestito in una giornata calda: piuttosto audace ma del tutto liberatorio.

Sorrise quando Dilys si girò, a bocca aperta, a guardare Anton. Questi non parve notare la reazione della sua compagna. Fece un passo avanti e tese la mano a Bill.

«Congratulazioni» disse in un inglese leggermente accentato.

«Per cosa?» Bill, che svettava sull’olandese biondo, abbassò lo sguardo su di lui con un sorriso confuso.

«La Sicilia» replicò Anton. «Senza la vostra gente gli Alleati non l’avrebbero mai presa.»

«Credo di no» disse Bill. «Purtroppo io non ci ho avuto niente a che fare.»

Eva lo vide rabbuiarsi e si domandò a cosa stesse pensando. «Vieni» disse dirottandolo verso il cancello di una fattoria. «Andiamo a farci una passeggiata.»

Camminarono sotto il sole in un campo di grano alto fino alla vita.

«Quando ti avrò tutta per me?» mormorò Bill sfiorandole l’orecchio con le labbra.

«Non so» rispose lei sottovoce. «Credi che possiamo fidarci di loro?»

«Ne dubito.» Bill sorrise. «Ma ho un’idea. Chiama qui tua sorella.»

Mentre la ragazza li raggiungeva, Bill tirò fuori dalla sacca una bottiglia di Coca-Cola.

«Dilys» disse passandole la bottiglia, «certo è un bel nome. Da dove viene?»

«È… ehm… gallese.» Dilys guardò l’etichetta a lei non familiare, poi Eva con un sorriso inquieto. «Da parte di mia madre vengono dal Galles. Laggiù abbiamo una zia, uno zio e un cugino. Una volta andavamo in vacanza nella loro fattoria, vero, Eva?»

Lei annuì, domandandosi cos’avesse in mente Bill.

«Ah sì?» Bill rivolse un sorriso disarmante a Dilys. «Allora, assaggia un po’ questa. Vedi cosa ne pensi. Non preoccuparti, non è alcolica. Adesso ascolta, vorrei scambiare una parolina con il tuo fidanzato.»

Bill si allontanò di qualche metro sul sentiero assieme ad Anton, ed Eva lo vide tirar fuori dalla sacca qualcos’altro. Luccicava al sole, ma non riuscì a distinguere cosa fosse. Dopo una breve conversazione i due tornarono e Anton prese per il braccio Dilys.

«Andiamo a vedere cosa cè laggiù» disse, indicando un ruscello che si snodava lungo i confini del campo.

«Cosa gli hai detto?» sibilò Eva mentre i due s’incamminavano.

«Gli ho fatto vedere questo» rispose Bill tirando fuori un binocolo dalla sacca. «Gli ho detto che poteva portarla fino al ruscello, ma che ogni cinque minuti tu avresti dato una sbirciatina a cosa stavano facendo.» Ridacchiò nel passarglielo. «Se questo non lo smonta, allora…»

«Mio Dio, quanto sei intelligente…» Lo prese per il bavero della giacca e lo tirò a sé. «Sei riuscito perfino a conquistare Dilys… Era così occupata a bere quella roba che non ha detto una parola. Cos’era?»

«Qui non l’avete?» mormorò lui mordicchiandole l’orecchio. «Cavolo, è un gran peccato.»

Partendo dalla testa, Bill le accarezzò le spalle e poi la schiena. Eva sentiva il calore delle sue mani attraverso l’abito sottile, mentre con le dita scendeva sinuoso lungo la sua spina dorsale. Poi s’inginocchiò a terra e le baciò le caviglie nude, i polpacci, le ginocchia. Lei sentì cedere le gambe e un attimo dopo era sdraiata accanto a lui in una distesa di pallidi steli di grano.

Si ritrovò le dita di Bill sui bottoni dell’abito; lui glielo slacciò mentre con la bocca si muoveva sul collo di lei. Sentì il suo fiato sulla pelle quando lui si fermò e, abbassando lo sguardo, vide che le contemplava i seni sopra il bordo di pizzo del reggiseno. Aveva uno sguardo strano, come quello di un bambino che vede la neve per la prima volta.

«Va tutto bene?» le chiese poi sottovoce, scendendo con le mani sui ganci del reggiseno.

Eva non sapeva se la domanda fosse rivolta a lei o a se stesso. Gli accarezzò la testa e avvampò quando con la lingua lui le saettò fra i seni. Il cuore di lei batteva forte, così forte che era sicura lui potesse sentirlo. Ormai aveva l’abito calato oltre la vita. Mentre la lingua di lui guizzava sul suo ventre, Bill si sollevò e si mise sopra di lei.

«Bill, io…» balbettò Eva.

Lui si immobilizzò per un secondo e rotolò via. «Non vuoi» disse, guardando il cielo e stringendo le labbra.

«È solo che…»

«Lo so» la interruppe con voce bassa e roca. «È perché sono nero.»

«No, non è questo!» Eva chiuse gli occhi e prese un respiro, tirandosi poi su il vestito per coprirsi.

Oddio, pensò, cosa devo fare? Lo desiderava così tanto che le parti del corpo che lui le aveva toccato con le labbra le dolevano. Avrebbe dovuto permettergli di fare l’amore con lei? Sarebbe stata una cosa tanto perversa? Ancor più perversa di lasciargli pensare che lo disprezzasse? Dopo un lungo silenzio che parve durare un’eternità, si alzò su un gomito e gli mise la mano alla base del collo.

«Non sei tu» mormorò tirandolo più vicino a sé. «Sono solo preoccupata che Dilys e Anton ci scoprano.» Non era del tutto una bugia.

«Tutto qui?» Bill prese il binocolo ed Eva vide la bocca di lui allargarsi in un sorriso. «Allora» le disse, «al momento non credo si preoccupino troppo di cosa stiamo facendo…»

Eva gli strappò quasi il binocolo di mano. «Non staranno mica…!»

«Non preoccuparti, stanno solo pomiciando.»

Sollevata, tornò a sdraiarsi a terra. Chiuse gli occhi, non udiva altro che il delicato e distante richiamo delle allodole. Il profumo di terra e di grano maturo si confondeva con la fragranza di lui. C’è solo questo… Le parole riecheggiarono nella sua mente. Senza aprire gli occhi, si lasciò cadere il vestito dai seni. Si slacciò il resto dei bottoni. L’abito scivolò a terra mentre Eva si allungava per spogliare anche lui. Lo svestì del tutto, muovendo le mani con lentezza e cautela.

Per un attimo rimasero sdraiati immobili, meravigliati dell’inusualità dei loro corpi avvinghiati.

«Sei sicura?» le domandò lui in un sussurro.

«Sì» rispose lei facendo tacere le voci che l’assillavano interiormente e percorrendo con le dita il liscio declivio del petto di Bill. «Sono sicura.»

Lui le prese i seni fra le mani e li baciò prima di scendere sul resto del corpo. Eva non aveva mai conosciuto baci come quelli. Il suo fiato e il guizzare della sua lingua la fecero rabbrividire e gridare di piacere. Sentì la mano di lui sfiorarle la gamba mentre si allungava verso la giacca abbandonata a terra, quindi udì il fruscio del cellophane. Poi, in un movimento rapido, Bill le fu sopra e dentro.

Eva si aggrappò a lui, dimentica dei ruvidi steli di grano che le graffiavano la schiena nuda mentre si dimenava. Aveva gli occhi serrati con forza, ma quando raggiunse l’orgasmo le sbocciò in testa un arcobaleno di colori. Lo udì gemere di piacere, lo sentì sussultare e poi appoggiarsi sui suoi seni, la pelle umida come la sua.

Quando riaprì gli occhi non c’era altro che il cielo, terso e cilestrino, che si estendeva sconfinato sopra di loro. Aveva la sensazione che lui le avesse rivoltato il corpo, trovato l’anima e l’avesse liberata.