IL GUSTO DEI SENSI
Nel suo Carnet, Marcel Proust rivela inaspettatamente il segreto culinario della sua opera: “Mi lasciavo andare con delizia al gusto che avevo per le frasi, come un cuoco che, per una volta che non deve cucinare, trova infine il tempo di essere goloso”.
Il gusto delle frasi, il gusto delle parole, il gusto della lingua: ecco che cosa ci propone la lettura della Ricerca. Ma non solo. Attraverso la rivelazione della sfera sensoriale dei personaggi, noi lettori scopriamo i nostri sensi: il gusto certamente, il tatto, l’olfatto, la vista e infine la sensualità che, in fondo, li unisce tutti.
La Ricerca è un grande affresco di un’epoca, di una società e di una cultura, quella della Francia della Belle Epoque, che ha saputo proporsi come il centro della sensualità del mondo e come l’anima più intellettuale dell’Occidente, ormai preso dall’evoluzione provocata dall’industrializzazione.
Quanto si mangia e quanto si beve nella Recherche ! Che fatica per il gourmet curioso!
Tra una ricetta e l’altra Marcel Proust ci racconta l’arte del sapere vivere della grande borghesia e dell’aristocrazia di quella società. Era un’epoca molto diversa dalla nostra: la giornata veniva scandita dai pasti che avevano un ruolo importantissimo nella buona educazione delle classi superiori.
Ricordo che ancora nella mia infanzia era assolutamente proibito ricevere o fare telefonate durante le ore dei pasti. Figuriamoci nella Parigi di fine ottocento!
Del resto c’è ancora chi oggi dice “Ci vediamo a cena” oppure “Ci sentiamo dopo pranzo” (o piuttosto come lo chiamano i supposti blasé, gli snob Verdurin di oggi: “colazione”).
Proviamo a riassumere succintamente il romanzo. Ammettiamolo, si tratta di un’ardua impresa.
I sette tomi che compongono Alla ricerca del tempo perduto si aprono con La strada di Swann (1913), in cui il Narratore, mosso da un ricordo casuale nato da un’associazione (ricordate la piccola Madeleine dell’Introduzione?), ci riporta nella propria infanzia a Combray dominata dalle femminili e rassicuranti figure della madre, della zia Léonie e soprattutto dell’energica cuoca di famiglia, Françoise. Passeggiando nei dintorni di Combray egli si spinge verso Méséglise dove abitano Swann e la figlia Gilberte e il musicista Vinteuil. In direzione opposta c’è la strada dei Guermantes che sono gli aristocratici protagonisti delle grandiose serate organizzate nel loro palazzo di Parigi. Nella seconda parte del libro veniamo informati dell’amore di Swann per la démi-mondaine Odette de Crécy, che poi sposerà e che sarà la causa dell’ostracismo nei suoi confronti da parte dell’alta società. Conosciamo così gli amici di Odette, i coniugi Verdurin e la loro piccola cerchia, che sono degli arricchiti dalle ambizioni intellettuali. La terza parte ci riporta a Parigi e all’amore adolescenziale del Narratore per Gilberte e per le sue favolose merende.
Il secondo volume, All’ombra delle fanciulle in fiore (1919), presenta il Narratore, giovane scrittore in erba, che fa i primi passi in società: conosce lo scrittore Bergotte e la grande attrice Berma, frequenta la spiaggia alla moda di Balbec dove fa amicizia con Robert de Saint-Loup, nipote dei Guermantes e del barone Charlus e si innamora di una delle fanciulle in fiore, Albertine.
Ne I Guermantes (1921), il Narratore va ad abitare con i suoi in un appartamento del palazzo parigino dei Guermantes e attraverso Robert de Saint-Loup, che presta il servizio militare a Doncières, avvicina la zia, la duchessa di Guermantes. Conosce l’amante di Robert, l’attrice Rachel e frequenta il salotto di Madame de Villeparisis; perde la sua amatissima nonna e scopre che il barone de Charlus è omosessuale. È in Sodoma e Gomorra (1922) che ritroviamo Swann morente di un male inguaribile e ci confrontiamo con due storie di amori impossibili: quella del Narratore per Albertine e quella di Charlus per il violinista Morel. Balbec e la villa in campagna dei Verdurin fanno sfondo a queste vicende. I sospetti di un amore saffico tra Albertine e la figlia del compositore Vinteuil spingono il Narratore a riportare immediatamente l’amata a Parigi. Ne La prigioniera (1923) e La fuggitiva (1925) il Narratore tiene quasi reclusa nel suo appartamento parigino Albertine e la tormenta con la propria gelosia morbosa. Egli osserva il declino di Charlus tradito da Morel e la morte di Bergotte, infine soffre per la fuga e la successiva morte di Albertine. Ritroverà l’amore per Gilberte che però sposa Saint-Loup il quale, si scopre, è omosessuale come lo zio Charlus.
Nell’ultimo libro, Il tempo ritrovato (1928), il Narratore consola Gilberte che soffre per le infedeltà di Saint-Loup e in una Parigi bombardata per la guerra in corso, ritrova Charlus in un postribolo clandestino. Muore Saint-Loup e Madame Verdurin, ormai vedova, sposa il duca di Guermantes.
A guerra finita, il Narratore incontra a un ricevimento della principessa di Guermantes i vecchi protagonisti della Belle Epoque trasformati e segnati dal tempo e decide di scrivere l’opera che ha in mente sin dalla giovinezza.
Chissà se questo riassunto avrebbe accontentato la lettrice americana che scrisse a Proust: “Non ne capisco nulla ma assolutamente nulla. Caro Marcel Proust, non fate lo snob, scendete per una volta dal vostro empireo. Scrivetemi in due righe ciò che avete voluto dire”.
È difficile riassumere la trama di un’opera di cui Robert, fratello di Marcel, diceva: “Sfortuna vuole che si debba essere molto malati o rompersi una gamba per avere il tempo di leggere la Ricerca” o che l’autore stesso definiva come un torrone indigesto.
Un editore rifiutò di pubblicare La strada di Swann poiché non poteva “comprendere come un gentiluomo possa impiegare trenta pagine a descrivere come si giri e si rigiri nel proprio letto prima di trovare sonno”.
Ma quest’opera non è solo trama e non è solamente una composizione di più di 1.250.000 parole, essa è sia la storia di un’epoca che di una coscienza e cioè frutto di osservazione e di introspezione.
Non per niente uno dei primi critici della Ricerca fu un amico dell’autore, Jacques Rivière, psicoanalista freudiano, che voglio citare a questo punto: “Non ci mancano i libri di rievocazione, i libri di ricordi. Quanti sono coloro che hanno raccontato la propria infanzia, si sono adoperati per commuoverci col racconto delle loro emozioni passate, o con minute descrizioni dell’ambiente in cui sono cresciuti! Vi accorgerete però che Proust ci dà non solo qualcosa di ben maggiore perfezione sotto questo profilo, di ben maggiore compiutezza, ma nello stesso tempo qualcosa pure di altra natura. (…) Il libro di Proust riesce ad appagare il nostro intelletto come tutte le altre nostre facoltà”.4
A ciò si aggiunga che l’opera è il risultato di una grande ispirazione poetica e di un profondo senso dell’osservazione. Si potrebbe dire che la Ricerca sia un trattato di critica sociale senza però essere un romanzo a chiave come teneva a precisare l’autore stesso. Ciò non impedì che molti si sentissero offesi nel riconoscersi (o piuttosto nel volersi riconoscere) in alcuni personaggi, come accadde al grande dandy Robert de Montesquiou che pensò di avere ispirato Charlus.
La Ricerca potrebbe altresì essere definita un saggio di critica d’arte musicale o pittorica. Proust era molto interessato all’arte degli impressionisti e certamente la descrizione delle opere del suo Elstir è degna di un intenditore di quella particolare tecnica. È curioso come anche la cucina e il cibo rientrino nel romanzo per la finestra della pittura: numerose sono, infatti, le descrizioni di situazioni, in particolare di cucine, che sono vere e proprie pitture di autori fiamminghi come Bosch o francesi come Chardin.
Come un pittore impressionista, Proust sa che ogni carattere, ogni particolare, ogni personaggio ha una propria luce e che è solo per mezzo di questa illuminazione che esso si rivela.
L’illuminazione è quel bagliore che rinfresca la memoria del Narratore. Può essere una musica, come la tanto citata “petite phrase” dalla sonata di Vinteuil, oppure un sapore come la nostra madeleine.
La sonata, per esempio, viene più volte descritta, con tale dovizia di particolari e precisione che molti hanno creduto di individuarne il modello in sonate celebri ora di Fauré, ora di Franck, ora di Saint-Saëns. Questa precisione è la stessa utilizzata nella descrizione dei quadri di Elstir, dei tic nervosi di Bloch o del Direttore del Grand Hotel di Balbec, delle pose snob dei Verdurin e delle ricette di Françoise. La memoria, resuscitata di continuo, costruisce il monumento del passato, la cattedrale o la sinfonia, cui i critici hanno spesso paragonato il romanzo.
Lo stile di Marcel Proust non è certamente lineare né facile. Molti l’hanno definito uno stile prismatico in cui profondità dell’anima e aspetti mondani vengono esposti non in successione ma simultaneamente.
A dirla così sembra che la Ricerca sia una lettura da iniziati o da intellettuali con una punta di gusto per le situazioni piccanti e per lo snobismo. Si tratta, invece, di una lettura che richiede attenzione e partecipazione ma che restituisce piaceri a tutti i nostri sensi proprio come un menù ben scelto di un ristorante che si rivela una piacevole scoperta.
4 Jacques Rivière, Proust e Freud, Pratiche Editrice, 1985. Traduzione italiana di Antonio Martinelli.