Capitolo sette
«Non dici sul serio».
Sam ridacchiò, lo sguardo fisso sulla strada. Era proprio affascinante con indosso jeans, maglietta grigia e giacca di pelle nera. Per quanto, a essere sinceri, poteva vestirsi come voleva: era comunque sexy. Avevo tentato di resistere, ma alla fine mi ero dovuta arrendere e avevo capito che ormai ci legava una folle dipendenza reciproca. L’effetto che Sam aveva su di me, purtroppo, era come quello di un’onda che ti travolge e poi monta inesorabile, soprattutto negli ultimi giorni in cui avevamo dormito insieme. (Nella dépendance vicino alla piscina, non in camera mia. Gibby adora venire la mattina presto a svegliarmi ma è così piccolo e innocente e non è il caso che sorprenda la zia nel lettone in compagnia di Sam e decisamente poco vestiti). Si potrebbe pensare che scopare come conigli abbia calmato un po’ i bollenti spiriti, saziato la fame che ci torturava, per così dire. E invece no. Il desiderio che provo per Sam è una specie di fremito costante sottopelle, un calore che mi infiamma tutto il corpo se solo penso a lui o sento pronunciare il suo nome. Peggio di una canzone d’amore sdolcinata. Insomma, un vero guaio. Eppure…
«Lizzy, no», dissi voltandomi indietro dal sedile del passeggero, e le lanciai un’occhiataccia.
«Martha, sì». Si spostò i capelli dietro le spalle e controllò il trucco nel portacipria. Poi posò il braccio sul seggiolino per bambini vuoto accanto a lei. «Ormai è deciso. Voglio dire, te l’avevo detto che saremmo uscite a bere qualcosa. Non è quel che avevo detto, Sam?»
«In effetti è proprio quel che aveva detto, signora Nicholson», rispose lui diligentemente.
Restai senza parole. «Non osare prendere le sue parti».
«Scusami, amore».
«Voi due siete così adorabili insieme». Liz sorrise. «L’ho già detto? Perché lo siete davvero, assolutamente adorabili».
«Chiudi il becco», mugugnai.
La donna sul sedile posteriore sospirò soddisfatta. «Comunque… dov’ero rimasta? Ah, sì: adesso è troppo tardi per ripensarci. Ho detto loro che saresti venuta anche tu. Vuoi che sembri che le temi o cose del genere? Martha la megera che ha paura di bere un drink con le mogli dei ragazzi della band».
«Tu, piccola…».
L’uomo della sicurezza ridacchiò, divertito. Finché, con la coda dell’occhio, non colse lo sguardo torvo che gli indirizzavo. «Scusami. Non sono riuscito a trattenermi».
«Ho l’impressione, Sam, che nella vostra relazione tu passi un mucchio di tempo a scusarti», disse Lizzy. «Non è che a un certo punto questo ti creerà qualche problema?».
Lui s’inumidì le splendide labbra. «Me ne sono fatto una ragione, signora Nicholson. D’altronde in ogni relazione ci sono dei compromessi».
«Giusto».
«Vi odio, tutt’e due». Fissavo fuori dal finestrino le luci del centro di Portland che ci correvano accanto. Furibonda ma rassegnata. Soprattutto furibonda. Rassegnata era solo un contorno, dal sapore piuttosto amaro, cavolo.
«Tutti questi sentimenti negativi». Liz schioccò la lingua con disapprovazione. «Non ti fanno bene, Martha».
«Quel che non mi fa bene è che mi si menta e mi si manipoli. Tu sai fin troppo bene che l’ultima cosa che avrei voluto era andare a bere qualcosa là».
«Ecco perché penso sia arrivato il momento che tu… come dire… guarisca». Annuì con aria molto saggia. «Tira fuori le cose brutte del passato e affrontale. Penso che dopo stasera ti sentirai molto meglio. Non credi anche tu, Sam?».
Reagì facendo una strana smorfia. «Preferirei non esprimere la mia opinione sull’argomento, se non le dispiace».
«Ma certo».
In quel momento sarebbe stato bello parlare più di una lingua. Perché imprecare in inglese non era sufficiente. Mia cognata meritava una bella lezione: esser presa a parolacce in almeno tre o quattro idiomi differenti.
Il SUV di lusso si fermò accanto al marciapiede e Sam rimase un momento a osservare il flusso dei passanti e delle auto in strada. Di sera, come di giorno, il Pearl District era un quartiere molto frequentato per tutti i bar e i negozi che vi si trovavano.
«Eccoci arrivati», disse Sam, calmo e rilassato, come suo solito. «Vi apro gli sportelli».
Ma io avevo già provveduto e Liz fece altrettanto. «Facciamo noi, Sam. Tranquillo».
Quando ci ritrovammo tutti e tre sul marciapiede, notai che Sam era pensieroso e una ruga tra le sopracciglia gli solcava la fronte. Si diresse subito verso il portone d’ingresso del palazzo e ce lo aprì inserendo il codice di sicurezza. Questo sembrò renderlo più felice.
«Sei molto bella stasera», mi disse a bassa voce quando gli passai accanto. «L’abito è… be’, diciamo che concentrarmi sul lavoro sarà un tantino più difficile del solito».
Sorrisi. «Ti ringrazio. Anche tu sei decisamente affascinante».
Raggiungemmo gli ascensori in silenzio. Il palazzo era bello, molto elegante ed esclusivo con la facciata art déco e un atrio in marmo bianco, ed era dotato senza dubbio di un sistema di sicurezza eccezionale, com’era da aspettarsi visto che David e Mal vivevano lì. In ascensore Sam fece scivolare la mano nella mia e mi strinse leggermente le dita sudaticce. Ebbene sì, ero nervosa. Chi non lo sarebbe stato? Cercai di sorridere, ma fallii miseramente. Quella serata sarebbe potuta entrare di diritto nella classifica delle dieci situazioni più tremende della mia vita, quindi gli fui grata di non avermi detto che tutto sarebbe andato bene.
«Sei già stata a casa di David e Ev?», mi chiese Liz.
Spalancai la bocca. «È uno scherzo. Vuoi dire che oltretutto non stiamo neppure andando a casa di tua sorella?»
«Oh, smettila di preoccuparti, okay?».
Sam aggrottò la fronte, preoccupato, lo sguardo che correva da me a lei.
«Nessun problema», mi sforzai di dire a denti stretti. «Sono sicura che andrà tutto bene».
Nemmeno il suo sorriso fu particolarmente convincente. «Brava la mia ragazza».
Il corridoio terminava con una porta su entrambi i lati. Mentre camminavo incontro al mio destino, sentii il panico prendermi la bocca dello stomaco. No. Sarebbe andato tutto bene. Niente paura né altre cose simili.
Ev venne ad aprire con un sorriso raggiante sulle labbra, biondi capelli che insieme a un bel paio di tette dondolavano da una parte all’altra. Cristo, la ragazza era decisamente esuberante, in tutti i sensi. David era passato proprio dalla notte al giorno in fatto di donne quando aveva scelto lei al posto mio. Certo, ci eravamo già lasciati da anni e bla, bla, bla. Ma lui era stato il mio primo ragazzo. Il mio primo in tutto. Mi sentivo autorizzata a dire la mia.
«Liz, Sam, Martha», disse, il sorriso solo leggermente forzato arrivata all’ultimo nome. «Benvenuti. Entrate. Lena e Anne sono già qui».
Sam la salutò con un cenno del capo. «Signora Ferris».
Il pavimento era in parquet nero lucido mentre le pareti bianche immacolate. Un contrasto interessante. Il tavolo da pranzo di legno scuro e l’enorme divano bianco in pelle con sopra cuscini color verde oliva. Carino. Sul tavolino da caffè, birra estera e un paio di bottiglie di vino dentro ai cestelli del ghiaccio.
«Servitevi pure», disse Ev, accomodandosi di peso sul divano. «Per una volta, Sam, non ti vai a nascondere in cucina, eh? Molto coraggioso da parte tua».
«Non hai paura di rimanere intossicato da tutti questi ormoni femminili in circolazione?», chiese Lena, la moglie di Jimmy. Capelli neri, occhiali, bella donna. Anche se, a essere oneste, erano tutte belle. Indossava una maglietta rosso acceso, jeans neri attillati e un paio di stivaletti alla caviglia di Louboutin tempestati di pietre, per i quali avrei anche potuto uccidere.
«Sono pronto a correre il rischio, se la mia presenza non vi dà noia». Sam sorrise e si piazzò in un angolo della sala a fare il suo dovere. Molto probabilmente perché era preoccupato che io mettessi in funzione la mia lingua tagliente e parlassi a sproposito. O magari perché era solo preoccupato per me in generale.
«Per noi va benissimo, l’importante è che tu non racconti niente ai nostri uomini».
Sam ridacchiò. «Non temete».
«Li sopporta a malapena», disse Ev. «Siamo noi le sue preferite. Vero, Sam?»
«Lei riesce a leggere oltre la mia impenetrabile facciata, signora Ferris».
«Bentornata in città, Martha». Anne si sedette con una bottiglietta d’acqua in mano. Ci eravamo incontrate una o due volte soltanto, ma la sorella di Lizzy, nonché moglie di Mal, sembrava l’esatto opposto del marito: lui aveva la lingua lunga e una personalità fin troppo invadente, lei era tranquilla, silenziosa, gentile, premurosa, un po’ secchiona, cose così. Quindi del tutto diversa anche dalla sorella che invece aveva in sé una punta di perfidia.
«Grazie», annuii rigida, arroccata a un’estremità del divano. «È bello essere di nuovo a casa».
«Ho sentito che Gibby è al settimo cielo».
«Dio, è proprio vero», disse Lizzy, porgendomi un calice di vino e, muovendo solo le labbra, mi incoraggiò con un “rilassati”.
Le lanciai un’occhiataccia. «Al momento la zia Martha è addirittura più gettonata dei Super Cucciolotti».
«Ti prego non tirare in ballo quei dannati cagnolini», sospirò Lena. «Le gemelle vogliono vedere quel cartone animato tutto il giorno. Stiamo impazzendo».
«Vi canto la meravigliosa canzoncina degli amici dei Super Cucciolotti?». Lizzy aprì la bocca decisa a compiere la sua minaccia.
«Dipende. È il tuo modo per implorare il dolce sollievo della morte?»
«Te la tengo ferma io», mi offrii.
«Ci sto». Lena si allungò sul divano e brindò con la bottiglietta di birra contro il mio calice. «Non farlo, Liz. Hai davanti una madre e una tata sull’orlo di una crisi di nervi per colpa di quegli adorabili eroi a quattro zampe».
Liz sorrise. «Sì, anch’io li detesto».
«Sono davvero così tremendi?», chiese Anne arricciando il naso.
«Aspetta e vedrai. I bambini hanno più fissazioni dei serial killer».
Anne sgranò gli occhi.
«Ti ricordi quando non riuscivamo a trovare il signor Elefante e Gib si è rifiutato di dormire per due giorni?». Liz scosse la testa. «Sento ancora nel cervello il suo pianto accorato e le urla così acute da riuscire a spaccare anche un bicchiere».
«I bambini sono imbattibili», disse Lena.
«Finché non abbiamo figli non sappiamo neppure immaginare di quanto amore siamo capaci».
«Perché Dio solo sa quanto i bambini ci mettano seriamente alla prova».
Liz e Lena sollevarono i loro drink e brindarono. Dopo aver passato parecchio tempo a badare a un marmocchio, ormai capivo bene a cosa si riferissero, ed ero solidale con loro. Intanto, però, continuavo a tenere d’occhio Evelyn, che si stava godendo la sua birra. Buon Dio, mi sentivo così in imbarazzo. Se volevano che mi rilassassi, avrei dovuto prendere una cannuccia, infilarla in una delle bottiglie di vino e iniziare a bere. Risultato garantito. Lizzy mi aveva fatto proprio un bello scherzetto e per questo motivo a Natale non avrebbe ricevuto nemmeno il carbone. Forse dei broccoli. Oppure no, le avrei regalato un abito vergognosamente orrendo per il quale avrei finto grande entusiasmo e avrei insistito perché lo indossasse in un’occasione pubblica. Mica male come idea.
«Allora», disse Ev. «A chi tagliamo e cuciamo un bel cappottino?».
Anne sorrise. «Sì! Forza ragazze, via coi pettegolezzi».
«Martha ha qualcosa da dire». Un guizzo leggermente malizioso e soddisfatto illuminò lo sguardo di Lizzy. «È stata parecchio impegnata di recente».
«Confermo che faresti meglio a pensare al tuo ultimo desiderio», dissi, lanciando un’occhiata significativa a Sam. Il quale fissava beato il nulla, evidentemente incurante della conversazione che si stava svolgendo sotto i suoi occhi. Buon Dio. E io che mi ero sentita al sicuro sapendo che lui mi sarebbe stato vicino, accidenti!
«Lascia stare Sam e Martha», la rimproverò Ev. «Lo sai, quando inizia una storia… è un momento speciale. Probabilmente vogliono tenere la cosa per sé».
Lizzy sollevò gli occhi al soffitto in modo teatrale. «Ma per piacere! Appena tu e David vi siete messi insieme hai telefonato a Lauren, la tua migliore amica, per raccontarle tutti i particolari più succulenti. Me l’ha detto lei».
«Oh, non ho fatto niente del genere».
«Bugiarda. Dai, Martha, sputa il rospo».
Ev scosse la testa. «Liz, deve sentirsi già abbastanza a disagio a essere qui».
Calò il silenzio. Denso, pesante, imbarazzante da morire. Sentivo le loro occhiate curiose su di me, quegli spiacevoli sguardi di traverso. Le donne sanno metterti a disagio tanto quanto quei bastardi degli uomini. Per avermi messa in una situazione simile, l’abito di Lizzy sarebbe stato il più orrendo mai apparso sulla faccia della terra.
«Allora, risolviamo la questione una volta per tutte perché non mi capita spesso di uscire e non posso permettere che un’atmosfera pesante mi rovini la festa». Lena si tirò su a sedere, prese il coltello dal vassoio dei formaggi e lo batté contro il suo bicchiere. «Dopo tanto tempo questa è la prima serata di svago che mi concedo, in cui non devo pensare a insegnare alle gemelle a usare il vasino, né devo andare in giro per casa a raccogliere giocattoli, e direi che Martha e Liz sono nella mia stessa situazione».
«Passare del tempo con persone adulte è importante», concordò Liz. «Anche se io sono felice di essere tornata all’università».
«Sì, non vedo l’ora che ci racconti tutto», disse Ev, piena di entusiasmo. «Ti giuro, il cervello mi si blocca in modalità barista se non apro abbastanza spesso un libro».
«Come va la seconda caffetteria che hai comprato?»
«Molto bene», sorrise Ev raggiante. «Ma prima di tutto dobbiamo risolvere l’altra questione. Hai ragione, Lena».
“Oh, no”.
Ev fece un bel respiro profondo poi mi guardò dritta negli occhi. «Martha, il passato è passato e gradirei sul serio che finisse nel dimenticatoio, non so se mi spiego. La vita è troppo breve. Io voto per lasciarsi tutto alle spalle, okay?».
Rimasi sbigottita. «Ehm. Okay?»
«Magnifico». Annuì. «Prossimo argomento?»
«Così facile?», chiesi per essere sicura.
Fece spallucce. «Perché dovrebbe essere difficile? Io e David siamo felici. A quanto pare tu hai iniziato un nuovo capitolo della tua vita insieme a Sam. Non penso tu abbia in mente qualche piano scellerato per metterti in mezzo e rovinare la mia storia con David, giusto?»
«No», risposi in tutta sincerità. «Niente più casini».
«Perfetto. Fase superata. Quello è stato molti anni fa».
Guardai Sam che annuì incoraggiante.
«Magnifico».
«Non vuoi che ti chieda scusa?», chiesi sollevando un po’ la testa.
«Non so». Increspò le labbra. «Lo faresti di cuore?».
La domanda richiedeva una seria riflessione. Non provavo odio per quella donna. Semmai accompagnava certi ricordi un persistente senso di imbarazzo. Anni prima, poco dopo che Ev e Dave si erano sposati, avevo cercato di farli lasciare. Lui era stato il mio ragazzo per tanti anni, prima che si conoscessero. Ma quella non poteva essere una giustificazione. Avevo commesso un atto davvero ignobile. Eppure adesso lei mi aveva accolto addirittura in casa sua.
Ho seri dubbi che mi sarei comportata in modo altrettanto amichevole se fossi stata al suo posto.
«All’epoca non eravamo amiche e non ti dovevo nulla», dissi, scegliendo le parole con cura. «Ma mi dispiace davvero di aver cercato di distruggere la tua felicità e quella di David, per quel che vale dirtelo adesso».
«Okay. Può starmi bene».
«Evvai», disse Liz a bassa voce.
Ma per me non era ancora finita. Avevo l’opportunità di liberarmi completamente di quel peso. Avvertii che Sam, immobile nel suo angolo, si era irrigidito e mi scrutava con attenzione. Sapevo che non mi sarei prostrata nemmeno per farlo felice, però sarebbe stato stupido non ingoiare almeno un po’ d’orgoglio riconoscendo gli errori commessi in passato. Ero tornata in cerca della mia famiglia, spinta da un qualche senso di appartenenza. Forse anche quel passo era importante per completare il viaggio.
Decisione presa. «No, senti… ho fatto davvero una cosa ignobile. Dubito fortemente che potremo mai diventare migliori amiche o cose simili. Però ho davvero esagerato, mi sono intromessa nella vostra vita e me ne dispiace molto».
Ev restò un attimo in silenzio, sorpresa. «Grazie, Martha. Ti perdono».
“Fatto”. Bevvi un sorso di vino.
«Che bello». Lena fece finta di asciugarsi una lacrima in modo piuttosto teatrale. «Sembrate due innamorati che si mettono insieme dopo tante peripezie, dovrebbero esserci violini che suonano o cose del genere. Magari petali di rosa che scendono dal soffitto».
Ev le lanciò un cuscino e il vino si rovesciò oltre il bordo del bicchiere di Lena. Non riuscii a trattenere un sorriso. Era stato un bel colpo. Davanti a me colsi l’espressione soddisfatta di Lizzy e dovetti riconoscere che forse era giusto che si prendesse lei il merito della riconciliazione. Per questo non le lanciai nulla. Forse non le avrei neppure regalato un guardaroba simile a sterco di vacca per Natale. Forse. Dopotutto avere amiche che fossero più di semplici conoscenze occasionali poteva non essere poi così male.
«Quindi adesso voi due siete amiche?», chiese Anne, con un’aria leggermente stupefatta.
«Certo», disse Ev. «Perché no? E ora, nuovo argomento. Direi di parlare del motivo per cui Anne beve solo acqua».
«Oooh», ridacchiò Lena. «Questa me l’ero persa. Oh mio Dio».
«Forse è meglio che ora vada ad aspettare in cucina», disse Sam, ritirandosi con discrezione. Prima però mi rivolse uno sguardo carico d’orgoglio. Finalmente rilassata, mi appoggiai allo schienale del divano e lo seguii con un sorriso mentre usciva dal soggiorno.