Capitolo cinque
Per fargli capire che non ero da meno e accettavo la sfida, feci scivolare una mano sul davanti del suo costume da bagno e gli afferrai l’uccello. Mi colpì il calore che emanava l’asta d’acciaio, così grossa che feci fatica a stringerla nel palmo della mano. I suoi occhi socchiusi erano rimasti incollati al mio viso nel disperato tentativo di intuire quali fossero le mie intenzioni. Ma ero io a condurre il gioco. Non lui. E per mettere ancora di più le cose in chiaro, mi spostai di lato le mutandine del bikini e mi abbassai su di lui.
«M-Martha», balbettò, conficcandomi le dita nei fianchi con tale forza da lasciarmi di sicuro il segno. Chiuse gli occhi. «Cazzo».
Era davvero notevole. Più grosso di come mi sarei aspettata. Bisognava ruotare ancora un po’ il bacino. Ansimai e mi afferrai forte al suo collo, la guancia premuta contro la sua. Piano piano lo accolsi tutto dentro di me. Adesso, però, era necessario che le pareti della vagina si adattassero a tutto quel ben di Dio. Santo cielo. «Dammi solo un minuto».
«Darti un minuto?». Tolse le mani dai miei fianchi e mi abbracciò forte. «Mi hai appena fatto venire un infarto».
«Cosa? Perché?»
«Non ti è passato per la mente di avvertirmi?»
«Averti afferrato l’uccello non è stato un segnale sufficiente per farti capire che stava per succedere qualcosa?».
La risata gli scaturì dalle profondità del petto, spietatamente bassa e selvaggia. Intanto, per farmi rilassare, Sam continuava ad accarezzarmi la schiena con movimenti decisi e sicuri. Forse con un pizzico di possessività… non so. Al momento ero presa da questioni più urgenti. Tipo capire come restare viva col suo eccezionale armamentario dentro di me. «Immagino che avrei dovuto chiederti di usare qualche precauzione eccetera».
«Sarebbe stato saggio». Un’altra risata. «Sono sano. Faccio periodicamente le analisi».
«Sì, anch’io, in modo regolare. Le faccio sempre, te lo giuro».
«Lo so. Altrimenti avremmo avuto una lunga discussione sull’argomento prima di permetterti di afferrarmi l’uccello».
«E allora di cosa cavolo ti lamentavi un attimo fa?». Posai il mento sulla sua spalla e mi misi comoda. Il suo corpo, pur così massiccio, era anche terribilmente confortevole. «Sul serio, Sam. Mi confondi».
«A quasi tutte le donne piace iniziare con qualche preliminare, tutto qui».
«Oh, capisco».
«Non ci siamo neppure baciati». Mi sfiorò il collo con labbra avide e seducenti. Me lo mordicchiò delicatamente e me lo leccò con la punta della lingua, facendo fremere ogni singola terminazione nervosa del mio corpo. «Comunque, non volevo certo lamentarmi».
«Fallo di nuovo».
Mi accontentò subito, nuove scariche elettriche dentro di me mentre ruotavo il bacino, lo sollevavo appena e lo riabbassavo. Non c’era fretta. Mi stuzzicava l’idea di testare la sua resistenza. Qualcuno tirò i nodi del mio bikini e i laccetti del reggiseno si sciolsero. Senza più la parte superiore del costume, i miei capezzoli turgidi sfiorarono i suoi pettorali scolpiti e la manciata di peli che li ricopriva. Interessante notare come, a livello sensoriale, i peli del petto siano alquanto bistrattati in un uomo. La maggior parte degli uomini con cui ero andata a letto si rasava o si faceva la ceretta. Il torace di Sam, invece, era molto più affascinante.
Mentre con una mano mi palpava il seno, posò l’altra sulla mia nuca e mi attirò a sé, per guidare la mia bocca verso la sua. Non fu un primo bacio delicato ma, d’altronde, penso avessimo ampiamente superato quella fase. Le sue labbra decise premettero con forza sulle mie e subito la sua lingua esperta e vellutata scivolò dentro alla mia bocca. Sam mi baciò con l’ingordigia e il desiderio di chi ha atteso dieci anni per soddisfare la propria fame. Forse non sapevo cosa volesse dire un’attesa tanto lunga, ma comunque gli risposi con lo stesso trasporto. Diventammo un’unica carne. Bocche fuse e dita intrecciate.
Dal seno, intanto, era sceso con la mano fino al punto in cui i nostri corpi erano uniti e iniziò a stuzzicarmi il clitoride strofinandogli attorno la punta del pollice per far crescere l’urgenza del mio desiderio.
«Perfetto», mormorò.
Cominciai a cavalcare la sua grossa asta con più foga, spingendomi ancora più a fondo. Sam intanto continuava a masturbarmi e a un certo punto capii che non era il caso di portare le cose troppo per le lunghe. Era evidente che qualcuno gli aveva dato la mappa del mio corpo. Oppure era semplicemente bravo lui. Finché le pareti della vagina si contrassero attorno al suo membro, spasmi di piacere nella mia intimità, e poi boom! Un’esplosione orgasmica. Un nuovo big bang. Non avevo mai vissuto un orgasmo tanto poderoso in vita mia. Avevo il corpo scosso da fremiti, un sovraccarico sensoriale pazzesco. Mi sentii travolta da un’onda che mi risucchiò e mi spedì al settimo cielo.
«Cristo». Con le mani saldamente ancorate ai miei fianchi, Sam continuava a sbattermi contro di sé. Alla fine venne anche lui. «Martha».
Se non fossi stata impegnata a mordergli la spalla gli avrei risposto. Forse. Non riuscivo a formulare alcun pensiero logico, mi sentivo leggera, come se fluttuassi nell’aria, e allo stesso tempo pesante, come se non riuscissi a muovermi dalla stanchezza. Molto probabilmente non mi sarei ripresa mai più. Sentii il suo corpo tremare, il bacino che sfregava contro di me. Eravamo incollati l’uno all’altra, non sarebbe passato neppure uno spillo tra i nostri corpi. Avvinghiata al suo collo, lo stringevo talmente forte che forse lo stavo soffocando. Ma sono quelli i rischi che si corrono a far venire una donna così forte.
E con tanta facilità. Accidenti.
La prossima volta glielo avrei fatto sudare un po’ di più. Avremmo provato un paio di posizioni diverse e lo avrei messo alla prova. Sì, usare Sam per farci sesso era stata un’ottima idea, forse la decisione migliore che avessi preso in tutta la mia vita. O forse la peggiore, visto che fare sesso con lui rischiava di diventare una pericolosa dipendenza per la sottoscritta. Magari, però, prima di programmare mentalmente il nostro prossimo incontro, avrei fatto meglio a riprendere un po’ il fiato.
«A cosa pensi?», mi chiese, mentre dita esperte mi massaggiavano la schiena e mi accarezzavano il collo.
«A niente», mentii. «Non mi hai neppure chiesto se uso contraccettivi».
Si strinse nelle spalle. «Un bambino sarebbe il benvenuto. Dopotutto, non sono più un ragazzino e gli anni passano in fretta».
«Dimmi che ho capito male». Mi tirai su a sedere, sconcertata. Ci volle un attimo a scioglierci e qualche altro minuto per ritrovare il reggiseno del mio bikini. «Un bambino… porca puttana, Sam».
«Troppo?». Il sorriso era appena abbozzato, ma sornione. Molto sornione. «Credo che saresti una madre fantastica. Guarda come sei meravigliosa con Gib».
«Prendo la pillola, comunque».
«Ovvio. Era solo un’idea. Sulla tabella di marcia sarebbe previsto tra un annetto o giù di lì».
Considerato l’impegno che misi per fulminarlo con un’occhiataccia, la sua espressione benevola fu alquanto irritante. Mentre si rinfilava i calzoncini da bagno, io mi sistemai il bikini. Perché sarebbe stato fantastico se qualcuno affacciato alla finestra mi avesse beccata mezza nuda. Forse non era stata un’ottima idea fare sesso in un luogo semipubblico quale la vasca idromassaggio nel giardino della casa di mio fratello. Soprattutto visto che aveva scatenato in Sam la voglia di parlare di bambini, tra tutti gli argomenti che avrebbe potuto scegliere. L’orgasmo, però, era stato notevole, bisognava riconoscerlo.
«Tranquilla, Martha», disse. «Scherzo. È chiaro che per il momento tu non sia pronta a parlare di figli».
Stavolta spalancai sul serio la bocca. «Ti ho detto che ti avrei usato solo per fare sesso».
«E lo hai fatto».
«Tutto qui. Solo sesso».
«Va bene».
Incrociò le mani dietro la nuca e si rilassò. In quella posizione i muscoli gli si gonfiarono oltre misura e, nonostante mi avesse fatta arrabbiare parecchio, riuscire a non farsi distrarre fu più difficile del previsto. Ringrazio Dio per aver creato lo champagne. Ne presi un altro calice pieno e mi sedetti al sicuro nella parte opposta della vasca, lontano da Sam. Non avevo mai incontrato nessun uomo che sembrasse tanto felice di darmi sui nervi. Il fatto è che a lui non bastava solo stuzzicarmi un po’. S’ingegnava per portarmi al limite della sopportazione, ne faceva quasi una questione d’orgoglio, poi lasciava che esplodessi e si godeva lo spettacolo. Stronzo. E poi dicono che con l’età si diventa più saggi. Quanto si sbagliano.
«Ti piace provocare. Sei proprio un rompicoglioni», mugugnai.
«Scusa, amore».
«Smettila di chiamarmi così», dissi. «E se tiri fuori un’altra volta quella cazzata di voler fare dei figli insieme, ti giuro che non scoperò mai più con te».
«E sarebbe un vero peccato. Penso che come prima volta ce la siamo cavata niente male».
Calò il silenzio. In cielo luccicavano le stelle. Sorseggiai lo champagne e cercai di ritrovare la condizione di beatitudine postorgasmica. «Credi che potresti fare meglio?»
«Ne sono sicuro».
«Mmh».
Attraversò la vasca per raggiungermi ma si fermò appena allungai un braccio e gli posai la mano sul petto. «Non ho il permesso di coccolarti un po’ dopo il sesso?»
«A. Ho bisogno dei miei spazi. B. Mi hai fatto incazzare».
Invece di fare qualche passo indietro, rimase fermo e iniziò ad accarezzarmi la mano giocando con le mie dita. Le stesse che lo tenevano a distanza. Che uomo assurdo, si comportava come se all’improvviso fossimo una coppia, o qualcosa del genere. Magari, invece, era solo un tipo molto determinato.
Mi guardò con un’espressione dolce, piena di sentimento. «Come ti ho detto, sono tanti anni che ti aspetto. Ero un po’ agitato. La prossima volta andrà molto meglio, te lo prometto».
Non so se avrei retto a una prestazione migliore di quella. Ma la promessa era davvero allettante. «Ci penserò».
«Brava».
«Adesso però salgo a dormire. Da sola». E per quanto scavalcare il bordo di una vasca idromassaggio con indosso solo un bikini non fosse l’uscita di scena più elegante al mondo, era di sicuro la più opportuna. Sam si era mostrato fin troppo espansivo e di sicuro era in vena di coccole, quindi magari voleva abbracciarmi o cose del genere, il che avrebbe potuto creare fraintendimenti. Non eravamo ancora tanto intimi. Anche se non so cos’eravamo esattamente l’uno per l’altra.
«Notte, amore», disse allegro, all’apparenza per nulla scoraggiato.
«Smettila di chiamarmi in quel modo», sibilai mentre mi allontanavo e versavo nel calice quel che rimaneva della bottiglia di Cristal. Sarebbe stato uno spreco lasciarlo, e in più avevo bisogno di bere per calmarmi.
Sentii una risatina divertita alle mie spalle. Bastardo. Con grande maturità ed eleganza da parte mia, lo ignorai e me ne andai. Avevo il brutto presentimento che in un eventuale vivace botta e risposta tra noi due, sarei stata io ad avere la peggio. Forse dopo una giornata così intensa di novità, emozioni e sesso, mi era andato in tilt il cervello. L’indomani avrei avuto di nuovo la situazione sotto controllo. Una visione generale più chiara.
Una volta entrata in casa, vidi che Lizzy si era opportunamente dileguata. Una seconda bottiglia di Cristal era stata lasciata sul mio comodino accanto ad alcune candele che illuminavano la stanza di una luce soffusa. Probabilmente aveva voluto creare la giusta atmosfera per il nostro nido d’amore, mio e di Sam. Come no. L’indomani mi avrebbe sentita, quella subdola doppiogiochista.
Di certo non sarei rimasta sveglia nel letto per ore a fissare imbronciata il soffitto pensando a lui. Sarebbe stato proprio stupido. Per chissà quale ragione, però, il sonno non volle arrivare, ma la cosa non aveva nulla a che vedere con Sam. Perché indipendentemente dai suoi piani originari, tra me e lui ci sarebbe stato solo sesso. Quindi non c’era ragione di farsi prendere dal panico perché aveva parlato di una possibile relazione sentimentale tra di noi. Sesso. Niente di più. Niente di meno. Solo sesso, benché strepitoso. E, a suo dire, mi aspettavano prestazioni anche migliori di quella che mi aveva offerto stasera, e che era già stata a dir poco pazzesca. Magari aveva esagerato un po’, anche se, come aveva detto mio fratello, Sam non era tipo da parlare a vanvera.
Mmh.
Visto che non riuscivo a dormire, bevvi un altro po’ di champagne. Perché no, dopotutto? Fu allora che, sfortunatamente, combinai un bel guaio.
«Ho sentito che stamattina, alle prime luci dell’alba, qualcuno è sgattaiolato fuori dalla dépendance vicino alla piscina». Il batterista sorrise. Molto probabilmente la governante aveva fatto la spia: trovava Mal “incantevole”, chissà perché. «Non hai perso tempo, Marty. Detto fatto. Brava, vai così!».
Jimmy sembrò semplicemente divertito dalla notizia. David e Ben, invece, mi guardarono sbigottiti. Ipocriti. Come se nessuno dei due avesse mai fatto sesso in vita sua. Mio fratello aveva addirittura messo incinta, in modo decisamente poco onorevole, l’allora cognata ventunenne di Mal. Era scoppiato un casino e c’erano stati parecchi problemi all’interno della band e nel suo entourage. Se paragonato a quello scandalo, quanto successo tra me e Sam rientrava nel rango di “semplice notiziola”.
Con tre bambini di età inferiore ai tre anni che correvano per casa, era fuori discussione – purtroppo – dire a quell’uomo di andare a farsi fottere. Mi limitai quindi a rivolgergli un sorriso decisamente caustico. «Be’, ti ringrazio, Malcolm. Lo sai quanto abbia a cuore la tua opinione in certe faccende».
Gibby e le gemelline di Jimmy e Lena, intanto, giocavano con le costruzioni e distruggevano e ricostruivano torri a una tale velocità che mi era impossibile star loro dietro. Il potere creativo e distruttivo dei bambini è davvero impressionante. Tanto quanto la vastità di spazio che occupano sul pavimento spargendo giocattoli dappertutto. Mi ero seduta anch’io per terra per tentare di contenerne l’esuberanza in un angolo specifico della stanza. Ma sfortunatamente era impossibile competere con la loro irrefrenabile vivacità. I mattoncini erano ovunque.
I membri della band erano tutti presenti perché stavano completando gli ultimi ritocchi su alcune canzoni nuove. Perfino Adam girava da una parte all’altra, prestandosi al doppio ruolo di fattorino e tecnico: accordava le chitarre e svolgeva varie commissioni, il tutto evitando accuratamente il mio sguardo, quando possibile. Il che per me era perfetto. Meno si parlava della scorsa notte, meglio era. Per fortuna Sam era impegnato a organizzare la sicurezza per un concerto di beneficenza che si sarebbe tenuto la settimana successiva e non si era fatto ancora vedere in giro.
Com’era prevedibile, Mal aveva appena iniziato. «Povero Adam. Sei riuscito a dormire almeno un po’, amico? Le pareti della dépendance dell’amore sono molto sottili?».
Adam mi guardò con una certa apprensione. «Io non ho detto nulla».
“Oddio”.
«Non hai detto nulla a proposito di cosa esattamente?», chiese Mal facendo roteare tra le dita una bacchetta. «Non ci terrai mica nascosto qualcosa, amico, eh?».
Il giovane restò impietrito.
«Non puoi rifiutarti di condividere quel che sai con gli altri componenti della tua band. Non è carino».
Adam aggrottò la fronte. «Io sono un solista».
«Già», concesse Mal. «Ma io suonerò nel tuo album usando il mio fantastico nome in codice, Sticks McGee*. Ingegnoso, vero?»
«È la cosa più stupida che abbia mai sentito». Ben non si scomodò neppure ad alzare lo sguardo dal blocchetto di carta su cui stava prendendo appunti. «Suonerai con uno pseudonimo, come abbiamo già concordato. Voglio che tutta l’attenzione si concentri su Adam e sul suo album di esordio».
«Va bene, come dici tu. Ma lui ci deve ancora dire cosa sa». Visto che i due erano più o meno alti uguali, Mal non poteva sfruttare la prestanza fisica per farsi rispettare dal giovane. Comunque ci provò. Per metterlo alle strette sfoderò la sua migliore arte persuasiva. «Marty è una a cui piace urlare a letto? O fare il verso di qualche animale? O magari ha detto cose cattive mentre facevano sesso e ha fatto piangere Sam? Coraggio, cos’è successo? Puoi dirmelo».
Strinsi i pugni. «Mal…».
«Cosa? No», balbettò Adam. «Lei… voglio dire, non è successo niente di che… è stato solo un incidente».
«Adesso basta». Di solito non sono un tipo violento. Ma stavo per prendere a pugni qualcuno. «Dico sul serio».
Ben scosse la testa.
David sembrò leggermente perplesso.
Jimmy adesso sfoggiava un ampio sorriso. «Cos’hai fatto?»
«Niente», mentii, con troppa veemenza. «Non è successo nulla!».
«Adam, ragazzo mio». Mal continuava a roteare la bacchetta tra le dita in modo vagamente minaccioso. «Non farmi usare le bacchette della morte su di te. Non sarebbe un bel modo di lasciare questo mondo».
I bambini risero e batterono le mani davanti alla smargiassata di quel batterista idiota. Come se avesse avuto bisogno di un incoraggiamento! Ma Adam continuava a spostare lo sguardo da me a Mal, incapace di individuare chi dei due sarebbe stato più pericoloso e tremendo se si fosse arrabbiato. Dal momento che Mal gli era più vicino, persi io.
«Ha sbagliato camera, tutto qui», vomitò alla fine. «Ha confuso la mia camera con quella di Sam ed è entrata barcollando, leggermente brilla».
Abbassai la testa e mi coprii la faccia. E così non vidi Sam entrare nella stanza: gli bastò una sola occhiata per rendersi conto della situazione. O forse erano state le nostre voci a richiamarlo.
La risata stridula di Mal riempì tutta la stanza. «Oh. Mio. Dio. Povero giovane innocente che ti sei trovato a fronteggiare, da solo e al buio, i bollenti spiriti di Marty. Sarai rimasto terrorizzato? Io lo sarei stato, di sicuro. Raccontami».
Sam sospirò e mi si accovacciò alle spalle. Mi sarei aspettata un conforto da lui e invece le sue parole furono una vera mazzata. «Poi lei gli ha dato una sculacciata e gli ha detto che era ora di fare sesso. Per fortuna l’avevo sentita entrare nella dépendance e così sono intervenuto».
«Cos’hai fatto, Sam? Cos’hai fatto?»
«Mi sono messo la signora in questione, leggermente brilla, su una spalla e ho detto al giovane Adam di tornare a dormire perché ci avrei pensato io», disse Sam. Era ufficiale: lo odiavo. Purtroppo, però, è un ex Navy Seal. Così quando cercai di dargli una bella gomitata lui, senza il minimo sforzo, mi bloccò il braccio e mi sorrise. «Scusa, amore. Ma temo che questa storia era destinata a venire fuori prima o poi. Adam poteva uscirsene con un semplice commento e se Malcolm avesse subodorato che c’era qualcos’altro dietro, non lo avrebbe lasciato più in pace. Meglio che sappiano tutto adesso: si faranno due risate e poi non ci penseranno più».
«Come hai potuto?», ringhiai.
«Andrà tutto bene».
«Mi renderanno la vita impossibile».
Mio fratello scosse la testa e borbottò qualcosa del tipo che non voleva né era interessato a sapere nulla sulla mia vita sessuale. In effetti, io avrei voluto che né lui né nessun altro conoscessero certi particolari intimi. Non mi azzardavo neppure a guardare David in faccia per vedere la sua espressione. E mentre Jimmy aveva avuto almeno la decenza e la cortesia di voltarsi dall’altra parte per ridere, Mal lo stava facendo così forte che gli erano venute letteralmente le lacrime agli occhi. «Non è vero. Ti sfotteremo solo un po’ per il resto dei tuoi giorni».
«No, non lo farete», disse Sam senza scomporsi. «Perché altrimenti, quando meno se l’aspetta Malcolm, capiterà che io le faccia accidentalmente del male».
«T-tu farai del male a me?»
«Sì».
«Stiamo parlando di qualcosa di serio, con sangue e tutto il resto?», chiese Mal. «O solo un po’ male, tipo schiacciarmi un dito del piede? Perché potrebbe bastare anche questo».
«Il primo che ha detto».
L’euforia di Mal si spense all’istante. «Buon Dio, quanta crudeltà. Inoltre, non vedo come tu possa farlo passare per un incidente».
«Non si preoccupi. Troverò il modo».
«Non funzionerà mai. Siamo intoccabili. Ci protegge un tipo tosto, una guardia del corpo con gli attributi. Conosci anche tu il tizio di cui parlo. Com’è che si chiama? Aiutami a ricordare».
«Voi mi pagate perché vi protegga da altre persone», ringhiò l’addetto alla sicurezza. «Non da me stesso. E a me non piace che qualcuno turbi la mia donna, intesi?».
Sentendoglielo dire, raddrizzai la schiena.
«Bene, allora siamo tutti d’accordo, argomento chiuso». Sam mi mise una mano sulla spalla e me l’accarezzò delicatamente. «Tutti possiamo sbagliare. È ora di voltare pagina».
«Be’, non è per niente tutto sistemato. Comunque penso di non essere più tanto entusiasta all’idea che tu e Marty vi mettiate insieme», disse Mal, con un’espressione triste e le labbra corrucciate. «Racconterò lo stesso ad Anne cos’è successo la scorsa notte, e tu non puoi impedirmelo perché è troppo divertente. Dopo di che, lascerò perdere e non ne parlerò più. Ma solo perché sono una persona meravigliosa e altruista, e non perché tu abbia minacciato di farmi fisicamente del male».
«Grazie, Malcolm. Sapevo che potevamo contare sulla sua discrezione».
I presenti si schiarirono la voce poi tutti tornarono alle proprie faccende. Sam, invece, rimase accovacciato al mio fianco. «Sei sporca di pennarello».
«Gib ha deciso che dovevo essere il suo personale foglio da disegno», dissi. «Voleva farmi un tatuaggio come hanno il suo papà e gli amici del suo papà».
Sam si chinò a studiare l’opera d’arte sulla mia pelle. «Un’idea interessante. Per quanto il tuo viso non abbia nulla che lo classifichi come tale: sei irriconoscibile».
«In realtà, è la motrice di un camion. Comunque ancora mi sembra impossibile che tu glielo abbia detto». Continuava ad accarezzarmi le spalle, cercando di calmarmi, ma senza successo. «Chiunque si sarebbe potuto confondere. Non ero neppure così ubriaca. Era solo molto buio e non ho voluto accendere le luci per paura di svegliare qualcuno. Come facevo a sapere che stavo dando una sculacciata al sedere sbagliato?».
Sam annuì comprensivo. Decisi di non indagare se nel suo sguardo ci fosse o meno una punta di ilarità. Ma soltanto stavolta.
«Quel che c’è tra di noi avrebbe dovuto rimanere segreto», dissi. «Privato».
«È mai accaduto che una cosa che riguarda la band, anche solo indirettamente, riesca a rimanere privata?».
Gli lanciai un’occhiataccia.
I ragazzi avevano ripreso a suonare, i bambini giocavano e a me scoppiava la testa. Ma Sam aspettò, paziente come sempre. Qualunque cosa ci fosse tra di noi, comunque, non era quello il luogo adatto per discuterne. Né fremevo dal desiderio di affrontare l’argomento. Dopotutto, non c’era nulla di male nell’essere trombamici.
«Non ti vergogni di me, vero?», mi chiese.
«No», gli risposi, vagamente indignata. «Non si tratta affatto di questo. È che io… e poi mi hai chiamata “la tua donna”. Che intendevi?»
«Oh, ho usato solo una definizione che possano comprendere bene, per essere sicuro che ti lascino in pace». E agitò una mano come per scacciar via ogni mio timore, quasi si trattasse di un banale insetto molesto. «Non darci troppo peso».
Ma ce lo aveva. Comunque quel giorno si erano consumati già abbastanza drammi senza che mi mettessi anch’io a fare una scenata. Contrariamente a quel che pensavano tutti, in questo caso non ci tenevo affatto a stare al centro dell’attenzione. Può essere che il tratto peculiare della mia stronzaggine sia fare sempre di testa mia per ottenere comunque ciò che voglio. Ma non necessariamente devo farlo sotto gli occhi di tutti. Una sottile ma importante distinzione nella mia vita.
Almeno Gibby e le gemelline erano stati troppo occupati a giocare per prestare attenzione agli adulti e imparare qualche nuovo affascinante termine del tutto inappropriato. Magra consolazione.
«Togli dal viso quell’espressione imbronciata, amore. Va tutto bene».
Sospirai e cercai di buttare fuori la rabbia e di rasserenarmi, per cancellare l’eventuale muso lungo. E non valeva neppure la pena essere arrabbiata con lui per il vezzeggiativo che aveva usato, anche se non rinunciai a mugugnare: «Smettila di chiamarmi in quel modo».
«Scusa».
Feci un respiro profondo. «E comunque non mi vergogno di te. Non potrei mai vergognarmi di te. È un’idea assurda».
«Porca miseria», disse Mal, interrompendo la canzone con un improvviso fracasso di percussioni. Puntò una bacchetta verso di noi. «Avete visto anche voi, ragazzi? Sam deve essere una specie di incantatore. Sono sicuro che Martha stava per fare una delle sue solite sfuriate e invece lui è riuscito a calmarla solo con la magia delle parole. Nemmeno tu ci riuscivi, Davie».
«Malcolm», disse Sam serio.
«Scusa, scusa. Mi impiccio dei fatti miei».
«Sarebbe ora», disse Ben. «Adesso possiamo tornare al lavoro?».
Sam mi stampò un bacio sulla testa. Davanti a tutti. Avvertii sguardi curiosi su di noi. Ma bastava ignorarli. Quando si dice “la situazione ci è sfuggita di mano”. E non erano passate neppure ventiquattro ore da quando avevamo parlato di uno pseudorapporto tra di noi. Stava succedendo tutto troppo in fretta. Io avrei voluto solo saltargli addosso e usarlo come mio personale sex toy. Dio, ecco come complicarsi la vita. Forse avremmo dovuto rallentare un po’.
«È tutto a posto, giusto?», domandai. «Voglio dire, siamo sempre amici?»
«Certo. Adesso, quando hai voglia di compagnia, sai perfino qual è la mia camera». Mi accarezzò con il pollice l’opera d’arte di Gib. Poi lanciò un’occhiata al mio occhio nero che stava guarendo e abbozzò una smorfia. «Devo tornare al lavoro. Ci vediamo più tardi?».
In quel momento venne a cercarlo Ziggy perché doveva occuparsi di non so quale affare. Meno male. Non avrei saputo cosa rispondergli.
*Riferimento a Granville Henry “Sticks” McGhee (1918-1961), chitarrista e cantautore americano, stella del jump blues. (N.d.T.)