Capitolo sei
Il primo problema con Sam era che ogni volta che mi convincevo a prendere in considerazione anche solo lontanamente la possibilità che potesse esserci un “noi”, lui combinava qualcosa che mi faceva andare nel panico. Il secondo era che si rifiutava di seguire le regole. Le mie regole.
«Eravamo d’accordo che fossi io il capo. Eppure non mi sento di essere io a comandare», ansimai colpendo il sacco da boxe con le mani accuratamente bendate. Liz e Ben avevano portato Gib a vedere l’ultimo film per bambini uscito al cinema. Perfino Adam era fuori quella sera. Avevamo la casa tutta per noi e Sam aveva deciso che ci saremmo allenati un po’ in palestra. «Se mi scheggio un’unghia, mi incavolo».
Sam si era sistemato dietro al sacco per tenermelo fermo. «Le tue unghie non subiranno danni. Comunque non avrebbe molto senso che decidessi tu cosa fare durante la tua lezione di difesa personale, non credi?»
«Suppongo tu abbia ragione».
«Non mettere il muso. Più tardi comanderai di nuovo tu».
«Non sto mettendo il muso». Colpii il sacco con una mossa elementare, un uno-due un po’ fiacco. «Deciderò io come quando mi hai trascinata fuori dalla mia stanza per venire in palestra ad allenarmi?»
«Non ti ho trascinata fuori dalla tua camera. D’altronde, non ti stavi mica nascondendo da me, giusto?»
«No», mentii. «Sento le braccia pesanti. E mi fanno male le spalle».
«Hai fatto un buon lavoro». Sorrise e si posizionò dietro di me per massaggiarmi la schiena. Un’arte nella quale era straordinariamente bravo. «Mi ripeti quali sono i tre punti da colpire?»
«Occhi, gola e inguine».
«E cosa fai con la borsa?»
«Lascio che lo scippatore la prenda senza opporre resistenza».
«Brava ragazza».
Visto che era dietro di me, non poteva vedere la mia espressione imbronciata. «Non ho pensato che la borsa valesse più della mia vita. Ma era comunque una cosa che mi apparteneva e in questo mondo bisogna combattere per proteggere ciò che è tuo, altrimenti la gente ti mette i piedi in testa».
«Giusta osservazione». Silenzio.
«Ma?».
Altro silenzio. Poi: «Hai mai letto qualcosa di Miyamoto Musashi?»
«Dovrei?»
«Poeta guerriero del XVII secolo. Un samurai».
«Oh, quel Miyamoto Musashi. Certo, come no. Ho la sua opera completa in valigia al piano di sopra».
Ignorò il mio sarcasmo e proseguì con il massaggio. E con la lezione di storia. «In molti si chiedono se Musashi sia stato il più grande guerriero di tutti i tempi, esperto nell’uso della spada. Tutti però riconoscono la sua eccezionale capacità di giudizio. Passava anni a studiare l’avversario e solo quando era pronto lo sfidava, senza lasciare mai che l’ambizione gli offuscasse il giudizio. Perché se avesse scelto l’avversario sbagliato al momento sbagliato sarebbe potuto morire».
«C’è un qualche insegnamento in tutto questo, immagino».
«Se uno dei più grandi guerrieri della storia doveva saper scegliere quali battaglie combattere, forse puoi farlo anche tu».
Sospirai. «Okay. Messaggio ricevuto». Premette i pollici in un punto del collo particolarmente dolorante e io gemetti dal piacere. «Perché non mi hai fatto un massaggio simile l’altra sera nella dépendance?»
«Perché eri ubriaca e avevi bisogno di smaltire la sbornia dormendoci sopra».
«Per questo mi ha dato così tanto fastidio che Adam abbia aperto bocca: dopo quel piccolo incidente, non è successo proprio un bel niente», dissi. «Dev’esserci una ragione, Sam, per cui certe visite di piacere sono dette “una botta e via” e non “sessioni di coccole a letto”».
Ridacchiò mentre le sue dita talentuose continuavano a massaggiare i muscoli indolenziti delle mie braccia. Ovviamente doveva stringermi da dietro e la sua vicinanza mi provocava brividi lungo tutta la schiena. Se solo non fosse stato così piacevole sentire il suo corpo contro il mio. Era quasi impossibile resistergli.
«Come mai sei tanto tesa?», mi domandò, massaggiandomi il polso. Poi tolse la fasciatura alla mano e proseguì sul palmo. «Hai avuto una giornata pesante, amore mio?»
«Hai intenzione di continuare a chiamarmi in quel modo nonostante ti abbia già detto ripetute volte di non farlo, eh?»
«Scusami. Mi scappa. Ti dà davvero così tanto fastidio?».
Feci spallucce: non volevo, o forse non sapevo, dargli una risposta. Chissà. Intanto, mentre era arrivato a massaggiarmi le dita, la sua bocca vellutata ed esperta mi stuzzicava il collo. Poi Sam si concentrò sull’altro braccio e iniziò a mordicchiarmi il lobo dell’orecchio. Avvertii un formicolio in tutto il corpo. «Sono sudata».
«Mi piaci quando sei sudata», disse, la voce divenuta più profonda. Di sicuro Sam era eccitato, sentivo l’asta d’acciaio che premeva contro i miei glutei. Impossibile non rispondere spingendo su di essa. Irrigidì i muscoli delle braccia e mi strinse più forte, ma continuò a massaggiarmi. Prova inconfutabile che Sam era in grado di fare più cose contemporaneamente. «Scusami se non sono andato oltre ieri sera».
«Tu e la tua noiosa etica. Probabilmente, però, è stata la cosa più giusta da fare, visto che ero un po’ brilla». Mi sfuggì un sospiro mentre allungavo indietro le braccia per accarezzargli la nuca rasata. Feci di tutto per afferrargli i muscoli del collo così virili e palparglieli un po’. La risposta del mio corpo alle premure di Sam fu immediata. Sentivo già il centro della mia femminilità fremere dal desiderio, quasi fossero passati secoli dall’ultima volta in cui avevo fatto sesso.
«Comunque», dissi, «potrei sempre fare come te e frenarmi anch’io adesso».
«Non è quello che vuoi, amore». La sua voce suonò anche troppo sicura. «Ci divertiamo troppo quando giochiamo insieme».
«Forse».
«Di sicuro. Mi piace il tuo reggiseno sportivo».
«Non è niente di speciale».
«Magari no», disse. «Ma lo è la donna che lo indossa».
«Che bel complimento, Sam. Sono senza parole. La porta è chiusa a chiave?»
«Ci ho pensato io quando siamo entrati; tra geni ci s’intende». Mi lasciò una scia di baci lungo il collo e intanto fece scivolare la mano dentro ai miei pantaloncini. Poteva anche avere dita grosse, ma di sicuro erano svelte. Mi posò subito la mano sul sesso e iniziò ad accarezzarmi delicatamente le pieghe intime. «Hai una fica così deliziosa, amore. Sono proprio fortunato a essere io l’uomo che può giocarci!».
Sorrisi. «Deliziosa? Come lo sai? Non l’hai mai assaggiata».
«Ottima osservazione».
Due forti braccia mi sollevarono e mi posarono su una panca per fare pesi, o come cavolo si chiama quell’attrezzo. In un attimo mi abbassò pantaloncini e mutandine. Che seccatura avere ai piedi le scarpe da ginnastica quando ti devi spogliare. Bisognava disfarsi alla svelta anche di quelle. Con un grugnito smanioso, Sam si sbarazzò delle scarpe e dei calzini, e poi dei vestiti. Buttò tutto alla rinfusa dietro di sé. Non avevo mai visto un uomo tanto impaziente di scoparmi. Alla fine rimasi solo con indosso il reggiseno. A quel punto s’inginocchiò in fondo alla panca, mi divaricò le gambe con le mani, e si fermò.
Dannazione, si bloccò proprio sul più bello.
«Che stai facendo?», gli chiesi, sollevando la testa.
«Adesso non voglio avere fretta».
«Be’, io sì».
«Sssh, rilassati». Mi accarezzò l’esterno delle cosce e posò delicatamente le mie gambe sulle sue spalle. E a quel punto si mise a fissarmi la vagina come se fosse rimasto folgorato, o qualcosa del genere. «Sei bellissima, Martha. Tutta. Voglio che ti senta amata e che ti renda conto di quanto sei preziosa e unica».
“Oh”. «Grazie».
Mi baciò l’interno coscia. Ma non andò oltre.
«Puoi scattarle una foto con il cellulare più tardi, se vuoi, però intanto non potresti prendertene cura in modo un po’ più sollecito?»
«Che idea meravigliosa. Farò pure quello».
Gemetti. «Sam…».
Abbozzò un sorrisetto malizioso e subito tuffò la testa tra le mie gambe e mi leccò. Cristo. Mi piegai di scatto in avanti, gli occhi socchiusi dallo stordimento. Ero già bagnata da quando aveva iniziato a toccarmi, ma adesso ero proprio zuppa. Affondò le dita nella mia carne per tenermi le gambe divaricate così da gustarmi meglio. Sam infatti mi stava divorando con l’ingordigia di un affamato. Non c’è altro modo per descriverlo. Certi uomini si limitano a una o due leccatine nelle parti intime e poi vanno subito al sodo e passano il resto della serata a scoparti come se, avendo rapidamente svolto il loro bravo compitino “orale”, si fossero già guadagnati il premio. Sam era diverso: mi leccava e mi picchiettava e mi succhiava e mi stava facendo impazzire. Non sarei rimasta affatto sorpresa se alla fine avesse avuto l’intero torace bagnato dei miei umori.
Era evidente che fosse uno a cui piace leccarla a una donna.
O quanto meno, leccarla a me.
La sua lingua si insinuava, penetrava, circondava e avvolgeva tutte le parti anatomiche più sensibili della mia femminilità, quasi volesse conoscermi alla perfezione sia dentro che fuori per svolgere in seguito chissà quale test, che comunque avrebbe superato a pieni voti. Il primo orgasmo fu poderoso e fui scossa da fremiti incontrollabili in tutto il corpo. Il secondo mi travolse come un’onda che prima mi risucchiò e poi mi innalzò fino al cielo. Per una seduta di rilassamento totale, niente massaggi total body: solo la lingua di Sam dentro alla mia fica. Mi prenoto in qualsiasi momento per un pacchetto completo.
«E sei particolarmente bella», disse con un sorriso, pulendosi il viso con una mano, «subito dopo essere venuta».
Rimasi distesa sulla panca, ancora tutta tremante, e lo guardai mentre si toglieva la maglietta e i calzoncini. Che spettacolo. L’esuberante maestà del suo membro puntato verso il soffitto. Lo desideravo da morire. Sul serio. C’era solo un problemino. «Non sono sicura di riuscire a muovermi».
«Ti aiuto io». Con estrema delicatezza mi sollevò dalla panca, e mi sembrò educato avvolgergli le gambe attorno alla vita. «Ti va bene il muro? La panca non è all’altezza giusta e il pavimento è un po’ ruvido qui. La tua pelle vellutata potrebbe scorticarsi, e io non voglio».
«Il muro è perfetto».
«Magnifico».
Mi appoggiò contro la fredda superficie piatta, poi abbassò una mano tra i nostri corpi avvinti e sistemò la grossa punta liscia del suo uccello sulla mia apertura. Stavolta non ci fu bisogno di tanti movimenti di bacino, visto quanto ero bagnata. Mi penetrò spingendomi lentamente verso di lui. Dio che sensazione stupenda di pienezza sentirgli prendere possesso di ogni centimetro della mia intimità. Erano troppe ventiquattro ore di astinenza da un piacere così intenso. Gli posai le labbra sulle sue e lo baciai con passione e voracità. Inutile perdere tempo a preoccuparsi se avrebbe gradito o meno il mio corpo sudato appiccicato al suo.
Sam mi conosceva e mi voleva. Talmente tanto che la cosa sinceramente mi spaventava un po’.
Cominciò a muovere il bacino con movimenti lenti e decisi, in modo talmente perfetto da togliermi il respiro e farmi impazzire a ogni spinta. Mentre mi scopava, sentivo la stretta salda delle sue mani sui miei glutei, per tenermi inchiodata contro il muro. Lui invece continuava a spostare impercettibilmente il bacino a ogni affondo, come se stesse cercando qualcosa. Capii di cosa si trattava solo quando colpì un punto all’interno della mia fica e sentii che mi si contraeva ogni singolo muscolo.
«Ecco quel che cercavo», disse.
«Cristo. Allora è per questo che vi chiamano “sergenti di ferro”, eh?»
«Non essere sciocca». Fece un sorrisetto. «Quelli sono dell’esercito, amore. Io sono della marina».
Da quel momento in poi si dedicò solo a farmi impazzire di piacere. Colpiva quel punto perfetto dentro di me con affondi precisi e a ogni spinta mi sentivo sospinta sempre più in alto. Mi tenevo aggrappata a lui, ansimavo in cerca d’aria, il corpo stravolto dal piacere e il cuore che galoppava all’impazzata. La mente completamente fusa. A un certo punto le spinte si fecero più urgenti, più decise, mentre Sam continuava a scoparmi contro il muro, martellando il mio punto G. Si fermò solo quando venni di nuovo, gridando un nome. Di un uomo. Non c’è bisogno di soffermarsi sull’identità. Particolare irrilevante. Nello stesso istante in cui venivo, lui ruotò il bacino, spinse l’uccello ancora più in profondità e venne anche lui, con un grugnito. Proprio così. A dispetto di tutte le paroline dolci e compagnia bella, venne con un grugnito. Puro romanticismo.
Ecco perché la gente non dovrebbe farsi trasportare dalle emozioni, eccetera. Anche quando il sesso è stato davvero pazzesco. Gli ormoni possono indurti a fare cose stupide, tipo urlare il nome di un uomo con il quale forse sarebbe il caso di essere solo amica. O trombamica, al massimo. Perché quando diventiamo sentimentali, le cose si complicano. Ci sentiamo turbati, scombussolati, agitati, tesi, e milioni di altre cose ancora, incluso terribilmente esposti e vulnerabili.
«Hai urlato il mio nome», disse, quasi con stupore. Idiota.
«Avrei dovuto gridare quello di qualcun altro?». E mentre ancora boccheggiavo e il cuore faticava a riprendere il battito normale, il mio corpo era rigido, duro, come impietrito. «Mettimi giù».
Lo fece con prudenza, ma anche con tenerezza. «Martha, a cosa stai pensando?»
«Perché me lo chiedi sempre dopo che abbiamo fatto sesso?», lo aggredii, cominciando a raccogliere i miei indumenti da terra. «È una domanda inutile. Il bello del sesso è proprio che ti libera la mente».
Per un attimo ci fu silenzio.
«Che c’è?», scattai di nuovo.
«È perché hai urlato il mio nome?»
«No».
«Sei sicura?»
«Sì».
«Allora è per l’intimità tra di noi, in generale?».
Mi sentii morire. «Sei serio?».
Chissà dov’erano andate a finire le mie mutandine. Di sicuro l’indomani le avrebbe trovate la persona sbagliata e io sarei stata di nuovo messa in mezzo e presa per il culo. Indossai i pantaloncini e poi tirai su le scarpe da ginnastica e i calzini. Potevo tornare in camera scalza. Non era un problema.
Nel frattempo lui era rimasto completamente nudo, le braccia incrociate, e mi guardava.
«Che c’è?», chiesi, mettendomi carponi per cercare quelle cazzo di mutandine. Merda. Erano scomparse. E lui aveva proprio ragione a proposito del pavimento ruvido: alla fine avrei avuto comunque delle escoriazioni, se non sulla schiena, sulle mani e sulle ginocchia. Ovviamente il fatto che lui avesse ragione e si preoccupasse per me non faceva che peggiorare le cose. «Hai intenzione di rivestirti? E perché mi guardi in quel modo?»
«In che modo ti guardo per la precisione?»
«Viso impassibile ma sguardo incazzato. La stessa espressione che usi quando sei arrabbiato ma cerchi di nasconderlo».
«Be’, Martha», disse. Poi s’interruppe, raccolse i pantaloncini, se li infilò e proseguì, «ti stavo guardando in quel modo perché abbiamo appena fatto sesso, ed è stato magnifico, ma prima ancora che io riesca a riprendere fiato, ecco che all’improvviso tu ti comporti da grandissima stronza isterica e rancorosa. Quello che mi chiedo è: perché?»
«“Perché” ti dai tanta pena per cercare di capirmi oppure “perché” mi comporto da stronza?», domandai, rimettendomi in piedi. «Perché visto che ho una ben nota reputazione da stronza e puttana isterica, la vedo dura cambiare da un momento all’altro. Se invece vuoi una risposta all’altra domanda, te ne do una molto semplice. Possiamo fermarci qui. Ci siamo fatti un paio di scopate niente male. Magari è meglio se ci mettiamo un punto finché siamo ancora in tempo, no?».
Sbatté le palpebre, incredulo.
«Che c’è? Cosa c’è adesso?»
«Sei davvero così terrorizzata dall’eventualità di provare qualcosa per me?».
Serrai la mascella, ma non fu d’aiuto. E nemmeno fissare quello stupido pavimento.
«Dai», disse, con voce più dolce. «Guardami».
Immusonita e scontrosa, sollevai lo sguardo. Dio solo sa perché.
«Dimmi qual è il problema».
Abbassai le spalle. «Non trovo le mutandine».
Sospirò e si guardò attorno, ispezionando con attenzione la stanza. Poi si diresse verso una rastrelliera su cui erano posati vari manubri e con l’indice pescò il mio perizoma. Solo lui poteva trovarlo così in fretta. Allungai la mano per prenderlo, ma Sam mi attirò a sé.
«Cos’altro c’è che non va?», mi chiese.
Avevo la risposta sulla punta della lingua, ma le parole faticavano a uscire…
Mi circondò con le sue braccia forti, stringendomi delicatamente. Come se fossi fragile e potessi rompermi. Come se avessi già delle crepe dentro. «Puoi dirmelo, amore. È tutto a posto».
Sentii crescere un groppo in gola, gli occhi mi bruciavano. «L’ultima volta che ho fatto una stupidaggine del tipo urlare il nome di un uomo mentre facevo sesso e mi sono lasciata coinvolgere sentimentalmente, è andata a finire molto male. Be’, in realtà sono stata io a rovinare tutto».
«Ti riferisci a te e Dave?».
Annuii, la guancia premuta sul suo petto.
«È successo tanto tempo fa», disse. «Credo tu sia un po’ più saggia adesso, no?»
«No».
Mi accarezzò la schiena e mi baciò sulla testa. Dio, era così bravo in quel genere di cose mentre io non lo ero affatto. Mi aggrappai a lui. «Martha, non importa di chi sia stata la colpa, so che hai sofferto. Ma ti assicuro che io non ti farò soffrire. Non accadrà mai. Ma solo tu puoi decidere se vale la pena di stare con me».
«Neanch’io voglio farti soffrire». Il solo pensiero mi faceva star male, lui era un uomo davvero speciale. E invece tutto sembrava complicarsi così in fretta.
«Allora non farlo», disse. «Semplice».
Tirai su col naso e feci un respiro profondo. «In tutta sincerità, Sam. Sono trascorse appena ventiquattro ore. Com’è possibile che le cose siano già tanto difficili dopo così poco tempo? È assurdo».
Senza dire una parola, mi sollevò e mi fece sedere sulle sue gambe sopra la panca. «Non proprio. Penso che ci siamo girati attorno per tanto tempo. Alla fine, quando ci siamo trovati, era logico che dovesse essere… be’…».
«Lo penso anch’io».
«Un po’ più complicato di quel che avevi immaginato, mmh?»
«Diciamo così».
«Vuoi davvero farla finita qui?»
«No». Appoggiai la testa sulla sua spalla, e mi sentii serena, a mio agio. Senza bisogno di nascondermi. Una sensazione completamente nuova.
«Va bene, allora».
«Va bene, allora», ripetei, imitando la sua voce profonda. «Sei insopportabile quando dici un mare di stronzate e fingi di compiacermi in tutto. “Decidi tu, Martha”. “Va bene tutto quello che dici, Martha”».
«Ogni tuo desiderio è un ordine per me, amore. Sono il tuo umile servo» disse, una nota scherzosa nella voce. «Cerco solo di rendermi utile, tutto qui».
«Sì, certo», sospirai. «E va bene: non ti sto usando solo per fare sesso. Non so cosa ci sia tra di noi, ma… fa lo stesso».
«Be’, ovviamente sono felice di sentirtelo ammettere. Anche se hai definito quel che c’è tra di noi “ma… fa lo stesso”».
«Chiudi il becco», mugugnai.
Scoppiò a ridere. Bastardo.