Prefazione

 

 

 

 

 

Max Weber (1864-1920) fu il più grande tedesco della nostra epoca. Un siffatto giudizio anticipa ciò che soltanto tempi avvenire potranno sapere definitivamente. Io oso pronunciarlo pur essendo cosciente che non è lecito. Quasi mezzo secolo sono vissuto in questa convinzione.

Il presente scritto su Max Weber, che può essere soltanto un cenno, apparve la prima volta nel 1932 e viene ora ristampato tale e quale. Allora, nell'irrompere del nazionalsocialismo, esso doveva richiamare quella verità che in Germania era ancora possibile. Contro la confusione bisognava evocare questo grande uomo e far sentire le esigenze nostre di fronte al falso germanesimo di quei giorni.

Max Weber è presentato qui come uomo politico, come scienziato, come filosofo. La politica, che è soltanto un movente della sua vita, fu sempre seguita da lui appassionatamente e commentata. I contenuti del suo pensiero politicamente attivo hanno oggi in gran parte soltanto carattere storico per noi, benché siano del massimo interesse per i tedeschi. Egli fu l'ultimo tedesco di idee nazionali: egli tendeva a un potente Reich tedesco alla cui disfatta nella prima guerra mondiale fece appena in tempo ad assistere, e sperò nella restaurazione. Oggi tutta la politica dipende da nuovi presupposti storici, i quali erano praticamente fuori degli orizzonti che Weber poteva prendere in considerazione. Egli ci rammenta un passato irrevocabilmente distrutto, nel quale era incamminato per vie che la Germania rifiutava. Ma il suo sentimento politico è imperituro. Egli vide nella democrazia l'unica via possibile per noi, ma scorse anche con chiaroveggenza gli enormi pericoli di essa democrazia, i quali possono essere scongiurati solo quando la conoscenza di essi si diffonde nel popolo. Egli sentì la durezza della realtà, la grandezza della responsabilità, il respiro dell’inquietante storia del mondo. A un insigne svizzero che in una conversazione aveva detto: Si deve amare lo Stato, rispose: Come? Anche amare si dovrebbe questo mostro?

Come sociologo e storico Max Weber è per il mondo una figura immortale. I risultati dei suoi studi sono raccolti in opere monumentali. Nuove scoperte di fatto sono accompagnate dalla più chiara coscienza metodica, come in Galilei. Come questi nelle scienze naturali, cosi Weber ha compiuto nelle scienze dello spirito il passo definitivo, qui ben diverso, in direzione della scienza pura, non solo nei preliminari lavori filologici e di altra natura, che si conoscono da un pezzo, ma nell’argomento stesso. E difficile afferrare questa nozione; si gira volentieri intorno alla sua opera dalla concettosità precisa e largamente ramificata, come intorno a un blocco di granito sul quale non si ha voglia di arrampicarsi. Il suo influsso è soltanto incominciato, soprattutto in America, ma anche in Inghilterra, in Francia e in Germania. Egli ha elevato la sociologia dai discorsi generici, dalle facili osservazioni ovvie e dalle vacuità speculative, su un piano scientifico e, poteva ben dire, sdegnoso: La maggior parte di ciò che passa per sociologia è impostura.

Questo mondo incredibilmente ricco di esperienze, di sapere, di metodi scientifici è cementato dalla personalità di Max Weber. Egli stesso parlava sempre dell’argomento e poco volentieri di sé. Sulle sue riflessioni proiettava se stesso. Egli era presente con la sua sincerità e, pertanto, col suo puro carattere scientifico. Il quale era sorretto da una passione potente e non facilmente domata. Gli capitava di essere smodato, ma era anche in grado di correggersi. Il suo grande cuore era quasi onnipresente. La sua assolutezza morale non arrivò al fanatismo. Egli può apparire evidente solo a coloro che lo hanno incontrato di persona. Nella sua opera lo si può sentire soltanto attraverso la filosofia che, pur essendo toccata espressamente solo di rado, abbraccia ogni cosa.

La sua esistenza fu un incoraggiamento per tutti coloro che senza illusioni procedono verso l'avvenire, agendo fin tanto che è concesso, sperando finché non tutto è perduto. Egli fu l’uomo moderno che non si concede alcun velo, che in questa sincerità trova lo slancio della propria vita, che non consente di evadere nella disperazione. Egli s’impose come la ragione stessa, ed emerse dal grande disordine di fronte agli avanzanti flutti della storia e ai sussulti della propria vita.

 

Karl Jaspers

[ Basilea, 1958 ]