Wendell
Dalla strada, solo una chiazza di neon nel buio, un fuggevole balenio di lampadine nude, indicava la presenza del locale. Ma Wendell sapeva benissimo dov’era. Parcheggiò il Luv davanti all’Antlers, un vecchio bar fra Roundup e Delphia, e spense il motore. Il veicolo emise una specie di ticchettio e poi si zittí. Uno sciame di falene passò roteando. Sopra la musica metallica che giungeva ovattata da dentro il locale, un coyote ululò. Un altro gli rispose.
La sera prima Wendell si era stirato i jeans, poi quella mattina presto aveva lasciato Rowdy da Carol e si era avviato lungo la valle e fra le montagne e poi a sud attraverso gli altipiani dei Comanche – artemisia e ciuffi d’erba imperlati dalla prima brina della stagione, le foglie azzurre e gli steli secchi che si stagliavano netti nella luce sempre piú forte – e poi giú fra i Rimrock, e sulle grigie vie a senso unico che lo rendevano sempre nervoso, le mani rigide e scivolose sul volante, prima di parcheggiare finalmente dietro il tribunale in arenaria nel centro di Billings. Avevano portato Lacy ammanettata e in tuta arancione. Non ci avevano messo molto a condannarla a tre anni per possesso di metanfetamina piú un anno per negligenza dolosa e abbandono di minore. Lacy non l’aveva guardato neanche una volta. Non aveva guardato niente e nessuno. L’unica cosa che Wendell riusciva a pensare era che quella seduta lí fosse un’altra persona. La Lacy che conosceva lui avrebbe fatto il diavolo a quattro. Si sarebbe proclamata innocente, avrebbe imprecato contro di loro, preteso di vedere suo figlio.
Da quando era andata ad abitare con lui e sua madre, Lacy era sempre stata quella un passo avanti, quella a cui nessuno riusciva a star dietro. Quando frequentava l’ultimo anno delle superiori, al campionato di atletica distrettuale c’erano solo tre ragazze a correre gli ottocento metri, perciò le avevano fatte gareggiare insieme ai maschi. Wendell era lí a guardare dal bordocampo. Lui era arrivato primo al campionato distrettuale, e puntava a quello statale, ma poi si era preso una storta alla caviglia e strappato i legamenti, e adesso sperava solo di guarire in tempo per la successiva stagione di basket, quella del suo ultimo anno. Nella luce di mezzogiorno, i ragazzi e le ragazze erano schierati assieme, silenziosi, concentrati, nervosi – tutti tranne Lacy. Lei era lí che se la rideva, faceva l’occhiolino ai ragazzi e stuzzicava le altre ragazze, e 2 minuti e 9,23 secondi dopo lo sparo tagliò il traguardo, sconfiggendo tutti i maschi e stabilendo un nuovo record distrettuale. C’era stato anche un articolo sul giornale di Billings, con la foto di lei che faceva il gesto della pistola come se sparasse a qualcuno fuori dall’immagine. Come se sparasse a me, ricordava di aver pensato Wendell, ma non ne era sicuro, in realtà non lo sapeva a chi Lacy stesse sparando.
Qualche giorno dopo, subito prima dell’inizio del campionato statale, Lacy saltò sulla Mustang argentata del suo nuovo ragazzo, un trentenne di Roundup, e quella notte non tornò a casa. Per tutta la settimana non si fece vedere a scuola, né si presentò alle gare, e il giorno in cui lei avrebbe dovuto correre, Wendell caricò il fucile, lo mise nella rastrelliera del Luv e andò a Roundup. Si sentiva tradito, come se quello che aveva considerato importante non lo fosse piú, come se gli anni trascorsi a incoraggiarsi a vicenda sulla pista e sul campo fossero stati solo anni, e non una specie di promessa. A una stazione di servizio s’imbatté nel ragazzo di Lacy, che stava comprando Doritos, Mountain Dew e pseudoefedrina. Aspettò finché non lo vide attraversare il parcheggio, e a quel punto lo trascinò dietro un muro abbrancandolo per i lunghi capelli arruffati. Quando cercò di scappare, gli diede uno, due, tre pugni. Mentre il ragazzo si rotolava sanguinante nell’erba, prese il fucile, mise una pallottola in canna e lo puntò al collo di quel figlio di puttana. Il ragazzo balbettò che non sapeva dove fosse Lacy, che anche lui la stava cercando, che gli aveva rubato la macchina. La polizia trovò la Mustang settimane dopo, abbandonata sul ciglio di una strada fra Billings e Laurel, ma lui e sua madre non rividero Lacy fino all’inverno successivo, a metà dell’ultima, deludente stagione di basket di Wendell, quando arrivò a piedi dallo sterrato che portava al trailer. Aveva i capelli tagliati corti, era stremata e mezza morta di fame e incinta di tre mesi, e non si degnò di fornire una spiegazione per nessuna di quelle cose – né la scomparsa né la gravidanza né la cicatrice che le formava un ghirigoro sotto l’occhio destro.
Il cozzare delle palle da biliardo, roche risate maschili, fumo di stufa a legna, calore acido di birra e corpi – tutto questo investí Wendell quando varcò la soglia dell’Antlers. Sostò per un istante sulla porta, e la cosa gli parve buona e giusta, addirittura necessaria. Si diede uno sguardo intorno, scivolò su uno sgabello e ordinò un Beam accompagnato da una birra. Il whiskey gli andò giú sbocciandogli nelle viscere. Chiuse gli occhi soddisfatto. Dopo la morte della madre aveva fatto parecchi casini nei bar, e per un po’ aveva smesso di frequentarli. Ma quella sera doveva passare a prendere Rowdy, e non intendeva ricominciare con quella roba. Per il momento voleva solo godersi quel bruciore in corpo, e annegarlo con un paio di boccali gelati di birra leggera. Lasciarsi trasportare via da quel mulinello alcolico, lontano dall’immagine di Lacy cosí come l’aveva vista.
«Wendell! Uàu! Bello incontrarti qui! Come stai?».
Voltandosi, vide Jackie Maxwell che gli sorrideva. Jackie Maxwell in camicia senza maniche stile western e Wrangler attillati, troppo giovane per bere alcolici ma decisa a spacciarsi per navigata frequentatrice dell’Antlers. Jackie Maxwell che con una mano gli sfiorava la spalla.
«Cavoli, l’avresti mai detto che due ragazzini dello scuolabus si sarebbero ritrovati un venerdí sera qui all’Antlers?».
Jackie sollevò il suo drink – Coca-Cola e qualcos’altro – e lo sorseggiò da una piccola cannuccia verde.
Wendell non riuscí a non pensare a quanto era carina, e a quanto sarebbe stato maledettamente carino concedersi un po’ di rilassate chiacchiere da bar con lei e vedere dove la notte li avrebbe portati. Ma anche se Jackie, la simpatica figlia di simpatici hippie allevatori di capre, era nuova a tutto ciò, lui sapeva che sí, era probabile quanto lo spuntar del sole che due ragazzini dello scuolabus passassero la notte insieme lí all’Antlers. Perché mettersi su quella cattiva strada? Wendell sapeva a quali vicoli ciechi li avrebbe portati. Stava per andarsene dicendo che l’indomani doveva alzarsi presto, quando un’altra ragazza si uní a Jackie. Era alta, alta quasi quanto lui, i capelli lunghi, e neri come la notte, le spalle nude larghe e ossute. Anche lei indossava stivali, jeans e camicia scollata, ma se Jackie poteva ancora spacciarsi per una habitué, lei no di certo. No, lei sembrava arrivata da un altro paese, da un altro pianeta – somigliava alla Cherry dei Ragazzi della 56ª strada come lui se la immaginava. La nuova venuta si avvicinò a Jackie, e a lui venne da pensare a quando il vento scuoteva le foglie argentate dei pioppi lungo il fiume.
Jackie prese a braccetto l’amica e gliela presentò come Maddy. Poi si guardò intorno con aria cospiratoria e si sporse in avanti per bisbigliare. Maddy era ancora una bambina, disse. Ancora al liceo! La scuola privata di Billings… ma shhh, non bisognava dirlo a nessuno! Lavoravano insieme allo Starbucks sulla Grand, e… vediamo, cos’altro poteva dirgli? Loro due dovevano essere le piú grandi fan degli Avett Brothers in tutto il Montana. Comunque, quando Jackie aveva saputo che Maddy non era mai, mai stata a bere fuori la sera, be’, aveva capito che toccava a lei porre rimedio!
Jackie chinò la testa per bere e la cannuccia le sbatté contro il naso. Sbuffò, rise e affondò per un momento la faccia nel collo di Maddy. Poi fece un respiro profondo, si sventagliò con la mano aperta.
«Lui è Wendell… Dunque, Maddy, ora ti dico qualcosa di Wendell. Quando sono arrivata a Delphia, Wendell era il Gran Campione di Basket, e io ero una sfigata pazzesca, con degli occhiali ridicoli e delle stupide trecce, e una volta sullo scuolabus Wendell mi ha tirato una gomma da masticare e mi ha colpito proprio in testa… io ero tanto, tanto, tanto imbarazzata! Cioè, è una di quelle cose che per come la vedeva mia madre avrei dovuto riferire al mio terapeuta, ma il mio terapeuta era a Boulder, e i miei genitori erano troppo occupati con le loro capre, e credo sia per questo che da allora mi sono messa a fare cose avventate tipo venire a bere in un locale per cowboy nel mezzo del nulla anche se sono ancora troppo giovane».
Jackie simulò un’aria ferita, abbassando la testa e sospirando, bevendo il suo drink. Maddy invece sembrava arrabbiata per lei, come se cogliesse un aspetto della storia che a Jackie sfuggiva. Wendell si appoggiò con la schiena al bancone e si tolse il cappello da cowboy che aveva messo per andare in città.
«Speravo che non te ne ricordassi piú» disse. «All’epoca ero davvero un fetente».
Jackie si finse imbronciata ancora per un momento, poi si sollevò raggiante in punta di piedi.
«Lo so io come puoi farti perdonare! Mi offri un altro rum e Coca?».
Wendell le prese il bicchiere e si rivolse a Maddy.
«Giusto cosí. Ne vuoi uno anche tu?».
Maddy guardò Wendell dritto in faccia, scrutandolo. Per un istante gli ricordò Lacy: l’inclinazione della mascella, il lampo che aveva negli occhi.
«No, grazie» disse. «Devo guidare».
Le ore trascorsero in fretta. Il locale si saturò dell’odore speziato del fumo di pino. Qualcuno mise al juke-box una sfilza di canzoni di George Strait. Due uomini che Wendell non riconobbe, forse lavoratori stagionali alla miniera di Klein Creek, si tolsero la camicia e cominciarono a fare a botte, ma si interruppero dopo appena un paio di pugni, e uno dei due usò la propria camicia per tamponare il sangue che usciva dal naso dell’altro. Wendell bevve piú di quanto avesse avuto intenzione di fare. Un altro paio di whiskey prima di assestarsi sulla birra, e ogni volta si ritrovava a fissare il fondo della bottiglia vuota dopo che gli era parso di aver mandato giú appena due sorsi. Nessuno ballava, ma quando al juke-box partirono le canzoni che aveva messo lei, Jackie fece un urletto di gioia, tirò in piedi Wendell e lo trascinò in un giro di danza intorno alla stufa. Gli stava tutta appiccicata. Gli altri uomini nel bar li guardavano con un misto di derisione e invidia. Jackie continuò a tenergli la mano mentre tornavano agli sgabelli, poi si passò il suo braccio intorno alla spalla. Era una bella sensazione, la mano sulla pelle nuda del braccio di lei, il suo peso lieve contro la cassa toracica.
Quando Jackie gli chiese di Rowdy, e lui le rispose che il bambino aveva cominciato a mangiare pasta col pollo come se non ci fosse un domani, e che probabilmente la settimana successiva avrebbe iniziato la scuola, allora Maddy disse qualcosa anche lei. Di tanto in tanto aveva accostato la testa a quella di Jackie, e un paio di volte lui l’aveva sorpresa a guardarlo, anche se poi aveva subito distolto lo sguardo e si era messa a canticchiare la canzone che stava passando al juke-box. Ora invece stava ascoltando con attenzione.
«È figlio tuo?» gli chiese.
«No, di mia cugina. L’hanno arrestata. Oggi ha avuto la condanna. E a quanto pare io sono il parente piú prossimo. O sta da me o in comunità alloggio».
Jackie emise un suono fievole e triste dal fondo della gola, e gli strinse piú forte il braccio.
«Sono cosí contenta che sta con te. Poverino, deve aver vissuto cose terribili. Dovresti vederlo, Maddy. È magro come un chiodo, ma carinissimo».
Maddy si accigliò, scosse la testa.
«Forse non è tanto quello che ha vissuto, ma quello che non ha vissuto. Quello che si sta perdendo».
Attraverso l’offuscamento della birra e del whiskey, del fumo di legna e della musica country, Wendell cercò di sbrogliare la matassa di quelle sue parole. Intendeva dire che lui per Rowdy era inadeguato? Che qualunque cosa facesse non sarebbe bastata? Che le persone come lui – sua madre, suo padre, Lacy – semplicemente non ce la potevano fare? Sentí la mascella che gli si irrigidiva. Cercò di lasciar perdere, ma ora ai margini del suo campo visivo il mondo fiammeggiava. La solita vecchia vergogna, la solita paura e rabbia nel venire esaminato, giudicato, trovato manchevole. Come i giorni e mesi dopo che il suo vecchio se n’era andato, come la sera della partita del campionato di divisione, come gli ultimi mesi dell’anno conclusivo, dopo che Lacy era scomparsa definitivamente, come ogni volta che doveva andare a Billings a parlare con quei tizi in giacca e cravatta alla banca, come quando passava una sera su due al bar dopo che sua madre era stata trovata accasciata sul sedile davanti della sua Cavalier, con un tubo di gomma che collegava lo scappamento al finestrino.
«E tu cosa ne sai, Miss Scuola Privata? Cosa ne sai di mia cugina con la testa fottuta dalla metanfetamina, di suo figlio che non dice una cazzo di parola? Tu hai un sacco di esperienza, vero? Magari l’hai visto in TV? Hai fatto un corso? Dato che l’esperta sei tu, d’ora in avanti mi rivolgerò a te quando ho dei dubbi».
«Wendell, smettila. Non intendeva in quel senso».
Jackie gli teneva ancora il braccio, ma adesso non si appoggiava piú a lui.
Wendell tirò via il braccio e rovesciò una bottiglia di birra, che tintinnò, rotolò e cadde a terra con un tonfo. Aprí il portafoglio, buttò un rotolo di banconote sul bancone, poi fece un giro su se stesso, urtò un altro tavolo. Altre lattine e bottiglie si rovesciarono e frantumarono. Le luci erano forti e violente nei suoi occhi umidi. Per poco non capitombolò sopra una sedia, ma finalmente riuscí ad arrivare alla porta, che qualcuno gli aprí, cosa che lo fece imbestialire ancora di piú.
Quando aveva otto anni aveva rubato la pistola giocattolo a pietra focaia di un altro bambino. Santiddio, era bellissima.
Il bambino, Daniel McCleary, uno che abitava in paese, coi capelli impomatati e la scriminatura poco sopra l’orecchio destro, si era piazzato in piedi vicino alla lavagna e aveva fatto girare la pistola fra i compagni durante la presentazione di oggetti portati da casa, raccontando le sue vacanze nelle Black Hills: il rettilario, la piscina con gli scivoli, il negozio di souvenir dove la madre gli aveva comprato la pistola e un berretto di pelo di procione. Wendell aveva tastato il legno lucido, la doppia canna nera, fredda e liscia. Aveva tirato indietro il cane e puntato l’arma verso la lavagna. Aveva premuto il grilletto. Snap, snap. I due percussori avevano fatto proprio quel rumore, uno scatto e poi l’altro. La bambina nel banco dietro il suo gli aveva dato un colpetto sulla spalla. Wendell aveva fissato la pistola ancora per un istante, poi gliel’aveva passata.
Non c’era stata premeditazione. Durante l’intervallo era andato in bagno… ed eccola lí, nell’armadietto di Daniel. Fu come se i suoi muscoli avessero messo in moto le ossa senza interpellarlo. Si infilò la pistola nella cintola dei jeans, la coprí con la T-shirt. Nel trambusto dell’intervallo nessuno fece caso a lui quando buttò la pistola nei cespugli sempreverdi davanti alla scuola, dove, diverse ore piú tardi, dopo che era suonata l’ultima campanella, mentre i bambini correvano qua e là e si ammassavano sugli scuolabus, tornò a prenderla e la mise nello zaino.
Questo però era successo dopo una giornata di angoscia. Quando erano rientrati dopo l’intervallo, Daniel – il cui padre era pastore della chiesa congregazionalista e la cui madre era presidente dell’associazione genitori-insegnanti e del circolo delle donne repubblicane di Delphia – aveva incolpato del furto Freddie Benson. La famiglia di Freddie era arrivata in paese solo un paio di anni prima, con quattro figli maschi e cinque o sei uccelli in gabbia e una collezione di lampade, trasferendosi in una delle cadenti case vittoriane costruite ottant’anni prima dai magnati delle ferrovie. La madre di Freddie, che due o tre volte all’anno si tingeva i capelli di un arancione scioccante, faceva la barista allo Snake Pit, l’unico locale rimasto a Delphia, mentre il padre, un uomo enormemente grasso, passava quasi tutto il giorno stravaccato su una sdraio in veranda a fumare sigarette e leggere western o romanzetti sentimentali, e a volte si addormentava a bocca aperta lí fuori dove tutti lo potevano vedere. Freddie spesso gli soffiava i romanzetti e se li portava a scuola, e durante l’intervallo tutti i bambini gli si radunavano intorno dietro la struttura per l’arrampicata, dove insieme cercavano di trovare le scene di sesso. Freddie sgraffignava al suo vecchio anche le sigarette, e un paio di volte l’avevano beccato a rubare caramelle al negozio di alimentari. E una volta i suoi l’avevano lasciato col fratello piú grande, sempre intento a trafficare con la sua Trans Am nel cortile davanti a casa, e lui aveva messo fuori della carne cruda per attirare i gatti dei vicini. Il vicesceriffo alla fine era arrivato e aveva risolto la faccenda, ma giravano voci sulle cose che nel frattempo Freddie aveva fatto a quei gatti. Ficcarli dentro delle federe e immergerli nelle cisterne per l’acqua piovana. Legarli l’uno all’altro col nastro adesivo. Dargli fuoco.
Quel mattino, dopo l’intervallo, Daniel pianse, e con urla e strepiti additò Freddie, e l’insegnante lo chiamò in corridoio e gli chiese se era stato lui e alla fine lo portò in presidenza. Freddie non protestò. Non sembrava neanche spaventato. Wendell invece era atterrito. Per tutto il resto della giornata non riuscí a concentrarsi, e finí per avere il suo nome scritto sulla lavagna con accanto due segni di spunta. Una volta il suo vecchio l’aveva picchiato con una cintura di cuoio – picchiato cosí forte che le due notti successive aveva dovuto dormire sulla pancia – solo perché si era intascato un dollaro e qualche spicciolo lasciati sul bancone della cucina.
Quel pomeriggio, sentendo il peso della pistola nello zaino, Wendell scese dallo scuolabus, aspettò che scomparisse lungo la strada conteale, poi si inoltrò nelle Bull. In cima a una collinetta, su una grande lastra di arenaria, tirò fuori la pistola e la posò al centro del pietrone, come un’offerta. Non aveva mai avuto un giocattolo cosí bello, era sicuro che non ne avrebbe mai piú avuto un altro. Sapeva – dai suoi jeans di seconda mano, dalle pareti sottili del loro trailer, dalle patatine non di marca comprate da sua madre – che la sua era una famiglia povera. Sapeva anche che la famiglia dei Benson era povera, ma in un altro senso – piú triste, piú squallido. Non era sicuro di come fossero i McCleary, se fossero ricchi o no, ma di sicuro non erano poveri. Avevano un furgoncino bordeaux e un prato verde, e Daniel riceveva un paio di scarpe da ginnastica nuove due volte all’anno. Sembravano il tipo di gente che si vede in televisione. Wendell sapeva che invece lui e il suo vecchio non lo sembravano, e neanche sua madre, nonostante i capelli lustri e le ricette prese dai programmi del mattino. Ogni volta che andavano a Billings a fare la spesa, o a vendere pecore al mercato del bestiame, si sentiva osservato. La pelle bruciata dal sole e dal vento, le membra ossute, i movimenti impacciati. Un paio di volte era stato al centro commerciale e aveva visto dei suoi coetanei, ragazzini di città, e loro avevano visto lui. C’erano distanze che non potevano essere colmate, geografie intricate, mutevoli, impossibili da mappare. Quel pomeriggio, sulla collinetta, era rimasto nel vento e aveva tastato ancora una volta le curve lustre della pistola, poi aveva eretto un tumulo ricoprendola di pietre.
Anni dopo, Freddie mollò la squadra di basket, si lasciò crescere i capelli e si fece i buchi alle orecchie, dopo che tutti avevano cominciato a chiamarlo Freddie il Culattone, e una sera, mentre da sbronzo faceva avanti e indietro per la Main con la Trans Am del fratello insieme a tutti gli altri, andò a schiantarsi a ottanta chilometri all’ora contro la facciata della scuola. Sopravvisse, ma quell’episodio lasciò Wendell parecchio scosso. L’indomani cercò di rintracciare il tumulo. Lui e Lacy girarono tutto il giorno per le montagne, e lei continuava a chiedergli cosa stava cercando, e lui non glielo voleva dire, e alla fine non lo trovarono. Lacy era incazzata nera. Quella sera, anche se lui aveva una partita, lei prese il Luv e andò in paese da sola. Lui dovette aspettare il ritorno della madre e per poco non arrivò in ritardo. Mentre lei lo accompagnava, si chiese se non si fosse inventato tutto, se per qualche motivo non ricordasse male. Cosí tante cose stavano cambiando che cominciava a trovare difficile distinguere fra realtà e sogno, fra cose desiderate e cose accadute. Davvero aveva rubato quella pistola? Davvero Daniel McCleary, adesso playmaker e capoclasse, aveva pianto a quel modo? Davvero il padre di Toby Korenko avrebbe perso il ranch ereditato dalla famiglia? Se fosse andato a Billings, davvero avrebbe trovato Freddie in ospedale con un collasso polmonare e un’intossicazione da alcol? Davvero quell’anno avrebbero vinto il campionato statale?
Mentre dopo cena sparecchiavano, sfiorava la spalla della madre. Mentre camminavano sulle Bull, sbatteva contro Lacy, gomiti e anche che si urtavano, dita che si sfioravano. Attendeva un passaggio di Toby o Daniel, sentiva l’impatto della palla fra le mani, lo schiocco della palla che entrava nel canestro, il boato della folla. E per un momento sapeva che era la verità, e il mondo smetteva di turbinare. Ma poi svanivano sempre, la consapevolezza, il boato, il contatto. La doppia canna della pistola era lustra sotto le sue dita, e poi non c’era piú.
Qualche giorno dopo la serata all’Antlers, un mercoledí pomeriggio, mentre il vento sollevava mulinelli di polvere, Wendell era appoggiato al suo Luv. Frugò nella tasca di dietro dei pantaloni per cercare il tabacco, e prese invece il medaglione d’argento che aveva trovato sul tavolo della cucina la mattina dopo essersi imbattuto in Jackie e la sua amica. Doveva esserselo messo in tasca durante la corsa in stato semiconfusionale per andare a prendere Rowdy da Glen e Carol e riportarlo al trailer prima che, quel sabato, arrivasse l’assistente sociale. Ora se la rigirò in mano, quell’immagine di un lupo ululante inquadrato in un mirino. Quel medaglione non lo riconosceva, e gli venne l’inquietante pensiero che qualcuno fosse entrato nel trailer mentre lui non c’era e l’avesse lasciato lí. Una patina di sudore freddo gli ricoprí il collo, tutta la spina dorsale.
No, nessuno sarebbe entrato di nascosto solo per lasciare quel gingillo, e gli era parso che non mancasse niente. I fucili, l’unica cosa di valore che ci fosse lí dentro, erano ancora nell’armadio – li aveva visti quella mattina stessa. Magari era stato il bambino a riesumarlo da qualche anfratto del trailer. Doveva essere del suo vecchio, o suo di quand’era bambino, una cosa che gli aveva dato un compagno in cambio di qualcos’altro. Era un bell’oggetto. Se lo rigirò fra il pollice e l’indice, facendo ruotare il lupo sullo sfondo dei cespugli di creosoto e artemisia. In lontananza si sollevò la polvere sulla strada, e si intravide il riflesso arancione dello scuolabus da Delphia, che riportava a casa Rowdy dal suo terzo giorno di scuola.
L’assistente sociale l’aveva avvisato che sarebbe stato un momento critico. Rowdy aveva affrontato bene il cambiamento che comportava andare a vivere con lui, meglio di quanto lei avesse previsto, ma cominciare la scuola, per quanto necessario, l’avrebbe posto di fronte a nuove difficoltà. Avrebbe avuto bisogno del sostegno di Wendell, della sua presenza. Lui si era ficcato le mani nelle tasche, annuendo. Non aveva accennato al fatto che appena la sera prima, ubriaco fradicio, si era dimenticato di andarlo a prendere da Glen e Carol. E nemmeno che, quando finalmente quella mattina ci era andato, Carol gli era venuta incontro in accappatoio e gli aveva detto che quella notte, quando aveva capito che non sarebbe tornato a casa, Rowdy aveva cominciato a buttare le cose a terra e a prendersi a pugni da solo, e si era addormentato, esausto a forza di gridare, solo dopo mezzanotte. Carol l’aveva scrutato a fondo, sentendo sicuramente la puzza di alcol che ancora si alzava da lui. Tenendo l’accappatoio chiuso all’altezza della gola, si era girata, era rientrata in casa e aveva spedito fuori Rowdy. Il bambino si era fermato sui gradini, nei suoi jeans e nella sua T-shirt macchiata. Aveva guardato Wendell battendo le palpebre e tremando nell’aria fredda del mattino. Sembrava star bene, sembrava come al solito, e Wendell sentí una stretta al petto, sentí che il petto quasi gli si squarciava per la tristezza, per la vergogna. Quante notti Rowdy aveva trascorso ad aspettare che Lacy tornasse a casa? Quante notti lui stesso aveva trascorso a desiderare che suo padre spuntasse dalle montagne? Non sarebbe piú successo, giurò a se stesso in piedi nella luce pallida, mentre il bambino tamburellava con le dita sulle guance. Mai piú, cazzo, neanche una volta.
In una nube di polvere, lo scuolabus si fermò davanti a lui e le porte si aprirono. Rowdy scese saltellando di scalino in scalino e sollevò anche lui un piccolo mulinello di polvere mentre toccava terra e correva verso il Luv. Wendell fece per seguirlo, ma il conducente – ormai calvo e ancora piú grasso di come lo ricordava Wendell all’epoca in cui era lui a prendere quello scuolabus – lo chiamò, si sporse dal sedile e gli allungò un foglio ripiegato. Il preside voleva essere sicuro che lo ricevesse, gli riferí. Wendell salí a bordo, assalito dal solito vecchio odore di finta pelle e sudore, prese il biglietto, ringraziò il conducente.
Lo scuolabus si allontanò rombando, e il vento spazzò la strada sollevando granelli di ghiaia. Rowdy stava già saltellando sul pianale del pick-up. Wendell aprí il biglietto.
A cena Rowdy tamburellò sulle guance, si dimenò sulla sedia, rovesciò il latte. Poi chiuse gli occhi, fece una smorfia e cominciò a gridare. A gridare e a dondolarsi avanti e indietro e a scalciare.
«Ehi, amico, è solo latte. Sono cose che capitano».
Rowdy tirò via le dita dalle guance e cominciò a prendere a manate il tavolo. Rovesciò il piatto schizzando ketchup sulla parete, buttando a terra le crocchette di patate.
«Ah, Cristo. Cristo santo».
Wendell prese in braccio il bambino e si lasciò cadere con lui sulla poltroncina. Rowdy continuava a gridare e sgroppare. Lui lo teneva stretto, e il bambino lo prendeva a gomitate, faceva forza coi talloni contro i suoi stinchi. Wendell non cedette e continuò a tenerlo stretto e a cullarlo.
L’indomani avrebbe dovuto andare a Delphia a parlare col preside. Questo c’era scritto nel biglietto. Durante il primo intervallo alcuni compagni avevano preso in giro Rowdy, e durante l’intervallo di mezzogiorno lui era salito dietro uno di loro sulla struttura per l’arrampicata e l’aveva fatto cadere di testa. Il bambino si era rotto un braccio, e mentre piangeva riverso a terra, prima che arrivasse l’insegnante, Rowdy gli era salito addosso, aveva formato una pistola con le dita e – Pum! Pum! – aveva fatto finta di sparargli in faccia. Poi aveva rifatto la stessa cosa in presidenza. Aveva guardato dritto negli occhi il preside e premuto il grilletto. Una cosa del genere non era ammissibile. Nemmeno in un posto come quello.
Il respiro di Rowdy si regolarizzò e le sue mani si placarono, mentre i suoi mille piccoli muscoli scatenati cominciavano a rilassarsi. Wendell continuò a cullarlo. Avrebbe voluto non sapere come poteva accadere una cosa simile, invece lo sapeva benissimo. Un insegnante aveva voglia di fumarsi una sigaretta o stava per divorziare o semplicemente preferiva lasciar correre e girarsi dall’altra parte mentre un branco di ragazzini prendeva in giro uno come Rowdy, perché sul momento era la cosa piú facile. Ma la cosa facile era quasi sempre la cosa sbagliata. Il suo vecchio lo ripeteva spesso. Ricordò suo padre che lo guardava negli occhi, e in un certo senso si sentí fiero del fatto che Rowdy non avesse imboccato la via facile.
Ma come faceva ad andare in paese a parlare col preside, visto che avevano sospeso Rowdy per il resto della settimana? Non poteva piú portarlo da Carol. Non dopo quello che era successo nel fine settimana. E non poteva lasciarlo solo. Era quello che aveva fatto Lacy.
Wendell continuava a cullarlo e cullarlo, e Rowdy cadde in un sonno profondo, convulso, e il suo piccolo corpo si mise a sussultare scosso dai sogni. Wendell si trovò a ripetersi nella testa i due versi del Macbeth che gli erano rimasti piú impressi. Com’è la notte, ragazzo? chiede Banquo al figlio Fleance, che è di guardia. E Fleance risponde: La luna è tramontata, non ho sentito le ore.
Com’è la notte, ragazzo? La luna è tramontata, non ho sentito le ore.
Com’è la notte, ragazzo? La luna è tramontata, non ho sentito le ore.
Com’è la notte, ragazzo? La luna è tramontata, non ho sentito le ore.
Il modo in cui quei due versi cozzavano fra loro, col padre che si informa non del figlio ma della notte, e la risposta del figlio che riguarda esattamente quello, la notte… tutto questo gli stringeva il cuore in un modo meraviglioso. Da quando Whearty aveva messo in scena con loro quella tragedia erano trascorsi quasi quindici anni, e in quel periodo Wendell aveva spesso salmodiato fra sé quei versi mentre aggiustava una staccionata o guidava la mietitrebbia o recuperava un capo disperso. A recitare la parte di Fleance era stato Freddie Benson, e in entrambe le repliche aveva farfugliato e incespicato su quella battuta – La luna è tramontata, non ho sentito le ore – e Wendell si era arrabbiato. In un certo senso era ancora arrabbiato. Dopo lo spettacolo, mentre tornavano a casa, si era lamentato di Freddie con sua madre. Aveva cercato di spiegarle quanto erano importanti per lui quelle parole e, pur ascoltandolo, lei si era limitata a carezzargli la testa, dicendogli di non preoccuparsi, che lui era stato un fantasma bravissimo e spaventosissimo.
Non aveva piú visto Glen e Carol da quando il sabato prima era andato a prendere Rowdy. La settimana precedente si era accordato con Glen per dare una sistemata alle staccionate vicino a casa, in modo da poter andare a prendere Rowdy allo scuolabus. L’indomani però avrebbe dovuto aiutarlo a preparare i recinti per la vendita del bestiame. Pensò di chiamarlo per dirgli che era malato, e l’indomani andare a piazzare le trappole sulle montagne insieme a Rowdy. Pensò di chiamare la scuola di Colter e iscrivere Rowdy lí, il che probabilmente avrebbe significato percorrere la via piú facile, è vero, però era l’unica via che gli veniva in mente. Pensò a bambini tristi e convulsi e a parole tristi e dure, e alle pistole che tutt’a un tratto formiamo coi nostri pugni.
La poltroncina cigolò sotto di loro. Granelli di polvere volteggiavano davanti alla lampada. L’oscurità delle montagne si addensava alle finestre.