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In piedi vicino a me, Helen era ancora più piccola di quanto mi era sembrata quando l’avevo vista dalla finestra. Sapevo che aveva otto anni, ma ne dimostrava cinque.
Mi sorrise. Aveva l’odore dei marshmallow bruciati. Conoscevo bene quell’odore. In macchina, non avendo fornelli, tostavamo i marshmallow con l’accendino.
Helen non smetteva mai di parlare. Mi ci volle solo qualche minuto per rendermi conto che non aveva la minima idea di chi fosse o da dove venisse. Disse di avere una mamma bianca. Di avere una mamma nera. Di avere dieci fratelli e undici sorelle. Di aver vissuto in un posto. Di aver vissuto in un altro. Vicino a una spiaggia. Vicino a un parco. Di venire dall’Etiopia e dalla Finlandia. Di essere nata in casa. Di essere nata in ospedale. Di avere un fratello e una sorella gemelli. Di avere due sorelle gemelle. Di essere stata in case di cattolici, mormoni, testimoni di Geova.
Era l’esempio perfetto di bambina data in affidamento: troppe case, troppe persone, troppi cambiamenti. Nessuno le aveva mai insegnato a non tormentarsi le croste. Nessuno le aveva mai insegnato a togliersi i denti da latte con lo spago.
Aveva vissuto in case dove mangiava solo cereali. In case dove era costretta a riutilizzare il filo interdentale e le bustine del tè, e le davano solo un foglio di carta igienica al giorno. In case dove dormiva sul pavimento del corridoio.
Spesso parlava di sé in terza persona. Nessuno la correggeva.
Helen diceva: Helen non sa di sciroppo d’acero. Helen sogna sempre un Natale con la neve in Florida, e non beve abbastanza acqua. A Helen piacciono i baci sulla fronte. Qualche volta vorrebbe dormire per sempre, e non le darebbe fastidio essere incinta. Helen si sente meglio dopo una doccia e sa che se hai le tarme nei vestiti basta metterli nel microonde. Uccide tutti gli insetti, perfino quelli dei letti.
Leo si limitava ad accettare le sue chiacchiere e io finii con il fare lo stesso. Non c’era modo di seguirle per cercare di capire la sua vita.
Leo disse: Helen, fai vedere a Pearl la tua collezione di telefoni.
Helen andò in camera sua e tornò poco dopo con un sacchetto di plastica del supermercato, che rovesciò sul pavimento. C’erano almeno diciassette cellulari e caricatori.
In tutte le famiglie affidatarie in cui è stata le hanno sempre dato un telefono e le hanno detto di tenersi in contatto, spiegò Leo. Ormai sono così tanti che lei non sa nemmeno più se funzionino, o a quale casa appartengano. Le ho promesso che un giorno o l’altro cercherò di sistemarglieli.
Sì, disse Helen. Questi sono i telefoni di tutte le case di Helen.
E cosa ne farai? le chiesi.
Helen telefonerà alle persone della sua famiglia, e anche alle sue amiche Lulu, Gina e Romey, disse Helen. Vuole telefonare alle sue migliori amiche per chiacchierare con loro, per chiedergli, tipo: ti piacciono i gatti? Cose così. Un sacco di gente vuol bene ai gatti. Sono carini. Morbidi. A Helen piacciono molto.
Te li aggiusto io, disse Leo. Prima di tutto dovremo metterli in carica. Ci aiuterà Pearl.
Poi tornò a mordicchiarsi la manica, fissando il groviglio di cavi e caricatori.
Sì, certo che vi aiuterò, dissi.
Helen strisciò fino al punto del pavimento in cui mi ero seduta e si piazzò molto vicino a me. Mi strofinò la fronte contro l’avambraccio.
Ehi, disse. Puzzi di insetticida.
Avevo ancora l’odore della Mercury. Il Raid mi era penetrato in profondità nella pelle.
Forse quelle conversazioni avvennero nel corso di diversi giorni. Non me lo ricordo. Ci sono solo due cose che di sicuro successero il primo giorno. Trovai Leo e scoprii che non avrei avuto bisogno di preoccuparmi per le sigarette.
Quella prima sera, a cena, il signor Brodsky mi disse: Pearl, hai fumato, vero?
Sì.
Sento l’odore.
Sì, sì, risposi, perché non ero mai stata una bugiarda. Non mi avevano insegnato a mentire. Mia madre diceva sempre che un bugiardo non guarisce mai, non migliora mai, non smette mai di dire bugie, e basta guardarsi intorno per scoprire che non esiste un’associazione bugiardi anonimi.
Fumi molto? chiese il signor Brodsky.
Tutte le volte che posso.
Non ti preoccupare. Se vuoi le sigarette, te le compro io. Sei una ragazzina che ha appena perso la madre, perciò, se vuoi fumare, puoi farlo. Che marca ti piace?
Camel.
E Camel sia, rispose il signor Brodsky.
Il dio delle sigarette mi stava dando la fede.