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Eli si prendeva il mio posto.

Mi sbatteva fuori dalla macchina.

Gli stivali da cowboy li teneva fuori, vicino allo pneumatico anteriore sinistro. Buttava il giubbotto di jeans sul cofano e appoggiava gli occhiali da sole su un tergicristallo.

Non bussava mai.

Mia madre sentiva i suoi passi da lontano. Magari stavamo cantando, o mangiando qualcosa, oppure lei mi aiutava a fare i compiti, e all’improvviso alzava gli occhi e si interrompeva. Si lisciava i capelli biondi e ricci e si infilava una zolletta di zucchero in bocca.

E ogni volta, dopo qualche minuto guardavo fuori dal finestrino e vedevo Eli che si avvicinava. Fissava il cielo. Non so perché non inciampasse mai, o non camminasse incerto, come chi sta cercando di non calpestare le crepe. Guardava in alto, verso il cielo, e alla terra non importava.

Vai fuori a giocare. Avanti, esci. Trovati qualcosa da fare. Via da questa macchina, diceva mia madre.

Mentre io uscivo da una portiera, Eli entrava da quella opposta. Andava sempre dritto verso il sedile posteriore, come se fosse un letto.

Vai fuori a giocare, mi diceva mia madre.

Io uscivo nel campo roulotte, ma in realtà non avevo nessun posto dove andare.

Qualche volta ero fortunata e potevo stare con April May, ma nella maggior parte dei casi arrivavo fino alla zona ricreativa e mi sedevo sull’altalena per un’ora o due, finché non intravedevo Eli che usciva dalla Mercury e tornava verso la roulotte del pastore Rex.

Ogni tanto andavo giù al fiume, ma avevo paura di restare da sola per via degli alligatori.

E non andavo mai nemmeno alla discarica. Trovare la carcassa marcia di un cane con April May era una cosa, trovarla da sola era un’altra.

L’ultima volta in cui ci eravamo andate, lei aveva trovato un sacchetto di plastica pieno di vecchie pelli di serpente ormai secche. Io avevo trovato una pallottola completa di incamiciatura in ottone dentro una bottiglia di vino. Scintillava sotto il vetro e dovetti rompere la bottiglia per tirarla fuori. Graffiate malamente su un lato c’erano le lettere V e P.

Oddio, disse April May, su quella pallottola c’è il nome di qualcuno.

Non credo che sia mai stata usata.

Portala con te. Magari ti servirà.

Ma certo, mica la lascio qui, risposi, e infilai la pallottola-genio della bottiglia nella tasca dei jeans.

Dopo qualche giorno di vagabondaggi per il campo roulotte, senza nessun posto dove andare, mi resi conto che Eli aveva intenzione di passare nella nostra macchina ogni momento in cui mia madre non era al lavoro.

Ormai la Mercury aveva il suo odore perfino quando lui non c’era. Era colonia Brut, spiegò mia madre. Lo dissi a April May e lei lo ripeté a Rose, che le rispose che era la marca che usava sempre Elvis Presley.

C’era una roulotte abbandonata sul retro del campo. Gli ultimi inquilini erano stati una giovane donna e il suo bambino di due anni. Il marito della donna era stato gravemente ferito in Iraq ed era finito ricoverato all’ospedale dei reduci. Sapevo che era morto per le ferite e la moglie era tornata a vivere a Tampa con i genitori.

Ora che Eli era sempre nella mia macchina, controllai le condizioni della roulotte vuota. Ero stufa di gironzolare per il campo senza sapere dove andare, e avevo bisogno di un posto dove fare i compiti e tenermi al riparo dalle zanzare.

La roulotte era pulita. Certe case mobili sono molto raffinate e hanno perfino delle stanze, ma questa qui era semplicissima. Un unico locale, molto lungo e stretto. Da un lato c’erano una cucina, un piccolo bagno con doccia e un bancone con due sgabelli rimasti lì; dall’altro uno stretto letto a castello. La branda di sopra era una struttura vuota, ma quella di sotto aveva ancora un vecchio materasso. Sulla testiera di legno c’erano dei graffiti. Scavate con un sottile temperino o un coltellino da cucina si leggevano le parole: STO ASPETTANDO LA COMETA DI HALLEY DEL 2061.

Dimenticati sul pavimento trovai un libro per bambini e un camion giocattolo. Il libro era uno di quelli da colorare, con disegni di pistole, fucili, carabine e mitragliatrici. Il titolo sulla copertina era Il libro delle armi.

Nei cassetti della cucina, un pacco di bende, un coltello da caccia con un lungo manico d’osso bianco giallastro e una tazzina da caffè piena di mosche artificiali. Sulla tazzina, da un lato la foto di una balena e dall’altro le parole SeaWorld Orlando.

Sotto il lavandino, due scatole ancora chiuse di grossi sacchi neri per la spazzatura e uno sturalavandini.

In bagno, una saponetta verde ancora incartata e un asciugamano macchiato appeso dietro la porta.

Man mano che i giorni si trasformavano in settimane, passare il tempo dentro la roulotte vuota diventò un’abitudine, dato che Eli entrava nella Mercury quasi tutti i pomeriggi e se ne andava tardi, quando ormai per me era ora di dormire.

Mia madre non mi chiese mai dove andassi e cosa facessi. Sotto i miei occhi il suo amore per Eli la rese sonnolenta. Le era difficile alzarsi la mattina e prepararsi per il lavoro.

Mi diede qualche spiegazione per la sua sonnolenza.

Ho troppe domande che mi girano per la testa, disse. E non mi fanno dormire.

Che tipo di domande? le chiesi.

Di tutti i tipi, rispose lei. Gli animali si parlano tra loro? Dopo che uno è morto dobbiamo ancora mantenere la promessa che gli abbiamo fatto? Sai, cose così… La mia vita è importante? Mi chiedo perfino se il signor Non Tornare tornerà. Sento la sua mancanza.

Una sera, quando uscii dalla roulotte vuota per andare a dormire, incontrai il pastore Rex. Era immobile dietro il cancello di ingresso del campo, nascosto da un albero. Teneva lo sguardo fisso verso il parcheggio visitatori e la nostra auto. Da lì poteva vedere mia madre seduta sul sedile posteriore, sulle ginocchia di Eli.

Sapevo che Eli si trovava proprio nel punto che nelle speranze del pastore Rex sarebbe dovuto diventare il suo posto. Prima che Eli andasse a vivere con lui, il pastore Rex aveva immaginato di ammobiliare il sedile posteriore della Mercury con la sua roba.

Non mi aveva vista e non mi aveva sentita arrivare, perciò indietreggiai di qualche passo, sotto l’ombra di un albero. Ero così piccola che era sempre facile per me scomparire.

Guardai il pastore Rex frugarsi nella tasca del giubbotto e tirare fuori un pacchetto di Marlboro e un accendino. Si accese una sigaretta e la fumò con calma, guardando mia madre e Eli. La fumò come se stesse consumando ogni speranza. Fece un tiro profondo, lo trattenne nei polmoni, ma poi non lo buttò fuori. E fumò così l’intera sigaretta. Il pastore Rex guardò, e io guardai, Eli sfilare la camicia a mia madre. Guardò, e io guardai, Eli chinarsi a baciarle i seni piccoli. Guardò, e io guardai, mia madre baciargli la faccia.

Quando il pastore Rex ebbe finito di consumare le sue speranze, gettò a terra il mozzicone, lo schiacciò sulla ghiaia con il tacco della scarpa, si voltò e tornò in fretta verso la sua roulotte.

Anch’io mi voltai e tornai verso la mia roulotte vuota, dove restai per un’altra ora. Non avevo nient’altro da fare.

Ora che mia madre era innamorata di Eli, lo assaporava profondamente e otteneva solo una fame da pozzo senza fondo. Non sarebbe mai più stata sazia.

Quando Eli se ne andò e io tornai in macchina, la guardai leccarsi le palme delle mani in cerca del suo sapore, come un gattino.

Di notte dormiva con addosso una delle sue camicie, e si agitava inquieta nel sonno.

Se mia madre avesse visto un’altra donna in quelle condizioni, le avrebbe fatto la diagnosi in un attimo. Avrebbe detto: Pearl, è come nella canzone I Asked For Water (She Gave Me Gasoline):7 lei gli chiede acqua, ma lui le dà benzina.

7 Di Howlin’ Wolf (N.d.T.)