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Il signor Non Tornare era tornato.

Mentre ascoltavo la storia, sapevo esattamente cosa aveva pensato mia madre nel momento in cui lui le aveva sparato. Quello che Rose aveva definito il morbo dell’empatia di mia madre era la mia eredità. Me l’aveva passato, come la paura delle perdite di gas dai fornelli della cucina.

Ascoltai tutta la storia da Noelle quando venne a prendermi a scuola. Prima di allora non l’avevo mai vista fuori dal campo roulotte, tranne che in chiesa.

Il giorno della morte di mia madre, quando uscii dall’edificio scolastico, Noelle camminò verso di me con la sua andatura rigida, in punta di piedi, da Barbie.

Non si può tornare a casa da soli, mi disse.

Perché?

Il silenzio è anche un giudizio. Un coniglio può aver paura della luna. La morte visita ogni casa.

Per favore, spiegami. Sii chiara.

Un ragazzo con una pistola ha ucciso la tua mamma. Ho sentito tutto. Ho visto tutto.

All’inizio rimasi zitta.

Mi hai sentita? chiese Noelle. Hanno sparato a Margot. Un ragazzo con una pistola ha ucciso la tua mamma. È morta, Pearl.

All’inizio rimasi zitta. E poi fui molto grata per il fatto che il mio cuore battesse da solo, perché sapevo che non sarei mai stata capace di farlo funzionare se fosse dipeso da me. I battiti indipendenti del mio cuore, che lavorava anche se succedevano cose terribili, mi riempirono di tenerezza per il mio corpo e la mia vita insignificante.

Mentre camminavamo lungo la statale verso il campo roulotte, Noelle allungò un braccio e mi prese per mano. Avevo quattordici anni, ma non avevo bisogno di contare quante persone mi avessero tenuto per mano prima di allora. Non mi servivano i calcoli. La mano di Noelle nella mia sembrava così grande paragonata a quella di mia madre, piccola come quella di un bambino.

Mia madre mi aveva detto tante volte che sperava che sarei morta prima di lei.

Senza di me non saresti capace di sopravvivere, mi aveva spiegato. Ti farebbe così male. Non hanno nemmeno ancora scritto una canzone per questo. Pearl, spero che tra noi due muoia prima tu.

Mia madre aveva ragione. Sarei dovuta morire prima io.

Eli è alla stazione di polizia, disse Noelle.

Cosa c’entra Eli?

Niente. Be’, ha venduto la pistola al ragazzo ed era lì quando è successo. In realtà non gliel’ha proprio venduta. È stato uno scambio. Il ragazzo gli ha dato la sua cintura d’argento in cambio della pistola. E Eli l’aveva addirittura addosso quando i poliziotti sono venuti a prenderlo. Era bella. D’argento, con un’aquila dorata incisa al centro.

Dopo che il signor Non Tornare se n’era andato, mia madre aveva sentito la sua mancanza. Aveva sentito l’assenza del proprio destino.

E, dovunque fosse, Eli teneva sempre la testa alta come se avesse rubato la fortuna di tutti. Non si sarebbe mai svuotato le tasche per aiutare gli amici. Conoscevo la canzone.9

Mi dispiace, disse Noelle. Avrei voluto essere vostra amica, ma ormai è troppo tardi. Chissà dove andrai a vivere adesso. Solo con il senno di poi ci pentiamo di non essere stati gentili. Avrei voluto prepararvi una torta e portarvela in auto, o lasciarvi usare il nostro bagno per fare la doccia. Non ci ho pensato. Avrei dovuto darti un po’ delle mie bambole. In realtà non avevo capito che tu e Margot eravate importanti.

Rimasi zitta. Ascoltai il mio cuore. Batteva come se ogni giorno fosse uguale agli altri.

Mi dispiace, ripeté Noelle. Ho visto tutto. Tua madre ha cercato di fermare le pallottole con le mani.

La guardai. Nella scollatura della sua camicetta, nell’incavo tra i seni, giaceva una rondine morta.

Ad aspettarmi dentro la Mercury c’era una giovane assistente sociale del servizio per la tutela dei minori. Portava un tailleur azzurro. Si era messa sul sedile del passeggero con la portiera spalancata, e stava riempiendo i moduli. Non sapeva nemmeno di essersi seduta nella mia camera da letto.

Quando arrivammo io e Noelle, la donna scese dalla macchina.

Tu devi essere Pearl, disse.

Annuii.

Ancora non riuscivo a parlare. Era come se una superstizione in cui non sapevo nemmeno di credere si fosse impadronita di me. Pensavo: Se parlo, diventerà tutto vero. Sapevo che le parole pronunciate si sarebbero trasformate nella verità vissuta.

Il campo roulotte era molto silenzioso.

Quasi tutti sono andati alla stazione di polizia per testimoniare su quello che hanno visto e sentito, disse Noelle. Con me hanno già parlato perché sono stata l’unica che ha assistito a tutto. La vita può sorprenderti.

E Eli? Be’, non lo considerano neanche un testimone, continuò Noelle, come se avesse capito a cosa stavo pensando. È parte in causa. È lui che ha dato la pistola al ragazzo. E poi cosa ci facevano loro due vicino all’altalena?

Non stavo parlando, ma mi misi in tasca il nome di Eli, per ripensarci più tardi.

L’assistente sociale si avvicinò alla sua auto parcheggiata dietro la Mercury e prese dal sedile posteriore una grossa sacca vuota verde militare.

Entra nella tua macchina, bambina, e prendi la tua roba, disse.

Aprì il proprio bagagliaio.

Poi metti la borsa qui dentro, mi ordinò, e si sedette al volante.

Ti aiuto io, disse Noelle.

Ancora non sentivo neanche una parola uscirmi di bocca.

Noelle tenne aperta la sacca e io ci infilai le mie borse con dentro i vestiti, le bambole e i libri, e tutti i sacchetti di plastica di mia madre.

Staccai anche il mio disegno del sistema solare dal sedile del guidatore e lo misi nella sacca.

Dato che mia madre mi diceva sempre che ero intelligente, frugai sotto il sedile e tirai fuori la piccola pistola nera che ci aveva dato Eli.

Non guardai Noelle, ma capii che l’aveva vista perché disse: Pearl, stai attenta con quella roba. È meglio che tu non la prenda.

Noelle mi conosceva da quando ero nata, ma evidentemente ignorava che È meglio che tu non erano le mie parole preferite.

Cacciai la pistola di Eli in fondo alla sacca e poi ci misi la collezione delle cose che avevo trovato nella discarica.

Dopo aver portato fuori tutto, era rimasta solo una cosa da prendere. Tirai la leva che apriva il bagagliaio, feci il giro dell’auto e guardai dentro. Tutti i tesori che conteneva erano scomparsi. Guardai lo spazio vuoto che un tempo aveva custodito argenteria, piatti di Limoges, calici di cristallo, un violino, un carillon, la barca cinese intagliata nella zanna d’elefante e le borse di seta con i gioielli di mia madre.

L’unica cosa rimasta era la lunga scatola di seta chiusa con il nastro giallo. Non ci stava nella sacca, ma la presi lo stesso.

Chiusi il bagagliaio, feci di nuovo il giro dell’auto, controllai che i finestrini fossero alzati e chiusi le portiere.

Lasciai la chiave nel cruscotto. Non l’avevamo mai girata per accendere il motore e andare da qualche parte. Eravamo rimaste parcheggiate lì per quasi quindici anni.

Hai finito? chiese la donna abbassando il finestrino della sua auto. È tardi. Dobbiamo andare. Sali in macchina.

Noelle mi accompagnò fino al lato del passeggero e aprì la portiera.

Sai, Pearl, disse. Volevamo tutti bene a tua madre, anche se non è mai stata una di noi. Credo che anche mia madre l’abbia detto una volta.

Annuii.

Farai un lungo, lungo viaggio, disse Noelle, e mi porse una gomma da masticare. Tieni, prendi questa. È tutto quello che ho.

Me la infilai in bocca, salii in macchina e chiusi la portiera.

Per un attimo premetti il palmo sul lato interno del finestrino, e Noelle fece lo stesso all’esterno.

Se April May fosse stata con me avrebbe detto: Quella Noelle sta pensando a Eli. È convinta di avere una possibilità, adesso che tua madre è morta. Domani gli preparerà dei biscotti. Si metterà il profumo. Sarà la spalla su cui lui potrà piangere.

L’assistente sociale girò la chiave d’accensione e il motore partì. L’aria gelida del condizionatore soffiò dentro l’auto e l’aroma di pino della gomma da masticare mi riempì la bocca.

Mi piace stare al freddo, spero che non ti dia fastidio, disse la donna.

Uscì a marcia indietro dal parcheggio visitatori e si allontanò dal cartello che diceva BENVENUTI AL PARCO CARAVAN ACQUE INDIANE. Poi sterzò a destra e si avviò verso la statale.

Mentre ci allontanavamo pensai di girarmi sul sedile per guardare fuori dal lunotto posteriore, ma non lo feci. Non c’era nessuno a salutarmi.

Dentro la macchina la donna disse: Lo ripeto a tutti i bambini che vado a prendere. Per favore, non telefonarmi tutte le volte che cadi e ti sbucci un ginocchio. Sono la tua assistente sociale. Sei affidata alle mie cure. Ma non sono una lontana parente, una zia o Mary Poppins. Ti sto portando dalla tua famiglia affidataria. Perciò dammi retta, chiamami solo in caso di emergenza. Allacciati la cintura di sicurezza.

Non risposi. Mi allacciai la cintura. Guardai fuori dal finestrino. Masticai la gomma di Noelle.

Ti starai chiedendo se puoi vedere tua madre. Tutti i bambini che vado a prendere fanno così perché non credono nella morte, perciò ascoltami bene: è escluso. Nessuno te la lascerà vedere. È piena di buchi. No, neanch’io l’ho vista di persona, però l’ho sentito. Un poliziotto ha detto che tua madre è piena di buchi.

Non risposi.

Perché sei così silenziosa? Sei sorda? Hai un’aria buffa e non parli? Non piangi nemmeno per la tua mamma? Non vedo lacrime sulla tua faccia.

Non risposi.

Be’, se non vuoi parlare, allora puoi leggere. Ecco il tuo fascicolo. Leggitelo da sola. Queste carte ti diranno tutto quello che ti serve sapere.

Tenendo una mano sul volante, la donna si girò, allungò l’altro braccio verso il sedile posteriore e mi porse un raccoglitore giallo con dentro dei fogli. Poi mi portò via dalla mia macchina-casa, dalla discarica, dall’altalena e dal fiume assassinato.

L’assistente sociale accese la radio e mi portò via dalla mia infanzia.

Se mia madre fosse stata con noi, seduta sul sedile posteriore, avrebbe detto: Pensi di ricevere una certa dose di tragedia, e che finisca lì. Pensi che non possa andar peggio, e che ormai tu sia al sicuro. Ma la tragedia non è come una medicina. Non esistono dosi, come una pillola o un cucchiaio. La tragedia colpisce sempre.

E questa volta non era una gita immaginaria. Questa volta mi stavo allontanando davvero in auto dal campo roulotte, verso la statale, in direzione di Sarasota. Al primo semaforo girammo a sinistra, poi ancora a sinistra e poi a destra. Imboccammo la rampa, attraversando la fila di palme e superando il Walmart. I miei occhi seguirono la lunga striscia bianca dipinta sull’asfalto al centro della carreggiata. Quella lunga striscia bianca era un fiume che dalle cascate del Niagara portava dritto al Golfo del Messico.

Dai gas, avrebbe detto mia madre. Prendiamoci una multa. Sgommiamo.

La mia mente era un libro di grammatica pieno di punti interrogativi. Chi l’aveva uccisa? Perché? Com’era successo? Dove stavo andando? A chi importava di me? Avrei visto mia madre? Dove avrei vissuto? Avrei mai rivisto April May o Corazón? Eli dov’era? Avrebbero rintracciato la famiglia di mia madre? Dove sarei andata a scuola? A chi appartenevo?

Aprii il raccoglitore che avevo in grembo e lessi nel mio fascicolo la fotocopia del rapporto di polizia. Era stato compilato solo qualche ora prima. Mia madre era stata uccisa pochi minuti dopo che ero uscita dal campo roulotte per andare a scuola. Era morta da sette ore. Avevo vissuto sette ore convinta di essere nei suoi pensieri.

Lessi tutto il fascicolo, parola per parola.

La prima pagina conteneva il rapporto di polizia: Donna bianca, circa trentenne, venti colpi d’arma da fuoco all’ingresso del parco caravan Acque Indiane. Tentativo di rintracciare il battito cardiaco della donna. Risultato: assente. Nessun testimone si è fatto avanti spontaneamente, ma gli spari si sono uditi alle ore 8.15. Alcuni abitanti del parcheggio hanno dichiarato di aver sentito almeno venti colpi d’arma da fuoco. Rose Smith e suo marito, il sergente Bob Smith, hanno detto di non aver dato molta importanza alla cosa perché in quella zona se ne sentono in continuazione, dato che alla gente piace sparare nel fiume per uccidere gli alligatori. Rose Smith ha affermato che la vittima si chiamava Margot France ed era una senzatetto che viveva con la figlia, Pearl, nella Mercury che stazionava fuori dal parcheggio visitatori del campo roulotte. Altri due abitanti del campo, Corazón Luz e il marito, Ray Luz, hanno dichiarato che al momento del delitto non erano in casa. Il pastore Rex Wood, un altro residente, ha detto di non aver sentito niente. L’assassino è stato trovato a terra morto, accanto alla vittima. La patente di guida, rilasciata in California, era intestata a Paul Luke Mathews, maschio, bianco, occhi azzurri, altezza 1,82. A quanto pare Mathews era andato al campo roulotte per vendere la sua arma nell’ambito di un programma antiviolenza di raccolta delle armi da fuoco gestito dalla chiesa locale. Sembra che Mathews abbia ucciso la vittima, identificata dai vicini come Margot France, e poi si sia suicidato. La scena del crimine è stata recintata con nastro segnaletico.

Mia madre era stata uccisa venti volte.

Mentre leggevo il rapporto, uscì dagli altoparlanti dell’auto la voce di Laura Nyro che cantava Wedding Bell Blues. Era una delle canzoni preferite di mia madre.

La seconda pagina del fascicolo conteneva una sola frase. Diceva: L’unica parente nota della vittima è la figlia, Pearl France.

La mia vita era lunga undici parole.

Chiusi il fascicolo e guardai fuori dal finestrino. Mi tolsi di bocca la gomma da masticare di Noelle, infilai la mano sotto il sedile e la appiccicai lì. Con le dita tastai diverse altre gobbe rotonde. Il sedile della macchina di quell’assistente sociale era un cimitero di gomme da masticare lasciate dai bambini.

La donna aumentò il volume. Voleva assicurarsi che la musica fosse troppo alta per fare conversazione. Sono sicura che non ne poteva più di parlare con i bambini abbandonati.

La voce di Laura Nyro invase l’auto togliendo spazio a qualunque altro suono.

Mentre ci allontanavamo dal campo roulotte, dalla Mercury, da April May e da Noelle, cominciò a piovigginare. Sentii la nostra terra incasinata inchinarsi al mio passaggio. Uno squarcio tra le nuvole illuminò l’interno dell’auto. Sentii gli alberi piegarsi, la strada alzarsi, e perfino il sole di mezzogiorno della Florida parve avvicinarsi alla mia orbita.

Mentre le gocce macchiavano il finestrino udii la voce di mia madre. Mi riempì come una canzone. Disse: Quando una bambina perde la madre, perché uno sconosciuto l’ha scelta per fare pratica di tiro, perfino la pioggia cade con grazia.

9 Clean-Cut Kid di Bob Dylan, il cui verso dice in realtà “For his friends he would turn his pockets inside out”, mentre qui è stato così modificato: “He was never, ever going to turn his pockets inside out.” (N.d.T.)