VII - Far pagare gli evasori? Macché: pagano sempre gli stessi
«Colpirò l'evasione fiscale.» Lo ha detto il premier Mario Monti, appena assunto l'interim del ministero dell'Economia. D'altra parte, un mese prima (ottobre 2011) lo aveva detto anche l'allora ministro dell'Economia Tremonti in un'importante intervista al quotidiano cattolico «Avvenire». Tremonti, per la verità, l'aveva detto anche nel 2010, e anche nel 2009. E prima di lui l'aveva detto il ministro Tommaso Padoa Schioppa, quello per cui le tasse erano bellissime, e prim'ancora Vincenzo Visco. A pensarci bene, ogni ministro dell'Economia o delle Finanze di questo Paese ha regolarmente annunciato il suo impegno per colpire in modo definitivo l'evasione fiscale. E l'evasione fiscale, imperturbabile, si è sempre fatta beffa di tutti loro. Le tasse? È importante che le paghino tutti, continuano a ripetere in ogni occasione ufficiale. E invece, alla fine, ma guarda un po', le pagano sempre gli stessi.
Che ci volete fare? Nell'Italia degli spudorati, evidentemente, è destino che non cambi mai nulla. «Colpirò l'evasione fiscale»: lo sapete chi diceva le stesse parole del ministro Tremonti (ma proprio uguali uguali, forse anche con la stessa intonazione indignata)? Roberto Tremelloni, ministro delle Finanze del primo governo Scelba. Ancora si ricorda uno dei suoi discorsi alla Camera, importante come le dichiarazioni di Monti o l'intervista di Tremonti all'«Avvenire». Solo che non era l'autunno 2011: era la primavera 1954. Tanto per intenderci: nel 1954 l'ingresso al cinema costava 350 lire, si potevano vedere i primi technicolor «senza occhiali», come recitava la pubblicità; andavano di gran moda i film di un Robert Mitchum poco più che trentenne e faceva il suo esordio sullo schermo Pane, amore e fantasia con Gina Lollobrigida. Nelle pagine sportive teneva banco Fausto Coppi e per fare un'interurbana bisognava comporre il numero 4 e farsi passare la linea dalla «signorina Stipel». E il ministro Tremelloni che faceva? Lanciava l'allarme sull'evasione fiscale: «Metà del reddito nazionale sfugge all'obbligo della tassazione» diceva preoccupato.
Poi assicurava sui «primi dati soddisfacenti dalla verifica della denuncia dei redditi». E proclamava con determinazione: «Colpirò rigorosamente ogni evasione fiscale».
Da Tremelloni a Tre Montoni, quanta evasione fiscale è passata sotto i ponti in questi sessantanni. E quanta inutile lotta all'evasione fiscale. Se si provassero a raccogliere e a esporre le geniali trovate messe in campo per cercare di far pagare le tasse, ebbene, si costruirebbe un tunnel degli orrori che, in confronto, a Gardaland sono dei dilettanti allo sbaraglio. Si potrebbe anche far pagare il biglietto d'ingresso per entrare nel luna park tributario, e forse questo sarebbe l'unico modo per ricavarci qualche lira, considerato l'effetto pratico che queste fantasiose misure hanno ottenuto.
O meglio: non hanno ottenuto.
L'unico prodotto finale di cotanto sforzo, infatti, è stata una serie di show, molto coreografici e mediatici, come la caccia all'evasore di Cortina nei primi giorni del gennaio 2012. Ricordate? Arriva la guardia di finanza e come per miracolo nei negozi compaiono gli scontrini.
Vengono registrati aumenti anche del 400 per cento (nelle boutique) e del 300 per cento (nei ristoranti). Quarantadue persone fermate su auto di lusso risultano esserle titolari di redditi inferiori ai 30.000 euro. Si muovono telecamere e giornalisti, il direttore dell'Agenzia delle entrate Attilio Befera si fa intervistare, posa per le copertine dei settimanali, gigioneggia nei talk show. «Non siamo che all'inizio, l'Italia deve tornare alla legalità. Faremo altri blitz» dice alla «Repubblica» l'8 gennaio 2012.
Lo aveva già detto al «Corriere della Sera» l'11 dicembre 2011 (Così scopriremo gli evasori). E lo aveva già detto anche al «Magazine» il 22 settembre 2011, quando si era messo in posa per un po' di foto da star. Per carità: Attilio il Terribile sta da dio nelle foto. E perciò noi gli crediamo quando dice: «Scopriremo gli evasori». Ma non si tratta per caso della stessa persona che è già stata svariati anni direttore centrale delle Entrate? E che dal 2008 è di nuovo sulla tolda di comando dell'Agenzia?
E che nel 2006 era a capo di Equitalia? E perché, allora, gli evasori finora non li aveva scoperti? Che aspettava? Il blitz di Cortina? Le telecamere di «Porta a porta»?
In una delle tante interviste concesse ai giornali, Befera ha spiegato i nuovi strumenti in suo possesso: parlava di «software speciali», «controlli incrociati», «spese monitorate», poi annunciava la formula magica «redditometro + spesometro - zero evasione». Non è fantastico? Zero evasione... Ma quante volte abbiamo già sentito parlare di spesometro? E di redditometro? La prima volta le cronache lo registrano almeno vent'anni fa, correva l'anno 1992. Poi vennero il tovagliometro (1995), il riccometro (1997), l'acquometro, il bottigliometro, il farinometro, persino lo sposometro (1997), inventato da solerti funzionari del Friuli-Venezia Giulia. Poi ci sono stati: il libro rosso degli evasori (1981), le norme sulle manette agli evasori (1982), i blitz nei comuni, i blitz nelle latterie, il cruscotto delle aziende (1994), le ganasce fiscali (1996), il numero 117 per la delazione fiscale e la mitica operazione «Zoccolo duro», che doveva essere assai dura, per l'appunto. Ma si rivelò anch'essa come tutto il resto: più molle di un formaggino Mio...
Se si apre a caso un qualsiasi quotidiano di un qualsiasi giorno dal dopoguerra a oggi, è inevitabile imbattersi negli annunci della lotta all'evasione. «Sarà portata a termine la complessa e laboriosa inchiesta originata dalla frode dell'imposta Consumo» strilla «La Stampa» il 10 settembre 1949 (la Costituzione era entrata in vigore da poco, ancora fumavano i rottami della tragedia di Superga). In settembre si aprirà ufficialmente la caccia all'evasione, titola «il Giornale» del 19 agosto 1978. Lo Stato dichiara guerra all'evasione, ripete il «Corriere della Sera» del 19 marzo 1980. In primo piano la lotta all'evasione, assicura «l'Unità» del 3 gennaio 1997. Lotta all'evasione, ribadisce il «Magazine» del «Corriere della Sera» il 22 settembre 2011. Non c'è giornale, non c'è annata, forse non c'è settimana che non abbia registrato il solenne richiamo, l'austero impegno, l'indignato proposito. Più che un fisco, ormai sembra un disco. Rotto, però.
In effetti, tutta questa decennale lotta non ha prodotto risultati incoraggianti. Tutt'altro. Lo dimostrano i dati: nel 1981 l'evasione era stimata in 54 miliardi di euro (in valore attuale). Ora è a 275 miliardi.
Cioè, quintuplicata. Alla faccia della lotta serrata e di tutti i redditometri... 275 miliardi, capite? Dieci volte l'ultima manovra, quella di Monti, tutta lacrime e sangue, oppure se volete il 16 per cento del Pil. E allora i blitz a che servono? «Contro gli evasori ci vuole un sano terrore» ripete Befera. In effetti, nel gennaio 2012 il terrore dilaga: Cortina, Portofino, Roma poi Milano, dove un locale su tre risulta non praticare l'arte dello scontrino. E dove magicamente, in una notte di controlli, gli incassi degli esercizi pubblici crescono anche del 200 per cento, proprio come a Cortina. Un blitz dopo l'altro, le Fiamme gialle non si fermano, fino ad arrivare a spacciare per una misura di lotta all'evasione persino un blitz ad Abano Terme realizzato due anni prima. I rischi di ogni eccesso: si comincia dal terrore, si finisce nel ridicolo. E l'effetto antievasione è meno duraturo del fard usato da Befera per truccarsi come si conviene sotto i riflettori della Tv.
«Il Sole-24 Ore» rivela dati interessanti: fra coloro che dichiarano meno di 20.000 euro di reddito ce ne sono 188.000 che hanno un'auto di superlusso, 42.000 che sono proprietari di uno yacht e 518 che possiedono un aereo privato. Sicuro: meno di 20.000 euro di reddito e l'aereo privato.
Com'è possibile? Secondo i dati dell'Associazione contribuenti italiani, risulta intestato a nullatenenti o pensionati con la social card il 53 per cento dei contratti di locazione delle ville di Porto Cervo, Forte dei Marmi, Capri, Sabaudia, Positano, Ravello, Panarea, Portofino, Taormina e Amalfi. Vi stupite? Macché. Nel 2004 fu lo stesso ministro Tremonti a denunciare la stranezza di un Paese in cui solo 17.000 persone dichiarano un reddito superiore ai 300.000 euro ma ben 230.000 persone (13 volte di più) si comprano un'auto di lusso. E non sembra essere cambiato nulla. Anzi, tutt'altro: nel 2010, infatti, solo 15.000 persone hanno dichiarato un reddito superiore ai 300.000 euro, ma ben 240.000 (16 volte di più) si sono comprate un'auto di lusso. La domanda è lecita: come hanno fatto? Hanno assaltato le banche? Rapinato i risparmi dei nonni? O, più banalmente, quelle dichiarazioni dei redditi sono palesemente false?
L'ultima ipotesi, a prima vista, sembra la più probabile. E la conferma arriva dalla cronaca quotidiana, mai così ricca di sorprendenti notizie su nullatenenti con grandi capacità di spesa, ancor prima del blitz di Capodanno 2012 a Cortina. L'8 febbraio 2011 «Il Gazzettino» titola su un «povero» di Treviso che risulta proprietario di una villa in stile palladiano e di 30 (dicasi trenta) auto di lusso; qualche settimana dopo «La Nazione» pubblica nelle pagine locali la notizia di un pescivendolo squattrinato che ha comprato una piccola reggia e una Porsche; qualche tempo prima a Vicenza era saltato fuori un nullatenente che aveva in garage una Ferrari 348, un'altra auto di lusso, una city car, due moto e 10.000 euro in azioni...
Secondo i dati diffusi dalla guardia di finanza nel gennaio 2012, ci sono addirittura 7500 evasori totali, persone del tutto sconosciute al fisco: ogni anno sottraggono alle casse pubbliche 21 miliardi, di cui 11 portati all'estero. Uno di loro viene fermato nel novembre 2011 a Rogno, provincia di Bergamo: si presenta come imprenditore, guida una Porsche Cayenne o in alternativa una Bmw X6, ha floride attività in Kenia, mantiene un livello di vita esagerato, eppure risulta al verde come Paolino Paperino. La guardia di finanza gli contesta 7 milioni di evasione. E lui si stupisce: «Perché dovrei pagare le tasse? Sono vent'anni che non lo faccio e sto benissimo così...».
Il campionario delle bestialità fiscali è infinito. A Siena, la guardia di finanza ha beccato un signore che aveva chiesto il contributo che spetta agli indigenti per pagare l'affitto della casa: era proprietario di due ville e quattro appartamenti. Un controllo fra le case popolari di Padova ha rivelato che fra gli assegnatari, ufficialmente titolari di un reddito da fame, c'erano i proprietari di una Porsche Carrera e di una Jaguar. E in Calabria è stato scovato un povero in canna, così povero, ma così povero che si era appena comprato una villa da 4 milioni di euro. Ora il «povero» deve al fisco 15,7 milioni di euro...
Uno dei casi più eclatanti è quello di due imprenditori veneti: nel 2010 hanno denunciato rispettivamente 1 euro e 5 euro. Si erano semplicemente «dimenticati» di segnalare un incasso di 65 milioni di euro. Quando i finanzieri hanno ricostruito la storia fiscale dei due (si fa per dire) contribuenti, sono rimasti sbalorditi: il campione dell'evasione, il signor Giovanni Montresor, detto «Lolo», e ribattezzato Mister Capannone, 68 anni, di Bussolengo, nel veronese, risulta proprietario di 201 milioni di euro investiti in una società lussemburghese e di due hotel di lusso. Però dal 1996 al 2008 non ha mai presentato la dichiarazione dei redditi. Nel 2009, mettendosi una mano sulla coscienza, come racconta «l'Espresso», ha dichiarato 4 euro. Nel 2010, crepi l'avarizia, 5 euro, più 1 euro attribuito alla moglie. Totale redditi denunciati negli ultimi quindici anni: 10 euro in due. Gli hanno sequestrato oltre 52 milioni di euro. Ma lui non si è lasciato intimorire per nulla: «Finirà in niente come l'altra volta» ha commentato ricordando antiche storie di Tangentopoli. Può essere.
D'altra parte che l'uomo sia dotato di faccia tosta è piuttosto evidente: nel 2010, per esempio, ha venduto un terreno davanti al mare di Eraclea.
Valore: 65 milioni di euro. Iva dichiarata: zero euro. Allegria.
Abbiamo già citato «Il Sole-24 Ore» (dato del dicembre 2011): 42.000 poveri, cioè con reddito inferiore ai 20.000 euro, hanno la superbarca.
Ebbene: secondo l'Associazione contribuenti italiani (dato del marzo 2011) il 64 per cento degli yacht circolanti in Italia è intestato a nullatenenti o pensionati con la social card (proprio come le ville di Porto Cervo e Forte dei Marmi). Ma come? Possibile? Con tutti i blitz che sono stati fatti in porto negli ultimi anni? Il primo, di una certa importanza, risale almeno al 1979. Il 2 ottobre 2011, cioè trentadue anni dopo, «la Repubblica» di Bari titolava: Caccia ai nullatenenti con lo yacht. E il 9 gennaio 2012, cioè trentatré anni dopo, «il Resto del Carlino» ribadiva a tutta pagina: Poveri in yacht anche a Pesato. Nuovi blitz degli 007 del fisco. Qualcuno mi sa spiegare com'è possibile che mentre si fanno blitz e titoli sui giornali, i furbetti in barca continuano a schivare il fisco come se fosse Moby Dick? La Finanza va in porto di sicuro, da anni. Ma la lotta all'evasione no, quella in porto non ci va mai...
Che ci volete fare? Viviamo nel Paese in cui appena 149.000 contribuenti dichiarano al fisco più di 150.000 euro, e di questi (ma guarda un po') ben 129.000 hanno la ritenuta alla fonte, cioè sono dipendenti e pensionati. I proprietari di alberghi e ristoranti, invece, dichiarano un reddito medio di 13.000 euro, cioè di molto inferiore a quello dei pensionati, e orefici e gioiellieri dichiarano un guadagno (13.500 euro l'anno) inferiore a quello degli operai (dati 2009 pubblicati nel gennaio 2012). Possibile? Ma sì, tutto è possibile nell'Italia dell'ipotesi fiscale, dove, a giudicare dalle dichiarazioni dei redditi degli ultimi anni, un meccanico autonomo risulta guadagnare meno di un metalmeccanico (1500 euro lordi al mese), i dentisti risultano più poveri dei poliziotti (in Campania, dati 2006) e i titolari di autosalone rischiano di morire di fame (appena 1073 euro al mese a Bolzano). Non c'è da stupirsi: nella stessa Bolzano i calzaturieri sono arrivati a dichiarare un reddito medio di 673 euro l'anno (673!!!).
E se dalle dichiarazioni delle persone fisiche si passa a quelle delle imprese, be', le cose non vanno meglio. A giudicare dai bilanci, in Italia non ci sono aziende: ci sono enti di beneficenza, Onlus, società no profit che lavorano così, per il piacere di farlo. Una società su tre (il 37 per cento del totale) risulta infatti con il bilancio in rosso, la maggioranza dichiara guadagni inferiori ai 10.000 euro. Vi pare possibile? È ovvio: no.
E infatti, stando alle stime dell'Istat, nel 2010 l'edilizia ha sottratto al fisco almeno 10 miliardi, l'agricoltura oltre 9, l'industria 52. «Se tutta l'Iva fosse pagata regolarmente» ha detto Mario Draghi, attuale presidente della Bce, «il rapporto deficit/Pil del nostro Paese sarebbe tra i più bassi d'Europa.»
E allora che aspettiamo? «Faremo pagare gli evasori» promettono ogni volta. Ma gli evasori non pagano mai. Tanto che dopo cinquantanni di proclami di lotta all'evasione l'Italia ha l'invidiabile record di una delle evasioni fiscali più alte del mondo: è stimata in almeno 275 miliardi di euro. Solo la Grecia riesce a far peggio di noi, e infatti non a caso è praticamente fallita. Così, per rimediare, che cosa facciamo? Lo scudo fiscale. Ma sicuro. Anzi, gli scudi: quello del 2001 (65 miliardi rientrati, gettito 1,6 miliardi), poi quello del 2003 (12,5 miliardi rientrati, gettito 500 milioni) e quello del 2009-2010. A quest'ultimo hanno aderito 180.000 evasori, che hanno regolarizzato 104,5 miliardi di euro, pagando appena il 5 per cento di contributo. Quindi su 104,5 miliardi di euro nascosti da costoro all'estero lo Stato ha incassato 5,6 miliardi. Vi pare? Uno che paga regolarmente le tasse lascia al fisco quasi il 50 per cento dei suoi guadagni e invece chi evade, per mettersi in regola per sempre, se la cava con il 5 per cento? Non è un'ingiustizia? E perché l'aliquota richiesta per i condoni in Francia oscilla fra il 10 e il 40 per cento? Perché in Inghilterra non scende mai sotto il 10 per cento e negli Stati Uniti si attesta sul 20 per cento? E perché da noi, a differenza che nel resto del mondo, agli evasori sono stati garantiti anonimato e (di fatto) impunità?
L'ultimo scudo fiscale, per altro, per quanto conveniente, pare non abbia risolto affatto il problema. Secondo il «Corriere della Sera», che cita uno studio della Banca d'Italia del luglio 2011, all'estero ci sarebbero ancora 100 miliardi al riparo dal fisco. Tesoretti accumulati perlopiù in Svizzera, ma anche in Austria e in altri Paesi, attraverso ogni tipo di meccanismo, dagli antichi spalloni alle moderne tecniche finanziarie. E siccome la consistenza del malloppo non può che far gola alle sempre assetate casse italiane, il dubbio è legittimo: non è che adesso, per far rientrare anche questi 100 miliardi, abbasseranno ancora il contributo richiesto? E dopo il misero 5 per cento che ci aspetta? 4 per cento? 2 per cento? 0 per cento? Che dite, finirà che chiederanno un contributo a noi per ricompensare gli evasori del fatto che hanno evaso?
Potrebbe pure succedere. In fondo, non è vero che l'evasore fiscale ha la faccia scura e brutta come quella dello spot del ministero. L'evasore fiscale è assai trendy, molto alla moda, frequenta il jet set. L'evasore fiscale è un vip. Quando è stata resa pubblica la cosiddetta «lista Falciani», cioè l'elenco dei 5595 cittadini italiani che avevano depositi occultati al fisco nella filiale di Ginevra della banca Hsbc, si è scoperto che i nomi noti non erano pochi: lo stilista Valentino, il gioielliere Gianni Bulgari, l'altro stilista Renato Balestra, il presidente di Confcommercio Roma Cesare Pambianchi, i nobili Fabrizia Aragona Pignatelli e Francesco d'Ovidio Lefebvre, Stefania Sandrelli e sua figlia Amanda (che avevano poi fatto regolarmente rientrare i capitali tramite lo scudo fiscale) e la showgirl Elisabetta Gregoracci, moglie di Flavio Briatore, un altro che con il fisco ha lo stesso rapporto che il vampiro ha con l'aglio.
Non era nella lista di Hervé Falciani, ma ha portato i capitali all'estero anche Luigi Bisignani, l'uomo finito al centro del cosiddetto «scandalo P4»: lo ha dichiarato lui stesso ai magistrati. Nel 1991 aveva ricevuto dalla famiglia Ferruzzi, per la quale lavorava, 4 miliardi di vecchie lire.
«Un miliardo e mezzo lo utilizzai per comprare quattro appartamenti a Roma» ha confessato. Il resto venne nascosto in alcuni conti svizzeri per i quali nel 2001 Bisignani fece personalmente lo scudo fiscale, come le due Sandrelli e come la famiglia di Emma Marcegaglia, che proprio per questo si è vista archiviare l'accusa di evasione nell'ambito del processo EniPower (dove ha patteggiato per il falso in bilancio). Anche gli stilisti Dolce e Gabbana sono stati assolti dal reato penale, ma sono stati condannati dalla Commissione tributaria a pagare 29,4 milioni di euro per imposte relative al 2006-2007 (altri 40 milioni li hanno versati per far cessare il contenzioso sull'Iva avviato dall'Agenzia delle entrate). Dolce e Gabbana, Bulgari, Balestra, Valentino... Visto l'elenco tanto chic la domanda è legittima: se le tasse sono davvero «bellissime», perché tutti coloro che amano le cose bellissime cercano di evitarle?
Lista Falciani a parte, l'elenco dei vip che hanno avuto guai col fisco è lunghissimo: Valentino Rossi, Vasco Rossi, Alberto Tomba, Giancarlo Fisichella, Max Biaggi, Loris Capirossi, Mario Cipollini, Fabio Capello, Pippo Baudo, Riccardo Cocciante, Anna Oxa, Mara Venier, Rocco Siffredi, Andrea Bocelli, Renato Zero... Valentino Rossi lo ricorderete tutti in Tv nel 2008, per cercare di rammendare la sua immagine inzaccherata: alla guardia di finanza le sue scuse catodiche non sono state però sufficienti.
The Doctor dovette firmare un accordo che prevedeva il versamento di 35 milioni di euro nelle casse dell'erario. Vasco Rossi lo stesso anno se la cavò con molto meno: 5,5 milioni di euro. (In compenso nel 2010 è finito di nuovo nei guai per aver intestato a una società il suo yacht Jamaica.) Il campione di Formula Uno Giancarlo Fisichella si accordò per 3,8 milioni di euro. Almeno qualcosa hanno pagato, si capisce, ma resta l'amara impressione che, in proporzione ai rispettivi guadagni, un operaio di Mirafiori continui a pagare di più...
Non è così? Il primo caso celebre fu quello di Sophia Loren, che nel 1982 finì addirittura un mese dietro le sbarre con l'accusa di evasione fiscale. Poi ci furono Alberto Tomba (nel 2000 pagò 7,5 miliardi delle vecchie lire), poi Ricky Tognazzi (735 milioni di lire), Riccardo Cocciante (442 milioni di lire), Pippo Baudo e quindi la moglie Katia Ricciarelli, fino ad arrivare al celebre caso di Luciano Pavarotti, che per chiudere i conti con il fisco pagò un conto di 25 miliardi di vecchie lire (lo accusavano di averne evasi 40). Pavarotti aveva la sua residenza a Montecarlo, come anche Rosanna Lambertucci, che però se l'è cavata con 1 miliardo e mezzo di lire. Quindi, in rigoroso ordine cronologico, c'è stato il già citato caso di Valentino Rossi, poi è saltata fuori la lista Falciani, poi Leonardo Del Vecchio (Luxottica), che nel 2009 ha transato col fisco pagando 300 milioni di euro ma nel 2010 è stato insignito del Premio Etica e Impresa. E avanti, Telecom e Fastweb (400 milioni di euro pagati), la famiglia Agnelli per l'eredità (100 milioni di euro), il colosso farmaceutico Menarini (contestati oltre 3 miliardi), fino ad arrivare alla cronaca degli ultimi mesi: non c'è giorno che qualche vip non finisca nel mirino del fisco, dalla mamma di Sgarbi cui sono stati sequestrati 100.000 euro per mancato versamento dell'Iva (20 ottobre 2011) a Marcella Bella, indagata per aver evaso 2,5 milioni di euro (26 settembre 2011).
Nell'autunno 2011 è la volta di Alessandro Profumo, ex amministratore delegato di Unicredit: la banca, secondo l'accusa, fra il 2007 e il 2008 avrebbe sottratto all'erario 245 milioni di euro. Qualcuno manca all'appello?
Quello di Unicredit, fra l'altro, non è un caso isolato nel pianeta della finanza. Quando nel dicembre 2010 il Banco emiliano romagnolo fu condannato a pagare 50 milioni di euro all'Agenzia delle entrate, come racconta Nunzia Penelope nel suo Soldi rubati, ci fu un piccolo terremoto nel mondo bancario. Subito dopo, la Popolare di Milano è scesa a patti con il fisco versando 220 milioni di euro pur di chiudere in fretta il contenzioso. Tra il 2005 e il 2009, ha denunciato un documentato «Report» di Milena Gabanelli, andato in onda il 6 novembre 2011, quasi tutti gli istituti di credito hanno eluso il fisco. E quasi tutti oggi hanno deciso di transare, senza far troppo rumore. I big della finanza non amano finire sotto i riflettori, com'era capitato a Valentino Rossi o Luciano Pavarotti. Preferiscono pagare in silenzio.
Epperò le cose si sanno comunque. E se banche, grandi imprese e persone in vista si comportano così, anche altri si sentiranno autorizzati a seguire l'esempio. Infatti, l'evasione salta fuori dappertutto. Gli stabilimenti balneari del litorale romano? Nell'agosto 2011 «Il Messaggero» rivela: dichiarano solo il 50 per cento dei ricavi, evadono oltre 1 milione di euro l'anno. I siti internet? Nel luglio 2011 l'Associazione contribuenti italiani denuncia: 2 su 3 si costruiscono da soli, dal momento che le società di riferimento sono del tutto sconosciute al fisco. E poi i cinesi (evadono 3 su 4, accusa sempre l'Associazione contribuenti), gli imprenditori, i professionisti, perfino l'imam anti-Fallaci, quello che guidò la comunità di Colle di Val d'Elsa e che viene denunciato per un'evasione di oltre 2 milioni di euro nell'ottobre 2011...
Avanti, chi vuol essere da meno di Valentino Rossi e Sophia Loren? A Roma, nel novembre 2011 la finanza scopre una maxievasione da 18 milioni di euro: un regista, un dentista, undici artisti, tre commercialisti, notai, avvocati e un architetto. «Che volete da noi? È la prassi» si giustificano loro, proprio come quel bergamasco in Porsche Cayenne. E infatti: è la prassi. I furbetti spuntano da ogni parte, dal Nord al Sud, dalle zone più ricche d'Italia a quelle più povere. C'è il veterinario di Crema che per non pagare le tasse si finge Onlus, una «società cartiera» di Locate Varesino (Como) che produce fatture false per oltre 36 milioni di euro, la maxievasione di Vicenza, con oltre 100 milioni di euro nascosti al fisco. E c'è Palma di Montechiaro, paese siciliano di 24.000 abitanti, dove addirittura il 60 per cento della popolazione è sconosciuto all'erario...
All'Agenzia delle entrate di Bassano del Grappa è venuto in mente, a un certo punto, di paragonare i dati dei funerali con quelli dei decessi in città. Risultato: i secondi erano assai più numerosi dei primi. «I casi erano due» ha scritto Nunzia Penelope. «O un cospicuo numero di cadaveri veniva conservato nel congelatore oppure qualcuno giocava sporco...» Sono partiti gli accertamenti: si è scoperta un'evasione di 2 milioni di euro su tombe, bare, arredi funebri. Del resto nel momento di dolore, chi è che ci sta a pensare? «Capisco il momento, le voglio dare una mano» dice l'impiegato, commosso e partecipe. «Le faccio uno sconto se rinuncia alla fattura...»
Rinunciare alla fattura, del resto, è un'abitudine fin troppo consolidata. E pubblicamente ammessa. «Lo confesso: sono un evasore» scrive per esempio Paolo Occhipinti su «Oggi». E racconta: «Prima il tecnico della lavastoviglie, poi il falegname, poi il carrozziere e infine anche il barista: mi sono reso complice di evasione fiscale non una, ma ben quattro volte in poche ore». Ma sì, lo sappiamo, in fondo siamo tutti complici. Siamo così complici che, a volte, a garantire l'evasione è addirittura una legge dello Stato. Non ci credete? Pensate all' ici. Non solo è consentito di non pagarla alla Chiesa (fatto di cui si è ampiamente discusso), ma anche a podologi, tennis club, fioristi e coniglicoltori. Lo rivela un'inchiesta pubblicata sulla «Repubblica» il 22 dicembre 2011: a Roma ci sono 3000 esentati dalla tassa sugli immobili in quanto enti senza fini di lucro. Ma, in realtà, nell'elenco dei privilegiati ci finisce un po' di tutto: dalla multinazionale farmaceutica Pfizer alla Telecom, dal Circolo canottieri all'Unione produttori di patate passando per l'Associazione dei fioristi, l'Associazione nazionale allevatori del cavallo da sella, l'Istituto italiano alimenti surgelati e i Figli del Littorio.
Ma il lato naif dell'evasione non deve trarre in inganno: la verità è che ormai l'evasione è diventata un vero business, racconta Nunzia Penelope, «ben strutturato come branca dell'economia». La guardia di finanza denuncia la scoperta nelle Marche di una serie di «operazioni organizzate e precostituite, vere e proprie pianificazioni strategiche, promosse e attuate da un gruppo di consulenti». Nella capitale, con l'arresto del presidente di Confcommercio Roma Cesare Pambianchi si scopre un sistema organizzatissimo, che coinvolgeva 43 persone (molte delle quali professionisti con studi ben avviati) e 703 imprese. In Emilia-Romagna ci sono addirittura 1200 aziende tessili che per frodare l'erario avevano costituito 10 società satelliti nate e organizzate all'uopo. Assumevano laureati, tecnici, impiegati e organizzavano l'attività in base alla loro unica ragione sociale: produrre evasione fiscale. Una specie di holding della tassa scomparsa.
Oddio, qualcuno potrebbe obiettare: la scoperta di tanti evasori è la dimostrazione che si sta cercando di combatterli sul serio. In parte è vero.
In parte no. Nel 2009 la guardia di finanza scopriva un evasore totale ogni 71 minuti. Nel 2010 ne ha scoperto uno ogni ora. Ma com'è che di evasori ce ne sono sempre di nuovi? Poi bisogna vedere le somme che si riescono davvero a recuperare: nel 2009, su 26,34 miliardi di evasione accertata lo Stato ha riscosso solo 2,7 miliardi, cioè il 10,4 per cento.
Davvero poco rispetto al resto d'Europa: l'Inghilterra riscuote il 91 per cento dell'evasione accertata, la Francia l'87, il Belgio l'84, la Spagna l'81. Persino Albania (44 per cento), Turchia (58 per cento) e Romania (64 per cento) riescono a far meglio di noi...
Diciamoci la verità: la battaglia contro l'evasione, se c'è stata, quando c'è stata, si è sempre conclusa con una clamorosa sconfitta. Da Tremelloni a oggi, gli evasori hanno vinto. E spesso sono stati pure premiati: condoni, concordati, scudi fiscali. È quasi passata l'idea che non pagare le tasse, in fondo, non sia un gran peccato: conviene e fa pure chic, tanto prima o poi arriva l'occasione per rimediare versando due soldi allo Stato. «L'Italia va avanti perché ci sono i fessi. I fessi lavorano, pagano, crepano. Chi fa la figura di mandare avanti l'Italia sono i furbi che non fanno nulla, spendono e se la godono.» Lo scriveva Giuseppe Prezzolini nel Codice della vita italiana del 1921. Come vedete, non è cambiato un granché.
Fra gli elementi che contraddistinguono un fesso, diceva Prezzolini, c'è anche quello di pagare le tasse fino all'ultimo centesimo. In effetti, dal momento che i fessi pagano anche per i furbi, sono costretti a pagare sempre di più. E ogni volta che qualcuno li rassicura, sanno già che dovranno mettere di nuovo mano al portafoglio. «Abbiamo spremuto ormai il possibile» ammetteva Emilio Colombo nel 1989, prima di varare una finanziaria-salasso da 20.000 miliardi di lire. «Non metteremo mai le mani nelle tasche degli italiani» garantiva Berlusconi, prima di presentare le manovre economiche che nel 2011 hanno messo le mani nelle tasche degli italiani. Sarà un caso se nel frattempo, fra una promessa e l'altra, la pressione fiscale italiana (per quei fessi che pagano) ha raggiunto livelli che non aveva mai toccato nella storia?