II - Eliminare le pensioni d'oro? Macché: se le salvano
Poveri parlamentari: ora per andare in pensione devono aspettare i 60 anni. Dev'essere un trauma per loro, abituati da sempre a incassare il vitalizio a qualsiasi età. Ricordate? Nel 2008 Giuseppe Gambale è riuscito ad averlo a soli 42 anni (8455 euro al mese); Rino Piscitelli a 47 anni (7959 euro); l'ex ministro Alfonso Pecoraro Scanio a 49 anni (8836 euro al mese); l'ex segretario del Prc Franco Giordano a 50 anni (6203 euro al mese); Oliviero Diliberto a 51 anni (7959 euro). E prima di loro avevamo avuto Vittorio Sgarbi baby pensionato a 54 anni (8455 euro al mese), Claudio Martelli a 51 (8455 euro al mese), Pietro Polena a 50 (8836 euro al mese). Anche Veltroni per un breve periodo, prima di essere rieletto in Parlamento, prese il vitalizio di 9000 euro al mese, che sommò con l'indennità da sindaco di Roma. Aveva solo 49 anni. Ecco: basta. Dal 1° gennaio 2012 non si può andare in pensione prima dei 60 anni. Poi dite che denunciare e indignarsi non serve a niente: voi credete che senza alzare la voce, senza scrivere articoli e libri, senza dibattiti e interventi in Tv, questo risultato sarebbe stato possibile? Nei momenti di massimo sconforto, quando mi sembra che tutte le denunce cadano nel vuoto, penso a questo piccolo risultato. Penso, per esempio, che senza questo provvedimento nel 2013, al compimento del 50° anno di età, avrebbe incassato la pensione anche Irene Pivetti. Ora dovrà aspettare il 2023, quando di anni ne avrà 60. Dieci anni d'attesa. Per la Pivetti. Non è un risultato per cui vale la pena scrivere un libro?
Temo però che dovremo scriverne tanti altri ancora. E continuare a indignarci per un bel po'. Perché se un piccolo passo avanti è stato fatto, be', siamo solo all'inizio. Quest'intervento sui vitalizi, che è stato descritto da tutti come assai severo, in realtà è quasi una beffa: basti pensare che porta l'età pensionabile dei parlamentari a 60 anni proprio mentre l'età pensionabile degli italiani viene portata a 66 anni. Dunque, onorevoli e senatori continueranno ad andare in pensione sei anni prima dei comuni mortali: questa sarebbe la severità? Questa sarebbe la «fine dei privilegi»? Il grande sacrificio? L'esempio morale?
Fra l'altro, pochi giorni prima che la legge entrasse in vigore, approfittando della norma che alla Camera (e non al Senato!) vieta il doppio incarico di sindaco e deputato, alcuni onorevoli hanno rassegnato le dimissioni da Montecitorio. Ergo: hanno cominciato a incassare il vitalizio subito, sfruttando le regole vecchie e assai più favorevoli. Fra i dimissionari per convenienza: Nicola Cristaldi, sindaco di Mazara del Vallo, che così ora unisce il vitalizio da deputato nazionale (3500 euro) a quello da deputato siciliano (5900 euro) e all'indennità da primo cittadino (3000 euro); Ettore Pirovano, presidente della Provincia di Bergamo; e soprattutto il leghista Luciano Dussin, sindaco di Castelfranco Veneto, che in questo modo riesce ad andare in pensione nel dicembre 2011 (si noti bene: dicembre 2011) alla tenera età di 52 anni. Alla faccia dei sacrifici...
La norma in vigore dal 1° gennaio 2012, per la verità, prevede un ulteriore aggravio (si fa per dire) sulle pensioni dei parlamentari. Non solo l'innalzamento dell'età fino ai 60 anni (che sacrificio, che sacrificio), ma pure il passaggio dal sistema retributivo a quello contributivo. Anche in questo caso, però, avremmo qualche pudore a parlare di grande severità: per gli italiani questo passaggio è avvenuto nel 1995, cioè diciassette anni fa. In altre parole: dopo diciassette anni le leggi approvate dal Parlamento si applicano anche ai parlamentari. E questo sarebbe il grande rigore? Per altro il meccanismo è ancora più soft: viene introdotto infatti «prò quota», che significa che il retributivo resta valido per il calcolo della pensione su tutti gli anni di legislatura precedenti, fino al 31 dicembre 2011. Si capisce: dopo diciassette anni di privilegio, il risveglio non può mica essere troppo traumatico...
Eppure: nun ce vonno sta', come si dice a Roma. Non ci vogliono stare. Per quanto sia soft la norma sui vitalizi, i parlamentari proprio non la digeriscono. Infatti appena entra in vigore, nei primi giorni del gennaio 2012, subito parte una raffica di ricorsi: 26 deputati (7 del Pdl, 3 dell'Ulivo, 1 del Prc e ben 15 della Lega, alla faccia di Roma ladrona), tutti insieme senza distinzione di casacca e partito, contestano il taglio. «I diritti acquisiti non si toccano» dichiara per esempio l'onorevole del Pdl Roberto Rosso. E quale sarebbe il diritto acquisito che non si può toccare? Semplice, risponde Rosso: «Io avevo diritto ad andare in pensione a 50 anni...». Ma certo: diritto scritto nella Costituzione, si capisce, anzi nella Carta dei diritti dell'uomo: i parlamentari devono andare in pensione a 50 anni. Soprattutto mentre decidono di alzare l'età pensionabile per il resto degli italiani. Così si fa, no?
«Aboliremo i vitalizi» ha promesso il presidente della Camera Gianfranco Fini nell'autunno 2011. «Aboliremo i vitalizi» gli ha fatto eco il suo collega presidente del Senato Renato Schifani. Ecco, appunto: l'abolizione dei vitalizi dov'è finita? Alla fine di tante discussioni, in effetti, restano: l'innalzamento-beffa dell'età (60 anni contro i 66 degli altri italiani), un piccolo intervento sulle modalità di calcolo (con diciassette anni di ritardo rispetto al resto del Paese), un deputato che va in pensione a 52 anni per inaugurare nel migliore dei modi il cambiamento e una raffica di ricorsi. Soprattutto resta il fatto che per un normale cittadino oggi ci vogliono 42 anni di lavoro per arrivare alla pensione, per un parlamentare 5 anni sono più che sufficienti. E, ancor più grave, resta il fatto che i vitalizi già erogati (il vero scandalo) non vengono toccati.
Perché? Se si vogliono abolire davvero i vitalizi non bisognerebbe cominciare dal vitalizio di chi è stato parlamentare un solo giorno e che per questo motivo da quasi trent'anni incassa 3108 euro al mese?
Possibile che non si riesca a cancellare per sempre quest'assurdità? Ne riparleremo tra poco.
Adesso andiamo a vedere che cosa succede sul fronte delle Regioni.
Anche qui grandi parole e pochi fatti. «Aboliremo i vitalizi dei consiglieri» assicurano tutte insieme durante la solenne Conferenza riunita a Roma il 27 ottobre 2011. Ma quando? Come? Calma, per l'amor del cielo, quanta fretta. Bisogna riflettere bene su un provvedimento così. Si capisce: mica si può improvvisare. E poi bisogna affidare il compito alle leggi delle singole Regioni. Risultato? Alcune le approvano (Abruzzo, Basilicata, Emilia-Romagna, Liguria, Lombardia, Trentino e Sardegna), alcune tergiversano, altre si spaccano, altre ancora non ci pensano neppure. E comunque, per tutti vale il principio fondamentale: qualsiasi cambiamento non entrerà in vigore che dalla prossima legislatura, e solo per chi assumerà la carica in futuro. I privilegi degli eletti, quelli, non si toccano.
Intanto, mentre si aspetta l'abolizione futura e parziale, nel presente il vitalizio viene esteso. Proprio così: succede alla Regione Lazio dove, nel dicembre 2011, il Consiglio approva una norma che consente di godere della pensione da consigliere regionale anche agli assessori che consiglieri non sono. Perché? Perché sì. Punto. Quattordici esponenti della giunta Polverini (su 16) possono così approfittarne. E pazienza se un paio di loro (gli ex deputati Luciano Ciocchetti e Teodoro Bontempo) già godono della pensione da parlamentare: vorrà dire che, appena finito il mandato, avranno un doppio vitalizio. Alla faccia dei tagli...
Questi spudorati non smettono di sorprenderci. Ogni possibile riduzione viene rimandata al futuro, ogni possibile vantaggio viene incassato subito. Fra l'altro, la norma della Regione Lazio viene approvata di notte, nascosta dalla luce del sole come tutte le cose di cui ci si vergogna. Anche il Consiglio regionale del Friuli, nel dicembre 2011, estende la riunione in notturna: risultato finale? Si salvano i vitalizi. In Lombardia riescono addirittura a far di meglio: in attesa di tagliare le pensioni dei consiglieri regionali, le aumentano. È quello che si deduce dal bilancio per il 2012, che prevede alla voce «vitalizi a ex consiglieri» un esborso rispetto all'anno prima di 130.000 euro in più (da 7.400.000 a 7.530.000).
Ma sì, in attesa della riduzione (forse, chissà, vedremo in futuro) il fiume di soldi continua a scorrere. Sono 3183 gli ex consiglieri regionali che prendono il vitalizio a fine mese: la Regione che ne ha di più è la Campania (294), poi c'è la Sardegna (280), quindi il Lazio (222) e la Sicilia (203, a pari merito con la Lombardia). Ma fa impressione scoprire che anche in regioni piccole abbondano: 183 in Trentino, 142 in Friuli-Venezia Giulia, 101 in Valle d'Aosta. Nelle Marche, fra i 130 beneficiari ci sono anche due studenti con meno di 26 anni: siccome la pensione è reversibile, incassano l'assegno al posto del papà defunto. La carica degli ex «onorevolini» costa 168 milioni di euro l'anno: 21,5 milioni di euro in Sicilia, 17 in Sardegna, 12,1 nel piccolo Trentino... Fra l'altro, come documenta «l'Espresso», i contributi versati dai consiglieri coprono solo una piccola parte della loro ricca pensione: al resto ci pensa, come al solito, la fiscalità generale. Cioè noi. Per esempio in Calabria i vitalizi dei 153 ex costano 7 milioni: 6 sono a carico della collettività...
L'«Alto Adige» pubblica l'elenco degli ex consiglieri delle Province di Trento e di Bolzano che prendono le pensioni: tra loro anche alcuni finiti nei guai con la giustizia, come l'ex presidente del Consiglio regionale Franco Tretter (6866 euro netti al mese) e l'ex presidente della giunta trentina Mario Malossini (6096 euro netti al mese). Nella classifica dei più ricchi anche Erich Achmùller (6837 euro netti al mese), Pierluigi Angeli (6844), Armando Bertorelle (6825), Claudio Betta (6844), Anselmo Gouthier (6825) e Bruno Hosp (6847). Il giornale raccoglie 11.000 firme contro questo assurdo privilegio, ma l'abolizione non passa. In Puglia sono riusciti a far di meglio: nel 2010 è stato deciso d'ufficio un aumento dei vitalizi del 3,09 per cento: non male per una Regione che già paga alcune delle pensioni più alte a ex consiglieri regionali (l'ex vicepresidente Sandro Frisullo a 55 anni si è assicurato 10.071 euro al mese, Tommy Attanasia a 52 anni ha cominciato a prenderne 7274...) E il Molise? I trenta consiglieri regionali godono di una normativa davvero speciale: in caso di morte, il loro vitalizio d'oro può passare non solo alla moglie e ai figli, ma anche a mamma o a papà...
Che ve ne pare? Se vi eravate indignati dunque per le 2330 pensioni pagate ai parlamentari, se vi eravate indignati a sapere che spendiamo 219 milioni l'anno per pagarle e che solo 15 milioni sono di contributi versati dai parlamentari (gli altri 204 a carico dei contribuenti), se pensate che quello dei vitalizi ai parlamentari sia un privilegio assurdo e da abolire immediatamente, ebbene sappiate che non solo esso non è stato per nulla abolito ma, al contrario, trova ampi seguiti in periferia. Alle 2330 pensioni degli ex parlamentari vanno aggiunte infatti le 3183 degli ex consiglieri regionali, ai 219 milioni di euro dilapidati per le prime vanno aggiunti i 168 milioni dilapidati per le seconde. Il giorno in cui le avremo abolite entrambe, sarà sempre troppo tardi.
Fra l'altro, scandalo nello scandalo, ci sono almeno 200 ex che stanno in entrambi i grupponi di privilegiati e prendono così una doppia ricca pensione, da parlamentari e da consiglieri regionali, come se avessero vissuto due volte. I due volte mantenuti sono 31 in Campania, 18 nelle Marche, 17 in Piemonte... Fra di loro anche alcuni personaggi celebri come l'ex leader del Movimento studentesco Mario Capanna (5000 euro lordi da ex consigliere regionale della Lombardia, 4725 euro da ex parlamentare), il presidente della Fondazione Cariplo Giuseppe Guzzetti (8000 euro da ex consigliere regionale della Lombardia e 4725 euro da ex parlamentare), il leader referendario Mariotto Segni (9947 euro da ex parlamentare, non è noto l'ammontare di quella da ex consigliere regionale della Sardegna), l'ex ministro Nicola Mancino (9947 euro da ex parlamentare, non è noto l'ammontare di quella da ex consigliere regionale della Campania), mister «centomila preferenze» Alfredo Vito (4800 euro da ex parlamentare e 3600 euro da ex consigliere regionale della Campania), Giulio Maceratini (9947 da ex parlamentare e 5610 da ex consigliere regionale del Lazio), Antonio Bassolino (non è noto l'ammontare di nessuna delle due pensioni), l'ex governatore di An Antonio Rastrelli (9387 euro da ex parlamentare, non è noto l'ammontare di quella da ex consigliere regionale della Campania), l'ex sottosegretario Isaia Sales (4725 da ex parlamentare, non è noto l'ammontare di quella da ex consigliere regionale della Campania), il primo governatore della Lombardia Piero Bassetti (3978 euro da ex parlamentare, 4000 euro da ex consigliere regionale della Lombardia), l'ex craxiano Paris Dell'Unto (8455 euro da ex parlamentare e 9000 euro da ex consigliere regionale del Lazio), l'ex ministro Ortensio Zecchino (8455 euro da ex parlamentare, non è noto l'ammontare di quella da ex consigliere regionale della Campania), Elio Veltri (3108 da ex parlamentare, 4000 da ex consigliere regionale della Lombardia) e Giovanni Russo Spena. Quest'ultimo, fra l'altro, di pensioni ne prende addirittura tre: una da ex professore universitario (3250 euro lordi), una da parlamentare (4725 euro lordi) e una da ex consigliere regionale (3000 euro lordi), in tutto oltre 11.000 euro lordi. Chissà che ne pensa sua figlia, una delle leader del movimento degli indignados anticasta...
Fin qui le doppie (e triple) pensioni. S'intende che le pensioni cessano se uno ricomincia a prendere lo stipendio da parlamentare o da consigliere. Ma (udite udite) 13 parlamentari siciliani sono riusciti anche nella meravigliosa impresa di figurare nello stesso tempo come deputati in carica ed ex deputati, sommando stipendio da parlamentare e vitalizio da ex onorevoli dell'Assemblea regionale siciliana. Una specie di ossimoro vivente garantito da una norma speciale in salsa palermitana. La denuncia dello scandalo (ogni tanto serve...) ha provocato un intervento che, con il minimo sindacale del buon senso, nel gennaio 2011 ha cancellato la follia introducendo un principio di banale normalità: o uno è deputato o uno è ex deputato. Le due cose insieme sono piuttosto incompatibili, non vi pare?
Ma non è così facile introdurre il buon senso nel nostro Paese. Infatti, 6 dei 13 parlamentari siciliani nell'agosto 2011 hanno presentato ricorso alla Corte dei Conti per riavere di nuovo accesso al cumulo di assegni.
Gli spudorati non si arrendono facilmente. Sono ostinati nel difendere i loro privilegi. I sei recordman della faccia tosta meritano ovviamente di essere citati per nome e cognome: sono Calogero Mannino del Gruppo misto, Giuseppe Firrarello (Pdl), Vladimiro Crisafulli (Pd), Salvo Fleres (Forza del Sud), Sebastiano Burgaretta (Pdl) e Alessandro Pagano (Pdl).
Da notare, come sempre, una certa trasversalità: quando c'è da difendere denari e benefit connessi, non c'è differenza di schieramento né di casacca. Inoltre non deve sfuggire il fatto che alcuni di questi spudorati sono piuttosto giovani per la pensione: Fleres ha 55 anni, Pagano appena 52. Come si fa a pretendere, a 52 anni, di cumulare indennità da deputato nazionale e pensione da deputato regionale? «È un nostro diritto acquisito, i diritti acquisiti non si toccano...» ripetono loro, con il solito mantra. Diritti acquisiti, proprio così. Come se avessero lavorato 35 anni alla catena di montaggio della Breda.
Il presidente dell'Associazione ex parlamentari, Gerardo Bianco, è solito dire che le pensioni ai suoi colleghi sono indispensabili perché altrimenti non saprebbero come vivere. Ecco qui un caso di scuola: davvero quei 6 parlamentari hanno bisogno della pensione perché «altrimenti non saprebbero come vivere»? Lo stipendio da deputato non è sufficiente? E allora con che faccia tosta, in un grave momento di crisi, in piena tempesta economica, mentre le Borse crollano e gli italiani chiedono rigore alla politica, presentano ricorso alla Corte dei Conti per avere la doppia indennità?
Un altro caso di scuola che smentisce l'amico difensore della casta, Gerardo Bianco, è quello di Ilona Staller. L'onorevole Cicciolina prende il vitalizio da parlamentare, come previsto, dal 26 novembre 2011. Avanti c'è posto: pure lei intasca 3108 euro lordi (poco meno di 2000 euro netti) come ricompensa dei suoi 5 anni passati a Montecitorio (1987-1992). Fra l'altro, da sottolineare il fatto che la pornostar ha subito annunciato di voler andare sì in pensione, come previsto dalla legge, ma solo da parlamentare: per il resto continua la sua attività che, secondo quanto spiegato dal sito internet ufficiale, è specializzata nel settore «anale, orale, interrazziale, gang bang e orgia con orientamento eterosessuale, lesbo e bisessuale». Perfetto no? Chissà se approfitterà per farne l'oggetto di un suo nuovo spettacolo: «Dalla Camera alla cameretta: memorie senza vergogna di una sexy deputata in pensione».
Dunque, davvero gli ex parlamentari hanno bisogno della pensione perché «non saprebbero come vivere»? Ilona Staller, la santa patrona dei pitoni, ha girato 41 film, tutti di grande cassetta, ha fatto spettacoli in tutto il mondo, ospitate in Tv, ha pubblicato album e canzoni singole (da Muscolo rosso a Pane, marmellata e me) e continua a produrre sogni erotici e business in gran quantità: davvero ha bisogno dei 3108 euro del Parlamento per vivere? «Pensi che il diritto alla pensione me l'ero persino dimenticato» ha dichiarato lei, dicendosi pronta a devolvere tutto in beneficenza («Ma solo se lo fanno gli altri»). E allora ripetiamo la domanda che ci ossessiona da qualche tempo: Cicciolina non fa altro che sfruttare una legge, è vero, ma perché diavolo abbiamo fatto una legge del genere, che ci obbliga praticamente a regalare una pensione anche a chi non ne ha assolutamente bisogno, come Cicciolina, appunto, o come Eugenio Scalfari (3108 euro al mese), Luciano Benetton (3108 euro al mese) o Francesco Merloni (9947 euro al mese)?
Uno dei ritornelli tipici degli spudorati, quando si getta loro in faccia lo scandalo del privilegio, è il seguente: io ci rinuncerei, ma non posso, la legge non me lo consente. Ha fatto ricorso alla formula magica anche Eugenio Scalfari, giornalista miliardario con la pensione da parlamentare, che lo ha scritto in uno dei suoi editoriali. Ma voi ci credete? Io poco. Soprattutto da quanto ho letto della legge approvata nel dicembre 2010 dalla Regione Veneto, che consentiva per l'appunto ai consiglieri regionali di rinunciare a tutti gli emolumenti pubblici o a una parte di essi. Ebbene: sapete quanti lo hanno fatto? Uno solo. Uno su 60.
Gli altri 59, niente. Non hanno rinunciato nemmeno a un euro, nemmeno a un centesimo. Tanto che, nel luglio 2011, anche l'ultimo moicano si è stancato: «E che sono? Il più fesso?», deve aver pensato. E così ha chiesto di poter riavere per intero i suoi soldi. Dimostrando, una volta per tutte, che non è vero che «la legge non lo consente». È che proprio non vogliono.
Così i vitalizi restano. Immarcescibili. Indistruttibili. Negli ultimi quattro anni la spesa per la pensione dei deputati (che già non ha pari in tutto il mondo) è aumentata di 7 milioni di euro, quella per le pensioni dei dipendenti della Camera addirittura di 42 milioni. Bei cambiamenti, no?
Un dossier riservato elaborato nel luglio 2011 dai tre questori della Camera presenta ufficialmente quello che già si sapeva: in nessun Paese al mondo le pensioni dei parlamentari sono alte come da noi. Tanto per fare qualche esempio: dopo 5 anni di mandato, un parlamentare italiano prende 2486 euro, un francese appena 780, un tedesco 961 e un inglese fra i 530 e i 755 euro. Dopo 10 anni di mandato, un parlamentare italiano prende 4973 euro, un francese 1500, un tedesco 1917 e un inglese fra i 1060 e i 1588 euro. Inutile dire che nessuno arriva a guadagnare, come accade agli italiani, oltre 9000 euro al mese: dopo 40 anni di mandato un deputato francese arriva al massimo a 6300, un tedesco non supera i 5175 (è il tetto invalicabile) e un inglese si ferma addirittura a 2381.
E allora, se questi sono i numeri, torniamo a bomba e diciamocela tutta: vogliamo davvero «abolire i vitalizi», come dichiarano i presidenti di Camera e Senato? Bene: le leggine sull'età e sul contributivo pro quota non bastano. Sono acqua fresca di fronte all'enormità dello scandalo. Ci vuole qualcosa di più radicale. Bisognerebbe, innanzitutto, cominciare ad abolire tutti quei vitalizi vergognosi, concessi negli anni passati in base a leggi assurde, e che però ancora oggi vengono regolarmente erogati ogni mese: il vitalizio di Luca Boneschi, che prende 3108 euro al mese per aver fatto un giorno (proprio uno di numero) in Parlamento; il vitalizio di Toni Negri che prende 3108 euro al mese per aver partecipato a nove sedute (leggasi: 9) a Montecitorio o quelli di Angelo Pezzana e Piero Craveri che l'assegno lo prendono (3108 euro al mese) per essere stati in Parlamento una settimana. Se non si comincia ad abolire questi scandali, che abolizione è?
Quando è uscito il mio libro-denuncia sulle pensioni, Sanguisughe, l'avvocato Boneschi mi ha scritto. Due mail lunghe, molto gentili. «Non ho fatto altro che rispettare la legge» mi ha detto, in sostanza, allegandomi lunghi stralci di suoi libri, e resoconti delle sue appassionate attività.
Certo: ha rispettato la legge. Non l'ho mai messo in dubbio. Ma il fatto che rispetti la legge non è un'aggravante? Il fatto che esista una legge così non è un insulto? Dicono che sia una legge per difendere il Parlamento: ma davvero volete farci credere che si difende il Parlamento pagando la pensione a uno che è stato parlamentare un giorno? A me l'avvocato Boneschi sta pure simpatico. Meglio lui di quegli altri due (Piero Craveri e Angelo Pezzana) che prendono il vitalizio per aver trascorso una settimana in Parlamento (una settimana davvero, non un giorno di più) e, zitti zitti, non hanno voluto commentare il loro scandalo personale. Anzi, peggio: hanno nascosto la testa sotto la sabbia, come gli struzzi. Craveri, per altro, è pure nipote di Benedetto Croce, ha un curriculum importante, scrive libri come La democrazia incompiuta, fingendo di ignorare che, se la nostra democrazia è incompiuta, è anche perché esistono privilegi come il suo. Ma tant'è. Lui non s'è mai fatto vivo. Angelo Pezzana, libraio torinese chic, neppure. Boneschi è meglio di loro, sia chiaro. Eppure io non ho dubbi: a Boneschi quel vitalizio dovremmo toglierglielo.
Dovremmo farlo subito. Immediatamente. Adesso. Fosse anche solo un gesto simbolico e dimostrativo. Anzi, mi domando: perché non l'abbiamo ancora fatto?
Dicono che quella pensione sia un diritto acquisito. Oh bella: un diritto acquisito? Da quando la pensione con 24 ore di anzianità è un diritto acquisito? Al massimo è uno scandalo acquisito. E, di norma, gli scandali acquisiti non si difendono: si abbattono. Qualcuno, poi, mi deve spiegare perché quando si tratta degli altri, dei non-casta, per intenderci, degli italiani qualunque, contribuenti senza i benefit di Montecitorio, ebbene, qualcuno mi deve spiegare perché qualsiasi diritto acquisito si può mettere in discussione, compresi il diritto acquisito al riscatto della laurea o del servizio militare. E invece quando si tratta del vitalizio di un parlamentare, anche il più immeritato, scatta subito il ritornello del non si può. È intoccabile. Un tabù. Diciamocela tutta: ci siamo scandalizzati per Cicciolina che prende la pensione da parlamentare avendo nel suo palmarès film come Carne bollente, Vogliose insaziabili e Banane al cioccolato, ma i suoi colleghi ex parlamentari, con rispetto parlando, sono assai più scandalosi di lei.
«Sì, è vero: prendo una pensione d'oro.» E non ha mai pensato di tagliarsela? «Non capisco la domanda.» Giuliano Amato si presenta in Tv nel settembre 2011, ospite di Lilli Gruber su La7 che inaugura così la sua nuova stagione. «Vi mostrerò facce nuove» aveva promesso la rossa conduttrice in conferenza stampa. Pronti via, il Dottor Sottile, che proprio nuovo nuovo non è. Però, almeno, la Gruber è riuscita a fargli la domanda giusta. Prima l'ha lasciato sfogare, mezz'ora a concionare di massimi sistemi e della necessità degli italiani di fare sacrifici (è la sua fissa). Poi l'ammissione: lui che ha tagliato le pensioni di tutti, gode di una pensione da 31.000 euro lordi al mese. 9000 come ex parlamentare, 22.000 dall'Inpdap come ex professore universitario (un ex professore universitario con una pensione da 22.000 euro al mese? Com'è possibile?
Semplice: l'ha ottenuta con il ricongiungimento, andando in pensione quando aveva il ricco stipendio da presidente dell'antitrust). Si sentirà un po' in imbarazzo a predicare lacrime e sangue mentre incassa simili vitalizi? Macché. Semplicemente «non capisce la domanda».
Diciamocela tutta: è già tanto che Amato non abbia chiesto di aumentarla, la sua pensione, magari mentre chiedeva agli italiani di rinunciare a un pezzo della loro. Qualcun altro l'ha fatto. Ricordate Antoine Bernheim, ex presidente delle Assicurazioni Generali, che nel luglio 2010 è andato a riposo con un vitalizio pari a 1,5 milioni di euro l'anno, cioè 125.000 euro al mese, cioè 4100 euro al giorno? Raccontavo la sua storia in Sanguisughe, con un po' di stupore: è vero che quel supervitalizio non viene pagato dall'Inps ma dalle Generali in base a un accordo privato (poi dici che le assicurazioni costano...), ma trovavo singolare che l'anziano francese (87 anni), arrivato in Italia attaccando lo «sfarzo mediterraneo» e insegnandoci le regole della sobrietà, se ne fosse andato con una buonuscita così faraonica, senza rinunciare per altro all'uso dei benefit, case a Trieste e a Venezia, motoscafi compresi. Quello che non immaginavo, però, è che Bernheim, evidentemente, considerava quei 125.000 euro al mese (4100 euro al giorno) una miseria: infatti, appena ha saputo che il suo successore, Cesare Geronzi, ha incassato di più (16,7 milioni di euro di liquidazione per meno di un anno da presidente...), è andato su tutte le furie e ha chiesto alle Generali altri 20 milioni di euro cash. E il pagamento dei danni morali. Avete capito bene: danni morali. Come se 125.000 euro al mese fossero un'offesa mortale...
Poi dite che non cambia niente. Non è vero. Qualcosa cambia. Quasi sempre in peggio. Prendete un altro caso citato in Sanguisughe, quello di Leonardo Quagliata, 59 anni, uno dei più grandi commercialisti di Roma, studio in zona Prati, fatturato annuo di svariati milioni di euro. Quagliata, oltre a numerosi incarichi ministeriali, per il Tribunale di Roma e per numerose Asl, risulta titolare di 22 poltrone in diverse società (da Agusta a Finmeccanica, da Raicinema a Telespazio Holding) e di una pensione Inpdap da 1196 euro al mese che risale al 15 dicembre 1977. Proprio così: gli è stato riconosciuto il diritto alla pensione dal 1977 perché facendo il servizio militare si era infortunato lievemente a un braccio.
Tutto regolare, per carità, tutto inattaccabile. Ma fa un certo effetto mettere a confronto il curriculum di Quagliata e il suo cedolino Inpdap, pensando che uno dei commercialisti più affermati, ricchi e ricercati della capitale, di fatto, prende la pensione da quando aveva 24 anni. È un suo diritto, sia chiaro. Ma siamo sicuri, ci siamo a lungo domandati, che gli stessi diritti vengano riconosciuti anche ai poveri cristi, quelli che non hanno consulenze al ministero e non siedono sulle poltrone di 22 diversi consigli d'amministrazione? Non abbiamo avuto risposta. In compenso, il 19 maggio 2011 abbiamo ricevuto notizia che Quagliata è stato nominato revisore dei conti per l'Auditorium Parco della Musica. La ventitreesima poltrona. Ci mancava.
Lo vedete? Non è vero che non cambia nulla. A volte qualcosa cambia in peggio. A volte cambia in meglio. In Sicilia per esempio (è un altro piccolo successo dell'indignazione) il 31 dicembre 2011 è stata abolita la famigerata 104, la legge che consentiva ai dipendenti pubblici di andare in pensione con 20 anni di anzianità (le donne) o 25 (gli uomini) per accudire un parente malato. Una legge che ha dato vita a una serie infinita di storture, consentendo anche (grazie a calcoli particolari e lavori usuranti) di arrivare a incassare il vitalizio dopo 16 anni 10 mesi e 30 giorni di lavoro, com'è successo nel 2009 all'ispettore dei forestali Totò Barbitta di Gaìati Mamertino... Inutile dire che nei mesi precedenti l'abolizione c'è stata la corsa ad approfittare della legge: 163 baby pensionati fra giugno e novembre (più di uno al giorno), poi una maxisanatoria contestuale all'abolizione... Ma tant'è: almeno lo scandalo è finito. Fra l'altro non è mica la Sicilia ad avere il record delle baby pensioni. Macché: è la Valle d'Aosta. Ne conta una ogni 57 abitanti. Quasi tutti ex dipendenti pubblici. Fra di loro, come racconta «La Stampa», anche Patrizia Nuvolari, che è andata in pensione a 40 anni e adesso ha aperto un blog. Si chiama «Patuasia» e denuncia gli sprechi della Regione...
Tutto normale, si capisce. Solo che vi dobbiamo un'avvertenza: se vi eravate indignati per Sanguisughe, ebbene, sappiate che le sanguisughe non mollano. Resistono. Si moltiplicano. Ci attaccano. E non pagano mai.
Assemblea Regionale Siciliana, ì privilegi dei burocrati. Ecco stipendi e pensioni d'oro, titola «la Repubblica» di Palermo il 19 novembre 2011. E rivela che un ex segretario generale va a riposo con un assegno di 12.263 euro e un commesso ne prende 3439. E l'8 gennaio 2012 la medesima «Repubblica» di Palermo annuncia: «La stretta varata da Monti non si applica al Parlamento siciliano». Ma certo, si capisce: la cuccagna continua. La cuccagna continua per i pensionati d'oro (Mauro Sentinelli, 90.247 euro al mese; Mauro Gambaro, 51.160 euro al mese; Alberto De Petris, 50.274 euro al mese). La cuccagna continua per i dipendenti del Senato che, se assunti prima del 2007, ancora oggi possono avere a 57 anni un assegno calcolato con il sistema retributivo (per altro maggiorato). La cuccagna continua anche al Quirinale dove, nonostante le modifiche incisive introdotte negli ultimi tempi, i dipendenti possono andare in pensione a 60 anni (sempre 6 anni meno dei comuni mortali)...
La cuccagna continua a tal punto che la Camera dei deputati per il triennio 2012-2014 ha messo a bilancio, per le pensioni dei dipendenti, una cifra crescente: da 216,4 a 234,2 milioni di euro. Voi direte che l'aumento è dato dal fatto che ci sono tante persone che vanno in pensione? Può essere. Ma allora perché negli stessi tre anni la spesa per gli stipendi, pure quella, va crescendo (da 287,1 a 292 milioni di euro)?
Diciamo la verità: nonostante le lacrime del ministro Elsa Fornero, a piangere sono soprattutto gli italiani normali. E invece la cuccagna continua per tutti quelli che stanno nei palazzi che contano. A conti fatti, con il permesso della Conferenza delle Regioni, di Monti, del Quirinale, di Patuasia e delle tante parole sprecate negli ultimi dodici mesi, l'unico che ci ha rimesso qualcosa, dopo tanto denunciare, è il burocrate Felice Crosta. Ve lo ricordate? Era uno dei pensionati più ricchi d'Italia: grazie a una leggina speciale era riuscito ad assicurarsi una pensione da 40.000 euro al mese, 1369 euro al giorno. La Corte dei Conti ha rifatto i calcoli e gliel'ha dimezzata: «solo» 20.000 euro al mese, povero Felice. Chissà come sarà disperato.