18
Lunedì 8 dicembre
Owen
Afferra il sacco con entrambe le mani e cerca di sollevarlo. Macché. Se non presta attenzione si farà male. Allora lo trascina alla porta del capanno, supera la soglia rialzata, poi giù per i due scalini fino al prato, dove lo mette accanto a una serie di casse che ha spinto fin lì e svuotato in precedenza.
Rovescia il contenuto del sacco sull’erba e si mette a fare la selezione, un oggetto dopo l’altro, aggiungendoli ciascuno al suo mucchio – ha fatto tre pile. Uno andrà dritto alla discarica o ne farà un bel falò, un altro tornerà nel capanno non appena avrà finito. Il terzo mucchio – gli oggetti su cui è indeciso – finirà in un angolo del garage e ci rimarrà finché gli Alderton non torneranno dalla vacanza invernale a Lanzarote. Laggiù hanno una seconda casa, ci si piazzano ogni anno dall’inizio di ottobre fino a poco prima di Pasqua. Se non fosse per la settimana di Natale, quando rientrano per rivedere i figli e i nipoti per le festività, starebbero fuori per circa sei mesi.
Gli ultimi tre inverni gli hanno lasciato la chiave del capanno e pagato un anticipo per tenere il giardino in ordine e fare una serie di lavoretti nell’area esterna della proprietà mentre sono via: un albero da sfoltire qui, un cespuglio da sradicare là. Per lui è perfetto. Non deve rendere conto a nessuno, può decidere quando passare, incastrando quell’impegno con tutti gli altri lavori da fare in contemporanea.
Che poi, guarda caso, al momento sono pochissimi. È il momento sbagliato dell’anno. Alcuni clienti non hanno troppi soldi a disposizione. E altri sembrano ancora un po’ diffidenti, dopo tutto l’interesse che la polizia ha mostrato nei suoi confronti in autunno. Dal punto di vista economico le cose sarebbero più semplici se il progetto per Abi avesse avuto un seguito, ma di quello è meglio non parlare. Quindi è contento del lavoro, felice di dedicarsi a un compito relativamente poco impegnativo, di routine, come ripulire il capanno per far spazio.
Uno dei primi oggetti che estrae dal sacco è la mazza da baseball. Il capanno si è rivelato il nascondiglio perfetto, un posto in cui nessuno verrebbe mai a ficcare il naso. Ogni volta che ci va non riesce a resistere alla tentazione di tirarla fuori e darle un’occhiata. Ed è esattamente questo che fa adesso, sollevandola sotto la luce grigia del mattino. Neanche un segno sulla superficie, cosa che non è poi così sorprendente: l’ha strofinata un sacco di volte, ha limato alcune imprecisioni, concentrandosi in particolare sulla metà inferiore, dove potevano essere rimasti segni rivelatori, e l’ha affogata nell’olio. È piuttosto certo che la scientifica non riuscirebbe a trovarci nulla. Ma la prudenza non è mai troppa.
Willie gli sta addosso fin da quando sono tornati a casa quella notte. Continua a piagnucolare sul fatto che anche la scritta KC ha la sua importanza. Metti insieme tutto e ti verrà fuori ottantatré: qualunque cretino ti dirà che è un numero primo. Però Owen non gli dà ascolto. È lui l’esperto di quel genere di cose. Non è una targa: le lettere non contano.
L’ha tenuta nel sacco con una certa quantità di oggetti che gli Alderton hanno accumulato nel corso degli anni: un kit di utensili per il barbecue, un set di bocce colorate, un paio di palloni e una mazza da cricket in miniatura per quando arrivano i nipoti, vari picchetti da tenda e un mazzuolo (anche se non gli è ancora capitato di trovare tracce della tenda). Lì la mazza da baseball non sembra per nulla fuori posto e il bello è che, a meno che non decidano di fare una scappata per Natale, per quattro mesi non avrà bisogno di cercare un altro nascondiglio. Quindi ha un sacco di tempo per decidere cosa farne.
Con la mazza stretta in pugno si mette a gambe divaricate e fa alcuni movimenti di prova. Riporta in vita frammenti di memoria, più istintivi che visivi. Più che un’immagine reale conserva una sorta di consapevolezza. Mentre fende l’aria, ha la sensazione di essere stato liberato, o magari vendicato, e l’impeto lo scaraventa quasi per terra. Non ha ricordi nitidi di quei pochi attimi in Honer Lane: c’è solo il prima e il dopo, e non si fida molto di ciò che pensa di ricordare in mezzo. Impossibile distinguere ciò che è realmente successo da quanto è stato ricucito e rappezzato da un’immaginazione febbrile. Ma sa quanto lo fa sentire bene quella mazza. Ed è l’unica cosa che conta. Un buon auspicio. Come potrebbe essere altrimenti?
Un suono metallico dal cellulare in tasca gli segnala l’arrivo di un messaggio. Non vuole distrazioni, perché sono previste forti piogge intorno a mezzogiorno e, se dovessero cominciare un po’ prima, potrebbe ritrovarsi con tutte le cose del capanno ancora all’aperto. Così ignora per il momento il messaggio, elimina le impronte dal manico della mazza e la seppellisce in fondo al sacco, prima di rimettersi a spulciare, smistando gli oggetti nei vari mucchi.
Cinque minuti dopo viene interrotto un’altra volta dal cellulare… stavolta una chiamata. Lo estrae dalla tasca e, quando vede il nome, prima ancora che il cervello formuli un pensiero coerente, sente un piccolo tuffo al cuore. Strano come funzionino certe cose. Può ripetersi all’infinito che lei l’ha deluso e che non vuole più averci nulla a che fare, ma l’istinto lo tradisce sempre. Non ha idea del perché lo stia chiamando adesso… non vuole saperlo. Dopo tutto quello che gli ha fatto passare di recente, Abi Green – si fa sempre chiamare così, nonostante ciò che ha scoperto sul conto di Callum – può aspettare.
Come no.
Due minuti dopo seleziona il numero dalla lista dei preferiti e le telefona. Lei risponde quasi subito. Lo ringrazia per averla richiamata, dice che non sapeva se l’avrebbe fatto. Ci hai azzeccato, pensa lui. Abi non sa quanto è arrivato vicino a prendere la decisione di ignorarla.
Ascolta le sue spiegazioni. Dice che non lo biasimerebbe se lui si rifiutasse, visto come si è comportata, ma ha davvero bisogno di parlargli di una cosa. Se solo lui le desse la possibilità di spiegare…
Due minuti fa non le avrebbe rivolto la parola per nulla al mondo. Non l’ha perdonata e non lo farà. Non ha alcuna intenzione di dimenticare come ha reagito quando ha scoperto che era stato nella sua camera. Il modo in cui l’ha trattato la mattina dopo è stato imperdonabile. Si era presentato come al solito per lavorare, pronto a scusarsi perché, d’accordo, sapeva di aver passato il segno. Quello lo poteva ammettere. Era consapevole che le donne talvolta si comportano in modo bizzarro quando ci sono di mezzo le loro stanze; la vedono come un’invasione della privacy. A parti inverse a Owen non avrebbe dato alcun fastidio, ma era stato lui la causa di tutto, quindi era disposto a chiedere scusa e girare pagina.
E invece lei ci era andata giù pesante. L’aveva chiamato in cucina e gli aveva chiesto di sedersi al tavolo come se fosse uno scolaretto indisciplinato. Era un pezzo di ghiaccio: gli aveva detto che la sera prima aveva pensato molto a ciò che le aveva fatto. Sentiva di non potersi più fidare di lui. La preoccupava il modo in cui si era comportato ultimamente: prima quella collana costosa, poi l’intrusione nella sua privacy. Aveva l’impressione che stesse fraintendendo la natura della loro amicizia, e presupponendo delle cose che non la facevano sentire del tutto a proprio agio. Ne aveva parlato, neanche a farlo apposta, con il padre di Callum – come se fossero affari suoi – ed era giunta alla conclusione che sarebbe stato meglio rinviare il progetto del giardino al prossimo futuro. Forse da lì a qualche mese avrebbe considerato diversamente la cosa, ma per il momento non si sentiva a suo agio in sua presenza. Aveva bisogno di stare un po’ da sola, per elaborare tutto quello che era successo nelle ultime due settimane.
Gli ci era voluto un attimo per capire cosa stesse dicendo. Tutte quelle ore passate a redigere progetti diversi, per essere sicuro che almeno uno rispondesse alle sue esigenze… tempo buttato. Il messaggio era che non si sarebbe occupato per nulla del giardino. Quando l’aveva capito, il fastidio si era tramutato in rabbia nel giro di pochi minuti, passando per la disperazione. Sa di aver detto un paio di cose che probabilmente avrebbe fatto meglio a risparmiarsi, compresa un’osservazione brusca sul suo nuovo amico – avrebbe chiesto anche al suo nuovo amico di starle alla larga, così avrebbe avuto lo spazio che le serviva? Ma è improbabile che ciò abbia in qualche modo influito sulla sua decisione. Lei non aveva intenzione di ripensarci. Quando le aveva telefonato più tardi quella sera, e poi di nuovo il giorno successivo, per pregarla di ripensarci, con la promessa che non sarebbe mai più rientrato in camera sua, lei gli aveva attaccato in faccia.
Ormai sono passati quasi tre mesi e Owen ha avuto tutto il tempo di stabilire con precisione come si sente riguardo all’intera faccenda. E se, quando ha risposto al telefono, qualcuno gli avesse detto che Abi sarebbe riuscita a convincerlo, non ci avrebbe mai creduto. Ma, anche se sta usando tutte le frasi giuste e le sta dicendo che dubita profondamente di aver voglia di starla a sentire, è consapevole che il cuore gli sta esplodendo nel petto, reclamando il diritto a essere ascoltato. Le dice che al momento è impegnato e mette giù il telefono all’improvviso, come se volesse disperatamente ritirarsi finché è ancora in vantaggio, ma c’è una parte non indifferente di lui che gli urla di rimangiarsi ciò che ha detto. Di chiamarla. Di dirle che gli dispiace essere stato così scortese. Non voleva. Non si possono cancellare così tanti anni. In un certo senso è il passato che semplicemente non lo tollera.
Così, quando qualche minuto dopo arriva un messaggio – «Mi dispiace. Capisco e non ti biasimo. Non merito nulla di meglio. La tua amica Abi» – la richiama quasi subito, con le dita che fremono per premere i tasti giusti. E cerca di considerare come una vittoria morale il fatto di averle detto che al momento è occupato e non riuscirà a incontrarla prima di sera. Ma in realtà non ci crede neanche per un attimo. Spera solo che ci creda lei.
Quindi, alle 18,30 al Lion di Pagham.
Ma di cosa si tratterà mai?
Phil
Addobbi, si disse. Diciassette giorni a Natale e non aveva ancora portato giù le scatole dalla soffitta: una lunga e stretta con dentro l’albero finto, due più compatte che contenevano gingilli, luci e decorazioni tradizionali che lui e Sally avevano accumulato negli anni.
Sapeva bene dov’erano: sulla destra, nascoste in una nicchia formata dalle tubazioni coibentate e dalle travi di sostegno. Addobbare ogni anno il salotto era una specie di tradizione familiare. Sally preparava sempre vin brûlé e mince pie; lui e Callum invece portavano giù dal solaio tutto l’occorrente e montavano l’albero – questo quando Callum era ancora piccolo e si entusiasmava per quel genere di cose. Poi lo decoravano tutti insieme, mentre lui e Sally si scambiavano sorrisi complici, fingendo di non accorgersi che immancabilmente Callum portava via di nascosto una statuina di cioccolato.
Il primo Natale dopo la morte di Sally, quello del 2012, aveva deciso di non portare giù le scatole dalla soffitta. Erano rimaste lì per tutto il periodo delle festività. Forse, se Callum fosse venuto a trovarlo più spesso e avesse mostrato un qualche genere di entusiasmo per tener viva la tradizione, sarebbe andata diversamente, ma Callum era Callum. E così Phil se n’era stato in un salotto senza addobbi, convinto di passarsela meglio in una stanza triste e ascetica piuttosto che in un locale inondato di luci e colori. L’anno prima non aveva ripetuto lo stesso errore, e anche quell’anno non sarebbe andata diversamente, nonostante tutto ciò che era successo… non appena se la fosse sentita.
Il cellulare squillò e mancò poco che non rispondesse nemmeno. All’ultimo istante controllò chi era e cambiò idea.
«Ah ciao, sei tu».
«Ciao», disse Anna, «come sta l’infermo?»
«Non benissimo, ma grazie per il pensiero».
«Non ti sento poi così male».
«Allora dimmi, cosa dovrei fare per darti l’impressione di stare male?»
«Boh. Mi aspettavo qualche colpo di tosse. Magari il naso chiuso».
«Mi dispiace deluderti», disse lui, con la voce di un’ottava più bassa del solito. «Ma, se può consolarti, ieri sera avevo 38 di febbre e mi sento la gola come se qualcuno ci avesse sfregato sopra un foglio di carta vetrata».
«Uhm… davvero ironico. È questa la parola giusta?», chiese lei. «È solo che mi sembra di ricordare un super addetto alla sicurezza di ronda appena qualche giorno fa che storceva il suo naso non intasato di fronte ai comuni mortali a letto con il virus dell’influenza e borbottava che ai vecchi tempi perdere anche solo un giorno di lavoro per motivi di salute era considerata una specie di macchia nella reputazione. Sosteneva addirittura che metà di coloro che non si erano presentati quella settimana probabilmente erano andati a fare acquisti natalizi a Chichester. A proposito, c’era il pienone? Hai trovato tutto quello che cercavi?»
«Ti dirò che ho dormito tutta la mattina», disse lui, allungando la mano per prendere un fazzoletto di carta e tamponarsi l’angolo dell’occhio, che da un’ora gli lacrimava in modo fastidioso. «Mi sono trascinato al piano di sotto per mandare giù una scodella di zuppa, poi mi sono subito riappisolato davanti al fuoco. Se non avesse telefonato Holloway, mi sa che avrei dormito fino a stasera».
«Cosa voleva?», chiese lei, con un tono un po’ più serio.
«Niente di urgente. Solo un rapido aggiornamento».
«Non ti molla, eh?»
«No».
«Allora la cosa continua?»
«Già».
«Quindi che significa di preciso? È ufficiale?»
«Boh. Non ho chiesto. Gli ho promesso che l’avrei tenuto al corrente ed è quello che ho fatto. Al resto deve pensarci lui».
«Ma non ti ha dissuaso?»
«No».
«Bene, allora».
«E invece la tua di giornata come sta andando?», domandò, desideroso di continuare la conversazione.
«Aspetta», rispose Anna, e lui sentì il rimbombo dei passi su una superficie dura. «Voglio solo essere sicura che Grandi Orecchie non possa sentirmi», spiegò. «La mia giornata? Insomma, la tua non sembra malaccio vista da qui. Ti dirò, farei volentieri a cambio. Indovina con chi mi hanno messo?»
«Con Gonzo?»
«E con chi altrimenti? La sai l’ultima? Riguarda noi due».
«Noi due?»
«Hai capito bene. A quanto pare i Keystone Cops hanno stabilito che io e te abbiamo una relazione».
«Perché? Non è così?»
«Pare che trombiamo come conigli. Da mesi. Gonzo si è sentito in dovere di farmelo sapere».
«Quindi allora non sei più lesbica?»
«Sembra di no».
«Secondo loro cosa sarà peggio? Essere gay o gettarsi tra le braccia di uno che potrebbe essere tuo padre?»
«Non me ne parlare. In guerra saresti stato uno di quelli che deduce cosa passa per la testa alla gente».
«Un soldato?»
«No, quelli che dovevano decifrare i codici e cose simili. Hai presente?»
«The Bletchley Circle».
«Ah ah! Molto bene. Pensi che non sappia cos’è? Decodificatori. Ecco il termine. Un altro pianeta. Comunque, vedi di tornare domani, costi quel che costi, perché, se mi tocca passare un altro giorno di ronda con lui, uno dei due non arriva alla fine del turno».
«Farò il possibile».
«Imbottisciti di medicine. Quintali di tachifludec, paracetamolo e roba così».
«Il tachifludec è paracetamolo».
«Lo so. Ma dopo un paio di tachifludec non sopporto più il sapore». Restò un attimo in silenzio. «Posso portarti qualcosa? Analgesici? Qualcosa per la tosse? Potrei fare un salto tornando a casa».
Lui rise.
«Perché Rose Green è di strada, no?»
«Mi viene di strada, se per rientrare, passo da casa tua. Ti serve qualcosa o no?».
La ringraziò, ma le assicurò che era ben rifornito di tutto il necessario.
«Allora è per questo che hai chiamato?», le chiese. «Per sapere come stavo?»
«Praticamente sì. Ma ho un’altra notizia per te. Sempre se ti interessa».
«Dimmi».
«Per poco non me la dimenticavo, con tutti i tuoi piagnistei. Ti ricordi il primo incontro di arti marziali miste che hanno cancellato?»
«Sittingbourne».
«Esatto. Ecco, l’hanno riprogrammato. Solo che questa volta si terrà qui. L’ho saputo oggi pomeriggio. I nostri ragazzi hanno già prenotato il Jenese Arts Centre di Linden Road, proprio vicino casa mia. Lo conosci?».
Sì che lo conosceva. Baz l’aveva prenotato tempo prima per promuovere un paio di pugili. Posto raccolto, bella atmosfera. Non era abbastanza grande per accogliere un pubblico numeroso, ma a dire il vero non sapeva quanta folla potesse attirare un incontro di arti marziali miste. L’acustica però era buona: magari gli spettatori non sarebbero stati molti, ma di sicuro avrebbero fatto un bel casino.
«E allora quand’è?»
«Domenica pomeriggio. Dalle due alle cinque».
«Sai chi affronti?»
«No. Perché? Stai pensando di accompagnarmi?»
«Potrebbe anche darsi».
«Vuoi vedermi mentre mi faccio risistemare il naso, giusto?»
«A dire la verità», disse, approfittando dell’occasione prima che la sua valvola di sicurezza potesse scattare, «mi chiedevo se ti andrebbe di cenare insieme dopo».
«Cenare insieme?». La pausa fu abbastanza lunga da spingerlo a domandarsi se c’era modo di rimangiarsi la proposta. «Intendi… cena cena? In un ristorante?»
«Se pensi di farcela. Porterò dei cerotti e una benda».
Mentre aspettava il verdetto, si sorprese ad avvolgersi le nappe della coperta attorno alle dita.
«Certo, ce la farò».
«Bene», disse lui. «Allora abbiamo un appuntamento».
E di nuovo, ancora prima di aver finito la frase, avrebbe voluto risucchiarsi dentro la bocca quella parola.
Un appuntamento… per l’amor di Dio.
Owen
Quando arriva, lei è lì ad aspettarlo. È un po’ sorpreso. La mamma diceva sempre che arrivare in ritardo è una prerogativa femminile, ma ha cominciato a rendersi conto che tante delle cose che sua madre ripeteva in continuazione non sono troppo attendibili. Probabilmente riguardavano più lei stessa che le donne in generale. Negli ultimi tempi gli capita sempre più spesso di doversi fare un’opinione tutta sua sulle cose.
Lei ha un aspetto diverso… ha fatto qualcosa ai capelli. Sono più corti, le si adattano meglio alla forma del viso. Le donano, anche se non crede che la serata comincerebbe con il piede giusto se glielo dicesse. Lei deve capire che, anche se ha accettato di incontrarla e ascoltare cos’ha da dirgli, non significa che l’abbia perdonata. Non deve pensare che sarà così semplice.
Ha già un bicchiere di vino davanti a sé, così lui chiede dell’acqua al bancone. La cameriera vuole sapere se la preferisce frizzante o di un altro tipo che lui non riconosce. Dice che vuole solo dell’acqua dal rubinetto e lei gliene dà un bicchiere gratis. Se lo porta al tavolino d’angolo della saletta interna dove lo aspetta Abi.
Lei esordisce chiedendogli nuovamente scusa. Dice che non sa cosa le sia preso. Può solo ipotizzare che si sia trattato di un qualche shock a scoppio ritardato, perché si è comportata con tutti allo stesso modo… non deve credere che l’abbia fatto solo con lui. Forse è successo perché ha scoperto che Callum si vedeva con un’altra. «Mancanza di fiducia», continua a buttar lì durante la conversazione. Ha perso fiducia, in sé e in chi le stava attorno. Come se queste paroline giustificassero tutto. Dice che ha avuto bisogno di isolarsi e cominciare a ricostruirsi una vita, analizzando la sua intera esistenza a fondo, e decidendo su quali basi ripartire. Ora l’ha fatto e ne sta uscendo. Crede di essersi ripresa.
Lui l’ascolta impassibile, deciso a non tradirsi in alcun modo. Gli piacerebbe crederle, ma è proprio per questo che deve stare in guardia. Conosce se stesso, specialmente quando c’è di mezzo Abi. Può chiudere ermeticamente ogni varco ed erigersi un muro di difesa tutto intorno, ma, se non fa attenzione, lei riuscirà comunque a trovare un modo per fare breccia. Gli ci sono voluti tre mesi per superare ciò che è successo. E non ha bisogno che Willie glielo cinguetti all’orecchio per ammetterlo. Sa quanto è importante che le difese reggano.
Lei gli chiede come va e lui non sa cosa dire. Durante il tragitto per arrivare lì era più che deciso a infiocchettare un po’ le cose, inventandosi grandi progetti per farle pensare che non è andato fuori fase per come l’ha trattato. Ora si ritrova a marciare nella direzione opposta. Poco lavoro in giro. Fa fatica a riempire il buco che gli ha causato lei nella tabella di marcia. E ha sufficiente consapevolezza di sé per rendersi conto di ciò che sta facendo. Vuole farla sentire in colpa. Vuole che capisca esattamente che danno gli ha procurato sbattendogli la porta in faccia, subito dopo che si erano ritrovati. Così, quando le parla della sua vita sociale, ci tiene a sottolineare che non ne ha una. Va saltuariamente al cinema… e sempre da solo. Altrimenti passa le serate a casa. È come se le stesse urlando guarda cos’hai fatto, senza dirglielo esplicitamente, e funziona, perché si rende conto che lei capisce. Ce l’ha scritto in faccia. E la cosa lo fa sentire bene.
Le chiede se l’ha fatto venire lì per scusarsi e lei risponde di no. Intuisce che si sta facendo coraggio per chiedergli qualcosa. E poi glielo dice. Non sa come domandarglielo perché, visto il modo in cui si è comportata, sente di non aver più nessun diritto di chiedergli nulla, ma si domanda se in fin dei conti non sarebbe disposto a tornare a occuparsi del giardino, proprio come avevano previsto a settembre. Tutta l’area è sottosopra e negli ultimi due giorni si è ritrovata a riprendere in mano i progetti, mordendosi le mani per non averli portati avanti quando ne aveva l’occasione. Sono così belli e vorrebbe che lui riprendesse da dove ha lasciato, magari in primavera, perché le hanno detto che le indagini sulle finanze di Callum a quel punto saranno terminate. Sa che potrebbe semplicemente mostrare i progetti a un altro professionista e chiedergli di fare il lavoro al posto suo, ma lo vedrebbe come un nuovo tradimento e inoltre… vuole che sia lui a occuparsene. Sarebbe disposto a farci almeno un pensierino?
Lui non ne ha bisogno. Ha già fatto i conti. Ma non ha intenzione di farglielo capire. Ci sono delle cose che vuole sapere, prima. Per convincersi che le scuse siano sincere e sentite, e non semplicemente dettate da un qualche capriccio passeggero, ha bisogno di rassicurazioni. Così gli chiede del papà di Callum.
«Cosa c’entra lui?»
«Pensavo fosse del tutto contrario al progetto del g-giardino».
«Sì, insomma… non sta a lui decidere, no?». E c’è qualcosa nel modo in cui lo dice che gli fa raddrizzare la schiena e prestare attenzione… una punta di acredine che le si insinua nella voce.
«Non gli sono mai p-piaciuto», dice, cercando di tirarle fuori qualche parola in più.
«Lo so», dice lei. «Allora non me ne ero resa conto, ma ora lo so». Segue una lunga pausa, durante la quale si trattiene dal farle domande. Lascia invece che sia lei ad arrivare al dunque, con i suoi tempi. E, come previsto, lei comincia a riempire il silenzio. Gli racconta di come si è comportato il papà di Callum nelle ultime settimane – l’ha più o meno evitata. Quando Callum era vivo, aveva sempre pensato che fosse un uomo gentile, addirittura un amico, ma è ormai piuttosto chiaro che il ruolo del figlio era a dir poco centrale. Appena è uscito di scena lui, addio, tanti saluti.
E quel che è peggio è che hanno avuto una discussione. Si era accorta che si creava un po’ di tensione ogni volta che nominava quel suo amico… Adam. Naturalmente lui era contrario a quel rapporto. Dal momento che Callum era morto da così poco tempo, gli sembrava inappropriato. E, anche se lei continuava a insistere che non era nulla più di un’amicizia, le sembrava risentito per il fatto che quella conoscenza avesse avuto inizio quando il figlio era ancora vivo. Non riusciva ad accettare che, mentre Callum veniva ucciso, lei fosse con quell’Adam. Così una sera erano volate parole grosse e da allora si erano visti molto poco.
«Ironia della sorte», dice lei, vuotando il bicchiere, «ora non sto vedendo più neanche Adam. Comunque non al di fuori dal lavoro».
Ed è proprio ciò che lui voleva sentirsi dire. Ma lei non ha voglia di parlarne. Dice: «Un’altra volta». Stasera non vuole annoiarlo con i suoi problemi. E lui vuole dirle che non si annoierà di certo, ma non sa come, perché non vuole darle a vedere quanto è desideroso di sentire i dettagli. Così cerca di inventarsi un modo per farla tornare sull’argomento, ma lei dice che deve andare. Ci tiene a ringraziarlo. Non gli metterà fretta per avere una risposta sul progetto del giardino, ma, anche se decidesse di rinunciare, le piacerebbe moltissimo restare in contatto con lui. Sempre che non abbia nulla in contrario. Ha cominciato a pensare al Natale e si è rattristata. Ora che Callum non c’è più, aveva dato per scontato che almeno il 25 avrebbe preparato da mangiare per il padre, visto che anche lui lo passerà da solo, e la cosa le aveva dato un obiettivo su cui concentrarsi. Ma ora non le sembra più tanto probabile. E Adam… e sorride triste, cosa che gli solleva ancora di più il morale. C’è qualcosa di sbagliato. Lui lo sapeva. Avrebbe potuto dirglielo, se avesse pensato che lei gli avrebbe dato ascolto.
Abi si alza, gli dà un buffetto sul braccio e lo saluta. Stavolta nessun bacio sulla guancia, ma gli dice che, se deciderà di riportare indietro le lancette dell’orologio e terminare il progetto originario del giardino, più avanti in settimana gli offrirà una cena. Lui dice che ci penserà su e la guarda andare via. Poi va al bancone a comprarsi un pacchetto di patatine per festeggiare.
Pensa di aver gestito molto bene la cosa.
Willie, inutile dirlo, non è d’accordo.
Stupido, dice non appena lei se n’è andata. Stupido, stupido, stupido.
«Perché stupido?»
Mi stai prendendo in giro, vero? E me lo chiedi? Per l’amor di Dio, svegliati, d’accordo? Stai mettendo a repentaglio tutto quello che hai fatto negli ultimi tre mesi. Hai appena cominciato a organizzarti e ora, dopo tutto quello che ti ha fatto passare, lei schiocca le dita e tu arrivi di corsa come uno scolaretto innamorato. Ti ritroverai al punto di partenza in un attimo. Senza nemmeno rendertene conto.
«No, non succederà».
Succederà, sì. È come guardare un disastro ferroviario alla moviola. È maledettamente ovvio quello che sta per accadere.
«Hai torto», protesta. «Lei non è così. La fai sembrare meschina. E comunque questa volta è diverso».
Diverso come, di preciso?
«Questa volta lei sa di aver sbagliato. E, al contrario di quello che dici tu, io non ho ceduto. Sono stato molto deciso con lei».
Ma certo. Raccontati quello che ti pare. Ascolta, questo rapporto speciale che vuoi avere con lei. Amicizia. O comunque ti piace chiamarla. Non ci sarà mai, ricevuto? A lei non interessa. Cos’altro deve fare perché tu recepisca il messaggio? Non potrebbe essere più chiara di così. È la natura delle donne, ok? Vogliono cose diverse da persone diverse. Tu sei sempre stato un amico, ma per qualche motivo non ti basta. La vuoi tutta per te.
Owen scuote la testa. «Non è vero».
È vero sì. Prima Callum, poi questo nuovo ragazzo e sai una cosa? Se anche lui si leva di torno, ci sarà qualcun altro appostato dietro l’angolo e poi, dopo di lui, un altro ancora. Ne arriverà sempre uno nuovo, sì, perché le donne hanno bisogno di avere uomini del genere nella loro vita. Se pensi che un giorno ci sarai tu, ti stai prendendo in giro da solo.
«Non sto ascoltando».
Già, insomma, non sarebbe una novità.
«Non puoi sapere tutto».
So quanto basta. Se lasci che ti offra la cena, non sarà come aver preso una brutta china. Sarà come prendere la rincorsa e lanciarsi dal burrone a testa in giù. Pensa bene a quello che ti ho detto. È la tua unica possibilità.
Se n’è andato. Ha detto la sua. Pensa che sia sufficiente, perché finora lo è sempre stato. Ma non questa volta. Questa volta Owen ne sa di più. E lui a cena con Abi ci andrà, perché così ha deciso. Willie pensa che sia un fesso? Tutti lo pensano? Be’, non è così. Può anche andare a cena con lei e decidere da sé come stanno le cose. Non è mica un cretino.
E, oltretutto, vuole sapere cos’ha da dirgli Abi. È curioso.
E poi è solo una cena.
Qual è il problema?