Intermezzo

Breve storia dell’asteroide K666

Dalle vetrate l’asteroide non pare essersi avvicinato. Ma non sfugge a nessuno un lieve innalzamento del bagliore all’interno della sala, un riverbero verdognolo proveniente dal masso volante. Tomas osserva ogni cosa, scrutando in direzione di Poppi e poi appoggiando l’occhio al telescopio. Il suo sguardo è impenetrabile. Impossibile coglierne l’umore, i pensieri reconditi. Qualcuno gli rivolge delle domande ma lui le elude. Si avvicina al computer, si connette a Internet, apre il sito di Wikipedia 2.0, digita “Poppi” e si mette a leggere a voce alta, le prime righe a gran velocità, volando sulle parole, in modo quasi incomprensibile, poi rallentando di colpo: Sentite… Nel maggio 2004 l’ex astronauta e matematico Piper Morris, presidente della fondazione Free Space, bussa alla porta della Nasa. L’orbita dell’asteroide K666, meglio noto come Poppi, dopo il 2029 potrebbe entrare in “risonanza orbitale” con la Terra, il che aumenterebbe la probabilità di collisione. Certo, perché ciò avvenga Poppi dovrebbe trovarsi, a una certa ora, in un collo d’imbuto spaziotemporale durante il passaggio ravvicinato del 2029, un “buco nelle mutande gravitazionale” largo non più di ottocento metri. Morris propone di piazzare un transponder sull’asteroide, in modo da tracciare con maggior precisione la sua orbita tenendo conto dell’eventuale influenza dovuta all’effetto Yarkovsky, che ha la proprietà di far sballare tutti i calcoli.

Quando nel 2007 Morris, pallido e scavato, annuncia al mondo che la minaccia che Poppi colpisca la Terra va presa sul serio, si direbbe reduce da una nottataccia in compagnia dei propri demoni e di una bottiglia. E quando dà l’annuncio che presto le Nazioni Unite saranno incaricate di assumere il coordinamento di una missione internazionale col progetto di una “motrice gravitazionale” per deviare il corpo ed evitare il possibile impatto, il segretario generale delle Nazioni Unite si affretta a smentire.

L’anno successivo, dopo ventinove analisi Doppler, quarantotto osservazioni radar e oltre settecento rilevamenti ottici, ecco il responso: la probabilità di un impatto a partire dal 2029 viene stimata allo 0,0088 per cento (una su undicimila). Ma il passaggio ravvicinato del 2036 presenta un considerevole margine di rischio: si sale fino a raggiungere l’inquietante picco del 2,7 per cento (una su trentasette). Si prevede che la notte del 13 aprile di quell’anno l’asteroide K666 passerà nei paraggi della Terra a una velocità angolare di cinquantadue gradi orari, e potrebbe venirci addosso. La sua luminosità apparente sarà di magnitudine 3,3. Il massimo diametro angolare apparente di oltre cinque secondi d’arco; il che significa che sarà facilmente distinguibile da una stella e visibile a occhio nudo dall’Europa, dall’Africa e dall’Asia occidentale.

Pochi mesi dopo il capo dell’Agenzia spaziale russa Yuri Pavlov si presenta alla stampa dichiarando di voler convocare un vertice internazionale per promuovere una missione finalizzata alla distruzione dell’asteroide. Secondo lui, nonostante l’impatto sia improbabile, gli effetti potenziali sarebbero talmente devastanti da suggerire prudenza e un’immediata attività di “profilassi”. Ritiene che, man mano che si avvicinerà alla Terra, l’orbita dell’asteroide subirà una deflessione a causa della gravità terrestre. La traiettoria orbitale dell’oggetto diverrà incerta, rendendo difficile la predizione di una possibile collisione con il nostro pianeta. Allo stato attuale, secondo i russi, è impossibile stabilire con certezza quale direzione prenderà Poppi dopo il 2029. Eventuali date dello scontro potrebbero essere, oltre al 13 aprile 2036, il 14 aprile 2037 o il 16 aprile 2039.

Poppi appartiene a un gruppo di asteroidi periferici denominato “Primule di pietra”, pianetini di colorazione rossastra la cui orbita ha un semiasse maggiore che non supera un’unità astronomica. Poppi, in particolare, ruota attorno al Sole attraverso un movimento orbitale definito “coda di pavone”, con una periodicità ellittica di circa trecentoventitré giorni, e la sua rotta lo porta a incrociare quella terrestre per due volte a ogni rivoluzione.

Fu scoperto il 21 giugno 2004 dal Kitt Peak National Observatory, in Arizona, e più esattamente dall’équipe guidata da Bill Dummies, Eric Tolkien e Johnny Balsamo, del progetto di ricerca asteroidi finanziato dalla Nasa. Lo osservarono per dodici notti di fila, fino a consumare gli occhi. Al nuovo oggetto fu assegnata la designazione provvisoria di K666, dal nome del mastino palermitano di Balsamo.

Non è la prima volta che ci troviamo di fronte all’eventualità di una catastrofe. Nel settembre 2004 l’asteroide Odino ci ha sfiorati (si fa per dire) passando a circa un milione e mezzo di chilometri di distanza dal nostro pianeta. Il numero di asteroidi che orbitano nel sistema solare interno, compreso entro l’orbita di Marte, è piuttosto elevato, e pare ne vengano scoperti continuamente di nuovi. La presenza di planetoidi è segnalata in particolare tra le orbite di Marte e Giove, e oltre Nettuno – nella cosiddetta “fascia di Kuiper”, che però è poco conosciuta, essendo molto lontana, scarsamente illuminata dal Sole, poco indagata e troppo vasta per qualsiasi rilevazione attendibile.

Gli asteroidi e i meteoriti che gravitano nei nostri paraggi intersecano sovente le orbite di Mercurio, di Venere, di Marte e della Terra. Hanno traiettorie irregolari e capricciose, sono facilmente influenzabili dai campi gravitazionali dei pianeti “terrestri” e dal Sole, ruotano su se stessi in modo anomalo e potrebbero trasformarsi in micidiali “ordigni cosmici”. Dobbiamo pertanto imparare a convivere con la minaccia…

Tomas si volta verso di noi. Il suo sguardo è sardonico. Lancia un’ultima occhiata a Poppi, come se ne fosse soggiogato. Propone un brindisi.

De Santis, la cui corporatura bassa e tarchiata ricorda quella di un cinghiale del tipo Sus scrofa majori, mi prende per un braccio e mi spinge in un angolo.

Ha un paio di sopracciglia spaventosamente folte, da cavernicolo, dalle quali non riesco a distogliere lo sguardo. E un moscerino stecchito sulla zucca pelata.

Si può sapere che fine avevi fatto?

Il suo alito non scherza.

Sto lavorando per te, che domande. Seguo una pista. Ho per le mani un grosso scoop.

Balle. Sono due anni che dirigi le pagine culturali e i tuoi scoop si contano sulle dita di una mano cui siano state amputate fin troppe falangi.

Non dirai così quando ti consegnerò il pezzo.

Vedremo, fa lui. C’è un’altra cosa. Stai rischiando grosso.

Gesù, davvero pestilenziale. Mi giro da una parte simulando uno sbadiglio.

Una raffica di querele per diffamazione.

Sai la novità.

Questa volta è diverso. È il Segretario del Pod a tirare le fila. Temo non potremo sostenerti, in questa faccenda.

Magnifico. E che dovrei fare?

Dimetterti. L’hai proprio fatto incazzare. Vuole la tua testa. Ma, quel che è peggio, hai pubblicato il pezzo, e soprattutto quella… vignetta, senza la mia approvazione. Non fosse per tua madre, ti avrei già dato il benservito…

Carino… Immagino non servirebbe a nulla precisare che ogni singola parola era la verità. E che ho le prove. Almeno spero… Ammetterai inoltre che la vignetta era geniale…

Una decisa scrollata di spalle accompagnata da una smorfia di disgusto.

Beh, si direbbe facciate sul serio.

Credimi, è meglio così. Vieni domattina nel mio ufficio. Vedremo di sistemarti da qualche parte. Poi si vedrà.

Forse dimentichi una cosa. Faccio cenno col capo in direzione dell’asteroide.

Ma fammi il piacere, sbotta lui.

Parliamone, invece. Perché suppongo che in tal caso il problema sarebbe risolto, non ti pare? Forse è per questo che sono sempre stato tentato dagli scenari apocalittici. In un solo colpo, tutto ciò per cui ci affanniamo non ha più importanza. Sparisce.

Un donnone vistoso, capelli cotonati, corpo rifatto da capo a piedi, si avvicina porgendogli un calice di passito. Ricorda una bambola gonfiabile di fabbricazione giapponese, di quelle in silicone vulcanizzato con scheletro in Pvc.

Micione, ti sale la pressione, lo sai. Non sono venuta qui per vederti discutere di lavoro.

Lo prende sottobraccio per trascinarlo via. Poi si gira verso di me. Lo sa, lei assomiglia a quell’attore, come si chiama… Michael Fassbender.

Sorrido. Ehm, lo devo prendere per un complimento?

Ne riparleremo, sibila De Santis allontanandosi.

Mando giù una pasticca di Sirenill. La quarta, nelle ultime dodici ore.

Dall’altra parte della sala, Tomas mi lancia un’occhiata. Viene verso di me scuotendo via un’altra manciata di forfora.

Tutto ok?

Annuisco.

Cozza il suo bicchiere contro il mio.

Trovandomi a corto di soldi (senza contare quello che devo a un usurario del quartiere Spaccavento), negli ultimi giorni non ho trovato di meglio che dedicare ogni energia al mio intervento, trascurando il resto: giornale, tennis, galoppatoio, solarium, week-end con Emma, che se l’è legata al dito e per dispetto ha preso il primo volo diretto a Hurghada, per dedicarsi allo snorkeling, presumo. Alla fine mi sono rassegnato a saccheggiare la mia tesi di laurea, oltre ad alcuni tra i miei pezzi più riusciti. Ma ho in serbo una sorpresina finale.

Sai che fine ha fatto Ricardo?, domanda. Doveva venire con te.

Sì, ma poi ha fatto sapere che sarebbe venuto per conto suo.

E come? Gli hanno ritirato la patente.

Ha detto che sarebbe venuto in taxi.

Ho provato a chiamarlo diverse volte sul telefonino, ma niente.

Staccato o suona a vuoto?

La seconda.

Alzo le spalle abbozzando un’espressione di impotenza.

Se sapesse che Ricardo giace da due ore e mezzo nel bagagliaio della mia macchina… Durante il viaggio abbiamo avuto, come dire, un diverbio. Mi ha accusato di essermi portato a letto sua moglie. Il che è vero. E con questo? La tua ex moglie, ho precisato. Quella che si è presa i tuoi figli. Non ci ha più visto. Ha cominciato a insultarmi colpendomi sulla spalla e sulla guancia. Per poco non siamo andati a sbattere. A stento sono riuscito a fermare l’auto sul ciglio della strada. Appena in tempo. Mi ha afferrato per il collo e ha cominciato a stringere. A momenti mi soffocava. Sono riuscito ad aprire il mobiletto e a estrarre il coltello da caccia. Gliel’ho ficcato nella coscia. Un urlo selvaggio. Quando ha mollato la presa, ho mirato al cuore. Questa volta un grido stridulo. Come il verso di un uccello. Il sangue ha preso a zampillare. È sbiancato. Ha premuto le mani sul petto. Poi le braccia gli sono cadute sui fianchi come tronchi. Mi ha guardato sbigottito e si è afflosciato sul sedile. E ora? Come rimediare a quella situazione? Come disfarmi del corpo? Ho guidato con il suo cadavere accanto per un paio di chilometri, poi mi sono infilato in un’area di sosta. Deserta. Sono sceso, ho aperto lo sportello dal suo lato e l’ho trascinato a terra. Se fosse comparso qualcuno avevo pronta una spiegazione: eravamo stati aggrediti da una banda di teppisti in motocicletta. Ho faticato non poco a infilarlo nel bagagliaio. Il cofano non voleva saperne di chiudersi. Colpa di un piede che continuava a sporgere nonostante i miei sforzi. Credo di averglielo fracassato, alla fine. Mi sono ripulito come ho potuto. Ho dato una sistemata all’abitacolo, cercando di eliminare ogni traccia. Non potevo essere certo che, durante la colluttazione, non fossimo stati notati. Ho cavato di tasca un tubetto di Sirenill e ho inghiottito un paio di pasticche. Il Trazodone Plus è entrato in circolo. Si tratta di un principio attivo modificato che agisce a livello delle sinapsi del sistema nervoso centrale in modo da regolare il livello di serotonina e degli altri neurotrasmettitori responsabili dell’umore, bloccando il recettore 5-HT2A e producendo un’azione sedativo-ipnotica e amnesica. Di colpo il serbatoio emotivo si è svuotato. Guardavo ma non sentivo. Tutti oggi fanno uso di Sirenill. Il suo effetto è quello di un sonno vigile, a occhi aperti. Come una nebbia che occupa l’intero spazio dell’anima tenendo a distanza gli stati emotivi, i sensi di colpa. Un sole della pura ragione che riscalda la superficie immobile dei sensi facendo evaporare le passioni. Un torpore di ghiaccio che s’impossessa di te diffondendo la lucida consapevolezza di non essere niente. In pochi istanti si perde la possibilità di dare un senso a ciò che vediamo. Ma la lucidità resta. Vediamo bene di che si tratta. Nemmeno l’ombra di un rimorso può più sfiorarci. Siamo pronti a tutto. Che scherzi ci gioca il destino, ho pensato. Morire poche ore prima della fine del mondo. Ma d’altronde non credo alla morte. Non è così? Non ci ho mai creduto. Né alla retorica del male. Non sarebbe serio.

Tomas mi dà un colpetto sulla schiena. Tocca a te, dice soffiandosi il naso e lasciando sul fazzoletto tracce di sangue misto a muco.

Un uomo in caduta libera, mi sono detto. In avanzato stato di decomposizione. Ho messo in bocca un’altra pasticca e mi sono fatto avanti. Ero radioso.