Un uomo prudente


Timothy Hanson era un uomo che affrontava i problemi della vita procedendo a passi calmi e misurati. Si vantava dicendo che questo abituale approccio, di placida analisi seguita dalla scelta dell'alternativa più favorevole, e, in ultimo, dal deciso perseguimento di tale scelta, lo aveva portato, nei primi anni della maturità, alla ricchezza e alla posizione sociale delle quali poteva ora godere.

In quella frizzante mattina d'aprile, egli indugiò sull'ultimo gradino della casa in Devonshire Street, il cuore dell'élite medica di Londra, e pensò a se stesso mentre la lucida porta nera veniva chiusa con deferenza alle sue spalle.

Il dottore, un vecchio amico che era da anni il suo medico personale, sarebbe stato un modello in fatto di preoccupazione e di rammarico anche con un estraneo. Con un amico la cosa gli era riuscita ancor più difficile. L'angoscia di lui aveva superato, evidentemente, quella del malato.

«Timothy, soltanto tre volte, nel corso della mia carriera ho dovuto dare una notizia simile» così si era espresso, le mani appoggiate di piatto sulla cartella, con le radiografie e i risultati degli esami, che aveva dinanzi a sé. «Ti prego di credermi quando dico che questa è l'esperienza più penosa nella vita di qualsiasi medico.»

Hanson aveva lasciato capire che gli credeva senz'altro.

«Se tu fossi un uomo diverso da come so che sei, potrei essere tentato di mentirti.»

Hanson si era affrettato a ringraziarlo per il complimento e la franchezza.

Il medico lo aveva accompagnato personalmente fino alla soglia dello studio. «Se c'è qualcosa... so che può sembrare banale... ma tu capisci quello che intendo... qualsiasi cosa...»

Hanson si era limitato ad afferrare il braccio del medico e a rivolgere un sorriso all'amico. Tutto lì, poiché non occorreva niente di più.

L'infermiera in camice bianco lo aveva accompagnato fino alla porta di casa, aprendola e facendolo uscire. Ora egli si trovava lì e trasse un profondo respiro. L'aria era gelida e pura. Il vento di nord-est aveva flagellato la città durante la notte. Dall'ultimo gradino egli contemplò la strada lungo la quale si allineavano case discrete ed eleganti, ormai quasi tutte trasformate in studi di consulenti finanziari, di costosi avvocati e di medici.

Sul marciapiede, una giovane donna dai tacchi alti stava andando di buon passo verso Marylebone High Street. Era graziosa e fresca, con occhi luminosi e un colorito acceso sulle guance sferzate dal gelo.

Hanson ne colse lo sguardo e, impulsivamente, le rivolse un sorriso e un cenno di saluto, con la testa brizzolata. Lei parve sorpresa, poi si rese conto che non lo conosceva e che l'uomo non conosceva lei. Era stato un complimento quello che aveva ricevuto, non un saluto. Rispose con un rapido sorriso, poi continuò a trotterellare, dimenando i fianchi un pochino di più. Richards, l'autista, finse di non essersi accorto di nulla, ma aveva visto tutto, e assunse un'aria di approvazione. Si trovava in piedi accanto allo sportello posteriore della Rolls Royce, in attesa.

Hanson scese i gradini e Richards spalancò lo sportello. Hanson salì e si rilassò nel caldo interno della macchina. Si tolse il cappotto, lo piegò con cura, lo mise sul sedile accanto a sé e vi posò sopra il cappello nero.

Richards prese posto al volante.

«Torniamo in ufficio, signor Hanson?» domandò.

«Kent» disse Hanson.

La Silver Wraith aveva voltato a sud, in Great Portland Street, diretta verso il fiume, quando Richards si azzardò a fare una domanda.

«Non c'è niente che non vada alla vecchia pompa, signore?»

«No» disse Hanson. «Continua a pompare.»

Il suo cuore infatti, funzionava perfettamente. Sotto questo aspetto egli era forte come un toro. Ma non sembravano, quelli, il momento e il luogo per parlare con il suo autista delle cellule impazzite e insaziabili che gli stavano invadendo le viscere. La Rolls Royce passò accanto alla statua di Eros, in Piccadilly Circus, e si unì al fiume del traffico nell'Haymarket.

Hanson si appoggiò allo schienale del sedile e fissò l'imbottitura del tetto della macchina. Sei mesi sembrano una eternità, rifletté, a chi sia appena stato condannato alla prigione, o ricoverato in un ospedale con tutte e due le gambe fratturate. Ma quando sei mesi sono tutto quel che ti resta da vivere, non sembrano più tanto lunghi. Non lo sono affatto.

Naturalmente, secondo quanto gli aveva detto il dottore, durante l'ultimo mese sarebbe dovuto essere ricoverato in una clinica. Naturale; quando le sue condizioni fossero divenute molto gravi. E lo sarebbero diventate. Ma esistevano calmanti, nuovi fermaci molto efficaci.

La berlina voltò a sinistra, in Westminster Road, e giunse poi sul ponte stesso. Al di là del Tamigi Hanson vide avvicinarsi la mole color crema di County Hall.

Egli era, rammentò a se stesso, un uomo molto facoltoso, nonostante i livelli di tassazione punitivi adottati dal nuovo regime socialista. C'era nella City la sua azienda specializzata nella compravendita di monete rare e antiche; solida, rispettata nel ramo e proprietaria del palazzo che occupava. E apparteneva esclusivamente a lui, senza soci né azioni.

La Rolls Royce si era lasciata indietro il rondò di Elephant and Castle, diretta verso la Old Kent Road. Avevano superato da un pezzo, la studiata eleganza di Marylebone, nonché la ricchezza commerciale di Oxford Street, e le duplici sedi del potere, Whitehall e County Hall, sui due lati opposti del fiume all'altezza del Westminster Bridge.

Dall'Elephant in poi, tutto era più misero, spoglio, nella fascia intermedia dei problemi della città, tra la ricchezza e la potenza del centro e la pulizia e l'ordine compiaciuti dei quartieri periferici dei pendolari.

Entro il bozzolo di un'automobile che costava cinquantamila sterline, lungo un'autostrada che era costata un milione di sterline al chilometro, Hanson vide sfilare gli stanchi e vecchi edifici. Pensò con tenerezza alla bella dimora nel Kent verso la quale era diretto, situata in venti acri di curatissimo parco e circondata da querce, faggi e tigli. Si domandò che cosa ne sarebbe stato. Poi c'era il vasto appartamento a Mayfair, nel quale a volte trascorreva le notti di fine settimana per non affrontare il tragitto fino al Kent e dove poteva ospitare acquirenti stranieri, in un'atmosfera meno fredda di quella dei grandi alberghi; di solito favoriva maggiormente la distensione e facilitava perciò la conclusione di fruttuosi affari. A parte l'azienda e le due proprietà, esisteva la sua collezione personale di monete, creata con una cura affettuosa nel corso di molti anni; e c'era il portafoglio di titoli e azioni, per non parlare delle somme depositate in varie banche, nonché dell'automobile sulla quale stava viaggiando.

Quest'ultima si fermò all'improvviso davanti a un passaggio pedonale, in una delle zone più povere di Old Kent Road. Richards si lasciò sfuggire suoni di esasperazione. Hanson guardò fuori del finestrino. Una fila di bambini stava attraversando la strada sotto la sorveglianza di quattro suore, due delle quali si trovavano in testa, e le altre due in coda.

Al termine della fila, un bambino si era fermato nel bel mezzo della strada e stava contemplando, con non dissimulato interesse, la Rolls Royce.

Aveva un faccino tondo e battagliero, con il naso all'insù; i capelli arruffati incorniciati da un berretto portato di traverso sul quale figuravano le iniziali St B; una delle calze penzolava con pieghe a fisarmonica, intorno alla caviglia, in quanto l'elastico, senza dubbio, stava servendo a qualcosa di più importante altrove, come elemento fondamentale di una fionda. Il bambino alzò gli occhi e scorse l'uomo distinto, dai capelli argentei, che lo fissava da dietro il cristallo fumé del finestrino. Senza alcuna esitazione, il monello increspò la faccia in una smorfia, portò sulla punta del naso il pollice della mano destra e agitò le altre dita in un gesto di sfida.

Senza cambiare minimamente espressione, Timothy Hanson piazzò a sua volta il pollice della mano destra sulla punta del naso e fece l'identico gesto del bambino. Nello specchietto retrovisore Richards lo vide, probabilmente, ma, dopo il guizzo di un sopracciglio, ricominciò a guardare davanti a sé altra verso il parabrezza. Il bambino parve sbalordito. Lasciò cadere la mano, poi fece un sorriso che gli attraversò la faccia da un orecchio all'altro. Un attimo dopo venne trascinato via da un'agitatissima suora. La fila si era formata di nuovo e stava marciando verso un grande edificio grigio situato più indietro rispetto alla strada, dietro una cancellata. Liberata così dall'impertinente ostacolo, la Rolls ricominciò a ronzare sulla strada del Kent.

Trenta minuti dopo, gli ultimi estesi sobborghi rimasero dietro di loro, il lungo nastro dell'autostrada M20 si spalancò, i gessosi North Downs si perdettero in lontananza e i due uomini si trovarono tra le colline ondulate e nelle vallette del giardino d'Inghilterra. I pensieri di Hanson riandarono alla moglie, morta da dieci anni. Il loro era stato un matrimonio felice, molto felice, ma non avevano avuto figli. Forse avrebbero dovuto adottarne uno; ci avevano pensato tante volte. Lei era figlia unica, ed entrambi i genitori erano morti da un pezzo. Per quanto riguardava la famiglia di Hanson, rimaneva sua sorella, che egli odiava profondamente, un sentimento uguagliato soltanto da ciò che provava nei riguardi del disgustoso marito di lei e del loro altrettanto sgradevole figlio.

Subito a sud di Maidstone l'autostrada terminò, e, pochi chilometri più avanti, a Harrietsham, Richards uscì dalla strada maestra e si diresse a sud, verso quello scrigno di intatti frutteti, campi, boschi e coltivazioni di luppolo denominato il Weald. In quell'amena regione si trovava la dimora di campagna di Timothy Hanson.

C'era poi il Cancelliere dello Scacchiere, l'uomo che dominava le finanze del paese. Egli avrebbe voluto la sua parte, pensò Hanson, e sarebbe stata una non piccola parte. Poiché non sussistevano più dubbi al riguardo. In un modo o nell'altro, dopo anni di rinvii, egli avrebbe dovuto fare testamento.

«Il signor Pound ora può riceverla, signore» disse la segretaria.

Timothy Hanson si alzò ed entrò nell'ufficio di Martin Pound, il socio più anziano dello studio legale Pound & Gogarty.

L'avvocato si alzò dietro la scrivania per accoglierlo. «Mio caro Timothy, che piacere rivederti!»

Al pari di tanti uomini facoltosi di mezza età, da molto tempo, Hanson aveva stretto rapporti di amicizia con i suoi quattro più stimati consiglieri, l'avvocato, l'agente di Borsa, il contabile e il medico, e li chiamava per nome e dava del tu a tutti. Entrambi gli uomini sedettero.

«Che cosa posso fare per te?» domandò Pound.

«Già da qualche tempo, Martin, tu mi stai esortando a fare testamento» disse Hanson.

«Certo» disse l'avvocato, «è una precauzione molto assennata e troppo a lungo trascurata.»

Hanson frugò nella borsa di cuoio e ne tolse una voluminosa busta uso ufficio, abbondantemente sigillata con ceralacca rossa. La porse, oltre la scrivania, allo stupito avvocato. «Eccolo qui» disse.

Round prese il plico con un'espressione insolitamente perplessa.

«Timothy, spero proprio... nel caso di un patrimonio ingente come il tuo...»

«Non ti preoccupare» disse Hanson. «È stato preparato da un legale e debitamente firmato alla presenza di testimoni. Non contiene ambiguità, né v'è alcuna clausola che possa offrire un qualsiasi spunto per contestazioni.»

«Capisco» disse Round.

«Non prendertela, vecchio mio. Ti stai domandando, lo so, perché non ho chiesto a te di occuparti della stesura del testamento e mi sono rivolto invece a uno studio legale di provincia. Avevo le mie buone ragioni. Fidati di me, te ne prego.»

«Ma certo» si affrettò a dire Round. «Non ti preoccupare. Vuoi che lo metta al sicuro?»

«Sì, te ne prego. C'è un'ultima cosa. Nel testamento ti chiedo di essere l'unico esecutore testamentario. E non dubito affatto che avresti preferito leggerlo prima. Ti do la mia parola che nessuno dei compiti affidati all'esecutore è tale da poter turbare la tua coscienza, sia professionale, sia personale. Sei disposto ad accettare?»

Round soppesò il pesante plico che aveva tra le mani.

«Sì» rispose. «Hai la mia parola. In ogni caso, non dubito affatto che stiamo parlando di un futuro molto lontano. Hai una cera splendida. Diciamo la verità, probabilmente vivrai più a lungo di me. E in tal caso che cosa farai?»

Hanson accettò la bonaria presa in giro nello stesso spirito che l'aveva suggerita. Dieci minuti dopo uscì in Gray's Inn Road, nel sole dei primi di maggio.

Fino alla metà di settembre, Timothy Hanson continuò a essere occupatissimo come lo era stato per molti anni. Si recò varie volte nel continente, e molto più spesso nella City di Londra. Pochi uomini che muoiono prematuramente hanno la possibilità di mettere ordine nei loro tanti e complicati affari, e Hanson era intenzionato a fare in modo che i suoi fossero esattamente come li voleva.

Il 15 settembre, chiese a Richards di entrare in casa perché desiderava parlargli. L'autista e uomo tuttofare che, insieme alla moglie, serviva Hanson da una dozzina di anni, trovò il padrone nella biblioteca.

«Ho una notizia da darti» disse Hanson. «Alla fine dell'anno intendo ritirarmi.»

Richards era stupito, ma non lo diede a vedere. Si disse che doveva esservi dell'altro.

«Ho inoltre l'intenzione di recarmi all'estero» continuò Hanson, «e di trascorrere la vecchiaia in una casa più piccola, in qualche località ove splenda sempre il sole.»

Sicché era così, pensò Richards. Comunque il vecchio aveva avuto la cortesia di dargli un preavviso di tre mesi. Ma, tenuto conto della difficile situazione economica e della disoccupazione, lui avrebbe dovuto ugualmente cominciare subito a guardarsi attorno. Non stava per perdere soltanto l'impiego, ma anche il grazioso, piccolo cottage che si accompagnava ad esso.

Hanson tolse dalla mensola del caminetto una voluminosa busta. La porse a Richards, che la prese senza capire.

«Temo» disse Timothy Hanson, «che se i futuri proprietari della dimora non vorranno continuare ad avvalersi dei tuoi servigi, e di quelli di tua moglie, sarai costretto a cercarti un altro posto.»

«Sissignore» disse Richards.

«Prima di partire, naturalmente, io non mancherò di lasciarvi le più favorevoli referenze scritte» disse Hanson. «Per motivi di affari, tuttavia, vi sarei quanto mai grato se non parlaste di questo nel villaggio, o con qualsiasi persona, a meno che non divenga indispensabile. Sarei lieto, inoltre, se non vi cercaste un'altra occupazione fino a, diciamo, il primo novembre. In breve, voglio che, per il momento, non circoli la notizia della mia prossima partenza.»

«Benissimo, signore» disse Richards. Continuava a tenere in mano la grossa busta.

«Il che mi porta» disse Hanson, «all'ultimo punto. Tu e la signora Richards siete stati buoni e leali con me negli ultimi dodici anni. Voglio che sappiate quanto ve ne sono grato. E quanto lo sono sempre stato.»

«Grazie, signore.»

«Vi sarei gratissimo se restaste altrettanto leali ricordandomi dopo che mi sarò recato all'estero. Mi rendo conto che chiedervi di non cercare un altro impiego per sei settimane potrebbe costarvi qualche sacrificio. E, a parte ciò, vorrei aiutarvi in qualche modo nella vostra vita futura. Quella busta contiene, in biglietti di banca usati e non rintracciabili, la somma di diecimila sterline.»

L'autocontrollo di Richards cedette, finalmente. Egli inarcò le sopracciglia.

«Grazie, signore» disse.

«Non parlarne neppure, ti prego» disse Hanson. «Ti consegno la somma nella forma inconsueta della liquidità perché, come quasi tutti, provo una certa avversione dovendo consegnare a quelli del fisco una quota ingente del denaro che ho guadagnato.»

«È anche troppo giusto» approvò Richards, in tono sentito. Riusciva a palpare, attraverso la busta, gli spessi pacchi di biglietti di banca.

«In quanto donazione, quella somma ti obbligherebbe a versare al fisco una parte considerevole del denaro. Ti consiglierei di non depositarla in banca, ma di tenerla in qualche posto sicuro. E di spenderla in modo da non attirare l'attenzione. Il suo scopo è quello di aiutarvi entrambi nella vostra nuova vita, di qui a pochi mesi.»

«Non si preoccupi, signore» disse Richards. «So come destreggiarmi. È quello che fanno tutti, al giorno d'oggi. E grazie infinite, a nome di tutti e due.»

Richards attraversò il cortile e continuò a lucidare la nuova Rolls Royce in preda a un lieto stato d'animo. Il salario corrispostogli era stato generoso e, grazie al cottage gratuito, aveva potuto risparmiare qualcosa.

Dopo il nuovo colpo di fortuna, avrebbe forse potuto fare a meno di cercare un altro lavoro, sempre più difficile a trovarsi. C'era quella pensioncina a Porthcawl, nel suo natio Galles, sulla quale lui e sua moglie Megan avevano posto gli occhi, l'estate precedente...

Il mattino del 1° ottobre, Timothy Hanson scese dalla sua camera da letto prima che il sole avesse superato del tutto l'orizzonte. Doveva trascorrere almeno un'ora, prima che la signora Richards arrivasse a preparare la colazione e a cominciare a fare le pulizie.

Era stata un'altra notte terribile, e le pillole che lui teneva nel cassetto chiuso a chiave del comodino stavano perdendo sempre più la loro battaglia contro le fitte di dolore che sembravano dilaniargli la parte bassa dello stomaco. Timothy era grigio e tirato in faccia e, dimostrava più della sua età. Si rese conto che non poteva fare più niente. Il momento era giunto.

Impiegò dieci minuti scrivendo una breve lettera a Richards per scusarsi della spudorata menzogna di quindici giorni prima e per pregarlo di telefonare immediatamente a Martin Pound. Lasciò la lettera vistosamente visibile sul pavimento accanto alla soglia della biblioteca, dove faceva spicco contro il parquet scuro. Poi chiamò per telefono Richards e, alla voce sonnacchiosa che gli rispose disse di non aver bisogno della colazione preparata di buon'ora; voleva però l'autista nella biblioteca, di lì a mezz'ora.

Dopo aver telefonato, tolse da uno stipo il fucile da caccia le cui canne aveva segato, accorciandole di venticinque centimetri, per renderlo più maneggevole. Lo caricò con due cartucce a panettoni e andò a chiudersi nella biblioteca.

Meticoloso fino all'ultimo momento, coprì la sua prediletta poltrona di cuoio con una pesante coperta da cavalli, consapevole del fatto che ormai apparteneva a qualcun altro. Vi sedette, poi, con il fucile sulle ginocchia. Si guardò attorno per l'ultima volta, contemplando gli scaffali dei diletti libri, e le vetrine che un tempo avevano contenuto la collezione di monete a lui tanto cara. Infine si puntò la doppia canna contro il petto, annaspò cercando i grilletti, trasse un profondo respiro e si sparò al cuore.

Il signor Martin Pound chiuse la porta della sala delle riunioni, adiacente al suo ufficio, e prese posto a capo del lungo tavolo. Più avanti e a destra sedeva la signora Armitage, sorella del suo cliente e amico, della quale aveva sentito parlare. Subito dopo la signora sedeva il marito. Entrambi vestivano a lutto. Al lato opposto del tavolo, ovviamente annoiato e indolente, aveva preso posto il figlio dei due, Tarquin, un giovanotto poco più che ventenne, che sembrava interessarsi esageratamente al contenuto del proprio grosso naso. Il signor Pound si aggiustò gli occhiali e si rivolse ai tre.

«Sapranno che il defunto Timothy Hanson aveva chiesto a me di essere l'unico suo esecutore testamentario. In circostanze normali, e in tale veste, avrei aperto il testamento immediatamente dopo aver saputo della sua morte, per accertare se contenesse istruzioni da eseguire subito, per quanto concerneva, ad esempio, i preparativi del funerale.»

«Ma non si era occupato lei della stesura del testamento?» domandò Armitage senior.

«No, non fui io» rispose Round.

«Sicché anche lei non ne conosce il contenuto?» domandò Armitage junior.

«No, non lo conosco» rispose Pound. «In effetti, il defunto signor Hanson ha prevenuto l'immediata apertura del testamento da parte mia lasciandomi una lettera personale sulla mensola del caminetto nella stanza in cui morì. In essa chiariva tutta una serie di cose che sono ora in grado di comunicarvi.»

«Procediamo con il testamento» disse Armitage junior. Il signor Pound lo fissò, gelido, senza parlare.

«Zitto, Tarquin» disse la signora Armitage, blandamente.

Pound continuò. «In primo luogo, Timothy Hanson non si è ucciso in un momento di squilibrio mentale. Si trovava, in effetti, negli ultimi stadi di un cancro terminale, e lo sapeva sin dallo scorso mese di aprile.»

«Poveraccio» disse Armitage senior.

«Successivamente ho mostrato la lettera in questione al magistrato inquirente della contea del Kent, e la cosa è stata confermata dal medico personale del signor Hanson e dall'autopsia. Ciò ha reso possibile che tutte le formalità relative al certificato di morte, all'inchiesta e al permesso di seppellire la salma venissero sbrigate in soli quindici giorni.

In secondo luogo, Hanson specificava, nella lettera, di non volere che il testamento venisse aperto e letto prima del disbrigo di queste formalità.

Infine, diceva di volere una lettura in forma ufficiale delle sue ultime volontà, alla presenza degli unici parenti rimastigli, la sorella, signora Armitage, nonché il marito e il figlio di lei, anziché semplici comunicazioni scritte.»

Le altre tre persone presenti nella stanza si guardarono con crescente, e non certo addolorato, stupore.

«Ma qui ci siamo soltanto noi» osservò Armitage junior.

«Infatti» disse Pound.

«Allora dobbiamo essere gli unici beneficiari» disse il padre del giovane.

«Non necessariamente» disse Pound. «La loro presenza qui, oggi, è stata richiesta semplicemente dalla lettera del mio defunto cliente.»

«Se ci sta giocando qualche sorta di scherzo...» mormorò minacciosamente la signora Armitage. La bocca di lei divenne, con facilità di una lunga pratica, qualcosa di simile a una linea sottile.

«Vogliamo procedere con la lettura del testamento?» propose Pound.

«Benissimo» disse Armitage junior.

Martin Pound prese un sottile tagliacarte e, con cautela, lacerò un lato della spessa busta. Da essa estrasse una seconda busta voluminosa e un documento di tre fogli uniti, lungo il margine sinistro, da un sottile nastro adesivo verde. Pound mise da una parte la pesante busta, aprì il documento e cominciò a leggere.

«Queste sono le ultime volontà del sottoscritto, Timothy John Hanson, di...»

«Sì, sì, questo lo sappiamo» disse Armitage senior.

«Continui» disse la signora Armitage.

Da sopra gli occhiali, Pound li sbirciò entrambi con un certo disgusto.

Continuò: «Primo: dichiaro che questo mio testamento deve essere interpretato in base alla legge inglese. Secondo, con esso annullo tutti i miei testamenti precedenti e le relative disposizioni testamentarie...»

Armitage junior si lasciò sfuggire il sonoro sospiro di uno la cui pazienza sia stata posta per troppo tempo a dura prova.

«Terzo, nomino mio esecutore testamentario l'avvocato Martin Pound di Pound & Gogarty e gli chiedo di amministrare il mio patrimonio, di provvedere d'ora in avanti al pagamento delle imposte dovute, e di attuare le disposizioni del testamento stesso. Quarto, chiedo al mio esecutore testamentario, a questo punto della lettura, di aprire l'acclusa busta nella quale troverà una somma di denaro da impiegare per le spese della sepoltura, per il saldo della sua parcella professionale e per ogni altro esborso reso necessario dall'esecuzione delle mie volontà. E, nell'eventualità che della somma acclusa dovesse restare qualcosa, desidero che egli destini il denaro a un'opera di beneficenza di sua scelta.»

L'avvocato Pound posò il testamento e riprese il tagliacarte. Dalla busta rimasta chiusa fino a quel momento tolse cinque pacchi di banconote da venti sterline tutte nuove; ogni pacco era fermato da una fascetta di carta marrone, dalla quale risultava che il valore complessivo dei biglietti di banca così trattenuti era di mille sterline. Seguì il silenzio nella stanza. Armitage junior smise di esplorare una delle cavità nasali e fissò il mucchietto di denaro con la stessa indifferenza di un satiro che contempli una vergine. Martin Round riprese in mano il testamento.

«Quinto, chiedo al mio unico esecutore testamentario, in nome della nostra lunga amicizia, di assumere le sue funzioni il giorno successivo a quello in cui verrò sepolto.»

Il signor Round tornò a sbirciare gli altri da sopra gli occhiali.

«In circostanze, normali, mi sarei già recato a ispezionare l'azienda del signor Hanson in città, e gli altri suoi beni, per accertare che fossero opportunamente amministrati e custoditi e che nessun danno finanziario dovesse derivare ai beneficiari in seguito a trascuratezze» disse.

«Tuttavia, ufficialmente ho saputo soltanto adesso di essere stato nominato unico esecutore testamentario, per cui non mi è stato possibile fare quanto dicevo. Ora risulta che non potrò cominciare fino al giorno successivo a quello del funerale.»

«Senta un po', questo mancato interessamento» disse Armitage senior, «non diminuirà il valore del patrimonio, vero?»

«Non sono in grado di dirlo» rispose Round, «ma penso di no. Il signor Hanson si avvaleva di eccellenti collaboratori per i suoi affari nella City, e non dubito affatto che abbia contato sulla loro lealtà affinché tutto procedesse nel migliore dei modi.»

«Ciononostante, non sarebbe meglio se lei cominciasse a darsi da fare?» disse Armitage.

«Il giorno dopo il funerale» disse Round.

«Be', allora, vediamo di far celebrare questo funerale al più presto possibile» esclamò la signora Armitage.

«Come desidera» rispose Round. «Lei è la sua parente più prossima.»

Poi riprese la lettura. «Sesto. Lascio alla...»

A questo punto Martin Round si interruppe e sbatté le palpebre, come se stentasse a leggere quel che leggeva. «Lascio alla mia cara e affettuosa sorella il rimanente del mio patrimonio senza riserve, nella persuasione che ella condividerà la fortuna toccatale con l'amabile marito Norman e il loro simpatico figlio Tarquin. Quanto precede è assoggettato alle condizioni del paragrafo settimo...»

Seguì uno sbalordito silenzio. La signora Armitage si asciugò delicatamente gli occhi con un fazzolettino di cambrì, non tanto per asciugare lacrime quanto per nascondere il sorriso che le guizzava agli angoli della bocca. Poi, dopo aver abbassato il fazzoletto, sbirciò il marito e il figlio con l'aria di una vecchia gallina che avesse appena sollevato il posteriore e ci avesse trovato sotto un uovo d'oro massiccio.

I due Armitage di sesso maschile sedevano a bocca aperta.

«A quanto ammonta il patrimonio?» domandò infine Armitage senior.

«Non sarei davvero in grado di dirlo» rispose Round.

«Suvvia, deve saperlo» disse il figlio, «All'incirca. Si occupava lei di tutti i suoi affari.»

Round pensò all'ignoto avvocato che aveva stilato il testamento ora nelle sue mani. «Di quasi tutti» disse.

«Ebbene...?»

Round mandò giù il boccone amaro. Per quanto trovasse sgradevoli gli Armitage, essi erano gli unici beneficiari del testamento del suo defunto amico. «Direi, agli attuali prezzi di mercato, qualora tutte le proprietà venissero vendute, da due milioni e mezzo a tre milioni di sterline.»

«Inferno dannato» esclamò Armitage senior. Cominciò subito a fantasticare. «A quanto ammonterà l'imposta di successione?»

«A una cifra enorme, temo.»

«A quanto?»

«Nel caso di un patrimonio così ingente, si arriverà all'aliquota più elevata, vale a dire il settantacinque per cento. Nella migliore delle ipotesi, presumo, qualcosa come il sessantacinque per cento.»

«Per cui resterebbe un milione pulito di sterline?» domandò il figlio.

«Si tratta di una valutazione molto approssimativa, loro capiscono» disse Round, smarrito. Pensò all'amico Hanson, come era stato: colto, spiritoso, esigente. Perché, Timothy, in nome del Cielo, perché? «Rimane il paragrafo settimo» fece rilevare.

«Che cosa dice?» domandò la signora Armitage, strappandosi alle fantasticherie concernenti il suo decollo mondano.

Pound riprese a leggere. «Per tutta la vita mi ha fatto inorridire la possibilità di essere un giorno divorato sottoterra da vermi e altri parassiti» lesse. «Ho pertanto provveduto a far costruire una bara rivestita di piombo, che trovasi adesso presso l'impresa di pompe funebri Bennett e Gaines, nella cittadina di Ashford. E in essa desidero essere deposto per l'eterno riposo. In secondo luogo, ho sempre desiderato evitare di poter essere un giorno disseppellito da una scavatrice, o per qualsiasi altra causa. Per conseguenza, stabilisco di essere sepolto in mare, e, più precisamente, venti miglia a sud della costa del Devon, dove prestai un tempo servizio militare come ufficiale di Marina. Infine, stabilisco che debbano essere mia sorella e mio cognato, per il rispetto determinato da un'intera esistenza di affetto nei miei riguardi, a spingere nell'oceano la bara. E al mio esecutore testamentario ordino, nell'eventualità in cui uno qualsiasi di questi desideri non venisse soddisfatto, o qualora un qualsiasi impedimento venisse opposto dai beneficiari, di considerare nulle e abrogate tutte le mie precedenti volontà e di lasciare l'intero mio patrimonio al Cancelliere dello Scacchiere.»

Martin Round alzò gli occhi. In cuor suo si era meravigliato venendo a conoscenza delle paure e delle bizzarrie del defunto amico, ma non lo diede a vedere in alcun modo.

«E ora, signora Armitage, devo domandarle formalmente: ha qualcosa da obiettare per quanto concerne i desideri espressi dal suo defunto fratello nel paragrafo settimo?»

«Sono stupidi» rispose lei. «Sepoltura in mare, figuriamoci! Non so nemmeno se sia consentita.»

«È estremamente rara, ma non illegale» rispose Round. «Mi risulta che c'è un precedente.»

«Costerà parecchio» osservò il figlio. «Molto di più di una sepoltura al cimitero. E perché non farsi cremare, del resto?»

«Le spese per il funerale non incideranno sull'eredità» disse Round, irritato con i tre. «Saranno pagate con questa somma.» E batté la mano sulle cinquemila sterline dinanzi a sé. «Dunque, è contraria?»

«Be', non saprei...»

«Devo farle rilevare che, in tal caso, l'eredità è annullata.»

«Che cosa significa questo?»

«Che andrà tutto allo Stato» scattò suo marito.

«Precisamente» disse Pound.

«Nessuna obiezione» disse la signora Armitage. «Ma continuo a pensare che è ridicolo.»

«Allora, come sua parente più prossima, lei mi autorizza a fare tutto il necessario?» domandò Pound.

La signora Armitage annuì bruscamente.

«Quanto prima sarà, tanto meglio» disse suo marito. «Potremo allora entrare in possesso dell'eredità.»

Martin Pound si alzò bruscamente. Ne aveva avuto abbastanza.

«Questo era l'ultimo paragrafo del testamento. Esso è debitamente firmato e controfirmato dal legale due volte su ogni foglio. Ritengo pertanto che non rimanga altro da dire. Farò tutti i passi necessari e, a tempo e luogo, mi metterò in contatto con loro. Buongiorno.»

Il centro del canale della Manica non è il posto ideale per trovarcisi a metà ottobre, a meno che non si sia patiti del mare. Il signor Armitage e signora erano riusciti a far capire con estrema chiarezza, prima ancora di essersi allontanati dal molo del porto, di non esserlo affatto.

Il signor Pound sospirò, mentre rimaneva esposto al vento, sul ponte di poppa, per non dover raggiungere i due nella cabina. Gli era occorsa una settimana per i preparativi, e aveva scelto un peschereccio che salpava da Brixham, nel Devon. I tre pescatori dell'imbarcazione si erano decisi ad accettare l'insolito lavoro soltanto dopo essere rimasti soddisfatti del compenso e avere avuto l'assicurazione che non sarebbe stata violata alcuna legge. La pesca nel Canale della Manica consentiva scarsi guadagni, in quel periodo.

Ci era voluto un paranco per sollevare la bara del peso di mezza tonnellata dal cortile dell'impresa di pompe funebri nel Kent e caricarla sull'autocarro scoperto, da una tonnellata, che la berlina nera aveva seguito per tutto il lungo tragitto fino alla costa di sud-ovest, quel mattino. Gli Armitage si erano lagnati continuamente. A Brixton l'autocarro aveva sostato sul molo e la bara era stata portata a bordo dalla gru del peschereccio. Poggiava adesso su due travi, al centro dell'ampio ponte di poppa, una bara di quercia lucidata a cera, con guarnizioni di ottone splendenti sotto il cielo autunnale.

Tarquin Armitage aveva accompagnato il gruppo sulla berlina fino a Brixham, ma, dopo un'occhiata al mare, si era affrettato a decidere di restare al calduccio in un albergo della cittadina. Non occorreva la sua presenza per la sepoltura in mare, del resto. Il cappellano in pensione della Marina, scovato da Pound grazie a un ufficio dell'Ammiragliato, era stato lieto di accettare un generoso compenso in cambio dei suoi servigi, e sedeva adesso nella piccola cabina, la cotta nascosta da un pesante cappotto.

Il capitano del peschereccio scese sul ponte ove si trovava Round.

Mostrò una carta nautica che schioccò nella brezza e additò, con l'indice, un punto venti miglia a sud del porto. Inarcò un sopracciglio. Round annuì.

«Acque profonde» disse il capitano. Con un cenno del capo indicò la bara. «Lo conosceva?»

«Molto bene» disse Round.

Il capitano grugnì. L'equipaggio del piccolo peschereccio era composto da lui, dal fratello e da un cugino; come nel caso della maggior parte dei pescatori, erano tutti imparentati. Tre coriacei uomini del Devon, dalle facce e dalle mani color noce; uomini i cui antenati avevano pescato in quelle acque traditrici sin dai tempi in cui Drake stava imparando la differenza tra braccio di maestra e albero di mezzana.

«Saremo là tra un'ora» disse il capitano, e tornò a prora con la sua andatura rigida.

Quando giunsero nel punto voluto, il capitano tenne il peschereccio con la prua al vento e l'elica al minimo dei giri. Suo cugino prese una lunga struttura in legno, tre assi inchiodate insieme su travetti trasversali e larghe una novantina di centimetri, e l'appoggiò sul parapetto di dritta, con la superficie liscia in alto. Il parapetto scheggiato sosteneva le assi quasi al centro, come il fulcro di un'altalena. Una metà delle assi si inclinava verso il ponte, l'altra sporgeva sopra il mare in burrasca.

Mentre il fratello del capitano si metteva ai comandi del motore della gru, il cugino infilò ganci nei quattro manici di ottone della bara.

Il motore si mise in moto e le funi sostennero il peso. La grande bara si sollevò dal ponte. L'uomo al motore la mantenne all'altezza di circa un metro e il cugino la portò sopra le assi, orientandola nel senso della lunghezza, verso il mare, poi fece un cenno d'assenso. L'altro uomo l'abbassò, per cui venne a poggiare direttamente sul parapetto. Diede corda e la bara, cigolando, si trovò nella posizione voluta, per metà entro il peschereccio e per metà fuori. Mentre il cugino la teneva ferma, l'uomo che l'aveva manovrata discese, tolse i ganci e lo aiutò a sollevare l'estremità delle assi dalla parte del ponte fino a disporle orizzontalmente; il peso era minimo, ormai, essendo la bara equilibrata sul parapetto. Uno degli uomini guardò Round ed egli chiamò il cappellano e gli Armitage fuori del loro rifugio.

Le sei persone rimasero silenziosamente in piedi sotto la bassa nuvolaglia, spruzzate dalla spuma che il vento strappava dalla cresta di un'ondata, equilibrandosi contro il beccheggio e il rollio dell'imbarcazione.

Per essere giusti nei suoi riguardi, il cappellano fu conciso quanto la decenza glielo consentiva, poiché il vento gli scompigliava i capelli bianchi e faceva schioccare la veste intorno a lui. Anche Norman Armitage era a testa nuda, soffriva tremendamente il mal di mare e si sentiva gelato fino alle ossa. Era facile supporre cosa pensasse del suo defunto parente che giaceva ora a un passo da lui, entro strati di canfora, di piombo e di quercia. Della signora Armitage null'altro si poteva vedere, tra pelliccia, sciarpa di lana e berretto di pelliccia, che il naso affilato e gelato.

Martin Round fissò il cielo mentre il prete cantilenava monotono. Un solo gabbiano ruotava nel vento, impervio alla pioggia, al freddo e alla nausea, senza nulla sapere di imposte di successione, testamenti e parenti, autosufficiente nella sua aerodinamica perfezione, indipendente, libero. L'avvocato riportò lo sguardo sulla bara e, al di là di essa, sulle onde. Non male, pensò, se si è sentimentali e portati per queste cose.

Personalmente, non si era mai curato di quello che sarebbe potuto accadergli dopo la morte, e aveva sempre ignorato che Hanson se ne preoccupasse tanto. Ma, se uno se ne preoccupava, il mare non era un brutto luogo in cui giacere. Vide la quercia imperlata dagli spruzzi che non potevano penetrare. Bene, qui nessuno ti disturberà mai, Timothy, vecchio mio, pensò.

«...affido questo nostro fratello, Timothy John Hanson, alla Tua eterna protezione, per il tramite di Gesù Cristo, Nostro Signore, amen...»

Trasalendo, Pound si rese conto che il rito funebre era finito. Il cappellano lo stava sbirciando con un'aria di aspettativa. Fece cenno agli Armitage. Ognuno dei due si portò accanto a uno dei pescatori che tenevano ferme le assi e mise una mano sulla parte posteriore della bara.

Pound fece cenno agli uomini. Adagio essi sollevarono le assi dalla loro parte. L'estremità opposta si abbassò verso il mare. Infine la bara si mosse. Entrambi gli Armitage diedero una spinta. Raschiò per un momento contro il legno, poi scivolò rapidamente giù dall'estremità opposta. L'imbarcazione dondolò. La bara finì contro la superficie inclinata di un'onda, più con un tonfo che con uno scroscio. E scomparve. All'istante. Round colse lo sguardo del capitano nella cabina di navigazione più in alto. L'uomo alzò una mano e indicò la direzione dalla quale erano venuti. Pound tornò ad annuire. Il rumore della macchina si intensificò. Le assi erano già state fatte rientrare a bordo e riposte. Gli Armitage e il cappellano si stavano affrettando ad andare al riparo. Il vento rinforzava.

Era quasi buio quando doppiarono il molo, a Brixham, e le prime lampade stavano baluginando nelle case al di là della passeggiata a mare. Il cappellano aveva la sua piccola automobile parcheggiata nei pressi e ripartì subito. Pound regolò i conti con il capitano; questi fu ben contento di avere guadagnato in un pomeriggio quanto ricavava da una settimana di pesca agli sgombri. Gli uomini dell'impresa di pompe funebri aspettavano con la berlina e così pure Tarquin Armitage, reso ancor più insopportabile dall'attesa. Pound decise di lasciare a loro la macchina. Preferiva tornare a Londra in treno e starsene solo.

«Proceda immediatamente con la valutazione del patrimonio» disse la signora Armitage in tono querulo e insistente. «E faccia autenticare il testamento. Ne abbiamo avuto abbastanza di tutte queste pagliacciate.»

«Può essere certa che non perderò tempo» disse Pound, gelido. «Mi farò vivo.» Salutò sollevando appena il cappello e si diresse verso la stazione. Supponeva che non sarebbe stata una cosa lunga. Conosceva già, nei minimi particolari, il patrimonio di Hanson. Avrebbe trovato tutto in ordine perfetto. Il suo amico era stato un uomo così meticoloso! Soltanto a metà novembre l'avvocato Pound si sentì in grado di rimettersi in comunicazione con gli Armitage. Sebbene, in quanto unica beneficiaria, solamente la signora Armitage fosse stata invitata a presentarsi nel suo studio in Gray's Inn Road, ella vi giunse con il marito, nonché con il figlio.

«Mi trovo in una situazione alquanto difficile» le disse Pound.

«A che proposito?»

«A proposito del patrimonio del suo defunto fratello, signora Armitage. Mi consenta di spiegare. In quanto legale del signor Hanson, conoscevo già il valore e ogni altro particolare relativo ai vari beni che ne costituivano il patrimonio, e, per conseguenza, mi è stato possibile esaminarli tutti senza alcun indugio.»

«Quali sono?» domandò lei, brusca.

Pound rifiutò di lasciarsi spronare e incitare. «In effetti, il patrimonio era costituito per la massima parte da sette importanti investimenti. Insieme essi formano il novantanove per cento di quel che possedeva. In primo luogo v'era, nella City, l'azienda che commerciava in monete rare e preziose. Loro sanno forse che si trattava di una società privata della quale egli era l'unico proprietario. La fondò e la potenziò lui stesso. Possedeva inoltre, per il tramite della società, l'edificio nel quale era situata. Lo acquistò, con un'ipoteca, subito dopo la guerra, quando i prezzi erano bassi. L'ipoteca era stata estinta da molto tempo; la società era la proprietaria dei locali, e lui il proprietario della società.»

«Quanto potrebbe valere, complessivamente?» domandò Armitage senior.

«Nessuna difficoltà a questo riguardo» rispose Pound. «Compreso l'edificio, la clientela, la merce, il buon nome, e gli affitti corrisposti dalle altre tre società che hanno sede nel palazzo, esattamente un milione e duecentocinquantamila sterline.»

Armitage junior fischiò sommessamente e sogghignò. «Come fa a saperlo con tanta precisione?» domandò Armitage.

«Lo so perché il signor Hanson l'ha venduta per tale somma.»

«Che cosa ha fatto...?»

«Tre mesi prima di morire, dopo brevi trattative, ha venduto la società al completo a un ricco mercante olandese che vi aveva messo su gli occhi da anni. La somma versata è stata quella che ho detto.»

«Ma ha lavorato nella società fin quasi alla sua morte» obiettò la signora Armitage. «Chi altri era a conoscenza di questo?»

«Nessuno» disse Pound. «Nemmeno il personale. Tutte le pratiche relative alla vendita dell'edificio sono state svolte da un avvocato di provincia, il quale, molto opportunamente, ha mantenuto il massimo riserbo al riguardo. Sotto ogni altro aspetto, la vendita è consistita in un accordo privato tra il signor Hanson e l'acquirente olandese. Le condizioni sono state due. I cinque dipendenti dovevano mantenere il posto; e, quanto a Hanson personalmente, doveva rimanere amministratore unico fino al termine di quest'anno o fino alla sua morte. Inutile dirlo, l'acquirente riteneva che la cosa fosse una pura formalità.»

«Ha parlato con questa persona?» domandò la signora Armitage.

«Con il signor De Jong? Sì, è uno stimato mercante di monete ad Amsterdam. E ho esaminato i documenti relativi alla vendita. È tutto perfettamente in ordine, assolutamente legale.»

«E allora che cosa ha fatto Hanson del denaro?» domandò Armitage senior.

«Lo ha depositato in banca.»

«Be', nessun problema, allora» disse il figlio.

«Il bene successivo era la dimora nel Kent, una splendida proprietà, situata in venti acri di parco. Nello scorso mese di giugno egli ha ipotecato il novantacinque per cento della proprietà. Al momento della sua morte aveva versato soltanto una rata trimestrale. Il titolo di proprietà è passato adesso ai suoi creditori privilegiati. Anche questa transazione risulta essere perfettamente legale e ineccepibile.»

«Quanto gli è stato pagato per la proprietà?» domandò la signora Armitage.

«Duecentodiecimila sterline» rispose Pound.

«Che ha versato in banca?»

«Sì. Poi c'era l'appartamento a Mayfair. Egli lo ha venduto quasi contemporaneamente, in seguito a una trattativa privata, servendosi di un altro avvocato per l'atto di vendita e ricavandone centocinquantamila sterline. Anche questa somma è stata depositata in banca.»

«E con ciò i beni sono tre. Che altro rimane?» domandò il figlio.

«Oltre alle tre proprietà, il signor Hanson possedeva una preziosa collezione privata di monete. È stata venduta un po' alla volta, per il tramite della società, e ne è stato ricavato poco più di mezzo milione di sterline, nel corso di un periodo di svariati mesi. Ma le diverse e separate fatture sono state trovate nella cassaforte della dimora di campagna. Ogni vendita è ineccepibile e accuratamente registrata. Il signor Hanson ha versato in banca, ogni volta, le somme ricavate da ciascuna vendita. Inoltre il suo agente di Borsa, in seguito a istruzioni impartitegli, ha realizzato l'intero portafoglio di azioni e di titoli prima del primo di agosto. Poi c'era la Rolls Royce. Egli l'ha venduta per quarantottomila sterline e ne ha noleggiata un'altra al suo posto. La società di autonoleggi è già rientrata in possesso dell'automobile. Infine v'erano vari depositi in banca, in banche diverse. Complessivamente il patrimonio, come mi è stato possibile accertarlo? e sono persuaso che non mi sia sfuggito nulla? ammonta a poco più di tre milioni di sterline.»

«Vuol dire» riassunse Armitage senior, «che, prima di morire, egli vendette tutti i suoi beni e depositò in banca il denaro ricavato, senza dirlo ad anima viva e senza destare alcun sospetto in coloro che lo conoscevano o lavoravano per lui?»

«Non avrei potuto esprimermi meglio io stesso» ammise Pound.

«Bene, del resto non avremmo saputo che farci di tutto quel ciarpame» disse Armitage junior. «Avremmo venduto ogni cosa noi stessi. Pertanto, egli ha impiegato gli ultimi mesi della sua esistenza sbrigando quello che avrebbe dovuto fare lei. Si limiti adesso a fare le somme, a pagare i debiti, a calcolare l'imposta di successione e ci faccia avere il denaro.»

«Temo che non mi sia possibile» disse il signor Pound.

«E perché no?» Vi fu una stridula nota d'ira nel tono della signora Armitage. «Il denaro che egli depositò dopo la vendita di tutti questi beni...»

«Ebbene?»

«Lo prelevò»

«Che cosa ne fece....»

«Lo depositò. E successivamente lo prelevò, tutto. Da una ventina di banche. Un po' alla volta, nel corso di molte settimane. Ma lo prelevò fino all'ultimo centesimo. In contanti.»

«Non si possono prelevare tre milioni di sterline in contanti» disse Armitage senior, incredulo.

«Oh, sì, è possibile» obiettò Pound, calmo. «Non tutti in una volta, naturalmente, ma in varie riprese, prelevando cinquantamila sterline per volta presso le banche più importanti, previo preavviso. Numerosi operatori economici hanno necessità di grosse somme liquide. I casinò, le agenzie di scommesse, ad esempio. E i rivenditori di merce di seconda mano, di qualsiasi genere essa sia...» Ma venne interrotto dal crescente subbuglio. La signora Armitage stava martellando il tavolo con il pugno grassoccio; suo figlio, in piedi, agitava il dito indice nella direzione dell'avvocato; il marito si sforzava di assumere l'atteggiamento di un giudice sul punto di pronunciare una sentenza particolarmente severa. E urlavano tutti e tre contemporaneamente.

«Non ci sarebbe riuscito... Deve avere messo il denaro in qualche posto... Lei farà bene ad accertarlo... Voi due eravate in combutta in questa faccenda...»

Fu quest'ultima frase, alla fine, a far perdere la pazienza a Martin Round.

«Silenzio...» egli tuonò, e il grido fu cosi inaspettato che i tre tacquero.

Round puntò un dito contro il giovane Armitage: «Lei, signore, ritiri immediatamente quello che ha detto! Mi sono spiegato con chiarezza?».

Armitage junior si rimise a sedere. Sbirciò i genitori, che lo fissavano rabbiosamente. «Chiedo scusa» disse.

«E ora» continuò Round, «questo particolare espediente è già stato impiegato in passato, di solito per evitare il pagamento delle tasse. Mi stupisce che vi abbia fatto ricorso Timothy Hanson. Di rado è efficace. Si può prelevare una ingente somma di denaro, ma disporne è tutto un altro paio di maniche. Egli potrebbe aver depositato il denaro in una banca estera; ma, poiché sapeva di dover morire, la cosa non avrebbe senso. Non ci teneva affatto ad arricchire banchieri già ricchi. No, deve avere nascosto il denaro in qualche posto, o avere acquistato qualcosa con esso. Può passare del tempo, ma il risultato è sempre quello. Se la somma è stata depositata, la si troverà. Se è stato acquistato qualche altro bene, anche quello verrà rintracciato. E, a parte ogni altra considerazione, vi sono da pagare le tasse sugli utili del capitale nonché quelle sulla vendita delle azioni e delle proprietà. Pertanto l'erario vorrà essere informato.»

«Che cosa può fare lei personalmente?» domandò infine Armitage senior.

«Fino ad ora mi sono informato presso le più importanti banche e gli istituti di credito commerciale del Regno Unito, avvalendomi del mandato stesso del testamento. Tutto passa per i computer, al giorno d'oggi. Ma non è risultato esistere alcun deposito intestato a Hanson. Ho inoltre pubblicato annunci sui più importanti quotidiani nazionali, chiedendo eventuali informazioni, ma nulla è emerso fino ad ora. Mi sono recato a parlare con il suo ex autista e cameriere personale, il signor Richards, attualmente a riposo nel Galles del Sud, ma egli non è in grado di aiutarci. Non ha mai visto in nessun posto grossi pacchi di banconote, e, mi credano, si sarebbe trattato di pacchi davvero molto voluminosi. Sicché rimane ora l'interrogativo: quale altra iniziativa loro desiderano che io prenda, adesso?»

Seguì il silenzio, mentre i tre interessati riflettevano.

In cuor suo, Martin Round era rattristato da quanto il suo amico aveva evidentemente tentato di fare. Come potevi esserti illuso di cavartela? Domandò allo spirito del defunto. Rispettavi così poco il fisco? Non hai mai avuto niente da temere da parte di questi tuoi parenti avidi, gretti e meschini, Timothy. Ma sempre e soltanto da quelli delle tasse. Sono inesorabili, instancabili. Non si arrendono mai. Non rimangono mai a corto di fondi. Per quanto ben nascosto possa essere il denaro, loro quando noi avremo rinunciato, e toccherà ad essi intervenire, lo cercheranno. Fino a quando non sapranno dov'è, continueranno a cercarlo; e, finché non lo avranno trovato, non interromperanno le ricerche. Soltanto quando saranno riusciti a individuare il nascondiglio, anche nel caso che si trovi fuori dell'Inghilterra, e sia sottratto alla loro giurisdizione, chiuderanno la pratica.

«Non potrebbe continuare le ricerche?» domandò Armitage senior, con un po' più di cortesia di quella dimostrata sino ad allora.

«Per qualche tempo, sì» accettò Pound. «Ma ho già fatto del mio meglio. E ho una numerosa clientela da seguire. Non posso dedicarmi esclusivamente a queste ricerche»

«Che cosa ci consiglia?» domandò Armitage.

«Vi è sempre il fisco» disse Pound, blando. «Prima o poi, e probabilmente al più presto, dovrò informarlo di quanto è accaduto.»

«Crede che loro rintracceranno il denaro?» domandò avidamente la signora Armitage. «In fin dei conti, anche loro, in un certo senso, sono beneficiari.»

«Sono certo che riusciranno» disse Pound. «Vorranno la loro parte. E dispongono di tutte le risorse dello Stato.»

«Quanto tempo impiegheranno?» domandò Armitage.

«Ah» rispose Round, «questo è un altro paio di maniche. In base alla mia esperienza, di solito non hanno alcuna fretta.»

«Mesi?» domandò Armitage junior.

«Anni, più probabilmente. Non rinunceranno mai alla caccia. Ma non si affanneranno.»

«Non possiamo aspettare così a lungo» disse, stridula, la signora Armitage. Il suo decollo nell'alta società cominciava a sembrare una falsa partenza. «Deve esserci una soluzione più rapida.»

«Ehi, che ne direste di un investigatore privato?» suggerì Armitage junior.

«Potrebbe assumere un investigatore privato, avvocato?» domandò la signora Armitage.

«Preferisco la definizione agente investigativo privato» disse Pound. «Anche quelli del fisco la preferiscono. Sì, è possibile. Ho avuto occasione, in passato, di avvalermi dei servigi di uno di questi agenti, un uomo rispettabilissimo, per rintracciare beneficiari introvabili. Ora sembra che i beneficiari siano presenti, ma non si riesca a trovare l'eredità. Ciononostante...»

«Bene, allora si rivolga a quel tizio» scattò la signora Armitage. «Gli dica di scoprire dove ha messo tutto il denaro il maledetto.»

Avidità, pensò Pound. Se soltanto Hanson avesse potuto supporre quanto sarebbero stati avidi!

«Benissimo. C'è però la questione del compenso. Sono costretto a far loro osservare che, delle cinquemila sterline destinate alle spese, rimane piuttosto poco. Gli esborsi sono stati più ingenti del solito... E i servigi di quell'uomo non sono modesti. Ma, d'altro canto, egli è il migliore...»

La signora Armitage guardò il marito. «Norman?»

Armitage senior deglutì a fatica. Vide in pericolo, nell'immaginazione, l'automobile nuova e le progettate vacanze estive. Annuì. «Io... ehm... provvederò a versargli il compenso quando tutto ciò che rimane delle cinquemila sterline sarà stato speso» disse.

«Benissimo, allora» concluse Pound, alzandosi. «Ricorrerò ai servigi del signor Eustace Miller, e soltanto ai suoi. Non dubito affatto che riuscirà a rintracciare il patrimonio scomparso. Fino ad oggi non è mai venuto meno alla mia fiducia.»

Ciò detto, accompagnò alla porta gli eredi e tornò nel suo ufficio per telefonare a Eustace Miller, agente investigativo privato.

Per quattro settimane vi fu il silenzio da parte del signor Miller, ma non da parte degli Armitage, che bombardarono Martin Pound con le loro incessanti richieste di un rapido ritrovamento dello scomparso patrimonio cui avevano diritto. Finalmente Miller telefonò a Martin Pound per dirgli che riteneva di doverlo mettere al corrente dei risultati ottenuti fino ad allora.

La curiosità di Pound era ormai quasi pari a quella degli Armitage e pertanto egli fissò all'agente un appuntamento nel suo ufficio insieme agli eredi.

Se la famiglia Armitage si era aspettata di trovarsi di fronte a un personaggio tipo Philip Marlowe, o simile agli investigatori come li immaginava di solito la gente, doveva restare delusa. Eustace Miller era piccoletto, tondo e benevolo, con ciuffi di capelli intorno al cranio altrimenti calvo, e occhiali a mezzaluna. Indossava un vestito scuro, con la catena d'oro dell'orologio che faceva spicco sul panciotto, e si alzò in tutta la sua imponente statura, per fare il rapporto.

«Ho iniziato queste indagini» disse, sbirciando, uno dopo l'altro, tutti i presenti al di sopra degli occhiali a tartaruga, «con tre ipotesi nella mente. Una di esse era che il defunto signor Hanson si fosse sottoposto a una così straordinaria attività, nel corso dei mesi immediatamente precedenti la morte, con assoluta deliberazione e con uno scopo ben preciso. In secondo luogo ritenni — e lo ritengo tutt'ora — che lo scopo del signor Hanson fosse stato quello di impedire agli apparenti eredi e al fisco di mettere le mani sul patrimonio dopo la sua morte...»

«Il vecchio bastardo!» scattò Armitage junior.

«Non era tenuto a lasciarlo a lei, in primo luogo» fece osservare Pound, calmo. «Continui, signor Miller.»

«Grazie. In terzo luogo, supposi che il signor Hanson non avesse bruciato il denaro e neppure si fosse esposto al considerevole rischio di portarlo clandestinamente all'estero, e questo tenendo presente l'enorme spazio che avrebbe occupato una somma così enorme in contanti. In breve, pervenni alla conclusione che egli avesse acquistato qualcosa con il denaro.»

«Oro? Diamanti?» domandò Armitage senior.

«No. Ho esaminato queste possibilità, ma, dopo serrate indagini, le ho escluse. Mi sono prospettato, allora, l'ipotesi di qualche altra sorta di bene che avesse un grande valore anche in dimensioni relativamente piccole. Ho consultato la ditta di Johnson Matthey, che commercia in metalli preziosi. E ho trovato.»

«Il denaro?» dissero in coro i tre Armitage.

«No, la soluzione» rispose Miller. Godendosi il momento, tolse dalla borsa di cuoio un fascio di fogli. «Questi sono i documenti della vendita, da parte di Johnson Matthey al signor Hanson, di duecentocinquanta lingotti da cinquanta once di platino puro al 99,95 per cento.»

Seguì, intorno al tavolo, uno sbalordito silenzio.

«Non si è trattato, francamente, di una mossa molto abile» disse il signor Miller, con un certo rammarico. «L'acquirente può avere distrutto tutti i documenti relativi alla vendita, ma ovviamente il venditore non avrebbe mai fatto altrettanto. Ed eccoli qui, infatti.»

«Perché proprio il platino?» domandò Round, con voce appena percettibile.

«Questo è interessante. In base a una legge dell'attuale governo laburista, occorre un'autorizzazione per acquistare e detenere oro. I diamanti sono immediatamente rintracciabili, e non è affatto facile disfarsene come si potrebbe desumere da qualche libro giallo il cui autore è male informato. Per il platino non occorre alcuna autorizzazione; esso ha, attualmente, pressappoco lo stesso valore dell'oro e, a parte il radio, è uno dei più preziosi metalli del mondo. Al momento dell'acquisto, il signor Hanson pagò il metallo al prezzo del libero mercato, vale a dire cinquecento dollari americani per oncia.»

«Quanto spese?» domandò la signora Armitage.

«Complessivamente quasi tutti i tre milioni di sterline ricavati dalla vendita dei suoi beni» rispose Miller. «Cioè, in dollari americani? e il platino è sempre quotato in dollari? sei milioni e duecentocinquanta mila dollari per dodicimilacinquecento once complessivamente. Ovvero, come ho già detto, per duecentocinquanta lingotti del peso di cinquanta once ciascuno.»

«E dove ha portato tutti questi lingotti?» domandò Armitage senior.

«Nella sua dimora di campagna nel Kent» rispose Miller. Una volta di più, si stava godendo il momento, e sapeva, e pregustava il piacere della cosa, di avere altro da rivelare.

«Ma io sono stato laggiù» protestò Pound.

«Guardandosi attorno con gli occhi di un avvocato. I miei sono gli occhi di un investigatore» disse Miller. «E inoltre sapevo quello che stavo cercando. Pertanto non ho cominciato dalla dimora vera e propria, ma dagli edifici annessi. Lei sa che il signor Hanson aveva messo su una falegnameria estremamente bene attrezzata in quello che era stato un tempo un fienile, dietro le scuderie?»

«Certo» disse Pound. «Era il suo hobby.»

«Precisamente» disse Miller. «E proprio là ho svolto le ricerche. Il locale era stato pulito scrupolosamente; persino con un aspirapolvere.»

«Probabilmente da Richards, l'autista-tuttofare» disse Pound.

«Potrebbe darsi, ma probabilmente non da lui. Nonostante la pulizia, ho potuto notare macchie sulle assi del pavimento e ho fatto analizzare alcune schegge di legno. Nafta. Assecondando un certo mio sospetto, ho pensato a una qualche sorta di macchinario, un motore, forse. Si tratta di un mercato alquanto ristretto e mi è stato possibile accertare la verità entro una settimana. Nel maggio scorso, il signor Hanson acquistò un potente generatore elettrico azionato da un motore diesel e lo fece installare nella falegnameria. Lo vendette poi, come rottame metallico, subito prima di morire.»

«Un generatore per azionare le macchine utensili, senza dubbio» osservò Pound.

«No, disponeva già di energia elettrica a sufficienza per questo. Doveva azionare qualcos'altro. Qualcosa che richiedeva una quantità enorme di corrente. Dopo un'altra settimana, ho accertato anche questo. Un piccolo altoforno, moderno e molto efficiente. È scomparso anch'esso da un pezzo, e non dubito che i cucchiaioni, i guanti di amianto e le tenaglie da forgia siano stati gettati in fondo a qualche lago o a qualche fiume. Ma credo di poter dire di essere stato un po' più meticoloso del signor Hanson. Tra due assi del pavimento, conficcato in modo da essere invisibile e coperto da segatura compatta, nel punto in cui era caduto, senza dubbio durante il lavoro, ho trovato questo.»

Si trattava della sua pièce de résistance, ed egli protrasse il momento.

Dalla borsa tolse un pacchetto di velina bianca e lo svolse adagio.

Conteneva una scheggia sottile di metallo che splendette alla luce, metallo che doveva essere gocciolato da un cucchiaione di fonderia, per poi solidificarsi. Miller aspettò mentre tutti fissavano la scheggia. «L'ho fatta analizzare, naturalmente. Si tratta di platino puro al 99,95 per cento.»

«E ha trovato il resto del metallo?» bisbigliò la signora Armitage.

«Non ancora, signora, ma lo troverò. Non tema. Vede, il signor Hanson ha commesso un grosso sbaglio, scegliendo il platino. Questo metallo ha una proprietà che egli deve aver sottovalutato e che, ciò nonostante, è assolutamente unica. Il peso. Ora, almeno, sappiamo quello che stiamo cercando. Una qualche sorta di cassa di legno, dall'aspetto innocente, ma? ed è questo il punto? del peso di poco inferiore a mezza tonnellata...»

La signora Armitage gettò il capo all'indietro ed emise uno strano grido rauco, simile all'ululato di una bestia ferita. Miller trasalì visibilmente. Il signor Armitage si prese la testa tra le mani. Tarquin Armitage balzò in piedi, rosso in faccia come un mattone per la rabbia, e urlò: «Quel maledetto bastardo!».

Martin Pound fissò, incredulo, lo spaventato investigatore. «Buon Dio!» esclamò. «Oh, santo cielo! Ha portato tutto con sé!»

Il giorno dopo, informò il fisco di tutte le circostanze. L'ufficio delle imposte accertò i fatti e, anche se di malagrazia, decise di chiudere la pratica.

Barney Smee si diresse allegramente e a passi rapidi verso la sua banca, certo di giungervi prima che chiudessero per le festività natalizie.

Il motivo della sua contentezza si trovava nella tasca interna della giacca: un assegno per una somma molto ingente, ma soltanto l'ultimo di una serie di assegni analoghi che, da alcuni mesi a quella parte, gli avevano consentito introiti assai più elevati di quanto fosse mai riuscito a guadagnare in vent'anni nel rischioso commercio di rottami metallici destinati all'industria dei gioielli.

Aveva fatto bene? si congratulò con se stesso? a correre il rischio, e si era trattato, innegabilmente, di un grosso rischio. Eppure, tutti a quei tempi, si industriavano in ogni modo per evadere le tasse, e chi era mai lui, per condannare la fonte della sua fortuna, soltanto perché l'uomo aveva voluto trattare esclusivamente in contanti? Barney Smee non stentava affatto a capire il risparmiatore dai capelli argentei che si faceva chiamare Richards e aveva una patente di guida intestata a quel nome.

L'uomo, evidentemente, aveva acquistato anni prima i lingotti da cinquanta once, quando costavano molto meno. Venderli apertamente sul mercato, per il tramite di Johnson Matthey, gli avrebbe consentito, senza alcun dubbio, di spuntare un prezzo più alto, ma a quale costo, tenuto conto delle tasse? Lui solo avrebbe potuto saperlo, e Barney Smee non era il tipo di approfondire.

In ogni modo, in quel commercio, gli affari per contanti abbondavano.

I lingotti erano autentici; non mancavano neppure del marchio di autenticazione della ditta di Johnson Matthey, dalla quale provenivano.

Soltanto il numero di serie era stato eliminato. Ciò aveva causato una grossa perdita al vecchio, poiché, senza il numero di serie, Smee non era stato in grado di offrirgli un prezzo che si avvicinasse a quello di mercato. Aveva potuto offrirgli soltanto il prezzo del rottame, ovvero il prezzo del produttore, circa 440 dollari americani per oncia. Ma, d'altro canto, i numeri di serie avrebbero consentito al fisco di identificare il proprietario e pertanto il vecchio, forse, doveva sapere quel che si faceva, tutto sommato.

Barney Smee era riuscito a piazzare tutti i cinquanta lingotti, in ultimo, guadagnandoci dieci dollari netti per oncia. L'assegno che aveva in tasca era quello relativo alla conclusione dell'affare, alla vendita degli ultimi due lingotti. Egli ignorava beatamente il fatto che, in altre regioni d'Inghilterra, altri individui come lui avevano a loro volta impiegato l'autunno piazzando sul mercato clandestino altri lingotti da cinquanta once venduti loro in contanti da un uomo dai capelli argentei. Ora Barney Smee uscì dalla strada trasversale e voltò nella Old Kent Road.

Così facendo, urtò contro un uomo che scendeva da un taxi. Entrambi si scusarono e si augurarono buon Natale. Poi Barney Smee proseguì soddisfatto.

L'altro uomo, un avvocato di Guernsey, sbirciò in alto l'edificio davanti al quale era stato portato dal taxi, si calcò meglio il cappello sulla testa e si diresse verso l'ingresso. Dieci minuti dopo, si trovava in una stanza in compagnia dell'alquanto sconcertata Madre Superiora.

«Posso domandarle, Madre, se l'Orfanotrofio di San Benedetto è legalmente riconosciuto in base alla legge sulle opere bebefiche?»

«Sì» rispose la Madre Superiora. «Lo è.»

«Bene» disse l'avvocato. «Stando così le cose, tutto è legale e in questo caso non dovrà essere imposta la tassa sul trasferimento di capitali.»

«La tassa su che?» domandò la suora.

«Più comunemente nota come "tassa sulle donazioni"» disse l'avvocato, con un sorriso. «Sono lieto di comunicarle che un benefattore, la cui identità non posso rivelarle, a causa dell'etica professionale concernente il riserbo tra cliente e avvocato, ha ritenuto opportuno donare una somma ingente al suo istituto.»

Aspettò una qualche reazione, ma l'anziana suora dai capelli grigi si limitò a fissarlo sconcertata.

«Il mio cliente, il cui nome lei non conoscerà mai, mi ha impartito istruzioni molto precise: dovevo presentarmi qui da lei, oggi, la vigilia di Natale, e consegnarle questa busta.»

Tolse una busta di carta spessa e colorata dalla borsa di cuoio e la porse alla Madre Superiora. Lei la prese, ma non l'aprì.

«Mi risulta che contiene un assegno emesso da uno stimato istituto di credito commerciale, a Guernsey, e intestato all'Orfanotrofio di San Benedetto. Non ho visto l'assegno, ma così mi è stato detto.»

«Nessuna tassa sulle donazioni?» domandò la suora, stringendo, indecisa, la busta tra le dita. Le somme offerte in beneficenza erano poche, e di solito faticosamente ottenute.

«Nelle Isole del Canale abbiamo un sistema fiscale diverso da quello in vigore nel Regno Unito» spiegò l'avvocato, pazientemente. «Non esiste alcuna tassa sul trasferimento di capitali. E inoltre tuteliamo il segreto bancario. Una donazione fatta a Guernsey, o nelle Isole, è esente dalla tassa. Se il destinatario è domiciliato o risiede nel Regno Unito, allora è soggetto alla tassazione. A meno che non sia già esentato; ad esempio dalla legge sulle opere benefiche. E ora, se vuole essere così gentile da firmarmi la ricevuta della busta, avrò portato a termine il mio incarico. Lei non mi deve niente, poiché ho già percepito la parcella, e gradirei tornarmene a casa, in famiglia.»

Due minuti dopo, la Madre Superiora era sola. Adagio fece scorrere un tagliacarte contro il margine della busta e ne estrasse il contenuto. Si trattava di un singolo assegno. Quando ebbe letto la cifra su di esso, prese a tastoni, tra le dita tremanti, il rosario e cominciò a recitarlo rapidamente. Dopo aver ritrovato una certa compostezza, si inginocchiò sull'inginocchiatoio contro la parete e vi rimase per una mezz'ora, pregando.

Poi, tornata, ancora indebolita, alla scrivania, fissò l'assegno per oltre due milioni e mezzo di sterline. Chi mai, in tutto il mondo, poteva possedere tanto denaro? Si sforzò di pensare a quello che avrebbe dovuto fare con una somma simile. Un fondo di riserva, forse. V'era abbastanza per mandare avanti in eterno l'orfanotrofio. E, senza dubbio, abbastanza per consentirle di realizzare l'ambizione di tutta una vita: togliere l'orfanotrofio dai ghetti di Londra e trasferirlo in aperta campagna, nell'aria pura. Avrebbe potuto raddoppiare il numero dei bambini ospitati. Avrebbe potuto...

Troppe idee le si affollavano nella mente, ma ce n'era una che cercava di emergere. Quale? Oh, sì, il giornale domenicale di due settimane prima. Qualcosa aveva attirato il suo sguardo, causandole una fitta dolorosa di desiderio. Ma sì, quello era il luogo in cui si sarebbero trasferite. Disponeva di denaro a sufficienza, ormai, per acquistare la proprietà e mantenerla in eterno. Un sogno si avverava. Rivide l'annuncio nelle colonne case e terreni. Vendesi, dimora di campagna nel Kent, con venti acri di parco...

Inizio